Ottobre in “Val dei Orsi”
Cinque ottobre, ore sei e quindici.
Parcheggio l'auto al Fontanino di Pejo e con il mio amico imbocco la
strada bianca che sale ripida al Lago del Palù.
Notte senza luna,
fredda e buia.. Verso levante albeggia appena e nel lieve chiarore si delineano gli scuri profili dei monti nei dintorni di
Passo Cercen. All'altezza dei “Masi de la Palù” abbandoniamo la
strada per inoltrarci prima nel pascolo e poi nel bosco inerpicandoci
sulla scorciatoia poco conosciuta che conduce rapidamente al “Prà di Palù” ai
piedi della
Val dei Orsi.
La nera sagoma di un pesante cervo
maschio in fuga esce all'improvviso dal folto degli alberi franando
rumorosamente verso il basso e rischiando di travolgerci... un primo
inaspettato ed emozionante incontro, una sorpresa, un istantaneo
brivido di paura... Proseguiamo nell'oscurità del bosco alla flebile
luce delle nostre torce frontali. Saliamo... e ancora saliamo, sempre
più su, faticosamente, seguendo tracce poco battute mentre da un
versante all'altro della valle si rincorre il mugghio dei cervi in
amore.
Si fa giorno quando raggiungiamo il
bordo della grande e pianeggiante radura, il “Prà di Palù” e mimetizzati tra
i larici esploriamo con il binocolo l'oscuro versante di fronte alla
ricerca di quei cervi che ci sono, che si sentono bramire ma che
ancora non si vedono.
Poi finalmente, quando il sole inizia
ad inondare di calda luce le cime sovrastanti individuiamo il gruppo
dei cervi in amore. Sono lontani, tra le erbe secche e le macchie di ontano
verde, lassù in alto...
Senza uscire allo scoperto, muovendoci
silenziosamente tra gli alberi e i cespugli aggiriamo il pascolo e
saliamo nel lariceto che costeggia il Rio Vegaia. Avanziamo
lentamente, attenti a non far rumore... con passo felpato. Avanziamo
ma solo per un centinaio di metri o poco più. Poi non è pensabile andare oltre. I cervi, notata la presenza estranea, si
darebbero immediatamente alla fuga.
Sono ancora molto
lontani, i cervi... sono intenti alle loro acrobazie amorose ma sono sempre attenti, vigili... Il bosco si fa sempre più rado e tentare un
ulteriore avvicinamento muovendoci allo scoperto, da un larice
all'altro, significherebbe rischiare di essere individuati. Quindi ci
rassegniamo e ben nascosti dietro un grosso tronco ci limitiamo a
sperare che qualche esemplare si decida ad esplorare i dintorni
avvicinandosi e scendendo verso di noi.
Vana speranza... Ho l'impressione che i
cervi abbiano colto la nostra presenza (sarà il click della reflex?)
perché, pur non avendoci individuati con precisione, appaiono comunque in
leggero allarme. Quindi meglio non muoverci e spiare da lontano le le loro straordinarie evoluzioni.
Sono manovre frenetiche quelle a cui
assistiamo al riparo del grande larice. Nella luce calda dell'alba,
luce quasi rossastra che avvolge ormai gran parte delle pendici della
montagna, osserviamo emozionati
il branco che è in piena attività amorosa come sempre accade allo spuntare del giorno. I maschi più robusti dominano la scena rincorrendo e allontanando i
più giovani e meno prestanti dalle poche femmine presenti che,
passive, sembrano non dare molta importanza a ciò che accade intorno. Sono femmine “prigioniere”, isolate in un'arena nella quale solo
i maschi giostrano dando spettacolo con i loro inseguimenti alternati alle soste e ai rabbiosi bramiti.
Guardando bene notiamo che manca un
vero “sovrano”, non c'è il maestoso maschio con il capo coronato
dall'ampio trofeo ramificato che domina su tutti, non c'è il
“signore” che da solo comanda e governa sul branco intero
spadroneggiando nel suo harem personale. No, lo spettacolo è sì
avvincente ma non è quello che attendevamo. Non siamo davanti alla
classica iconografica rappresentazione dell'anfiteatro dei cervi in
amore... Qui governa un'oligarchia di mediocri, qui nessuno prevale in
modo deciso e definitivo sui rivali. Qui dominano più maschi, tra
loro in concorrenza per il possesso delle femmine ma alleati
nell'ostacolare l'entrata in scena degli esemplari più giovani e
fragili.
Visione emozionante nel gelo del
mattino, spettacolo che si protrae a lungo fino a quando la luce avvolge tutto il
“Pra di Palù. Con il sole alto i cervi a poco a poco abbandonano
la radura e si immergono nell'ontaneto lungo le rive del
Rio Vegaia. Ancora qualche isolato bramito e sul versante ritorna il
silenzio, la pace di sempre.
Lasciamo la postazione e raggiungiamo
rapidamente il pascolo sottostante mettendo in fuga due caprioli
intenti a brucare le ultime erbe ancora verdi. Decidiamo di esplorare
la media “Val dei Orsi” (il mio amico non la conosce) e
attraversato il bel ponte sul “Rio Vegaia” iniziamo l'ascesa lungo il ripido sentiero che porta verso il "S. Matteo.
Salendo si apre un ampio panorama sulla Val
del Monte. Dall'alto vediamo il lago artificiale del Palù circondato
dalle cime Forzellina, Palù, Redival, Ercavallo... con le
sottostanti stupende vallecole di
Pudria, Comiciolo, Montozzo.
Piccole valli queste che ben conosco, che frequentai assiduamente in
passato e a cui mi legano piacevoli ma ormai lontani ricordi.
Lungo il sentiero incontriamo numerosi
resti di opere e costruzioni austroungariche risalenti alla grande
guerra. Piazzole, trincee, muretti... i ruderi di un edificio adibito
ad infermeria, “l'Ospedal”, così a suo tempo mi è stato detto.
Siamo sulla linea del fronte austriaco, o meglio sulle sue retrovie
fortificate a difesa della Val di Pejo nell'eventualità di una
discesa delle truppe “regnicole” dalla Val Montozzo o dal
PassoSforzellina.
Ma ecco apparire, sotto di noi, sul
versante opposto un bel maschio di cervo con il suo minuscolo harem.
Subito si allontana preceduto dalle femmine e dal cucciolo e
osservandolo con il binocolo scorgiamo, lontanissima anche una volpe
che risale lentamente il pendio cacciando insetti o chissà che
altro.
Poi nel cielo appare un grande uccello
scuro. Si è staccato dalla Cima Frattasecca e volteggia lento sopra
di noi. E' l'aquila dice il mio amico ma così non è... La sagoma
non è quella dell'aquila, è diversa, meno sottile e slanciata, più
tozza... Ma certo, certo... è il raro gipeto di cui tanto si dice e
che finora mai avevo avuto occasione di osservare...
Ancora qualche ampia voluta e il gipeto
scompare dietro le creste rocciose.
Proseguiamo raggiungendo il pianoro
dove il sentiero si biforca e qui ci fermiamo. Una traccia prosegue
verso il Bivacco Meneghello e la Cima del S. Matteo, l'altra,
decisamente più frequentata, arriva al Doss dei Cembri (punto di
arrivo di un impianto a fune) dopo aver attraversato le valli Cadini
e Taviela. E' questo il percorso denominato
“Senter dei Todeschi”
perché tracciato dai soldati austroungarici durante la prima guerra
mondiale.
Ci aspettavamo un incontro ravvicinato
con i camosci che generalmente stazionano quassù ma rimaniamo
delusi. Ricompare invece l'avvoltoio, il gipeto, che attraversa veloce la valle
passando sulla nostra verticale: chissà dove sarà diretto... vero
il passo Gavia?
Un violento e gelido vento ci costringe
a discendere. Sulla via del ritorno ci aspetta un ultimo straordinario avvistamento.
Un cervo maschio in compagnia di una
femmina e del suo piccolo ci osservano tranquilli seminascosti tra i larici. Poi,
lentamente si nascondono nel folto del bosco.
Incontro veramente eccezionale vista
l'ora.
Mezzogiorno è ormai passato da tempo, il sole ha iniziato la sua
lenta discesa e anche noi, decisamente soddisfatti per la bella
giornata e i molti emozionanti avvistamenti, caliamo a valle.