Primavera in Val di Pejo

Fine maggio nel Parco Nazionale dello Stelvio: a Malga Saline, Seroden, Lagostel e Zampil.

Sono salito qualche giorno fa, con il mio amico Germano, nei dintorni di Malga Saline. Partendo, di buon mattino, dal piazzale della chiesa di Pejo Paese, in pochi minuti abbiamo raggiunto la cinquecentesca chiesetta di S. Rocco con il suo ex cimitero austroungarico per proseguire poi, per poco più di un’ora, tra gli ultimi prati falciabili, radi lariceti e a seguire tra fitte fustaie miste di resinose, fino ai pascoli di Malga Saline. E’ questa di Malga Saline, una zona che frequento raramente, che poco conosco, ma che mi ricorda i tempi in cui da ragazzo, salendo al Rifugio Vioz,  attraverso l’antico sentiero che partiva da Pejo Paese, sostavo con la comitiva, sul piazzale della malga per rifocillarmi con una tazza di latte appena munto, prima di riprendere il lungo cammino verso la cima. Oggi si compie una buona parte del percorso comodamente seduti in seggiovia e non è più indispensabile pernottare al rifugio come un tempo ma si riesce comodamente  ad effettuare l’ascesa al Vioz e la discesa nella stessa giornata.



Raggiunta la malga, ho imboccato un bel sentiero quasi pianeggiante che taglia in quota il versante destro della Val de La Mare, portandomi, in breve tempo, al Lagostel e successivamente  nella valletta del Rio Zampil. La neve copriva ormai solo piccole superfici permanentemente in ombra o  le aree di accumulo delle valanghe ma i pascoli e le rade macchie di larici di altitudine accennavano appena a rinverdire. Qua e là, tra le erbe secche si osservavano i primissimi fiori primaverili, crochi dove la neve si era appena sciolta, qualche primula tra le rocce, genziane, anemoni…



Poi, improvvisa, la fuga di un camoscio e l’apparire di alcuni altri esemplari. Pochi per la verità, vecchie femmine, qualche giovane, con il pelo arruffato, in fase di muta, dal colore indefinibile. E’ questo il periodo delle nascite e le femmine gravide si ritirano in luoghi appartati e difficilmente raggiungibili per partorire in tranquillità. Più avanti ritorneranno a raggrupparsi costituendo branchi più o meno numerosi e stabili.


Infine il ritorno, per la stessa via, con una veloce digressione al soprastante Sas della Stria, osservando e fotografando l’ampio panorama che spazia dal gruppo del Brenta alle cime contigue alla Presanella , al gruppo del Monte Boai e Redival, alla val Comasine e alle altre vallette che precipitano nel lago artificiale del Palù. Poi i monti del versante sinistro della Val De La Mare, opposto al nostro: Il lago del Carezer, la cima Cavaion, le malghe Verdignana, Levi, Bolche, il Passo Cercen, le cimette sopra la Val Cadinel.  Panorama ampio, bello e interessante ma non paragonabile ad altri stupendi, che caratterizzano il parco Nazionale dello Stelvio in Val di Pejo.
Si tratta di un masso coppellato che si trova poco a monte della Malga Saline, lungo il vecchio e frequentato sentiero che conduceva alla Cima Vioz, prima che i moderni impianti di risalita ne mutassero il percorso accorciandolo di molto.
Antichi massi coppellati si trovano in altre località della valle ma la loro funzione rimane oscura e nonostante gli studiosi abbiano formulato numerose ipotesi  nessuna è risultata provata e risolutiva.
A mio ricordo il Sas dela Stria si trovava  isolato al centro di un bel pascolo d’alta quota, portava le indicazioni bianche e rosse del sentiero, ed era uno dei punti di riferimento e di  sosta degli escursionisti.
Oggi si trova  nel mezzo di un tornante della strada bianca e della pista da sci artificialmente inerbita che scendono dal Dos dei Cembri, dopo essere stato per anni a distanza di pochi metri dalla stazione di partenza di una sciovia ora dismessa ma di cui rimane comunque la “bella impronta” nel pascolo. Inoltre il Sas dela Stria porta indelebili i segni di un grave danneggiamento dovuto probabilmente all'azione di una ruspa intenta ad aprire la strada al progresso. C’è quindi quasi da rallegrasi, ahimè, che l’impeto distruttore di pascoli e boschi in pieno  Parco Nazionale dello Stelvio, nell’ aprire nuovi impianti e nuove piste da sci per la gioia dei turisti “su e giù” con gli sci ai piedi e soprattutto per l’interesse immediato degli albergatori, lo abbia parzialmente risparmiato… Esultiamo… e riflettiamo sulla sensibilità naturalistica e culturale degli impiantisti e affini...

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Forte Barbadifior


Esattamente cento anni fa il Regno d’Italia entrava nel conflitto europeo già in atto da quasi un anno dichiarando guerra all’Impero Austroungarico di cui il Trentino faceva parte. La Val di Sole si trovava quindi, già da tempo, coinvolta in quei tragici accadimenti  che stavano sconvolgendo l’Europa e aveva iniziato a pagare il suo tributo con il sangue dei suoi uomini inviati, volenti o nolenti, a  combattere in terra di Galizia.   Anche per ricordare a modo mio, questo evento, senza le celebrazioni retoriche che in genere accompagnano tutte le  ricorrenze, ho pensato di salire, qualche giorno fa, al fortino Barbadifior a Peio Terme, per  scambiare qualche parere con il mio amico, su quei tristi tempi, e qualche impressione osservando e fotografando ciò che rimane di questa austroungarica struttura fortificata.  


Struttura ubicata in un sito molto particolare, su un’altura, su di uno sperone roccioso a controllo dello sbocco della val Del Monte, lungo la strada che porta al Fontanino di Peio, a una quota di 1.600 m, sulla destra orografica del torrente Noce. In caso di sfondamento della linea del fronte, con l’eventuale aggiramento del Passo del Tonale attraverso la Forcella di Montozzo, il forte, in sinergia con le forze arroccate sul versante opposto, in Frattasecca e a Pian Vegaia (il quest’ultima località era previsto un secondo forte che non fu mai realizzato), avrebbe dovuto bloccare, o quantomeno rallentare, la discesa delle truppe dalla Val del Monte impedendo loro l’invasione della vallata. 




Questa il compito strategico assegnato al forte Barbadifior che, in realtà, durante la guerra, svolse solo la funzione di casermetta. La sua costruzione iniziò ben prima dello scoppio del conflitto mondiale, credo verso il 1880 ma fu parzialmente rinnovato tra  il 1906 e il 1907, a dimostrazione di come l’Impero Austroungarico prevedesse fin da allora il possibile capovolgimento delle alleanze in atto.
Ancora oggi il fortino, posto sull’orlo del burrone, è ben visibile da lontano e domina, dall’alto del roccione, il fondovalle e da lassù lo sguardo del visitatore può spaziare su un ampio panorama in direzione di Peio e dei suoi monti. Ormai è ridotto ad un rudere, impenetrabile e osservabile solo dell’esterno. Ma più che le bombe delle forze italiane e il trascorrere del tempo, anche qui,  come in tante altre situazioni, poterono le azioni distruttive dei valligiani, dei recuperanti , alla ricerca e raccolta di materiali necessari per la loro sopravvivenza nel periodo del primo dopoguerra. Ma questo forte è ancora là, in alto sopra la valle, minuscolo ma ben individuabile, a ricordo del doloroso periodo bellico, quasi ad ammonirci sulla necessità di vigilare e all'occorrenza di impegnarci nel ricercare soluzioni pacifiche alle contese per non finire, magari inconsapevolmente, travolti da tragedie come quella che coinvolse anche le nostre popolazioni cento anni fa.


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Il forte “Barbadifior” si raggiunge salendo da Peio Terme in automobile in direzione del Fontanino, per circa un chilometro, fino al parcheggio di Malga Termenago e proseguendo poi a piedi per un brevissimo tratto fino ad imboccare sulla sinistra la stradina che scende dapprima fino al torrente Noce per poi salire sull’altura fortificata (tempo di percorrenza a piedi circa 30-45 minuti).

Al laghetto di Covel



Il tempo sembra ben promettere, il cielo si presenta abbastanza sereno,  e con l’amico Germano si decide di approfittarne per esplorare la zona di Covel in quel di Peio Paese.
Coel con la sua estensione pianeggiante di prati falciabili, il suo laghetto, la piccola cascata e la malga delle capre dista poco più di un chilometro dall’abitato.
Partendo dalla piazza della chiesa, si supera inizialmente una ripida salita, costeggiando la collinetta di S. Rocco che con la piccola antica chiesetta e l’ex cimitero di guerra austroungarico merita una sosta per il notevole interesse storico e paesaggistico del luogo. Si prosegue quindi su una larga e panoramica strada bianca in costante lieve salita fino a raggiungere alcuni vecchi masi e quindi finalmente l’ampia spianata prativa di Covel.  
Il paesaggio è vario e attraente: il giallo intenso dei ranuncoli botton d’oro e il blu carico delle genziane spiccano tra il verde dell’erba primaverile già alta; le tenero foglie delle betulle e i nuovi aghi dei larici dipingono i versanti di un morbido verde pastello. Sullo sfondo ci appare una piccola cascata, formata dal rivo che discende vorticoso tra alberi e rocce: la raggiungiamo in pochi minuti. Il tempo si sta guastando: le nubi temporalesche e le nebbie avvolgono ormai le montagne sovrastanti, Punta Cadini, Taviela e Vioz: peccato… Poco distante fa bella mostra di se il laghetto di Covel  dove ci spingiamo velocemente per ammirare le cime che vi si specchiano, Palon Val Comasine, Cima Forzellina, Monte Redival, che incombono su Peio Fonti e sulla val del Monte fino al lago del Palù. La catena di questi monti appare parzialmente coperte di neve ma ancora sgombre dalle nuvole che a poco a poco avanzano oscurando il cielo per intero.
Ci portiamo alla Malga Covel che, più avanti con la stagione, in estate, ospiterà le numerose capre della Società Alpeggio di Peio, per la gioia dei turisti e dei buongustai, amanti del formaggio caprino di montagna. Decidiamo infine, nonostante il tempo non prometta nulla di buono, di salire verso la Malga Strabisorte, segnata sulla nostra carta escursionistica. Dovrebbe trattarsi di una malga da tempo abbandonata, solo ruderi, ma la curiosità è molta. Imbocchiamo il sentiero per Tarlenta e raggiungiamo la “Croce dei Cacciatori” e quindi, abbandonato il sentiero battuto, per tracce antiche e appena riconoscibili, individuiamo e ci portiamo lentamente nella radura che ospita veramente i resti di una antica malga. Purtroppo il tempo si è definitivamente guastato e i monti sono scomparsi dalla vista. Peccato perché il luogo è interessante e dominato dalla imponente cima Taviela il cui contorno si riesce di tanto in tanto a malapena ad intuire.

Discendiamo e, ritornando verso casa, tra le nebbie che a tratti si aprono, ci appaino, sul versante opposto,  le rosse reti di delimitazione e protezione che costeggiano lunghi tratti delle piste da sci Doss dei Cembri-Tarlenta.  Un rosso vivace e impattante sullo sfondo del suo contrastante colore complementare, il  verde del pascolo e del bosco… La nebbia si dirada ed ecco un enorme traliccio sulle rocce e la stazione di arrivo della nuova funivia Peio 3000, lassù in alto sopra i Crozi del Taviela, ed infine, contro il cielo, ecco anche le funi portanti dell’impianto… E’ la "bella impronta" lasciata dallo sviluppo del turismo invernale, che con l’inclusione di attività e strutture estranee all’ambiente,  rischia di snaturare i fondamenti di un parco naturale, il Parco Nazionale dello Stelvio

E’ vero che la popolazione della valle vive anche di turismo, e che quindi, in una certa misura sono necessari piste e impianti di risalita sui suoi monti ma è pure vero che un parco naturale non ha nulla a che vedere con tutto ciò. La convivenza tra queste diverse esigenze appare quindi difficile e foriera di ambiguità. A questo punto, si potrebbe addirittura arrivare ad auspicare,  una  disaggregazione dal Parco delle zone in quota eccessivamente  antropizzate dallo sfruttamento turistico… Si, perchè altrimenti si potrebbe anche pensare che il Parco Nazionale dello Stelvio, svuotato dei principi fondanti, stia assumendo il ruolo di “specchietto per le allodole”, proponendosi solo come un altisonante ma vuoto richiamo pubblicitario per l'attività turistica della zona, senza alcuna vera consistenza nell’offerta naturalistica e paesaggistica e nella proposta  educativa.

Malga Covel: la malga delle capre

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L'orto botanico in Derniga




Vale veramente la pena visitare l’orto botanico in Derniga. Si raggiunge comodamente in mezzoretta di facile cammino a piedi su una bella strada carrabile partendo dalla chiesa parrocchiale di Ossana. Io preferisco salire per il sentiero che dal “Sant” ( si imbocca dalla strada provinciale che da Fucine conduce a Ossana, alla fine della salita della “pontera”) porta allo spiazzo panoramico del  “Belvedere” per congiungersi subito dopo alla strada carrabile. Per il ritorno scelgo di solito il percorso pianeggiante che su di un largo sentiero va a congiungersi alla strada della Val Piana per la quale mi porto poi in paese.


L’orto botanico è una recente, bella realizzazione del Comune di Ossana che,  grazie all’intervento del “Servizio ripristino e valorizzazione ambientale della Provincia”, ha recuperato il vecchio orto forestale (di cui si ha notizia fin dai primi del ‘900), ormai in disuso da moltissimi anni. Oggi non sono più necessarie la giovani piante di resinose e latifoglie prodotte negli orti forestali da trapiantare manualmente in bosco come si faceva in passato. La moderna selvicoltura naturalistica non prevede più la rinnovazione artificiale del bosco e tranne in casi particolari, viene favorita, mediante opportune metodologie di  utilizzazione produttiva , la dinamica che porta alla rigenerazione del bosco per disseminazione naturale.



Una passeggiata in Derniga è consigliabile a tutti, anche a chi non fosse interessato a visitare l’orto botanico per conoscere alberi, arbusti e piante erbacee dei monti della valle. Salendo si attraversano belle e fresche fustaie di abete e larice, si può godere di  alcuni scorci fra i più belli del territorio di Ossana e infine si può sostare nei dintorni dell’orto in aree da picnic ben attrezzate. Il percorso tocca inoltre parte della “Passeggiata nel tempo” animata, in estate, da aiuole fiorite, ciascuna dedicata ad un vecchio mestiere ora perduto.  Questa passeggiata è inoltre caratterizzato dalla presenza tra un’aiuola e l’altra di attrezzatura e mezzi antichi, necessari per la sopravvivenza di un tempo e permette quindi di conoscere e riscoprire  i vecchi lavori ormai scomparsi.



La Derniga costituisce anche l’ultima tappa del “percorso bresadolano” dedicato ad Uno dei personaggi più illustri della Val di Sole, don Giacomo Bresadola, in quanto questa era una delle località in cui si recava per la ricerca dei funghi da analizzare. Il Percorso Bresadolano è costituito da cinque tappe che attraversano l’intera valle seguendo il cammino fatto in vita da don Giacomo Bresadola. Prima tappa è l’abitato di Magras, il paese in cui egli venne nominato curato negli anni ’70 dell’800; in questo luogo Bresadola venne infatti iniziato allo studio dei funghi dall’amico Padre Giovannella da Cembra, un frate cappuccino del convento di Malé. Altre tappe fondamentali del percorso sono i boschi delle “Tovare” di Terzolas e de “La Gnoca” di Carciato, altri punti preferiti per la raccolta dei funghi, e ovviamente il paese di Ortisè, il piccolo abitato nel comune di Mezzana che diede nel 1847 i natali a questo presbitero tutt’ora considerato come il padre internazionale della micologia. (s.z.)



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Il regno delle marmotte





La Val di Strino, nei pressi di passo Tonale, è un habitat ideale per le colonie di marmotte.
Questo è il tempo dell’amore per questo simpatico sciuride. Uscito da poco dal letargo invernale è in piena attività. Alterna momenti di pastura ai giochi frenetici, ai veloci inseguimenti, alle finte lotte tra i giovani e alle vere lotte tra i maschi dominanti per il possesso delle femmine, agli atteggiamenti  particolarmente espansivi tipici del periodo riproduttivo.




Ritorno dopo solo due settimane nel “regno delle marmotte”. Mi ero ripromesso di attendere almeno un mese ma vista l’insperata giornata di tempo discreto e la brevità del percorso ho improvvisamente deciso di effettuare un’escursione non programmata in questa zona. La valle è deserta; non vedo altri escursionisti, l’epoca del turismo di massa è ancora lontana così come la stagione dell’alpeggio in malga. Le cime, i crinali dei monti ma anche i  pascoli più alti e sono ancora parzialmente coperti di neve.


Le marmotte sono molto numerose, sempre vigili, pronte a lanciare i loro poderosi fischi d’allarme. Il disturbo di un solo estraneo è però relativo e con un po’ di attenzione, muovendomi con tranquillità e cautela e mantenendomi a debita distanza, posso osservarle e fotografarle mentre sono immerse nelle loro consuete attività.
Riesco a immortalare anche il volo di un astore che ispeziona la valle uscendo di tanto in tanto dalle fitte fustaie di aghifoglie. Poi raccolgo immagini dei bellissimi fiori primaverili, crochi, anemoni, genziane… che spuntano qua e là sui prati che accennano finalmente a rinverdire.




I piccoli di marmotta, hanno ormai quasi un anno di vita. Escono dalle tane e timorosi, prudenti  ma anche molto curiosi, prendono lentamente confidenza con chi li osserva da vicino e a poco a poco iniziano a brucare qualche filo d’erba, sbadiglino, si sgranchiscono, puliscono e lisciano la pelliccia, abbandonandosi poi alle abituali imprese. Fino a quando non sbuca la madre che, percepita la presenza estranea, fischia spaventata e li spinge sotto terra… per ricomparire assieme a loro non appena l’intruso si allontana per osservarlo e controllarlo da lontano.






Fauna e flora in Val di Strino
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Marmottina curiosa
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Giochi di marmotta
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Le buone erbe

Da sempre in primavera raccolgo le buone erbe che crescono nei prati e nei boschi della valle, nell’attesa che, nel mio orto, maturino rapanelli, insalate, radicchi, zucchine e molto altro ancora. Sono “erbe” spontanee, quelle che cerco, molto gustose e che si prestano a svariate preparazioni culinarie. Generalmente impiego le ortiche, gli asparagi di bosco e i bruscandoli nei risotti, il tarassaco crudo per insalate variamente condite, il crescione, molto piccante, in piccole quantità nelle insalate, per gli gnocchi e gli strangolapreti  uso ortiche, spinaci di monte e silene, inoltre talvolta conservo sott’olio gli asparagi di monte e il radicchio dell’orso. Ma chi più ne ha più ne metta…  

Utilizzo questi ottimi vegetali non solo per il piacere della gola ma anche per le loro proprietà nutrizionali e perché la loro raccolta comporta lunghe, piacevoli e soprattutto salubri camminate all’aria aperta.

Quasi tutte le fotografie sono state scattate nei dintorni del "Fil" durante alcune mie uscite alla ricerca delle "buone erbe".

Asparago di bosco (Aruncus dioicus) "Spargi" nel dialetto locale
Radicchio dell'orso (Cicerbita alpina)  "Radic dell'ors" nel dialetto locale
Spinacio di monte - Buonenrico  (Chenopodium bonus-henricus) "Comede" nel dialetto locale
Ortica (Urtica dioica) "Ortighe" nel dialetto locale
Silene - Grizol (Silene vulgaris) "Sciopeti" nel dialetto locale
Tarassaco o Dente di leone (Taraxacum officinalis) "Zicorie" nel dialetto locale
Luppolo - Bruscandolo (Humulnus lupulus) "Ligabosc" nel dialetto locale
Crescione d'acqua (Nasturthium officinale) 

Solitamente, se la primavera è piovosa, nei boschi di latifoglie dove crescono gli asparagi si trovano numerose le spugnole del pioppo (non fanno parte del genere Morchella ma sono classificate nel genere Verpa) Il loro sapore è analogo a quello delle vere spugnole (morchelle varie) che in zona sono alquanto rare e io le uso in piccole dosi e dopo lunga cottura, per preparare risotti o sughi per le tagliatelle e così fanno, da sempre, i fungaioli locali. Ho però scoperto, consultando vari manuali e siti Internet, che alcuni micologi ne sconsigliano o addirittura ne vietano l’impiego considerandole tossiche o quantomeno sospette. Quindi attenzione! Non è detto che dobbiate necessariamente imitarmi…e ricordate che la raccolta delle "erbe" e dei funghi è regolamentata da precise normative che sono particolarmente restrittive per la raccolta del radicchio dell'orso e dei funghi.

Spugnola dei pioppi (Ptychoverpa bohemica) "Spongiola" nel dialetto locale
Per aromatizzare la grappa utilizzo un'altra erba primaverile che cresce abbondante nelle fustaie di resinose.  Per una bottiglia sono sufficienti tre quattro steli fioriferi.

Asperula (Galium odoratum)