La "Città Morta"



“Città morta” è il nome alquanto fantasioso con cui è stata denominata una piccola vallecola secondaria della Val di Strino. In questo avvallamento ben riparato dalle creste rocciose che lo circondano, sorgeva durante la grande guerra un villaggio militare austriaco, inaccessibile ai tiri dell’artiglieria italiana. Era la base logistica dalla quale muovevano i soldati diretti alla prima linea lungo il crinale tra Cima Biolca e il Monte Tonale Orientale. Oggi restano pochi ruderi delle numerose costruzioni che componevano questo insediamento militare, sempre attivo, anche durante i terribili inverni di guerra, grazie ai numerosi rami delle teleferiche che lo rifornivano. Sono ancora visibili i resti di muri a secco, terrapieni e piazzole dove sorgevano i baraccamenti in legno per il ricovero delle truppe, i magazzini e, si dice, perfino una minuscola cappella per le funzioni religiose. Questo è ciò che rimane lassù a 2500 m di altitudine, a ricordarci il tragico conflitto di cento anni fa...... a ricordo, delle fatiche, degli stenti, delle paure, delle sofferenze e della morte di tanti giovani e meno giovani inviati lassù a battersi contro altri giovani che come loro furono costretti in prima linea, volenti o nolenti, spesso inconsapevoli, asserviti ad una politica e propaganda retoricamente patriottica senza avere condiviso o almeno ben compreso i motivi del conflitto.


Visto il tempo bello, sereno e stabile decido di rivisitare, dopo qualche anno, la “Città Morta” Salgo quindi di buon mattino in Val di Strino. Posteggiata l’automobile in uno slargo della statale per il Passo Tonale, poco oltre il Forte Strino, mi avvio per la strada militare che conduce ai Forti Mero e Zaccarana e, dopo poco più di mezz’ora di cammino, devio sulla destra, sulla mulattiera che porta a Malga Strino. Alle mie spalle il sole colora di un rosso intenso e caldo i monti del gruppo Presanella e inizia ad illuminare le cime che fanno da corona alla valle. 

La bella valle di Strino, ora rigoglioso e apprezzato pascolo d’alpeggio, regno delle marmotte, meta di tanti turisti, un tempo, durante il primo conflitto mondiale, era la sede del vasto acquartieramento di uno dei due sottocomandi del sub-Rayon della Val Vermiglio. Oggi, del grande villaggio militare realizzato nei pressi della malga, si distinguono pochi resti: solo qualche piazzola con alcuni tracce di muretti a secco…

I morti in questa zona furono numerosissimi ma non tanto per i combattimenti quanto per la caduta delle valanghe che più volte travolsero uomini e cose. In particolare la notte del 13 dicembre 1916 si ricorda ancora come “Santa Lucia Nera” per gli infiniti lutti causati dai distacchi della neve, accumulatasi altissima sui fianchi della montagna, distacchi dovuti ad un inaspettato rialzo della temperatura.

Oltrepasso la malga, dove, nella stalla, vedo i pastori intenti alla mungitura, e oltrepasso pure il prato che ospitava, cento anni fa, parte delle baracche e mi avvio lentamente per il sentiero che conduce ai Laghetti di Strino, alla Bocchetta di Strino e alla Cima Redival. Quando il bosco di larici lascia il posto ai nudi pascoli alti, devio sulla sinistra per seguire la traccia che a tornanti conduce alla mia meta.

L’approssimarsi della “Città Morta” è annunciato dall’apparire di una galleria di deposito delle munizioni, scavata nella roccia e ben visibile sul costone che domina la Val di Strino.


Sono trascorse più di tre ore da quando sono sceso dall’automobile. Ho superato un dislivello di quasi mille metri e finalmente posso nuovamente osservare ciò che rimane del villaggio militare, piazzole e muri a secco mimetizzati tra gli sfasciumi sassosi.

Il sole è già alto ma il versante, in parte roccioso, che separa la “Città Morta” dai brulli, costoni a pascolo che degradano ripidi e soleggiati verso il Passo del Tonale è ancora parzialmente in ombra. Affronto un’ultima fatica e supero il fresco pendio salendo sulla cresta trincerata per lo stretto sentierino militare rimesso da poco a nuovo…

Raggiunto lo spartiacque, dove erano attestate le truppe austriache, posso finalmente rilassarmi e godere dello stupendo panorama che si apre all’improvviso sull’Adamello e sulla Presanella dimenticandomi per qualche momento che questo è un luogo di dolore dove si è combattuto e si è sofferto. Poi, inevitabilmente, lo sguardo si rivolge anche laggiù, in basso a destra, dove spiccano, seppure lontane, le assurde architetture del Tonale, in particolare le alte torri frutto dell’insipienza urbanistica e politica moderna…

Il sentiero prosegue… un invito a salire ancora… In circa mezz’ora potrei raggiungere la cima del Monte Tonale Orientale: da qui la vista potrebbe spaziare a 360°, comprendendo anche le vette del Gruppo Ortles Cevedale. Ma sono affaticato e soprattutto sono solo. Rinuncio a quest’ultimissimo sforzo su di un percorso che si presenta, a tratti, alquanto esposto. Rinuncio anche a rientrare lungo la linea delle trincee, sul crinale, linea che si collega direttamente al Forte Zaccarana, toccando Cima Biolca e ridiscendo percorrendo a ritroso il tragitto della mia faticosa salita. Non conosco questo sentiero che eventualmente percorrerò risalendolo, in un’altra occasione, in compagnia di qualche amico fidato.

Il rientro è lento e tranquillo. Molte soste per riposare e ammirare il panorama cercando di immaginarne le sembianze durante la grande guerra. Sui pascoli poco a monte della Malga Strino mi attendono le marmotte e anche una piccolo aspide intento a riscaldarsi al sole…

Poi più a valle la sempre stupenda visione della Presanella…


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Il villaggio militare di Malga Strino e la “Città morta”

Immagini d’epoca tratte dal bel testo “La prima guerra mondiale sui monti del Tonale” di Daniele Bertolini di cui consiglio la consultazione per gli eventuali approfondimenti. Consiglio pure la consultazione del sito web “Sulle tracce della grande guerra”.

Nel bosco dopo la pioggia





Tempo volubile: un cielo completamente limpido non si è mai visto durante le ultime due settimane. Ai brevi momenti di quiete, con il sole che di tanto in tanto fora le nubi, seguono i piovaschi che si alternano a forti, brevi, acquazzoni. L’aria è umida, la terra sempre bagnata. Il pallido sole che talvolta appare in un cielo velato tenta di asciugare prati e boschi ma invano, di lì a poco ricompaiono nebbie e nuvoloni scuri e riprende a piovigginare, talora a diluviare. Con una simile incertezza meteorologica non è possibile avventurarsi in montagna e ci si deve accontentare di brevi camminate nei dintorni dei paesi usando l’ombrello a mo di bastone da passeggio.




Passeggiate che comunque mi conducono a scoprire i miei boschi in una veste nuova, ben diversa da quella delle soleggiate, siccitose settimane precedenti con erbe e muschi rinsecchiti, quasi in abito tardo autunnale. La pioggia ha rivitalizzato il sottobosco che in pochi giorni ha mutato radicalmente aspetto. Non più il pallido verde-giallino delle piante morenti ma un verde carico, vivido, reso ancora più nitido e brillante dalle gocce d’acqua che rivestono il sottobosco ormai ridestato da un lungo, afoso letargo.


Non è stagione di fiori, la primavera è solo un ricordo ma è comunque stimolante osservare e fotografare gli strani intrecci, le mescolanze, le forme e i verdi tutti diversi delle piantine, seppur sfiorite, di acetosella, fragola, anemone epatica, asperula, galium, clematide, lampone, mirtillo rosso e nero… Sono apparsi i primi, ancora rari, funghi di una stagione finora molto avara, totalmente improduttiva... Avanzo lentamente sul tappeto dei muschi, rinati al piede degli abeti, che riflette, bagnato com'è dalla pioggia insistente, i raggi del sole che di tanto in tanto filtrano tra le fronde delle roverelle, dei noccioli, dei faggi, dei sorbi… creando piccole isole luminose nell’oscurità del bosco.




E’ bello, soprattutto inusuale, camminare da soli, senza meta, tra gli alberi fradici, nel silenzio del bosco lavato dalla pioggia… nel silenzio rotto solo dallo squittire dello scoiattolo in fuga o dal rauco avvertimento della ghiandaia e della nocciolaia… è bello camminare nella nebbia, nel fitto della selva, con i raggi del sole che talvolta dardeggiano tra le alte colonne degli abeti… camminare tra morbidi, profumati, brillanti muschi sotto una leggera pioggerella… E’ bello camminare… nel bosco dopo la pioggia......


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Scatti effettuati (tutti con un obiettivo 100 mm f 2. 8 macro) durante le mie passeggiate al Fil, in Val Piana, in Derniga e sulle Pendege.

Il bosco degli equiseti in Derniga







Ferragosto ha portato il fresco e la pioggia. Finalmente! Dopo un lungo periodo afoso e secco, un’estate anomala (ma ormai sembra la regola…), finalmente un cielo spesso coperto, talvolta temporalesco, qualche piovasco o addirittura qualche cattivo rovescio. Con un tempo così mutevole, instabile, non posso programmare lunghe escursioni, mi devo limitare a brevi passeggiate nei dintorni del paese. Così, aprofittando di una mattinata limpida salgo in Derniga seguendo la comoda strada forestale che parte dalla parrocchiale di Ossana.


Non più di mezz’ora di cammino e mi trovo a poca distanza dall'“orto botanico” di cui ho già lungamente detto in un altro post. Una stradina, di recentissima realizzazione, si distacca sulla sinistra e si inoltra in un boschetto molto particolare, il “bosco degli equiseti”. Così l’ho immediatamente denominato per la grande presenza di piante del genere equisetum. Si tratta di un sito ricco d’acqua, una minuscola vallecola paludosa, attraversata da un ruscello, mai asciutto anche in piena estate. Vi crescono equiseti, sfagni, felci, acetoselle, orchidee maculate e molte altre specie tipiche dei biotopi umidi di montagna.



Ma sono numerose anche le piante arboree ed arbustive, gli abeti rossi, gli ontani bianchi e più a valle gli abeti bianchi, sui fianchi più asciutti e aridi i ginepri e i noccioli… Si è venuta a costituire una macchia boschiva che si distacca nettamente per caratteristiche floristiche dal contesto circostante e che ha un suoi particolare fascino. I raggi del sole, filtrando tra le fronde degli abeti, creano, qua e là, macchie luminose e brillanti di rugiada, nell’oscurità del bosco, dando vita agli equiseti, alle felci, ai muschi, ai funghi… La stradina percorre il biotopo, lo taglia nettamente in due parti; una fin troppo robusta passerella attraversa il rigagnolo e l’area più paludosa…


Ma per quale motivo si è pensato di realizzare quest’opera? Voglio credere, ma temo sia una mia illusione, che, con la realizzazione del nuovo tracciato, si sia voluto rendere visitabile questo prezioso e particolare ambiente… Manca comunque qualsiasi indicazione o bacheca esplicativa…E poi era proprio necessaria una stradina così ampia, con un piano stradale in ghiaia pressata del tutto avulso dal contesto roccioso locale; in definitiva serviva proprio un’opera così impattante? Non era sufficiente un modesto sentierino con l’indispensabile aggiunta di qualche tabella informativa ora del tutto assente? Ma questa è l’aria che tira... e la funzione della stradina è forse, miseramente, un'altra...


Si ha troppo spesso l’impressione (ma anche di più... purtroppo, quasi la certezza) che ciò che di bello e interessante (ambientalmente e storicamente), si trova nei paesi e nei dintorni dei paesi venga banalizzato finalizzandolo ad un’attrazione prevalentemente ricreativa e ludica sminuendone la funzione culturale: educativa ed istruttiva. La gestione dell'“orto botanico”, poco a monte del nostro bosco degli equiseti, ne è un esempio… Ma altri esempi si potrebbero fare... E’ questa una strategia che, nel breve periodo può essere pagante in termini di presenza turistica, ma che rischia nel lungo periodo di svalorizzare ciò che di più prezioso possiede la valle.





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Laghi del Malghetto di Mezzana


Lago del Malghetto inferiore





Sembra impossibile, quasi un sogno, che sul versante settentrionale della Val di Sole, intensamente antropizzato e ambientalmente mortificato dall’industria dello sci intensivo, possa ancora sopravvivere un sito bello e integro come quello che ospita i due laghi del Malghetto. Ma è vero: sono due piccoli laghi, due perle, alla testata della Val Lares, a circa 2000 m di quota, posti in successione anche altimetrica a brevissima distanza l’uno dall’altro.


Li ho raggiunti, in compagnia di mia figlia, partendo dalla “fantasmagorica” Marilleva 1400, raggiunta in auto dopo un decina di chilometri percorsi sulla strada provinciale che prende inizio alla periferia di Mezzana. Più o meno due ore di noioso cammino, tra fitti boschi di produzione che salendo si fanno via, via più radi e floristicamente più interessanti. Panorama sostanzialmente assente, vista neutralizzata dalla fitta barriera di conifere. A poca distanza dai laghi il sentiero sfiora l’abbandonato Malghetto Copai: edificio dei pastori pulito ma del tutto vuoto e “stallone” cadente, pericolante. L’alpeggio in molte malghe della zona è ormai solo un ricordo, cosa d’altri tempi…







Quando arriviamo in riva al primo laghetto il sole è ancora basso e illumina solo una parte ed un versante dello specchio d’acqua; situazione favorevole per le mie prime fotografie…




Saliamo al secondo lago, dieci minuti in leggera salita, e subito osserviamo con enorme sorpresa un airone cenerino intento a pescare in prossimità delle sponde, tra la vegetazione palustre. Ferragosto al fresco delle alte quote anche per l’airone; mai mi era capitato di incontrarne uno a queste altezze… non sarà per caso anche questa una conseguenza dei cambiamenti climatici in atto?



Ritorniamo a valle scegliendo un percorso diverso. Poco sotto il Malghetto Copai deviamo per un sentiero ben segnato che ci porta prima all’arrivo della seggiovia al Rifugio Orti e quindi a Malga Panciana (che di malga ha oggi solo il nome essendo ormai un moderno ristorante, bar, tavola calda...) dove mia figlia alla vista delle turiste, calzanti eleganti scarpe munite di alto tacco o leggeri sandali infradito, rimane letteralmente sbigottita. Siamo a ferragosto e tutto è possibile…proseguiamo il nostro rientro mentre l’ovovia continua il suo incessante lavorio.





Lago del Malghetto superiore

Discendendo per la strada di servizio sbuchiamo a valle di Marilleva 1400 e dobbiamo quindi risalire sulla provinciale per un paio di chilometri per ricuperare l’automobile.
Marilleva…      Durante quest’ultima camminata sull’asfalto la possiamo osservare bene, cadente, squallida... vendesi di qua e vendesi di là…. Uno scempio ambientale, una “genialata” urbanistica, architettonica, economica, realizzata dal nulla, una quarantina di anni fa, con l’avvallo “lungimirante” dei politici locali (consapevolmente convinti? Allineati a decisioni prese in alto loco? Ingenui e incapaci di valutazioni personali? In qualche modo interessati?) Il tutto nonostante le notevoli perplessità della popolazione e il parere contrario e ben motivato di associazioni, gruppi culturali, opposizioni politiche… Ma si doveva intervenire, senza se e senza ma, “lanciare” la valle nel turismo invernale, senza badare troppo alla qualità e alla sostenibilità, dell’intervento. Troppi interessi immediati, grandi e piccoli…. Oggi si parla di progetti di riqualificazione… Riqualificazione difficile…problematica... e probabilmente economicamente insostenibile. E poi diciamocelo sinceramente, non è possibile RI-qualificare, tornare a qualificare, una Marilleva che mai è stata un centro turistico qualificato… Ma di questo ed altro ho già detto in un altro mio post.


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Escursione in Val Pudria


Minuscola, incantevole valle, poco conosciuta.









Ritorno, dopo poco più di un anno, in Val Pudria, salendo all’alba per la frequentatissima stradina che porta al lago artificiale di Pian Palù. Ho parcheggito l’auto al Fontanino di Pejo e dopo venti minuti mi trovo già a monte della diga, presso la malghetta di Celentino.




Procedo quindi per il sentiero, ben segnato, che, sulla sinistra, poco oltre la malga, sale nel pascolo alberato, sul versante che sovrasta il lago. Il sole si è levato da poco e dipinge le cime circostanti di calde tonalità rosso aranciate. Lo stretto sentiero si inerpica più o meno ripido, nell’ombra del primo mattino, zigzagando tra radi boschi di conifere, fitte macchie di ontano verde e alte erbe punteggiate qua e là dal blu intenso dell’aconito.





Poi il percorso si fa quasi pianeggiante e prosegue nella boscaglia, tagliando il versante che degrada ripidissimo verso il fondovalle del Fontanino. A tratti, tra le fitte e scure fronde degli abeti, dei larici e dei cembri, filtrano i primi raggi di sole che ravvivano erbe e fiori lungo il sentiero accendendoli con la luce radente del primo mattino.






Finalmente, dopo un'ora e mezza di lento cammino, si apre la Val Pudria con il suo bel pascolo pianeggiante ed il rio che l’attraversa sinuoso. La valle è ancora in ombra, e tra l’erba alta e grondante rugiada riposano le manze e le vitelle all’alpeggio.








Sullo sfondo, ormai ben illuminato dal sole, spiccano le cime del gruppo Ortles Cevedale, in parte nascoste dai larici secolari che delimitano il prato.



Raggiungo il “baito”, ristrutturato alcuni anni fa dai cacciatori che in questa zona, in autunno, salgono sui versanti della montagne circostanti in cerca di cervi e camosci. Nel “baito”, sempre aperto a tutti, si può pernottare (due comodi letti a castello per quattro posti), e cucinare; mancano però i servizi igienici e l’acqua è disponibile cinquanta metri più a valle in una rustica fontanella che però durante questa stagione particolarmente arida non butta una goccia... Comunque nessun problema perché, poco più distante, una abbondante sorgente perenne alimenta nientemeno che l’acquedotto di Pejo Terme…






Percorro in lungo e in largo il pianoro cercando di cogliere e fissare con la macchina fotografica il contrasto tra l’oscurità del luogo ancora al buio e la luminosità del fondale: impresa difficile, quasi impossibile…






Decido quindi di attendere che il sole, sopravanzando le creste sovrastanti, rischiari il pascolo e nel frattempo mi riposo nei pressi del “baito” rinunciando a proseguire oltre.



Potrei salire nell’alta valle per poi, seguendo un sentiero che taglia il versante a picco sul lago di Pian Palù, raggiungere la Val Comiciolo e discendere alla Malga di Celentino chiudendo così un percorso ad anello o, continuando da quest’ultima valle, salire ancora, e ancora, fino alla cima del Redival, per calare poi in Val di Strino. Ma questo è veramente troppo per chiunque! Non è in ogni caso opportuno alla mia età proseguire in solitudine anche poco oltre, su sentieri scarsamente frequentati dagli escursionisti. Sono lontani i tempi in cui potevo permettermi di portare a termine, quasi ogni estate, salite solitarie anche alquanto impegnative…





Ridiscendo quindi tranquillamente a valle, dopo aver scattato le ultime fotografie, più che soddisfatto per la mattinata trascorsa nella bella Val Pudria, un gioiello che vale veramente la pena di conoscere e di frequentare ogni anno.

Dalla Val Pudria osservo il monte Vioz con le sue due cime, la cima principale e la PuntaLinke (posta alla sinistra della cima Vioz, come si intuisce dalla genesi del suo nome). Come è cambiato l’aspetto di questa montagna nel corso degli anni! Quando salii per la prima volta sul Vioz, cinquant’anni fa, Punta Linke sporgeva appena (due metri o poco più) dal ghiacciaio. Ora si distacca nettamente dal pianoro innevato, elevandosi per molti metri, ad ulteriore conferma del ritiro dei ghiacciai dovuto al cambiamento climatico in atto. Nessun ricercatore nega più l’evidenza dell’innalzamento della temperatura media terrestre e ormai quasi tutti gli studiosi concordano nell’individuarne la causa o la concausa, più o meno determinante, nell’effetto serra, dovuto in gran parte all’aumentata concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera. Ben venga quindi il deciso intervento, di questi giorni, del presidente degli Stati Uniti volto a limitare drasticamente l’immissione dei gas nocivi in atmosfera. Attendiamo fiduciosi nella speranza che i grossi interessi in gioco non annullino, anche questa volta, le buone intenzioni e con esse le nostre aspettative

L'escursione
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I fiori della Val Pudria
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Val Pudria in HDR
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