Nel silenzio del bosco innevato


Foschie mattutine nella languida luce di un sole malato




Nella notte la neve aveva steso la sua tovaglia su tutta la valle. Era davvero nevicato! Meraviglia! Un mondo diverso... tutto ciò che era consueto era scomparso nascosto sotto il candido manto. Un mondo immacolato... i tetti delle case, i cortili, i giardini, gli orti, le strade, i prati, i campi, i pascoli e i boschi... tutto era bianco.
Iniziava così il nuovo giorno... ma questo era davvero un giorno nuovo, "nuovo di zecca", un giorno ricco di inedite possibilità...






Valeva la pena di uscire... e subito, di affrettarsi per fare il consueto giro ad anello nei dintorni dell'abitato, il solito cerchio, la solita sgambata ma in un paesaggio diverso fatto di boscaglie incappucciate di bianco.





Non mi servono le racchette da neve e neppure i lunghi sci leggeri perché le stradine che percorrerò saranno già  state sicuramente aperte, sommariamente sgomberate dalla neve per non isolare i casolari disabitati e i masi sparsi nei dintorni dell'abitato.


Ma eccomi in cammino...
La strada è zitta, il grosso trattore con la lama spazzaneve ha finito il suo lavoro, non lo si vede più e tutto è silenzio. Un silenzio ovattato che infonde tranquillità. Ben si sa... la neve sbianca i colori ma lima anche i rumori. E nel silenzio riemergono i ricordi... Ricordi di inverni lontani, frammenti di reminiscenze che si perdono nel tempo. Immagini sfocate che si accavallano... immagini di quando, da bambino, su questa stessa stradina, allora più stretta e ripida, mi divertivo a competere con i coetanei in spericolate discese su delle vecchie slitte di legno o di quando, parecchi anni dopo, accompagnavo i miei piccoli figli nelle prime discese con gli sci o con il rosso bob di plastica dura.


Vagabondando di pensiero in pensiero proseguo il mio cammino nella neve, inerte, indifferente a ciò che mi circonda, fino a che... alla vista di un rapace appollaiato sulla cime di un larice, riemergo dai ricordi, il passato si dissolve e ritorna l'interesse per il presente. Sì, quella macchia scura sullo sfondo dei monti immersi nella nebbia è quasi certamente una poiana. Sta controllando il territorio cercando di individuare una qualche possibile preda nella neve, un topo, un'arvicola o magari una lepre bianca... E' lontana. Nascosto dai cespugli riesco ad avvinarmi ma non più di tanto. Appena esco allo scoperto mi vede e subito si allontana, vola via. Addio...


Non scorgo altri selvatici. I caprioli e i cervi a quest'ora riposano immobili nel profondo del bosco. Accovacciati sulla terra nuda, alla base di un grande abete rosso osservano il nuovo paesaggio allungando la testa sulla candida trapunta. Qualcuno si è sicuramente mosso durante la notte o alle prime luci dell'alba. Qua e là se ne scorgono ancora le tracce parzialmente sepolte nella neve fresca. Hanno raggiunto il fondovalle in cerca di cibo, di qualche ciuffo d'erba secca affiorante dal gelido manto. Vana speranza. L'intensa nevicata ha coperto tutto, il foraggio ma anche le loro stesse orme. Ha steso un grande, uniforme foglio bianco sul quale ora è difficile leggere con chiarezza anche i percorsi di questi affamati selvatici.




E' veramente tanta la neve che copre il terreno. Il bosco sui ripidi versanti della valle sembra più grande, molto più esteso con i suoi abeti che si stagliano in modo netto sullo sfondo bianco e che si possono contare ad uno ad uno. Con la neve ogni albero ha acquisito una sua individualità, è inconfondibile, non si mimetizza più e la foresta non sembra più un esteso tutto unico, compattamente verde ma un insieme di elementi ben distinti, ognuno diversamente incappucciato nella neve.


Anche gli abeti che mi circondano appaiono più solenni con loro i rami aperti, distesi sotto il peso della neve, con i grossi tronchi argentati, imbiancati dai fiocchi intrappolati nelle rugosità della corteccia. Tra gli abeti si erge anche qualche grande larice sullo sfondo del cielo nebbioso e delle cime velate dal tenue grigiore del nevischio che lassù sembra cadere perennemente. Rivolgano i loro rami spogli, appena ammantati di bianco, verso l'alto, verso il sole che stenta a bucare le nubi e le foschie ancora dense, sembrano implorare una tregua, sembrano chiedere il ritorno dell'azzurro, del sole...





Ma il sole proprio non ce la fa... fa capolino per qualche istante tra le fronde innevate degli abeti ma oggi è una stella malata, languida, velata da nebbie fitte e scure. E' solo un'ampia macchia brillante che a poco a poco perde luminosità scomparendo nuovamente tra le nubi.




Sulla via del ritorno sono attratto dalle “piccole cose” dai piccoli gioielli incorniciati dalla neve: qualche lichene sulle cortecce delle conifere, una solitaria foglia autunnale di betulla o di sorbo ancora appesa il ramo, i soffici fiocchi di neve sul tronco di un ontano abbattuto dal boscaiolo, i piccoli abeti che a stento emergono dalla spessa trapunta candida ma soprattutto le gemme già turgide e verdi del sambuco... un presagio di primavera.

Ma il sottile grigiore che dai monti cala verso il fondovalle non fa ben sperare... C'è aria di neve... Della neve si respira il profumo... Non solo l'umido profumo della neve fresca già caduta ma anche quello più indefinito e nebbioso dei fiocchi che hanno ripreso a cadere sui versanti della valle e che presto riprenderanno a volteggiare anche quaggiù, sul fondovalle. La primavera è ancora lontana... Per il momento accontentiamoci  dell'inverno, di questo inverno che finalmente assomiglia ad un vero inverno come quelli del tempo che fu. Un inverno che, dopo alcuni anni avari di precipitazioni, ci ha regalato nuovamente la neve, ci ha donato quel paesaggio imbiancato che stavamo scordando, quel sole velato, quelle nubi grige e quelle nebbie che stavamo quasi per dimenticare. Poi sarà la primavera... sarà il ritorno del colore che naturalmente accoglieremo con immensa gioia...
Improvviso mi giunse un odore più leggero e più fragrante di quello della nebbia e guardando la montagna vidi un grigiore tenue che scendeva sul bosco seguendo la conformazione del terreno. A sera la neve giunse sui tetti delle case, sulle strade, sulle labbra dei ragazzi che aprivano la bocca verso i cielo da dove scendeva luminosa.
“Stagioni” di Mario Rigoni Stern
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Il Colle Tomino e il Castello di San Michele all'imbrunire






Quando scende la sera e il sole rischiara ormai solo le cime più alte, mi prende la voglia di uscire, di mettermi in cammino sulle stradine del paese. E' questa l'ora che più mi incanta... quando il giorno si spegne, l'ambiente si copre di ombre e pian piano il buio si fa consistente. Quando le calde pennellata di colore che ancora ravvivano le pendici dei monti si smorzano a poco a poco fino ad estinguersi lasciando il posto ad un piatto fondale in chiaroscuro. Quando si respira un'aria diversa, più fresca, un'aria mossa, più viva... l'aria frizzante che precede il crepuscolo e l'immobilità della notte. 




Se il cielo è sereno la sua tinta muta di minuto in minuto, virando dall'azzurro al giallastro, all'aranciato, al rosato, al violaceo per perdersi nel blu plumbeo dell'oscurità. Tinte generalmente tenui che sfumano lentamente l'una nell'altra. Se al contrario il cielo è parzialmente coperto e verso ovest si addensano dense velature ma soprattutto alte nubi lenticolari si può assistere ad un tramonto suggestivo, talvolta spettacolare dai colori vividi e nitidi.



E così, anche oggi, all'imbrunire, mi ritrovo a camminare nei dintorni del paese evitando le strade principali a quest'ora oltremodo trafficate dalle auto degli amanti del luna park dello sci di ritorno dalle loro imprese quotidiane. Esploro e considero l'ambiente che mi circonda con il bel Castello di San Michele che domina il paesaggio e, alla confluenza tra il Noce e il torrente Vermigliana, il Colle Tomino con il Parco della Pace e l'antica Via Crucis che sale alla chiesetta di Sant’Antonio. Panorama in bianco e nero, in un'atmosfera che si fa sempre più spenta, sbiadita nel crepuscolo che avanza a passi sempre più lunghi.



Ma inaspettatamente, quasi all'improvviso, il cielo riacquista le fulgide tonalità del tramonto. Le altissime cime del Taviela e del Vioz che chiudono la Val di Pejo recuperano la nitida visibilità e la brillante luminosità delle ore passate. I raggi di un sole scomparso da tempo sfiorano nuovamente le vette del Parco dello Stelvio. Chissà quali misteriose piste hanno seguito per far riesplodere, lassù, in alto, le tinte decise di un tramonto che consideravo ormai defunto. Ma se le nubi e le punte dei monti riprendono colore... più in basso la notte non sospende la sua avanzata e a poco a poco copre nuovamente anche le vette oscurandole definitivamente.




Nel frattempo, si sono accesi altri luminosi colori... per qualche istante un mix di giallo, di rosso e di rosa pittura il cielo più a sud, sopra il Passo del Tonale. Nubi colorate e luminose fanno ora da sfondo ad un paesaggio fatto di grigi scuri e spenti e di neri chiazzati di bianco e azzurrino. Questo il crepuscolo invernale sul Castello di San Michele, tra terra e cielo, tra boschi tenebrosi screziati di neve e lontane nubi variopinte. Ma le vivide luci che colorano il cielo durano poco, le nuvole ben presto si oscurano, è la notte che si avvicina sempre più.


L'atmosfera si fa sempre più cupa... si accendono le luci, i paesi si illuminano di mille puntini luminosi. E anche lungo le massicce mura merlate del castello di Ossana si accendono le luci, i riflettori... si devono accogliere i turisti e i valligiani che in questo periodo affollano Ossana, il “borgo che ha più presepi che abitanti”. Immerso nell'oscurità ormai incipiente percorro la stradina dominata dallo sperone roccioso su cui si elevano i ruderi del San Michele, il castello dalle origini che si perdono nel tempo e che oggi, ben consolidato, è visitabile in estate e durante il periodo natalizio. Il suo mastio è davvero imponente e dall'alto del suo coronamento la vista si estende sull'intera Alta Val di Sole e sulla Val di Pejo.

Di fronte a tanta magnificenza non posso non ricordarmi di quanto è stato da poco raccontato da qualcuno degno della massima considerazione... Sono “buone nuove” che riguardano sia il San Michele che il Colle Tomino e la sua Via Crucis.
Sembra che si intenda demolire il grande edificio che si trova di fronte al castello, nei pressi del rondello circolare a poca distanza da quello che fu il ponte levatoio all'entrata del maniero. Si tratta di un imponente costruzione, uno squallido parallelepipedo grigio dal quale troppo spesso, durante la stagione fredda, per anni è uscito del fumo nero e acre, un fumo denso che e ammorbava e annebbiava l'aria sull'intero paese. Un fabbricato in una posizione divenuta ormai inopportuna, paesaggisticamente ingombrante. Al suo posto dovrebbe sorgere un padiglione d'ingresso per l'accoglienza dei visitatori, un'opera di cui si sente veramente la necessità.
Inoltre in primavera dovrebbero finalmente iniziare dei seri e impegnativi lavori di ricupero della Via Crucis settecentesca che sale alla Chiesetta di S. Antonio sul Colle Tomino. Sembra che l'amministrazione comunale sia riuscita a reperire i fondi necessari per finanziare l'opera... rassegnandosi ad accollarsi l'intera spesa (onore al merito) nel momento in cui la “Provincia”, dopo aver previsto il restauro del sito, si è resa del tutto latitante... Certo è che i denari per interventi di altra natura anche sul nostro territorio la “Provincia e le sue emanazioni” li trova sempre... i finanziamenti per lo sviluppo di un turismo, spacciato come sostenibile ma in realtà troppo spesso ambientalmente deleterio, non mancano mai, mentre i denari per incentivare un turismo di qualità, responsabile, non invadente che valorizzi il patrimonio naturale, storico, artistico e culturale della valle vengono spesso lesinati.



Queste le due novità di cui sono venuto a conoscenza. Se corrispondono al vero, e non ho motivo per dubitarne, non posso che esserne soddisfatto.... E più che soddisfatta, direi felice, lo sarà soprattutto l'Immagine ormai consunta del “Povero Cristo” della VI^ stazione della Via Crucis che, con mia enorme sorpresa, mi parlò (un vero miracolo...) e tanto mi supplicò nell'estate del 2015 implorandomi di rendere pubblico il suo miserabile stato e il suo dolore... cosa che feci, più volte, naturalmente nell'ambito delle mie capacità e limitate possibilità.



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Scampoli di vita invernale lungo il torrente








Tra la Poia e il Fil, lungo lo stretto vallone del torrente Vermigliana a monte di Fucine, la temperatura in inverno sale raramente sopra lo zero e il sole non si vede mai. Da alcuni anni non si vedeva nemmeno la neve se non sporadicamente e in misere sfarinate. Ma finalmente quest'anno, alla fine di dicembre, alcune copiose nevicate hanno regalato al paesaggio un aspetto incantevole, un aspetto tipicamente invernale, da cartolina illustrata...



La neve ha abbondantemente sommerso ogni cosa. Nel bosco gli abeti e i larici sono ora imbacuccati in un candido mantello. I cespugli emergono dal mare immacolato allungando gli irrigiditi polloni e i rami contorti e imbiancati verso il cielo quasi volessero sottrarsi alla gelida morsa. Il magro torrente, dalle acque scure e impenetrabili, scorre zigzagando tra i massi sepolti dalla neve. Costeggia silenzioso la stradina che sto percorrendo, stradina tutta bianca, liberata solo sommariamente dalla candida e spessa trapunta. 





Avanzo a fatica, lentamente, sulla pista in leggera salita, respirando un'aria che sa di gelo, attento ad individuare le impronte del passaggio dei cervidi che nella notte sono calati dai versanti boscosi sullo stretto fondovalle nell'illusione di trovate quel foraggio che ormai manca in ogni luogo anche sulle sponde del torrente.





Le loro tracce si accostano ai noccioli dai quali i caprioli hanno brucato le infiorescenze e ai saliconi della cui medicamentosa corteccia si sono nutriti i cervi. Le orme della volpe disegnano invece strani percorsi, indecifrabili, impressi anche sui grandi sassi innevati sparsi sul letto del torrente che il carnivoro di tanto in tanto ha attraversato sperando di trovate con maggiore facilità qualche arvicola sulla sponda opposta.




La stradina prosegue più ripida costeggiando le acque che di tanto in tanto scompaiono, si inabissano inghiottite dal tappeto bianco. Ricompariranno poco più a valle scivolando calme in un alveo largo e quasi pianeggiante. Nei pressi del Fil precipitano dalla soglia di due alte briglie di trattenuta e sul fondo del salto si riposano per alcuni istanti allargandosi in un bacino profondo e scuro, un laghetto tranquillo, mosso all'improvviso dall'emergere di una trota a caccia di prede congelate.





A monte dell'ultima briglia il torrente scorre lento aprendosi in ampi slarghi dove è facile avvicinare ed osservare il merlo acquaiolo intento a cacciare nelle acque gelide. Il merlo acquaiolo è un uccello paffuto, che nulla ha in comune con il merlo che tutti conosciamo. Ha più o meno le stesse dimensioni e come lui è scuro ma in più ha un grande bavaglio bianco sul petto...



E' l'unico “passeriforme” che cerca il cibo sul fondo dei corsi d'acqua seguendoli in montagna fin oltre i 2500 m. di altitudine Si nutre di larve di insetti (tricotteri, plecotteri, efemerotteri) e a volte anche di crostacei e minuscoli pesci. Lo osservo muoversi a piccoli passi sulla neve e sui bordi ghiacciati del torrente apparentemente indifferente alla mia presenza. Lo vedo gironzolare e soffermarsi sui sassi che emergono dalle acque, lo vedo tuffarsi e scomparire sul fondo del torrente per riapparire all'improvviso poco più lontano con una piccola preda nel becco...




Lo vedo nuotare a pelo d'acqua, tuffarsi e rituffarsi, lo intravedo camminare sul fondo controcorrente rovistando tra la sabbia e le piccole pietre, lo vedo riemergere passando dal volo subacqueo a quello aereo con estrema naturalezza. Manovre che sembrano incredibili... un vero “uccello anfibio”... Poi infastidito dalla mia insistente presenza lo osservo prendere il volo e, radendo la superficie del corso d'acqua, raggiungere un sito più tranquillo.



Ma il merlo acquaiolo non è il solo essere vivente che si incontra lungo le sponde congelate del torrente. Esistono altri frammenti di vita in questo ambiente totalmente congelato... L'apparizione dell'airone cenerino è stata improvvisa e fugace... un solo esemplare, raro, che subito è volato via, spaventato, e si è rifugiato più a monte, nel bosco, tra gli abeti incappucciati di neve. Così come è stata momentanea l'apparizione improvvisa di uno stormo di codibugnoli che si sono allontanati subito volando di cespuglio in cespuglio, di larice in larice.




Non così il pettirosso che sotto un'apparenza fragile nasconde un'indole ardimentosa, temeraria, che sfocia talvolta nell'aggressività. Per nulla intimidito dalla mia presenza svolazza qua e là sulle rive del torrente, si posa sulla neve fresca, sul ghiaccio, sui rami intirizziti che emergono dal bianco tappeto, quasi volesse intimidirmi ed allontanarmi da quello che ritiene un territorio di sua esclusiva proprietà.



Mi chiedo come faccia a sopravvivere nel freddo di dicembre, dove trovi il cibo nel gelido paesaggio che lo circonda... Per questo vivace, piccolo e colorato uccellino deve essere davvero difficile individuare, in pieno inverno, gli insetti, le larve, i ragni e i lombrichi di cui si nutre solitamente. Perchè non si rifugia in paese? All'interno di un centro abitato potrebbe trovare dei piccoli avanzi, briciole di pane, di biscotti e, in questo periodo, anche di panettone e di pandoro, che, ricchi di zuccheri e grassi, lo aiuterebbero a integrare la sua dieta per superare il freddo della stagione.





Accanto al pettirosso compaiono anche alcune cince, la più robusta cinciallegra e la più agile e fragile cinciarella. Sono uccellini curiosi, sempre in movimento, che come tutti i “paridi” esplorano sistematicamente il territorio mostrando una mente brillante nell'affrontare gli ostacoli che si frappongono alla ricerca di cibo.




Le cinciallegre e le simpatiche cinciarelle dalla nuca azzurra lasciano  quasi subito la zona; sulle rive gelide del torrente non c'è evidentemente molto da spiluccare. Si involano dirigendosi verso valle seguendo il corso d'acqua. Viene da pensare che loro, a differenza dell'orgoglioso e indipendente pettirosso, vogliano raggiungere al più presto il paese, i suoi frutteti, le sue case, dove, a contatto con l'uomo, sarà più facile trovare da saziarsi.




Scomparse le cince compare un minuscolo scricciolo o meglio ricompare che già si era fatto vedere in compagnia del pettirosso. Sbuca da una nera cavità, non occultata dalla neve, alla base di un alberello. Vola rapidissimo tra i rami di un cespuglio che si sporge sulle acque. Dinamico, agile, scattante, non si ferma un attimo. Perlustra le rive del torrente penetrando in ogni più piccolo incavo privo di neve alla ricerca di cibo o di un riparo sicuro.





Si trattiene per qualche istante in più su di un piccola lastra di ghiaccio appena coperta dal nevischio che  ha ripreso lentamente a cadere. Un tempo appena sufficiente per poterlo osservare meglio cogliendo la delicatezza della colorazione del suo piumaggio. Un piumaggio di un tenue castano, leggermente barrato di nero e segnato sulla testolina da un lungo sopracciglio bianco.




Vorrei udire il suo canto che in altre rare occasioni ho sentito sgorgare melodico dal suo lungo e sottile becco... ma non è questa la stagione più favorevole... Nel gelo dell'inverno, lo scricciolo ma anche il pettirosso, le cince e il merlo acquaiolo restano quasi sempre muti in attesa dell'arrivo della primavera quando potranno festeggiare davvero, esibendosi in stupefacenti concerti..









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La Cappella della Madonna Nera a Cogolo di Pejo









La piccola cappella della Madonna Nera o di Loreto si trova alla periferia di Cogolo, in val di Pejo, lungo strada che porta a Malgamare. Poco più avanti, sulla stessa strada, si incontra la chiesetta di Pegaia e più avanti ancora la centrale idroelettrica di Pont di cui ho già detto in altri due miei post. La presenza di due piccoli edifici sacri, sorti a così poca distanza, va collegata ai tragici avvenimenti che, tra storia e narrazione popolare, in un tempo molto lontano, sconvolsero la zona. In particolare l'origine della cappella in questione è legata ad una leggenda secondo cui l'immagine della Madonna fu ritrovata nel fango, unico resto intatto, tra le rovine di alcuni fabbricati portati a valle da una frana.




Le vicende che portarono all'edificazione della minuscola edicola sono narrate in uno scritto (che ho riportato più sotto) che si trova ben incorniciato e appeso nella cappella stessa. Tra le molte interessanti informazioni vi si legge anche che “la cappella fino a pochi decenni fa era completamente isolata nel verde” e che “L'ultima casa di Cogolo sorgeva a dieci minuti di distanza e ce ne volevano altrettanti per raggiungere la chiesetta di Pegaia e i masi più vicini”. Oggi la piccola edicola è “imprigionata” tra un nugolo di fabbricati più o meno recenti. Posta su di un bivio, è “compressa” tra due strade asfaltate che ne sminuiscono la visibilità e l'agibilità. L'estendersi più o meno disordinato dell'abitato ha svilito la portata di ciò che la Cappella della Madonna Nera rappresenta per la “narrazione” del paese e della valle, ha  svalorizzato un minuscolo ma comunque importante elemento del patrimonio storico, un "segno del sacro" legato alla storia e alle tradizioni della comunità....







La Cappella della Madonna di Loreto

Questa è la Cappella della Madonna di Loreto o della Madonna Nera. Il secondo nome è dovuto al colore della statua che riproduce l'immagine veberata nel santuario di Loreto. L'esistenza della cappella è documentata dal 1725, epoca della sua costruzione.
Una leggenda narra che una frana aveva distrutto una piccola villa sovrastante, forse un maso o due a “Plaza Montina”e, unico segno rimasto, sarebbe emersa dal fango l'immagine della Madonna proprio in questo posto.
Portata processionalmente alla curaziale di Cogolo da questa era scomparsa nottetempo, per ritornare sul luogo dove era stata trovata. Quando il fatto si verificò la seconda volta, i paesani vi scorsero un segno del Cielo e un invito ad edificare proprio in questo punto una cappella perché l'immagine fosse venerata dove l'acqua l'aveva trasportata.
Alcuni fatti spiegano la nascita di questa leggenda. La villa di Pegaia, che antecedentemente appariva nei documenti come proprietaria di beni e di diritti con le ville di Cogolo, Celledizzo e Riva, venne effettivamente distrutta nei primi decenni del 1400. Non si sa esattamente dove sorgesse, né quale causa abbia provocato la sua scomparsa.
Che la zona sia soggetta a smottamenti lo capisce chiunque si guardi intorno e legga i segni delle frane anche recenti. La cappella fino a pochi decenni fa era completamente isolata nel verde. L'ultima casa di Cogolo sorgeva a dieci minuti di distanza e ce ne volevano altrettanti per raggiungere la chiesetta di Pegaia e i masi più vicini, quindi una sosta davanti alla Madonna veniva spontanea e diventava preghiera. Di certo la gente chiedeva protezione contro i pericoli dell'acqua del “Gatus”, quel rigagnolo incanalato sul retro, all'apparenza così innocuo ma capace di fare dei bei danni quando vuole protestare contro chi calpesta i suoi secolari diritti di passaggio... ...



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Bianco su bianco: suggestioni invernali







Il nuovo anno era iniziato bene, era iniziato con la neve che aveva donato un aspetto tutto nuovo ai dintorni del paese. Quello che mi era familiare era scomparso coperto da una spessa trapunta immacolata. La trasformazione era avvenuta rapidamente, in silenzio, nella stessa ovattata silenziosità che accompagnava la mia mattutina passeggiata verso “il Fil”, una delle località, a cavallo tra il comune di Ossana e quello di Vermiglio, che amo di più e che frequento spesso, in ogni stagione.







La striscia candida della stradina, sommariamente liberata dalla coltre nevosa, saliva in leggera pendenza costeggiando il torrente fino a perdersi tra gli alberi e i cespugli che sfumavano in lontananza nel cielo nebbioso, un cielo che accarezzava il fondovalle con le sue nuvole biancastre.






Procedevo lentamente respirando il profumo della natura congelata, mentre, guardando qua e là, cercavo di individuare le orme scolpite nella neve fresca degli animali selvatici, dai caprioli, dai cervi, dalle volpi... dalle lepri e dagli scoiattoli in cerca di cibo.





Poi inaspettatamente e quasi all'improvviso, il cielo si posò sulla terra, le nubi invasero la stradina offuscando la vista. Una fitta foschia attenuava i contrasti, dissolveva i contorni... donava all'ambiente innevato una atmosfera fiabesca, quasi irreale. La nebbia velava il torrente, smorzava il mormorio delle sue acque gelide e diffondeva un sapore acre che sapeva di bagnato, di umidità.




Era bello, avanzare nella nebbia... inoltrarsi ulteriormente lungo la stradina, pian, piano, nel candore che annebbiava il traguardo, nel bianco su bianco che confondeva il percorso, che disorientava il procedere. Era suggestivo camminare in un susseguirsi continuo di ombre vaporose e di scuri alberi spettrali immersi nel nulla. Abeti e larici come fantasmi comparsi all'improvviso sullo sfondo velato, quasi assente, sprofondati nella densa caligine che esaltava l'aspetto lugubre dei loro rami scheletrici.





Atmosfera misteriosa, magica che predisponeva ai sogni, che stuzzicava la fantasia... smorzava i colori, annullava i particolari, limava i contorni ed accendeva sensazioni che potevano anche inquietare: la nebbia ha il fascino dell'incertezza, dell'insicurezza, un fascino molto particolare poco familiare a noi montanari che la vediamo raramente...





E per non smentirsi, anche in questa occasione, la nebbia non durò molto... ben presto si diradò e a poco a poco si sciolse e lentamente svanì. Le nubi si alzarono e si iniziò a intravedere un pallidissimo sole. Ripresi così il mio cammino, la mia ricerca sulle orme dei selvatici, ricostruendo i percorsi dei cervidi e la corsa della volpe a caccia di lepri, muovendomi in un ambiente rinato, nuovamente reale, nitido e luminoso.













             E' strano vagare nella nebbia!
             Solo è ogni cespuglio e pietra,
             Nessun albero vede l'altro,
             Ognuno è solo.
                                           Hermann Hesse












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