La valle in fiore


Non mi riferisco ai meleti in fiore della “bassa valle” che, in questo periodo, hanno certamente un loro grande fascino ma che una volta sfioriti conferiscono a quel territorio un aspetto monotono  con l’esibizione ripetitiva di forme e colori sempre uguali. Aspetto paesaggistico, quello della “bassa valle”, ormai uniformato a quello di vaste plaghe della confinante Val di Non, dalla quale la monocoltura intensiva a frutteto è “esondata “ in Val di Sole nel nome dell’interesse economico immediato che poco considera il rispetto per l’ambiente, per il paesaggio, per la salute… che valuta non convenienti  i principi della coltivazione biologica e nemmeno di quella integrata, ignora l’importanza della biodiversità, adeguandosi solo ad un mercato che richiede un prodotto bello e poco importa se buono e sano.
Un tempo le zone ora coltivate a meleto si presentavano in modo ben diverso, varie colture si alternavano ai prati falciabili conferendo al territorio un aspetto più vario e vivace e mantenendo integro  e vitale  il terreno agricolo e l’ambiente in generale.
Dunque, qui, in questo post, mi riferisco solamente alla fioritura delle piante erbacee, arbustive ed arboree che crescono spontanee nei boschi  della valle e sui terreni agricoli marginali da tempo abbandonati alla naturale riforestazione.
I secolari boschi dalla valle sono stati da sempre sfruttati dall’uomo. Non si tratta quindi di “foreste vergini” ma di foreste utilizzate, “coltivate”, dove però, almeno in alcune zone, si può notare una lenta trasformazione positiva sia nella composizione floristica, più diversificata, che nella struttura, resa più disetanea, grazie all’introduzione dei principi della “selvicoltura naturalistica” che tende a favorire le naturali dinamiche del bosco.

Anche gli infiniti campi terrazzati, sui ripidi versanti della valle, che nessuno coltiva più si stanno velocemente trasformando in boschi. I muretti a secco, qua e là, iniziano a cedere creando piccole frane. Il territorio sta inevitabilmente e rapidamente cambiando aspetto. Il lavoro secolare dei valligiani si è dissolto in tempi brevissimi. Non so valutare se questo sia bene; è semplicemente così, è invitabile...
Tra le erbe, i cespugli e gli alberi che rapidamente invadono le antiche superfici coltivate pascolano i caprioli, i cervi e in alcune zone i mufloni. Molte sono le essenze erbacee, arbustive ed arboree, che prendono il posto delle antiche colture. Così in questo periodo, nei boschi della valle e sui versanti non più coltivati, si assiste ad una stupenda e variegata fioritura: tarassaco, viole, acetosella, primule, anemoni…. biancospino… e soprattutto numerosi e favolosi ciliegi selvatici…  



Ma non solo fiori: il periodo primaverile,  con la infinita gamma di verdi pastello, morbidi  e  tenui,  i colori delle tenere  foglie di arbusti e alberi d’alto fusto,  compete in bellezza con le calde e decise tinte autunnali. Primavera ed autunno sono senza dubbio le stagioni più affascinanti  sulle nostre montagne ma purtroppo sono proprio quelle in cui la presenza turistica, che si concentra insensatamente solo in brevi periodi estivi ed invernali, è molto scarsa: è veramente un peccato che solo pochi fortunati possano ammirare questa mia valle in fiore…






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Le fotografie sono state scattate durante alcune passeggiate in località di cui ho già detto in altri post: Al Forno di Noval, al Fil, sul sentiro delle Pendege, presso il capitello di S. Giorgio.

Al cospetto della Presanella: Malga Mezzolo


Escursione primaverile a Malga Mezzolo dirimpetto alle cime del Gruppo Presanella, ancora bianche e scintillanti di neve.

Lasciata la statale qualche chilometro prima del passo Tonale, si sale per la strada militare che porta al Forte Zaccarana fino raggiungere la Val di Strino e seguendo le indicazioni si prosegue sulla comoda pista forestale che in meno di un’ora porta a Malga Mezzolo.
Malga Mezzolo che purtroppo è ormai solo un inservibile rudere. Anche il tetto dalla bella copertura in scandole  si è sgretolato sotto il peso delle abbondanti nevicate degli ultimi anni. Si spera che la malga venga ricostruita, come si è fatto e ancora si sta facendo in altre località della valle. L'edificio, rimesso a nuovo, potrebbe costituire una delle tappe di un lungo e panoramico percorso che partendo dalla  Val di Strino (ma perché no, anche dal Passo Tonale),  toccando appunto Malga Mezzolo e attraversando poi, in successione, le valli Valiana e Saviana, arriva a Malga Boai per discendere infine al paese di Vermiglio.




Valeva comunque la pena raggiungere il vasto pascolo di questa malga situato al cospetto di una cima imponente e immerso in fitte e belle fustaie di altitudine. L’ampia vista sulla Cima Presanella  e sui monti circostanti è veramente mozzafiato e ripaga della stanchezza della scarpinata.

Si rientra rinunciando a raggiungere, come si pensava, il “Bait del Vedeler” posto a monte della Malga Mezzolo: il sentiero è risultato impraticabile per il grande numero di abeti,  che sradicati dal vento, ostruiscono la via, rendendo quasi impossibile il passaggio. Si ritenterà in altra occasione...




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Val di Strino: il "bacio" della marmotta

L’immancabile giretto in Val di Strino mi porta come sempre, nella seconda quindicina d’aprile, ad ammirare le cime del Gruppo Presanella ancora completamente ammantate di neve e ad osservare anche le numerose marmotte da poco uscite da sottoterra dopo il lungo letargo invernale. Le marmotte... E’ dalla metà di ottobre che non vedono la luce del sole che tanto amano… Ora finalmente possono esplorare indisturbate il territorio in cerca delle prime tenere erbe e correre sull’ultima neve che copre ancora parzialmente i pascoli della malga. E’ il periodo degli amori e  il loro comportamento assume atteggiamenti particolarmente espansivi. I piccoli nasceranno in giugno ma solo più tardi saranno in grado di lasciare la tana e fare la loro prima apparizione all’aperto, nel verde dei prati, sempre seguiti  dalle madre attenta e pronta ad allattarli.


Vedo con il binocolo, che sulla scarpata appena a monte della malga, sono sbocciati i primi anemoni primaverili (pulsatilla vernalis): fiori bellissimi che amo particolarmente e che non posso non attardarmi a fotografare nonostante sia giunta l’ora del rientro.

Lascio la valle e già penso alla prossima escursione su questi monti che mi attirano sempre, anche se ormai gli conosco bene e da molti anni: scendendo programmo con l’amico Germano una escursione più impegnativa, su verso la “Città Morta” e il “Forte Zaccarana”, da portare a termine solo quando la neve avrà abbandonato anche le creste più elevate…





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Ultima neve a Malga Campo

Dopo qualche anno ritorno, in compagnia di Germano, a Malga Campo a monte ci Cellentino. In verità avevo programmato, con il mio amico, di  proseguire fino al Lago Monte (chiamato anche Lago di Cellentino di cui ho già scritto in un altro post) lungo “l’alta via degli alpeggi” ma la neve ancora molto presente sul sentiero ci ha consigliato di desistere: non avevamo portato le racchette da neve…

Bella  gita comunque, soprattutto per lo spettacolare panorama sui gruppi Adamello Presanella e Ortles Cevedale. Mi sono divertito a individuare tutti i “luoghi” che ho avuto modo, nel corso degli anni, di calpestare: dalle piccole e facilmente raggiungibili valli, chiuse tra i monti, Valle di Fazzon, Val Piana, Val Palù, alle località più elevate come la Val Gelada, Val Baselga, la Piramide e creste dei Crozi dei Meoti, Bon, Caldura e Pale Perse, Venezia, i Lagheti, le conche dei Laghi di Barco e della Ste (Lago Piccolo), la Colem del Dos, il Cantiere sotto la Cima Busazza, il “balz” dei forcelli sul Monte Boai, la Val Comasine, il Sentiero dei Todeschi, la Val dei Orsi … ai passi di alta quota, Passo di Val Gelada, Scarpacò, Bochet dell’Omet, Cagalat, … alle cime più elevate, Boai, Redival, Presanella e Vioz…  
Malga campo con il "Museo della malga"

Quante escursioni sulle montagne della mia valle! Ma ne mancano ancora tante e con il mio amico abbiamo progettato (o forse solo fantasticato immaginando…) altre "imprese" osservando da lontano le nostre future mete, bellissime, tutte bianche, ancora  ammantate dalla neve invernale. Poi prima di scendere a valle una visita alla rinnovata Malga Campo, dove fervevano gli ultimi lavori per predisporre gli spazi per l’alloggio dei malghesi, per le attività di mungitura, lavorazione del latte e vendita dei prodotti caseari e per l’accoglienza degli escursionisti, in vista dell’ormai  prossima stagione dell’alpeggio. Si dice che la prossima estate si potrà pernottare in malga o almeno consumare spuntini e pasti completi con i buoni prodotti locali. Vedremo. Sarà anche visitabile il “Museo della malga” ricavato conservando integralmente la casera della malga, un sito di notevole pregio etnografico con il focolare aperto e gli  oggetti e gli attrezzi di un passato non lontanissimo negli anni ma remoto nel modo di vivere.




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Santa Lucia dei minatori in quel di Comasine

Lo slideshow (che da tempo Google ha eliminato da Blogger... restano le foto in Google Folto) presenta alcune immagini di una mia passeggiata primaverile. Una lunga passeggiata in verità, di una intera mattinata, lungo un percorso che partendo dal fondovalle, dal paese di Fucine, mi ha portato alla chiesetta di S. Lucia, a monte di Comasine (per poi ridiscendere sulla stessa via ...).



Ad un primo tratto fino al “Forno di Noval”, quasi pianeggiante, lungo la ciclabile della Val di Sole, segue una salita su una trattorabile fino a Comasine. Lasciato il pittoresco nucleo abitato, dove si trova la casa avita di Giacomo Matteotti,  la strada si inerpica sulla montagna, verso le storiche miniere abbandonate, verso il parco dei larici secolari, verso il “Camp” dallo spettacolare panorama  per arrivare infine alla malga di val Comasine. Ma basta percorrere solo un breve tratto di questa via, per raggiungere la nostra meta, la sommità di un colle, tra due valli interessate da valanghe periodiche, su cui sorge la chiesa di Santa Lucia, l’antica chiesetta che nella versione attuale fu completata  per volontà dei minatori dei vicini giacimenti di ferro. S. Lucia è infatti venerata non solo come protettrice della vista, come è comunemente risaputo,  ma anche come protettrice dei lavoratori delle miniere. La chiesa non è quindi solo una testimonianza della devozione popolare ma anche della passata fiorente attività estrattiva della zona.
Nel tempo la chiesa è divenuta uno dei simboli non solo della Val di Peio, ma pure dell’intera Val di Sole grazie alla suo particolare impatto paesaggistico. La chiesetta di S. Lucia è ben visibile da lontano e annuncia al visitatore l’ingresso nella “Valleta” delle alte cime, le vette del Gruppo Ortles Cevedale.
Gli studiosi ritengono che la chiesa di Santa Lucia sia una delle più antiche della Val di Sole se non la più antica. Il rinvenimento di reperti archeologici avvalora l’ipotesi che il luogo ove essa sorge sia stato sede di un castelliere.
S. Lucia si festeggia il 13 dicembre e nella tradizione popolare del Nord Italia S. Lucia porta i doni ai bambini. Si tratta di un'usanza che in Val di Sole è ancora molto sentita da grandi e piccoli. Ricordo che, un tempo molto lontano, in paese noi bambini eravamo certi che lassù, su quel colle sopra Comasine, si trovasse veramente la Santa pronta a distribuire ai bimbi buoni, con l’aiuto del suo asinello, la notte del 13 dicembre, i giocattoli e i dolci che teneva ben nascosti nella sua chiesa. Ricordo l’atmosfera magica di quella fredda notte invernale, la trepidazione e il timore nell’attesa di S. Lucia, il campanello dell’asinello per le strade del paese, l’emozione che mi impediva di prendere sonno…


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Notizie dettagliate sulle origini, la storia e le caratteristiche architettoniche della chiesa di S. lucia si possono trovare in Wikipedia, VisitValdiPejo e nel bel sito di R. Sonna.



La “Fosinace” e la “Calcara” in Val Meledrio

E’ questa una breve passeggiata lungo la parte iniziale della “Via dell’Imperatore” in val Meledrio alla scoperta dei resti di un antico opificio per la forgiatura di manufatti in ferro e di una altrettanto antica fornace per la produzione della calce.

La “Via dell’Imperatore” prima della costruzione della statale 239 consentiva la risalita da Dimaro a Madonna di Campiglio. Per questa strada era transitato nel 1894 l’Imperatore d’Austria e Ungheria Francesco Giuseppe in occasione di uno dei suoi soggiorni a Campiglio, seguito pochi giorni dopo dalla moglie Sissi. Si raccontano, tra storia e leggenda, anche i passaggi di altri personaggi illustri, come Carlo Magno e forse Federico Barbarossa.
La “Via dell’Imperatore” si diparte dal primo tornante della strada per Campo Carlo Magno poco oltre  la ristrutturata “Segheria Veneziana”, alla periferia di Dimaro. Attraverso una valle selvaggia, fresca e silenziosa, ricca di  fitte abetaie e ripidi ghiaioni, ai piedi delle pareti del gruppo del Brenta, la “Via” conduce ad alcune delle tappe dell’itinerario “Ecomuseo Val Meledrio” tra le quali  appunto la “Fosinace” la “Calcara”, oggetto di questo post.
Alle "Fosinace",  che si raggiungono  dopo  pochi minuti di comodo cammino, veniva lavorato il ferro, risorsa economica primaria nel periodo medioevale.

Qui si trova un maglio (originariamente erano tre) perfettamente conservato e ristrutturato e si entra in contatto con la realtà industriale di un lontano passato quando sfruttando l’energia dell’acqua si lavorava il ferro (estratto principalmente dalle miniere di Comasine in Val di Peio) per realizzare  utensili di uso comune prevalentemente connessi alle attività agricole e di lavorazione del legname
Proseguendo, in poco più di un quarto d’ora, si raggiunge la “Calcara”, antica fornace per la produzione della calce. La struttura della calcara è circolare, scavata nel terreno e le pareti sono rivestite con pietre di granito, particolarmente resistenti alle alte temperature che si raggiungevano nel processo di cottura. In questa "brochure" viene descritto il procedimento, assai laborioso e complesso, di produzione della calce viva.
Più avanti sulla “Via dell’Imperatore” si può raggiunge il "Doss di Santa Brigida", dove, in seguito a scavi archeologici, sono stati rinvenuti i resti dell’omonimo Ospizio, antico ricovero per i viandanti e i pellegrini. Ne parlerò eventualmente in un altro post.
Un’ultima annotazione. Poche decine di metri oltre la “Calcara” è in costruzione l’edificio di una centrale idroelettrica di cui nello slideshow  si possono vedere alcune immagini. E’ risaputo che le centrali idroelettriche sfruttano una fonte rinnovabile di energia e sono da incentivare in alternativa alle centrali termiche a combustibile fossile o nucleare, per gli arciconosciuti motivi che non è il caso qui di ricordare. Non va comunque dimenticato che anche la produzione di energia  idroelettrica ha un effetto negativo sull’ambiente, ne modifica l’equilibrio con effetti più o meno consistenti e non sempre prevedibili. Questi  impianti vengono o quanto meno dovrebbero essere  realizzati solo dopo attente valutazioni sul loro impatto.  



Dal punto di vista strettamente paesaggistico è evidente che l’edificio in questione rappresenta un elemento avulso dal contesto della valle e non si potrà certo pubblicizzarlo come una nuova tappa nel giustamente decantato “Ecomuseo Val Meledrio”…  E’ mia modesta opinione che si poteva fare di meglio… (magari… se fattibile una centrale in caverna), inserendo la costruzione in modo meno impattante nel prezioso ambiente circostante.  Chi mi segue, sulla base delle mie fotografie, potrà comunque dare una sua valutazione…. sulle modalità d'innesto dell'edificio lungo la "Via dell'Imperatore"




Riprendo infine dalla “brochure dell’Ecomuseo Val Meledrio”  il simpatico racconto dei tre magli:
…è un’antica storia che i nonni di un tempo raccontavano ai bambini a proposito dei tre magli. Il primo maglio di grandi dimensioni aveva la funzione di sagomare i pezzi di ferro più grossi. I suoi colpi erano lenti e cadenzati. Il suo suono era cupo e grave. Ritmicamente sembrava dicesse: ”DEBITÓN... DEBITÓN... DEBITÓN...(grosso debito)”. Di fronte un maglio un poco più piccolo. Con colpi un poco più veloci. Con un suono più dolce e metallico. Sembrava rispondere: “ ... pagheren! ...pagheren! ...pagheren! (pagheremo!)”. A lato il più piccolo dei tre magli batteva sulla sua incudine con colpi veloci e quasi stridenti e diceva a sua volta: “Con che?! Con che?! Con che?! (Con cosa?!)“. Probabilmente questa storia, oltre al tentativo di quietare ed addormentare i numerosi bimbi, aveva lo scopo di rimarcare la durezza del lavoro del fabbro battiferro e i suoi scarsi guadagni.
Mio padre mi raccontava, in un ormai lontano passato, una analoga storiella relativa ai magli in funzione in quel di Fucine. Se ben ricordo le voci dei tre magli (o erano addirittura cinque?) localizzati in edifici diversi del paese, recitavano così:
“Et pagà? Et pagà? Et pagà? Et pagà?...” (Hai pagato?)
“Pagheron, Pagheron, Pagheron, Pagheron…” (Pagherò)
“Con che po’? Con che po’? Con che po’?...” (Con cosa?)



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Annuncio di primavera

Crocus Vernalis e Primula vulgaris




Fine marzo, inizio di aprile in Val di Sole. La neve ammanta ancora i monti della valle, in quota l’ambaradan degli sciatori non si è ancora concluso, ma nel fondovalle, anche nelle località più elevate, c’è aria di primavera. Lo annunciano i prati che lentamente recuperano il loro bel verde brillante, lo annunciano i primi fiori che compaiono nei pascol, nel sottobosco o al margine delle fitte abetaie.







Anemone Hepatica

Nel bosco il nocciolo (Coylus avellana), è fiorito da tempo e gli ultimi amenti, di cui si è nutrito il capriolo durante l’inverno, si staccano dai rami cadendo al suolo tra le foglie secche. Il salicone (Salix caprea), è invece in piena fioritura. E' l’esplosione di colore dei gattici che, di giorno in giorno, dal grigio passano al giallo, ravvivando la boscaglia a ceduo ancora spoglia. Sul terreno, tra erbe, fogliame, rametti e strobili in decomposizione, risaltano con il loro intenso colore blu-violetto i fiori dell’anemone (Anemone hepatica),  e più rari i piccoli grappoli fioriferi della polmonaria (Pulmonaria officinalis). Sul suolo calcareo, ai primo sole di fine inverno, le chiazze di erica (Erica carnea) si sono sostituite all’ultima neve, colorando il bordo della pineta di un rosa continuo e intenso.




Tussilago farfaro


Il terreno minerale, lungo le sponde dei piccoli rivi e dei torrentelli è macchiato qua e là del giallo intenso  del farfaro (Tussilago farfaro) e nelle zone più umide sta crescendo rigoglioso il farfaraccio bianco (Petasites albus) con le sue bianche infiorescenze.  Sono comparse da qualche tempo le primule (Primula vulgaris), che con il loro pallido giallo, talvolta tendente al rosato, tingono gradevolmente i prati e anche alcuni angoli del mio giardino, dove allo sciogliersi della neve sono spuntati fitti, bianchi e viola, i crochi, (Crocus vernalis), seguiti, nelle zone più fertili dalle piccole bianche pratoline (Bellis vernalis).

Pulmonaria officinalis



Questi i primi fiori che annunciano il ritorno della bella stagione, incontrati e fotografati durante le mie brevi passeggiate di fine inverno in Val di Sole: sulle Pendegeal Fil, al Forno di Noval, tra Marilleva e Pellizzano, in val Meledrio, alle Gere di Fucine.

Salix caprea

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