Suggestioni d'autunno



Metà ottobre in Val Piana










Ottobre inoltrato. I verdi forti e compatti dell'estate hanno lasciato il posto ad una grande varietà di tinte accese, le tinte dell'autunno che, ben si sa, io amo tantissimo.
I versanti della valle si chiazzano di colori caldi... le foglie con un ultimo vitale sussulto si tingono di rosso, di arancione, di giallo, di bruno per poi, lentamente, cadere disperdendosi sulla terra umida.







La natura inizia a ritirarsi, e si prepara piano, piano al freddo e alla neve dell'inverno ma lo fa addobbandosi a festa, indossando abiti allegri e policromi quasi ad allontanare il grigiore e la tristezza dei tempi bui che la attendono.






Una mattinata all'aperto, una salutare passeggiata tra i prati e i boschi della Val Piana, dovrebbero aiutarmi ad allontanare la melanconia che con l'avvicinarsi della brutta stagione sempre più spesso mi accompagna...



Qualche ora nell'aria frizzante dei miei monti, nel silenzio irreale di una minuscola valle finalmente libera dalla confusione estiva ti riempie l'animo di tranquillità e ti permette di accogliere con serenità, appena, appena venata di nostalgia, la nuova stagione che avanza...



Ma eccomi arrivato... al capitello di S. Antonio dove si apre la ValPiana...
Il sole inizia ad accarezzare gli ultimi alberi sulle alte creste della “Piramide”. Poi il sole si innalza, supera il crinale e inonda di luce calda i pascoli fradici di rugiada e gli angoli più freddi, bianchi di brina.


Magia della nuova stagione.
Luccicano le erbe umide, scintillano i minuscoli cristalli di ghiaccio nei prati... brillano le gocce d'acqua sui rametti di ontano e di betulla, le gocce sulle fronde verdissime di abete rosso, sugli aghi rinsecchiti e dorati dei larici...


Poi, subito, si leva la nebbia che tutto avvolge. Vapori bianchi che il calore del sole sprigiona dalla terra bagnata e che una leggera brezza disperde nella valle. Nebbia leggera, morbida ma che penetra ovunque che si dilata e si restringe, che si compatta e si disperde, che si insinua in ogni angolo. Nuvola che avvolge pascoli e alberi per poi liberarli e riconsegnarli alla luce forte del sole.







Vapori che si posano sui pascoli, che risalgono i pendii, i boschi di conifere, vapori che rendono il tutto ovattato quasi irriconoscibile. Foschie compatte che scompaiono all'improvviso regalando un nuovo, sorprendente, nitido paesaggio.







Gioco continuo a nascondino che percorre la valle seguendo le chiazze di pascolo via via baciate dal sole. Sole che sale sempre più in alto rischiarando ogni angolo anche il più nascosto e ombroso.






Suggestioni autunnali. Nebbie che dilatano lo spazio e amplificano gli scenari. Fascino di alberi fantasma, immersi nella foschia, immersi nel nulla. Alberi scheletrici, ormai privi di foglie, stillanti gocce dorate quasi ad evocare gli addobbi luminosi del prossimo Natale.
Atmosfere fiabesche, magiche, misteriose...








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Passeggiate autunnali


Clima bizzarro in questo principio d'autunno. Fine settembre e inizio ottobre con cielo sereno e temperature estive, temperature che ci eravamo illusi dovessero durare ancora a lungo. Poi, all'improvviso, il vento del nord ha fatto scendere di molto la colonnina di mercurio, molto sotto lo zero, e la neve ha imbiancato abbondantemente non solo le cime dei monti ma anche i paesi sui versanti della valle oltre i 1400 m. Gelido, inaspettato evento che ha colto di sorpresa anche il mio orto con gli ultimi peperoni, le melanzane e i pomodori che ancora stavano maturando.
Dopo il freddo quasi invernale ritornano repentinamente le normali condizioni meteorologiche d'inizio autunno... non mancano però gli inattesi forti scrosci di pioggia e le seppure sporadiche grandinate con lampi e tuoni del tutto fuori stagione... quasi fossero dei temporali estivi.
Si può così elucubrare sul clima che cambia, sul riscaldamento globale, sulla tendenza all'accentuazione delle condizioni meteorologiche estreme... difficile però valutare obiettivamente, confermare o confutare...
Quindi, di giorno in giorno accettiamo, volenti o nolenti, ciò che il cielo ci impone (ma rimane il dubbio: non ci sarà anche lo zampino dell'uomo?) godendoci, se non altro, il paesaggio della valle reso dinamico da questa estrema variabilità climatica.
Caldo, freddo, gelo, sole, neve, pioggia, temporali, grandine e ancora sole... questo è quello che ci hanno offerto le prime settimane d'autunno: una grande variabilità climatica con un ambiente in continua trasformazione, con repentini mutamenti di luminosità, di colorazioni, di profumi.
Cime nude, rocciose, assolate, poi pascoli e boschi improvvisamente imbiancati. A seguire pendii nuovamente spogli, verdi ma subito chiazzate dai colori caldi dell'autunno, ombre lunghe per i raggi radenti di un sole basso ma ancora caldo e luminoso e ancora nubi scure e pascoli e boschi fradici di pioggia e fitti vapori mattutini che si levano dalle erbe grondanti rugiada o ammantate di gelida brina...
Con questo clima mutevole è bello passeggiare nei dintorni del paese, vincere la pigrizia e inoltrarsi sui soliti sentieri resi però sempre nuovi, sempre diversi e interessanti dal cambiare delle situazioni meteorologiche, della luce, dei colori, degli odori...
Eccomi quindi qui, a camminare lungo la stradina di mezzacosta delle "Pendege" tra Fucine e Vermiglio in un assolato e limpido pomeriggio dopo la neve, il freddo e il temporale dei giorni scorsi.. Bello! La vegetazione inizia a consegnare i caldi e forti colori autunnali nella luce forte del sole calante sullo sfondo delle cime del Tonale e di Barco da poco innevate..

Dopo l'intensa pioggia della notte esploro i dintorni del “Fil”, detto anche “Spiaz dei Spini”, tra prati e boschi fradici d'acqua.
Il cielo ancora coperto e scuro, il profumo di terra bagnata, la luce diffusa, tenue e omogenea, donano a questo umido ambiente una malinconica suggestione...

Cielo limpido e sole a picco in “ValPiana”. Sole alto ma appena emerso dalle alte creste dei “Crozidei Meoti” ad inondare boschi e pascoli fradici di rugiada e qua e là ammantati di brina. Raggiungo la malga, ormai chiusa da tempo, camminando lentamente sulla strada bianca tra le nuvole di vapore che si levano dai prati bagnati.... paesaggio qua e là filtrato dalle nebbie, alberi fantasma lungo il percorso ma stillanti gocce dorate, brillanti... Poi il bosco... lungo il sentiero del “Sas Pisador” con gli ultimi funghi, le felci morte e accartocciate, le foglie già dorate degli aceri e delle betulle...



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Il bramito del cervo nel Parco dello Stelvio

Ottobre in “Val dei Orsi”


Cinque ottobre, ore sei e quindici. Parcheggio l'auto al Fontanino di Pejo e con il mio amico imbocco la strada bianca che sale ripida al Lago del Palù.
Notte senza luna, fredda e buia.. Verso levante albeggia appena e nel lieve chiarore si delineano gli scuri profili dei monti nei dintorni di Passo Cercen. All'altezza dei “Masi de la Palù” abbandoniamo la strada per inoltrarci prima nel pascolo e poi nel bosco inerpicandoci sulla scorciatoia poco conosciuta che conduce rapidamente al “Prà di Palù” ai piedi della Val dei Orsi.
La nera sagoma di un pesante cervo maschio in fuga esce all'improvviso dal folto degli alberi franando rumorosamente verso il basso e rischiando di travolgerci... un primo inaspettato ed emozionante incontro, una sorpresa, un istantaneo brivido di paura... Proseguiamo nell'oscurità del bosco alla flebile luce delle nostre torce frontali. Saliamo... e ancora saliamo, sempre più su, faticosamente, seguendo tracce poco battute mentre da un versante all'altro della valle si rincorre il mugghio dei cervi in amore.
Si fa giorno quando raggiungiamo il bordo della grande e pianeggiante radura, il “Prà di Palù” e mimetizzati tra i larici esploriamo con il binocolo l'oscuro versante di fronte alla ricerca di quei cervi che ci sono, che si sentono bramire ma che ancora non si vedono.
Poi finalmente, quando il sole inizia ad inondare di calda luce le cime sovrastanti individuiamo il gruppo dei cervi in amore. Sono lontani, tra le erbe secche e le macchie di ontano verde, lassù in alto...
Senza uscire allo scoperto, muovendoci silenziosamente tra gli alberi e i cespugli aggiriamo il pascolo e saliamo nel lariceto che costeggia il Rio Vegaia. Avanziamo lentamente, attenti a non far rumore... con passo felpato. Avanziamo ma solo per un centinaio di metri o poco più. Poi non è pensabile andare oltre. I cervi, notata la presenza estranea, si darebbero immediatamente alla fuga.
Sono ancora molto lontani, i cervi... sono intenti alle loro acrobazie amorose ma sono sempre attenti, vigili... Il bosco si fa sempre più rado e tentare un ulteriore avvicinamento muovendoci allo scoperto, da un larice all'altro, significherebbe rischiare di essere individuati. Quindi ci rassegniamo e ben nascosti dietro un grosso tronco ci limitiamo a sperare che qualche esemplare si decida ad esplorare i dintorni avvicinandosi e scendendo verso di noi.
Vana speranza... Ho l'impressione che i cervi abbiano colto la nostra presenza (sarà il click della reflex?) perché, pur non avendoci individuati con precisione, appaiono comunque in leggero allarme. Quindi meglio non muoverci e spiare da lontano le le loro straordinarie evoluzioni.
Sono manovre frenetiche quelle a cui assistiamo al riparo del grande larice. Nella luce calda dell'alba, luce quasi rossastra che avvolge ormai gran parte delle pendici della montagna, osserviamo emozionati il branco che è in piena attività amorosa come sempre accade allo spuntare del giorno. I maschi più robusti dominano la scena rincorrendo e allontanando i più giovani e meno prestanti dalle poche femmine presenti che, passive, sembrano non dare molta importanza a ciò che accade intorno. Sono femmine “prigioniere”, isolate in un'arena nella quale solo i maschi giostrano dando spettacolo con i loro inseguimenti alternati alle soste e ai rabbiosi bramiti.
Guardando bene notiamo che manca un vero “sovrano”, non c'è il maestoso maschio con il capo coronato dall'ampio trofeo ramificato che domina su tutti, non c'è il “signore” che da solo comanda e governa sul branco intero spadroneggiando nel suo harem personale. No, lo spettacolo è sì avvincente ma non è quello che attendevamo. Non siamo davanti alla classica iconografica rappresentazione dell'anfiteatro dei cervi in amore... Qui governa un'oligarchia di mediocri, qui nessuno prevale in modo deciso e definitivo sui rivali. Qui dominano più maschi, tra loro in concorrenza per il possesso delle femmine ma alleati nell'ostacolare l'entrata in scena degli esemplari più giovani e fragili.
Visione emozionante nel gelo del mattino, spettacolo che si protrae a lungo fino a quando la luce avvolge tutto il “Pra di Palù. Con il sole alto i cervi a poco a poco abbandonano la radura e si immergono nell'ontaneto lungo le rive del Rio Vegaia. Ancora qualche isolato bramito e sul versante ritorna il silenzio, la pace di sempre.
Lasciamo la postazione e raggiungiamo rapidamente il pascolo sottostante mettendo in fuga due caprioli intenti a brucare le ultime erbe ancora verdi. Decidiamo di esplorare la media “Val dei Orsi” (il mio amico non la conosce) e attraversato il bel ponte sul “Rio Vegaia” iniziamo l'ascesa lungo il ripido sentiero che porta verso il "S. Matteo.
Salendo si apre un ampio panorama sulla Val del Monte. Dall'alto vediamo il lago artificiale del Palù circondato dalle cime Forzellina, Palù, Redival, Ercavallo... con le sottostanti stupende vallecole di Pudria, Comiciolo, Montozzo. Piccole valli queste che ben conosco, che frequentai assiduamente in passato e a cui mi legano piacevoli ma ormai lontani ricordi.
Lungo il sentiero incontriamo numerosi resti di opere e costruzioni austroungariche risalenti alla grande guerra. Piazzole, trincee, muretti... i ruderi di un edificio adibito ad infermeria, “l'Ospedal”, così a suo tempo mi è stato detto. Siamo sulla linea del fronte austriaco, o meglio sulle sue retrovie fortificate a difesa della Val di Pejo nell'eventualità di una discesa delle truppe “regnicole” dalla Val Montozzo o dal PassoSforzellina.
Ma ecco apparire, sotto di noi, sul versante opposto un bel maschio di cervo con il suo minuscolo harem. Subito si allontana preceduto dalle femmine e dal cucciolo e osservandolo con il binocolo scorgiamo, lontanissima anche una volpe che risale lentamente il pendio cacciando insetti o chissà che altro.
Poi nel cielo appare un grande uccello scuro. Si è staccato dalla Cima Frattasecca e volteggia lento sopra di noi. E' l'aquila dice il mio amico ma così non è... La sagoma non è quella dell'aquila, è diversa, meno sottile e slanciata, più tozza... Ma certo, certo... è il raro gipeto di cui tanto si dice e che finora mai avevo avuto occasione di osservare...
Ancora qualche ampia voluta e il gipeto scompare dietro le creste rocciose.
Proseguiamo raggiungendo il pianoro dove il sentiero si biforca e qui ci fermiamo. Una traccia prosegue verso il Bivacco Meneghello e la Cima del S. Matteo, l'altra, decisamente più frequentata, arriva al Doss dei Cembri (punto di arrivo di un impianto a fune) dopo aver attraversato le valli Cadini e Taviela. E' questo il percorso denominato “Senter dei Todeschi” perché tracciato dai soldati austroungarici durante la prima guerra mondiale.
Ci aspettavamo un incontro ravvicinato con i camosci che generalmente stazionano quassù ma rimaniamo delusi. Ricompare invece l'avvoltoio, il gipeto, che attraversa veloce la valle passando sulla nostra verticale: chissà dove sarà diretto... vero il passo Gavia?
Un violento e gelido vento ci costringe a discendere. Sulla via del ritorno ci aspetta un ultimo straordinario avvistamento.
Un cervo maschio in compagnia di una femmina e del suo piccolo ci osservano tranquilli seminascosti tra i larici. Poi, lentamente si nascondono nel folto del bosco.
Incontro veramente eccezionale vista l'ora.
Mezzogiorno è ormai passato da tempo, il sole ha iniziato la sua lenta discesa e anche noi, decisamente soddisfatti per la bella giornata e i molti emozionanti avvistamenti, caliamo a valle.


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A Malga Saline

Escursione ricognitiva nei territori dei cervi in amore.



Cervi che non si incontrano... o quasi...
Alle prime luci del giorno ci imbattiamo in uno stupendo robusto maschio dall'ampio “trofeo” ramificato che però subito si inoltra nel buio del lariceto di Marassina. Poco dopo osserviamo sfrecciare un piccolo branco di femmine che immediatamente scompaiono alla vista nel folto del bosco.
Tutto qui, senza alcuna opportunità di riprese fotografiche. Alla faccia del cordiale escursionista di Pejo, incontrato tempo fa sulle pendici delle Mandriole, che ci aveva descritto questi luoghi come l'eden dei cervi in amore.
In realtà qualche altro cervo c'era. Cervi rintanati nei ripidi boschi lungo il sentiero che da malga Saline porta al Lagostel. Bramiti rabbiosi provenienti dal margine di un nudo canalone ai quali rispondeva il mugghio più modesto e lamentoso degli esemplari nascosti sul bordo opposto. Vana l'attesa … del tutto infruttuosa... nessun cervo è uscito allo scoperto lasciando il suo sicuro rifugio. Solo una minuscola viperetta, nata da poco, si è voluta presentare accarezzandomi rapida gli scarponi.

Comunque bello il giro ad anello che da Pejo Paese mi ha condotto con l'amico di sempre a Malga Saline e poi fino ai radi lariceti e alle alte praterie del Lagostel.
E' ancora buio quando, lasciata l'auto, nel grande parcheggio di Pejo, ci inoltriamo per la stradina che porta a Malga Talè.
Dal versante opposto della Val di La Mare, il versante delle malghe Bolche, Levi e Verdiniana, giunge un coro ininterrotto di bramiti. Probabilmente è quella la zona di maggiore concentrazione del cervo in Val di Pejo.
Nell'oscurità seguiamo il chiarore dai fari di un'auto che risale lentamente le pendici verso le malghe. Probabilmente è il cacciatore che ai margini del Parco ha sicuramente buon gioco. Nei territori di confine, è più semplice ottenere buoni risultati dando soddisfazione alla propria passione venatoria o per per meglio dire ai propri primordiali impulsi venatori.
Albeggia e ragionando sommessamente su caccia e cacciatori, proseguiamo il cammino deviando per la stradina che sale ripida verso Marassina e in breve raggiungiamo un'ampia radura costellata di antichi masi, alcuni ristrutturati e adibiti a ben altra funzione rispetto a quella originaria. Ed è qui che intravediamo il bel cervo maschio che subito però scompare nel bosco.
Per tracce risaliamo faticosamente l'erto pascolo fino a raggiungere la stradina pianeggiante che porta a Malgamare. La percorriamo per un breve tratto al contrario, verso Pejo, fino a intercettare la strada che conduce a Malga Saline.
Ormai si è fatto giorno e salendo verso la malga ammiriamo estasiati il fondale di guglie dolomitiche azzurrognole che emergono dalle quinte boscose dei versanti della valle. Stupendi profili di monti e cime lontane.... Così la delusione per il mancato incontro con i cervi in amore è in parte attenuata dal bel panorama che da quassù possiamo osservare.
Decidiamo di proseguire verso il Lagostel perché "non si sa mai", un emozionante incontro è pur sempre possibile. Molti i bramiti lungo il sentiero ma gli animali si sono ormai rintanati nel folto del bosco e non hanno nessuna intenzione di farsi ammirare.
In questa zona durante la primavera dello scorso anno osservammo e fotografammo alcuni camosci. Ora dei camosci nemmeno l'ombra...
Un po' delusi facciamo ritorno a Malga Saline e subito discendiamo verso Pejo Paese seguendo la strada che conduce alla chiesetta di S. Rocco appena sopra il paese.
Infine, che dire? Bella escursione, bella e salutare camminata, bel panorama, una mattinata tutto sommato ben spesa anche se la aspettative erano ben altre...



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