Gelide acque autunnali





...risalendo il corso del torrente Vermigliana




Il torrente Vermigliana non è ancora ghiacciato ma le sue acque sono fredde e scure. Sono le acque che percorrono la stretta valle tra Fucine e Vermiglio, valle che all'inizio di novembre è completamente in ombra. Il sole infatti è ormai basso, resta ben nascosto dietro i monti del Doss e di Barco e non rischiara più il fondovalle nemmeno a mezzogiorno, raggiungendo solo uno dei due versani, il versante del monte Boai. I raggi diretti che in estate ravvivavano le acque sono solo un ricordo, e l'ambiente tutto, con i suoi prati e i suoi boschi, vive ora di sola luce riflessa.



Cammino lungo il bordo del torrente seguendo la stradina bianca che lo costeggia a lungo, fin oltre lo spiazzo del Fil chiamato anche Spiaz dei Spini...
Le acque del Vermigliana si allargano placide negli slarghi sabbiosi quasi pianeggianti e si incuneano più veloci tra rocce e grandi massi nei brevi tratti più erti. La portata è ridottissima, come di solito accade durante i mesi freddi ma ora lo è anche di più per la carenza di precipitazioni degli ultimi mesi





L'acqua è pulita ma opaca. Non si lascia penetrare celando alla vista i pesci, le numerose trote che da sempre la popolano. Ma non solo... chissà quali altre segrete e straordinarie creature nasconde sul fondo buio e impenetrabile...






Il merlo acquaiolo la sorvola veloce, avanti e indietro, posandosi all'improvviso sui massi affioranti per subito tuffarsi a caccia di larve di tricotteri o di avannotti, scomparendo a lungo nel gelo del torrente prima di riemergere con la sua piccola preda.




A tratti le acque buie si sciolgono in bianchi salti spumeggianti, in gorghi ribollenti, in luminosi spruzzi e schizzi, precipitando giocose tra le rocce o insinuandosi vorticose tra grandi sassi scuri, quasi neri. Sono cascatelle lattiginose, lame candide che scompigliano e animano l'ombrosa superficie delle acque, rompendo il silenzio e il placido scorrere del torrente autunnale.






Poi, a monte delle due nuove briglie filtranti, il torrente si distende allargandosi negli ampi bacini di deposito creati per contenere i disastrosi effetti alluvionali delle piene.






Qui, sulla superficie del torrente, si diffondono mille bagliori dorati che pitturano sulla tela ondulata una vivacissima e movimentata composizione astratta.






Sono i caldi colori autunnali del bosco soleggiato che si specchiano nel torrente. Sono le tinte ramate dei larici, delle roverelle delle erbe rinsecchite che vibrano riflesse sull'acqua increspata del torrente.






Visione dinamica impossibile da immortalare in statiche immagini fotografiche. Screziature dorate, magici grafismi che si decompongono e ricompongono sull'acqua in un gioco senza fine.








Più a monte l'alveo si restringe nuovamente e il torrente scorre più veloce districandosi brontolando tra rocce e massi granitici.






Poi, risalendo, appaiono due grandi briglie in muratura realizzate negli agli anni sessanta per frenare l'impeto di un torrente spesso troppo gonfio e distruttivo.






Ma le magre acque di questo asciutto autunno non sono certo pericolose... Si distendono tranquille sul coronamento delle briglie e precipitano nel profondo catino sottostante riposando tranquille prima di riprendere il loro cammino.




Cascatelle artificiali rese particolarmente attraenti dalla scarsa portata d'acqua di questo secca stagione. Non c'è forza, non c'è energia nei fili d'acqua che precipitano biancastri lungo la scura muratura delle briglie... non c'è il vigore del torrente primaverile o estivo, non c'è la spaventosa potenza del torrente in piena... nelle lame sottili e trasparenti dell'acqua che cade c'è solo fascino, c'è poesia, c'è tutta la malinconica serenità di un tranquillo autunno lungo un ombroso torrente di montagna.






Dopo lo slargo quasi pianeggiante a monte delle briglie l'alveo si fa più ripido e le acque riprendono a scorrere più veloci zigzagando tra piccoli e grandi sassi coperti di rossi licheni.





Poi, più avanti, un ponte in legno attraversa il torrente e qui, sul ponte, ha termine il mio cammino. Difficile proseguire oltre. Manca il sentiero, solo tracce lasciate da qualche pescatore che coraggiosamente si è inoltrato nell'intrico del bosco, lungo le ripide sponde del torrente sognando la cattura di prede giganti.






Sotto il ponte le acque scendono impetuose.  La portata è minima ma le acque, convogliate nel ripido e stretto alveo scavato nella roccia, acquistano comunque una forza sorprendente. Ammirarle dall'alto desta una certa inquietudine...





Il torrente si agita e l'acqua rimbalza tra scogli e pareti scoscese, precipita e ribolle in gorghi scuri e senza fondo tra nuvole di spruzzi luminosi... Poi, superato il ponte, l'acqua prosegue più lenta dispiegandosi e insinuandosi serpeggiante tra rocce e pesanti massi granitici.




Tra poco raggiungerà placida le briglie più antiche, le salterà giocosa e proseguirà verso i due grandi bacini di deposito con le moderne opere di trattenuta e poi... avanti ancora, costeggiando il paese ben protetto da alti muri di sponda fino ad immettersi nel fiume Noce. Ma il suo viaggio è solo all'inizio, molte altre avventure l'attendono prima di poter finalmente mimetizzarsi perdendosi nell'immensità delle acque del mare.


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Sul “Percorso Etnografico Linum” tra presente e passato

Interessante e panoramico itinerario in Val di Pejo







E' una limpida, serena mattina d'autunno, la mattina perfetta per salire in Val di Pejo alla scoperte dell'itinerario etnografico Linum di cui tanto ho sentito parlare. Raggiungo in auto la piccola frazione di Strombiano e imbocco il percorso nei pressi della chiesetta di S. Antonio da Padova e della “Casa Grazioli”, la casa-museo del tempo che fu. Un breve tratto di strada asfaltate e nei pressi di un rustico maso inizio la salita nel bosco sulla mulattiera che conduce ad alcune località di particolare interesse etnografico.


Sento immediatamente la mancanza di un accompagnatore dell'Associazione “Linum” promotrice della realizzazione dell'itinerario, di una guida che, da profonda conoscitrice del luogo, mi presenti i siti del sistema forestale ed agricolo che via via andrò incontrando. Un esperto che mi parli di boschi, di pascoli, di prati falciabili, di campi, masi, abbeveratoi, sorgenti e canalette d'irrigazione, viottoli e piste per il trasporto del fieno, l'avvallamento dei tronchi, della legna... insomma un esperto che soddisfi ogni mia curiosità. Curiosità rivolte soprattutto all'altro ieri e all'ieri, più che all'oggi. Curiosità sull'organizzazione sociale ed economica del tempo passato, di un tempo che sembra lontanissimo ma che in realtà è ancora molto vicino.
I miei non più verdi anni mi ricordano che sono occorsi solo pochi decenni per trasformare l'economia e con essa il modo di vivere e i valori tradizionali, anche in Val di Sole. In pochi anni il paesaggio ha subito profonde cambiamenti. I campi terrazzati, i prati e i pascoli in gran parte abbandonati si sono rimboschiti, rustici masi sui versanti e antiche case nei centri storici sono stati ristrutturati in funzione turistica, seconde case, condomini, ville e villette hanno occupato la periferia dei vecchi insediamenti.
Questo ho visto e ancora vedo e questo mi piacerebbe approfondire con un esperto del luogo ma questa non è la stagione più adatta... forse ritornerò quassù la prossima estate aggregandomi a qualche gruppo di turisti in visita con l'accompagnamento di un operatore del posto. Oggi mi devo accontentare, si fa per dire, della consultazione delle numerose, belle e interessanti bacheche didattiche che via via vado incontrando...

Salgo per il sentiero che si fa più erto e stretto e mi godo il panorama... stupendo nella sua veste autunnale. La vista spazia sulle vette del gruppo Ortles-Cevedale e sui monti del gruppo Adamello-Presanella. Di fronte, poco più in basso, sotto cima Boai, ho il paesino di Comasine con la casa avita di Giacomo Matteotti. Sullo stesso versante è ben visibile anche la lunga strada forestale a tornanti che porta in Val Comasine sfiorando i resti delle antiche miniere di ferro. Anche l'abitato di Pejo Paese con il colle di San Rocco è ben individuabile ai piedi del Vioz e del Taviela... Ma ciò che mi affascina di più sono i colori caldi dell'autunno, l'estesa gamma di verdi, gialli, arancioni e rossi dei boschi, e poi il bianco della neve, il cielo sereno, azzurro... tutto veramente molto bello.

Dopo la lunga salita nel bosco che tocca alcuni masi il percorso si apre e spiana allargandosi a strada forestale e, prima di deviare sulla ripida mulattiera che scende a Celentino, raggiunge il “Sas del Bech” un grande masso erratico di cui già sapevo. Altre volte vi ero passato accanto sulla via di Malga Campo, ma mai mi ero fermato per osservarlo attentamente. E' uno dei tanti grandi massi coppellati, che si rinvengono in Val di Sole e della cui origine e funzione ancora nulla si sa. Molte le ipotesi ma nulla di certo. Un simile antichissimo reperto merita protezione e rispetto e qui, lungo il Percorso Linum lo si rispetta e lo si valorizza raccontandolo il un grande pannello posto nei pressi. I dintorni sono ben tenuti, arricchiti con una rustica fontana e delle panchine per la sosta.

Purtroppo non posso non pensare al “parente” sfortunato del “Sas del Bech”, un altro masso di cui ho già parlato in un post dell'anno scorso. E' il “Sas dela Stria” che si trova poco a monte di Malga Saline, sui pascoli alti di Seroden nel Parco dello Stelvio, sul vecchio sentiero che da Pejo Paese saliva a Cima Vioz. Nessuna tabella illustrativa, nessun segno... Posto per anni a pochi metri dalla stazione di partenza di una sciovia ora dismessa e all'interno di uno stretto tornante di una pista da sci (...vecchia pista ancora sterrata) che scende dal Dos dei Cembri, sembra sia stato pure danneggiato dalle ruspe intente a sconvolgere la montagna per “fini turistici”. Nessun rispetto, nessuna seppur minima valorizzazione... e siamo nel “bel” Parco!
Ma inizio la discesa tra i prati per l'antico viottolo che porta al paese di Celentino e subito, purtroppo, mi attende una sgradita novità. In lontananza, a monte di Pejo Paese, nella sopraccitata località di Seroden, noto a occhio nudo, i piloni di una nuova seggiovia e la terra dei pascoli circostanti movimentata e sconvolta dagli scavi per la realizzazione di una nuova pista. Il binocolo mi conferma e meglio definisce la sorpresa. Siamo al cospetto di un ennesimo impianto a fune nel Parco dello Stelvio probabilmente in sostituzione della vecchia, molto più breve sciovia di cui ho parlato poco sopra. Sono dispiaciuto. Quassù, nel Parco, gli impianti a fune e le pista nascono numerosi e crescono velocemente come i funghi... Comunque tutto regolare... ci mancherebbe... tutto torna e tutto è di sicuro ben supportato da una approfondita e corretta valutazione dell'impatto ambientale.

L'impatto paesaggistico risulterà certamente trascurabile... aggiungere una fune in più alle già numerose funi sospese in zona non modifica e guasta il paesaggio più di tanto... L'impatto naturalistico poi non ne parliamo, sarà pure sicuramente trascurabile. La vegetazione erbacea autoctona estirpata sicuramente con mille riguardi dagli scavi strettamente necessari ricrescerà in poco tempo e il gallo cedrone che con gli ultimi esemplari colonizza ancora i boschi di Marassina, poco più a valle, non sarà importunato più di tanto e poi è risaputo che il bel tetraonide è già ampiamente molestato da torme di escursionisti che si divertono a battere in ogni stagione e in ogni angolo, proprio queste remote, selvagge e impervie foreste... Quindi disturbo più, disturbo meno ben poco cambia... ecc...ecc...


Nessun problema, solo grandi vantaggi... per tutti... e poi consideriamo che in un parco si può sempre compensare e per bene, con musei e mostre... ad esempio esponendo esemplari di tetraonidi in fotografia o imbalsamati nella ristrutturata MalgaTalè, che è così vicina alla nostra nuova seggiovia... solo due passi. E ricordiamoci che nella zonizzazione del Parco il sito di Seroden è classificato come “Area di promozione economica sociale (infrastrutture e impianti)”, quindi tutto torna... Non esistono dubbi, nessun problema. Il Parco deve pur convivere con le esigenze di “sviluppo economico” degli insediamenti esistenti...



Ma quale sviluppo? Ma non è che forse si stia esagerando un po' troppo con gli impianti e le piste in pieno Parco? Non è che forse si sia presa una direzione sbagliata per valorizzare turisticamente una zona ambientalmente così pregiata? Qualche dubbio io ce l'ho. Non è che magari si intenda trasformare a poco a poco, volenti o nolenti, il bel parco in uno specchietto per le allodole, un logo pubblicitario finalizzato alla sola promozione turistica, una bella etichetta da porre su di un contenitore che all'apertura potrebbe risultare mezzo vuoto o pieno di contenuti leggermente avariati? Qualche dubbio, se permettete, io ce l'ho.


Deluso, e leggermente amareggiato proseguo la discesa verso i due paesi, verso Celentino e quindi verso Strombiano dove chiudo l'anello e termino la mia interessante e panoramica passeggiata (anche se un po' inquieta...) dopo meno di due ore di cammino. Nell'ultimo tratto ho attraversato la campagna, in parte abbandonata, e i due centri abitati ma non mi sono soffermato a visitare gli ultimi siti previsti dall'itinerario etnografico. Il mio stato d'animo non mi permetteva di godere con la dovuta serenità della parrocchiale di S. Agostino, del vecchio Molin dei Ferle, della chiesetta di S. Antonio da Padova... Meglio proseguire e rimandare la visita ad altra più tranquilla occasione.


Troppi i pensieri frullavano nella mia mente. Riflettevo su come il “progresso” sia riuscito in poco tempo a cambiare radicalmente la fisionomia secolare della valle. Su come le luci abbacinanti della facile corsa al benessere abbiano talvolta condotto, qua e là, a scelte di “sviluppo” non sempre sufficientemente ponderate. Certo, oggi in valle “si vive” materialmente meglio, non ci sono dubbi, povertà ed emigrazione non sono più una costante, ma la nuova relativa agiatezza ha avuto e ha i suoi costi... costi economici ma anche e soprattutto ambientali. Senza valutare la metamorfosi culturale e valoriale, che è sempre e da tutti ben poco considerata.
Interventi speculativi per nulla rispettosi dell'ambiente hanno segnato la storia recente della valle, inoltre le seconde case sono spuntate numerose quasi ovunque, la proprietà locale è spesso passata di mano con vantaggi effimeri, di breve durata al cospetto di spese notevoli e perenni per la comunità... baratti forse non del tutto utili e convenienti, almeno in prospettiva... Oggi è comunque impossibile valutare obiettivamente benefici e costi futuri delle trasformazioni che hanno cambiato il volto della valle modificandone l'aspetto fisico e alterando anche usi, costumi, tradizioni, cultura... Io temo che la mutazione complessiva e troppo affrettata dell'economia della valle e la scelta come motore trainante di uno “sviluppo” turistico spesso poco sostenibile e fin troppo caotico e invadente in alcune zone, possano rivelare nel tempo dei limiti e delle ripercussioni alquanto pesanti... Spero solo di sbagliarmi. Chi vivrà vedrà.



Ma ora sono a Strombiano e ho terminato il mio percorso. Bando alle inquietanti e inutilmente pesanti considerazioni. Mi riapproprio della serenità di sempre. Ringrazio l'Associazione Linum, Ecomuseo della val di Pejo, che opera concretamente, seppure indirettamente,  per promuovere un turismo consapevole e rispettoso della cultura, delle tradizioni e dell'ambiente  della valle e quindi in definitiva per incentivare un'economia sinceramente sostenibile. La ringrazio perché mi ha regalato con questo percorso una bella e interessantissima mattinata (anche se un po' inquieta, funestata … beh, si sa da cosa, superfluo ripeterlo...).  
Il percorso in sintesi
Una descrizione particolareggiata del percorso “Linum” non ha senso. Per comprenderne a fondo il significato, il percorso va praticato possibilmente in compagnia di una guida del posto. In ogni caso l'itinerario, realizzato dall'associazione Linum in sinergia con altri numerosi enti ed associazioni, è costellato da pannelli didascalici che da soli riescono a raccontare le stazioni più interessanti del sistema forestale e agricolo tradizionale e a presentare i luoghi più segnificativi del culto e della devozione popolare. Nel suo insieme la panoramica passeggiata rappresenta un interessante tuffo non solo nel lontano passato ma anche in quello a noi più vicino. Il cammino di circa due ore inizia e termina nel centro di Strombiano. Si incontrano rustici masi (Mas dei Spàde, Mas dei Ferai...), boschi, prati, sorgenti... (località Taiàde, conca di Maréc, Pra de Stavél, Fontané...) massi coppellati (Sas del Bech) capitelli e chiese (capitello di S. Antonio da Padova, Capitel dela Madona, parrocchiale di S. Agostino, Chiesa di S. Antonio), mulini (Molin dei Ferle), e antiche case (Casa Grazioli). Ne vale la pena.

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Brinata autunnale






Una fredda mattinata di fine ottobre in Val Piana





Sui pascoli della Val Piana il freddo scorre sulla pelle, punge viso e mani, ghiaccia i movimenti, attenua le sensazioni, annebbia la mente. Anche il mormorio delle acque del Rio Fos sembra congelato, mi giunge ovattato, quasi spento.
Oggi tutto è gelato, anche il rumore è gelato...


Il sole inizia appena ad occhieggiare dalle alte creste della Piramide tra i rami contorti e le cime scintillanti dei larici e degli abeti di alta montagna. I suoi raggi non raggiungono i pascoli pianeggianti distesi lungo la valle ma già illuminano i pendii che discendono dalla Colem del Doss ravvivando i colori delle selve di conifere in abito autunnale.




Ombre e luci in una Val Piana immersa nel silenzio dove l'affollamento e il caldo dell'estate sono solo un ricordo.



Al versante illuminato della valle, vivo e brillante nei caldi colori dell'autunno si contrappone l'altro versante, il versante freddo, spento nei suoi opachi e scuri colori grigiastri ma orlato, sul suo crinale, dai raggi abbaglianti del sole nascente.





E il fondovalle? Una lunga distesa di prati ammantati di bianco, vestiti di gelida brina e contornati dal bosco scuro di abeti sempreverdi e di latifoglie nude e scheletriche.




Solo chiari e scuri questa mattina sui pascoli della Val Piana... paesaggio freddo, in bianco e nero, rari e spenti i colori dell'autunno, paesaggio essenziale, quasi inquietante...



Mi muovo lentamente nell'ombra, seguendo il corso del torrente tra i cespugli che emergono dalle sue sponde. Cespugli irrigiditi dal freddo... rami spogli disegnati dalla brina, foglie solitarie costellate di bianchi cristalli.



Ma la luce scivola pian, piano lungo il pendio, scende a valle, raggiunge lentamente il piano, lo conquista, albero dopo albero, erba dopo erba, lo inonda a poco a poco, fino ad illuminarlo per intero.


Il pascolo, il bosco, i cespugli sparsi, si ravvivano, prendono forma, si colorano. I gelidi cristalli di brina brillano, scintillano sulle alte erbe e sugli steli del prato paludoso, sulle ultime foglie accartocciate, sulle bacche della rosa canina e del berberis, sulle sottili trame delle ragnatele ancora distese tre i rametti nudi delle betulle e degli ontani.




Paesaggio ormai chiaro, sereno che si apre sempre più alla luce espugnando le ombre del versante freddo con il sole che, superate le creste dei Crozi dei Meoti, si innalza sempre più nel cielo limpido.




Un nuovo tepore invade la piccola valle, il tiepido calore dei raggi autunnali, deboli ma sani e ancora caldi.



E a poco a poco la luce nuova raggiunge gli angoli più nascosti, più bui e riparati sfiorando dolcemente anche i cespi erbosi e i cespugli spinosi cresciuti al riparo dei muretti a secco che delimitano pascoli e viottoli.




Minuscoli, scintillanti cristalli di ghiaccio delineano i netti contorni delle felci, ritte e vigorose nel loro scuro abito autunnale.





Lentamente la valle riacquista l'aspetto dei giorni passati... La brina si scioglie, la bianca coperta si squaglia e appare il verde chiazzato di giallo del pascolo, di un pascolo fradicio e intirizzito.



L'ombra fredda degli abeti lungo il margine del bosco si allunga sul pascolo  difendendo dal tepore del sole gli ultimi candidi frutti del gelo notturno .



Però le ombre si muovono, si restringono, si ritirano. seguendo il gioco del sole che avanza e si innalza... e il ghiaccio anche nei nascondigli più protetti inizia a dissolversi...


Il sole si avvicina al suo apice e i suoi raggi, sempre più penetranti, picchiano sempre di più trapassando il liso e bruno tessuto autunnale delle felci cresciute sui pendii, tra i massi sul bordo dei prati.  Belle e robuste felci ancora coronate da festoni di brina



Ma la brina scompare rapidamente, svanisce del tutto... e nel pascolo gli sparuti soffioni del tarassaco, solitari e meschini rimasugli della bella stagione, si rivestono di minuscole goccioline d'acqua...




Forse sono le lacrime del gelo rapidamente dissoltosi al sole. Sono forse il pianto dell'autunno, il tormento dell'inverno incipiente ancora una vota sconfitti dai seppur deboli raggi del sole di fine ottobre.
Val Piana come dice il suo nome è una piccola valle pianeggiante ben conservata e tenuta a pascolo con i ripidi versanti completamente ricoperti di fustaie di abete rosso, abete bianco e larice. La sua veste sia naturale che agreste si è finora complessivamente mantenuta integra salvandosi dall'urbanizzazione selvaggia che ha conquistato altre similari località di montagna anche vicine. Nella malga si acquistano i prodotti dell'alpeggio e si consumano pasti e spuntini. La si può raggiungere velocemente in auto da Ossana ma è consigliabile salirvi a piedi per il "Sinter dela lec". Percorso pittoresco che segue inizialmente il corso di un antico piccolissimo canale di irrigazione (lec) scavato nel bosco e a seguire il torrente Fos che scende ripido dalla valle (tempo di percorrenza dalla piazza di Ossana tre quarti d'ora, poco meno o poco più).

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