La casa avita di Francesco Guardi a Mastellina


Francesco Guardi ritratto da Pietro Longhi






Sorge nel centro del paese di Mastellina, piccola frazione del Comune di Commezzadura, la casa signorile della famiglia nobiliare dei Guardi, dove nel 1678 nacque Domenico, il padre dell’artista Francesco.
Francesco Guardi venne alla luce a Venezia nel 1712, dove i Guardi si erano trasferiti da Vienna dopo che avevano lasciato definitivamente e da tempo la Val di Sole,  ed ebbe l’occasione di visitare la casa dei suoi avi a Mastellina solo in tarda età, nel 1778 e forse anche nel 1782.



Anche ad un occhio inesperto come il mio appare evidente che del massiccio pallazzotto dei Guardi, ancora oggi adibito a civile abitazione, sono rimaste parzialmente immutate nel tempo solo le facciate del piano terra e del primo piano. Più in alto l’edificio ha subito interventi di rimaneggiamento o forse addirittura di sopraelevazione.  Inoltre sul fianco sinistro è stata edificata un’ala che forma un angolo retto con il prospetto principale. Restano dunque di sicuro interesse solo il portale d’ingresso, gli avvolti con il selciato originale, alcune porte e finestre con stipiti, cornici e davanzali in pietra, una pittura murale che rappresenta una Madonna con il bambino e il profondo pozzo coperto sulla destra dell’entrata.

Due piccole targhe commemorative in pietra, poste in alto, ai lati del portale nel 1908 e nel 1993 ricordano che qui visse la famiglia dei Guardi. Inoltre una bacheca, all’esterno del cortile, oltre a descrivere le caratteristiche architettoniche dell’edificio che ospitò gli avi di Francesco, riporta anche la biografia dettagliata del pittore e dei suoi più stretti famigliari.



Riprendo dal sito del “Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo” parte del post pubblicato in occasione della mostra “Francesco Guardi nella terra degli avi  Dipinti di figura e capricci floreali” tenutasi al Castello del Buonconsiglio di Trento nell’autunno del 2012.
Santo in adorazione dell'eucarestia (Castel Thun)
…… Quando Francesco Guardi nasce a Venezia il 5 ottobre del 1712, suo padre Domenico, capostipite della famosa famiglia di pittori, ha lasciato da più di vent’anni la sua terra natale, la valle di Sole, dove nacque a Mastellina, oggi comune di Commezzadura, nel 1678. Domenico, che morirà quattro anni dopo, è un modesto pittore ormai al termine della carriera di copista dei grandi artisti veneziani del Cinquecento, mentre il figlio maggiore Gianantonio (che nel 1712 ha 12 anni) bazzica nella bottega del padre per carpire i segreti del mestiere. Se Domenico non riuscirà a toccare livelli di eccellenza, i figli raggiungeranno invece risultati stilistici assoluti e Francesco diventerà uno dei più importanti maestri del vedutismo veneziano settecentesco. Oltre ovviamente a Venezia, i più famosi musei del mondo, dal Louvre all’Hermitage, dalla National Gallery di Washington e Londra al Metropolitan di New York, conservano sue Vedute e Capricci. La famiglia Guardi giunse a Venezia da Vienna, dove Domenico si era recato nel 1690 per studiare pittura presso l’accademia dei fratelli Strudel. Dopo il matrimonio e la nascita del primogenito Gianantonio (1699-1760), la famiglia Guardi si era stabilita definitivamente a Venezia. La prima notizia dell’attività di Francesco si riferisce a una serie di copie da celebri dipinti antichi, eseguite nel 1731, assieme al fratello Antonio, per la nobile famiglia Giovanelli. A questa data la bottega dei Guardi proseguiva nel solco dell’attività inaugurata dal padre Domenico. Dopo le prime comuni esperienze nell’ambito della bottega familiare, le carriere dei due fratelli si dividono e prendono direzioni diverse: mentre Antonio continuerà a dedicarsi, con esiti di altissima qualità, alla pittura di figura, Francesco si volgerà, sull’esempio di Canaletto, al vedutismo, genere di più larga fortuna, che il pittore
Paesaggio della val di Sole con torre e barche in riva al lago
saprà interpretare con geniale originalità, eclissando per lungo tempo la personalità del fratello, rivalutata solo in epoca recente. Il legame con il Trentino rimarrà tuttavia vivo: sarà infatti lo zio don Pietro Antonio Guardi, parroco di Vigo di Ton, a commissionare alcuni dipinti a soggetto sacro ai due nipoti. Di questa importante e rara attività si conservano in Trentino i più significativi esempi: le lunette con l’Apparizione dell’angelo a san Francesco d’Assisi, e la Lavanda dei piedi nella sagrestia della parrocchiale di Vigo di Ton (1738), Santo in adorazione dell’Eucarestia (San Norberto) in Castel Thun (firmato sul verso) e la pala dei Santi Pietro e Paolo nella parrocchiale di Roncegno (1775). 
Nelle lunette di Vigo, eseguite nel 1738 in collaborazione con il fratello Antonio, emerge, per la prima volta, un altro importante filone di attività di Francesco, sul quale la critica si è a lungo dibattuta, ossia la produzione di nature morte di fiori, che innova i modelli delle note composizioni floreali di Margherita Caffi ed Elisabetta Marchioni......



Guarda  le fotografie in Google Foto con i testi della bacheca posta all'esterno della casa dei Guardi.

Oltre le cime... il cielo

Il cielo oltre le vette… oltre le cime dei monti, oltre i prati, i boschi, gli alti pascoli.

Il mio paese è là dove passano le nuvole più belle.
(Jules Renard)
Il cielo sopra la valle. Il cielo dai mille colori all’alba e al tramonto.  Il cielo attraversato dalle forme mutevoli e bizzarre delle nubi. Il cielo dalle infinite, fantastiche varietà di sfumature dipinte dai raggi del sole. Il cielo limpido, sereno… il cielo blu…



La stella del mattino, Venere, alta sopra le cime, nel cielo scuro prima del sorgere del sole.
Il cielo del crepuscolo mattutino, oltre i monti di levante, sfumato dai toni rossi e gialli al turchino.
La valle ancora affogata nel buio.
Il cielo di ponente, opaco e piatto.
Le montagne dai colori spenti che si accendono al sole nascente.
La luna che si dissolve nel chiarore della luce del giorno.



Cumuli e i nembi che salgono turbinosamente oltre le creste.
Il cielo luminoso di un pomeriggio estivo, soleggiato e afoso, che muta velocemente in tempestoso e nero.
Un violento acquazzone dalle nubi buie e cariche di pioggia.
Fulmini che squarciano il cielo e tuoni che vibrano, profumo di terra, vento fresco che scompiglia i cappelli, pioggia e grandine che battono furiosamente.
Ultime gocce dal cielo e riecco il sole più brillante che mai.
Un magico luminoso ponte attraversa la valle.
L’arcobaleno si alza nel cielo. 


Le strie biancastre, sottili, quasi trasparenti dei cirri.
Il cielo a pecorelle disseminato di batuffoli bianchi ben allineati.
La liscia, grigia distesa nuvolosa degli altostrati.
Le forme bizzarre, ondulate o fibrose degli altocumuli.
Le nubi lenticolari durante le giornate di forte vento…
Le nebbie che avvolgono la valle e la rondine che vola in alto nel cielo pallido.




Nubi basse, grigie, cielo pesante, spento.
Fiocchi bianchi e leggeri.
Magia della prima neve.
Le nubi si dissolvono.
Il sole esce tra le nebbie, libero, padrone del cielo, illuminando la valle imbiancata.
Silenzio e profumo di neve fresca.



Sole morente che tarda a nascondersi dietro i monti.
Ombre sempre più lunghe.
Buio nella  valle con il calar del sole.
Nubi dorate, infuocate che avvolgono le cime dopo il tramonto…
Cielo arancione, rosso, violetto, caldo e forte del crepuscolo vespertino.
Oscurità.
Alone delle alte, sottili nubi attorno alla luna piena.
Brillantezza smagliante delle stelle e biancore appena percettibile delle cime innevate nel cielo sereno e cupo della notte.


Dio scrive il Vangelo non solo nella Bibbia, ma anche sugli alberi, e nei fiori e nuvole e stelle.
(Martin Lutero)

Passeggiate ed escursioni per fissare qualche immagine del cielo sopra le cime della valle...
Il cielo “sopra” la Presanella e le cime circostanti da Cima Cadì, dai laghi di Strino, di Cellentino, di Ortisè e dai loro dintorni. Il Peller, il Sasso Rosso, le Dolomiti di Brenta dal lago di Ortisè e dai pascoli delle Pozze ma anche (seppure lontani) da Cima Cadì e da Malga Saline. Dal fondovalle, lungo la ciclabile che porta a Cogolo, il Boai, il Vioz, il Taviela e la Cima Cadini. Dal sentiero delle Pendege la prima neve verso il Tonale. Dalle finestre, dal balcone e dal giardino di casa molte altre immagini.

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Ossana: Castel S. Michele e... il Tempio di Gerusalemme

Una voce fuori dal coro
  
Il Castello di S.Michele come il Tempio di Gerusalemme? Una sconsiderata, paradossale visione, una quasi blasfema simmetria che mi è balenata in mente visitando poco più di un anno fa, alla fine di dicembre 2014, il cortile del Castello arrangiato a mercatino di Natale in occasione della bella rassegna dei presepi che da tempo si tiene per le strade e per le “corti” del paese. Si, perché, sia il mercatino di Natale con le sue casette così fuori luogo all’interno del severo maniero, sia la confusione degli ospiti intenti agli acquisti, a consumare bevande e altro, a scambiare, talvolta chiassosamente, chiacchiere e auguri in un sito così austero (mi viene da dire quasi laicamente sacro), avrebbero meritato nella mia ironica e provocatoria immaginazione (ma con la terza età, l’ammetto, forse un po’ troppo bacchettona) un intervento simile a quello del Cristo nei confronti dei mercanti e degli acquirenti nei cortili del Tempio di Gerusalemme… Non fosse altro perché l’attività  commerciale (anche il mercatino di Natale bene o male lo è) con annessi e connessi mi sembrava inopportuna in un luogo dove, durante gli impegnativi lavori di consolidamento e restauro, si erano rinvenute delle sepolture ed  erano apparsi i resti della  cappella di S. Michele.  Non certamente una preghiera (ci mancherebbe! Non siamo in un santuario…) ma una certa considerazione rispettosa mi sembrava proprio dovuta. Si… doveroso rispetto, perché il sito del castello è una cosa seria, non è il paese dei balocchi, incarna la storia della valle, ricorda le antiche, talvolta drammatiche vicende degli abitanti che ci hanno preceduti. La visita (o assalto?) al castello, a parer mio, non doveva essere incentivata omologandola alla partecipazione ad una sagra, allo shopping della “fiera dei 7” o, guarda caso, del mercato di S. Michele del 29 settembre.








“Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe…”









"Forzatura !  Esagerazione !  Il Castello come il tempio di Gerusalemme !  Ci mancherebbe ! 
( Stracciamoci le vesti ! )"

E’ evidente che si tratta solo di una mia fantasiosa, paradossale e, forse un po’ troppo irriverente e impertinente provocazione.
Resta comunque mia ferma opinione che non sia opportuno banalizzare la fruizione di un bene comune di notevole interesse (anche se non paragonabile ad altri più prestigiosi e intatti come ad esempio Castel Thun) con trovate di grande richiamo ma non consone al luogo, con l’unico obiettivo di attrarre un numero sempre maggiore di persone (quando, oltretutto, in paese scarseggiano le strutture pubbliche e private per l’accoglienza…). Non contano solo i numeri (la “quantità” è importante ma spesso da sola non fa “qualità”)… e poi… i numeri oggi ci sono ma in futuro? Quando la curiosità sarà appagata e le mode cambieranno cosa ci inventeremo? Certo… con qualche altra interessante pensata potremmo magari (s)valorizzare ulteriormente il sito… semplice… si potrebbe, ad esempio, far confluire sul colle del castello ogni attività, di qualsivoglia “qualunquemente” natura…trasformandolo in monumento tuttofare adatto per ogni occasione e per ogni stagione… Sarebbe sufficiente un pretesto qualsiasi e la nostra creatività non avrebbe limiti e non ci potrebbero essere esitazioni nel conseguire un obiettivo ben interiorizzato come quello dei “grandi numeri” e dei supposti vantaggi economici ad essi connessi.
Ma lasciamo i possibili sviluppi ad un incerto futuro e ritorniamo ai giorni nostri, o meglio al passato prossimo… all’estate scorsa, quando accanto alle belle e centrate iniziative si sono visti anche eventi (pochi in verità ma pur sempre troppi) poco appropriati o non all’altezza. Alcune attività hanno banalizzato l’utilizzo del sito al punto di configurare, secondo la mia modesta e rigida valutazione, un uso  inappropriato di questo importante bene storico e culturale. Quello del castello non è, a mio avviso, purtroppo l’unico esempio di gestione e fruizione più o meno inadeguata e talvolta inappropriata (e forse anche troppo costosa) del patrimonio storico, artistico e ambientale del paese…
Ritorniamo alle manifestazioni del periodo natalizio dello scorso anno. Belli i 100 e più presepi simbolo di pace, per le vie del paese, suggestivi negli antichi avvolti (anche se molti presepi, visti e rivisti)…  belli i cori, i concerti e tutti gli eventi collaterali alla mostra dei presepi… e bello e interessante anche il mercatino di Natale con tante cosette altrove introvabili… ma (se non si fosse compresa la mia opinione la ribadisco nuovamente) non dentro il castello! Proprio no! Per le casette del mercatino ci sono tanti spazi caratteristici e pittoreschi lungo le vie e nelle piazze del paese...
Come mi piacerebbero venisse regolata la fruizione del S. Michele in futuro?  Questa la mia idea (o il mio sogno) per quello che conta: abbandonare i mercatini e le attività che suonano pretestuose all’interno del castello e perfezionare l’opera di restauro e di apertura al pubblico realizzando un centro visitatori degno di questo nome con bacheche, video, audio, immagini, biblioteca minima, mostra dei reperti ritrovati durante il restauro (o almeno le loro fotografie) e che ne so… mille altre “cose” che aiutino a conoscere a fondo il castello (com'è ora e come doveva essere in passato...), la sua storia e le sue leggende.  Al suo interno organizzare solo attività coerenti e di spessore, poche ma buone…. Fantasia e creatività  a briglie sciolte (e denaro… ben speso in questo caso), messe positivamente a frutto per qualificare e nobilitare veramente e in modo durevole un bene prestigioso e unico senza sminuirlo e impoverirlo (bruciandolo) con iniziative culturalmente misere e che lasciano il tempo che trovano.
"Facile a dirsi..."
Lo comprendo bene... è facile a dirsi ma non è facile a farsi... Ci sono certamente progetti e attività più popolari, di sicuro successo numerico e più semplici da portare avanti, progetti e attività a portata di mano...che magari creano anche più consenso... però...
però... vale la pena di riflettere, perchè, forse ci potremmo accorgere che, nel medio e nel lungo periodo, svalutare i gioielli del posto, banalizzandone l'utilizzo potrebbe, a lungo andare, risultare rischioso e poco conveniente anche economicamente…

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Al nuovo bivacco "Stalon de Bon"




Metà novembre. Il cielo è coperto da un velo di nubi che filtrando i raggi del sole appiattiscono il paesaggio. L’atmosfera è tardo autunnale. Non c’è neve sul sentiero che partendo dalla “Val Piana”, a monte di Ossana, conduce a "Bon" ma gli ontani bianchi, i noccioli, i saliconi, gli aceri e più in alto i sorbi, le betulle e gli ontani verdi sono completamente nudi e sembrano attendere che una abbondante nevicata li rivesta. Il forte vento dei giorni passati ha strappato le ultime foglie  e ha prostrato le alte felci ormai brune e rinsecchite. I larici hanno perso il bel colore dorato di fine ottobre e i loro aghi si staccano svolazzando nella brezza mattutina, poi cadono investendomi mentre procedo, impegnato faticosamente nell'ultima escursione della stagione con l'amico di sempre.

Siamo diretti al “Bait Stalon de Bon”, il bivacco recentemente realizzato dopo che la valanga ha travolto quello, quasi nuovo, di “Caldura”, nella stessa zona ma collocato sul versante opposto. Alla fine di giugno avevo già tentato di raggiungere il “bait” ma giunto nella conca di “Bon”, ormai prossimo alla meta, avevo dovuto desistere perché il torrente “Foce”, in piena, non aveva consentito un attraversamento in sicurezza per la mia attrezzatura fotografica. Oggi sono certo di poter raggiungere questo nuova costruzione che mi è stato detto essere veramente meritevole di una visita. Nessun problema in vista: la portata del torrente che, di tanto in tanto, si intravede scorrere più in basso, è ben piccola cosa rispetto a quella della mia salita d’inizio estate.




Avanziamo. Dopo poco più di un’oretta di cammino, su di un sentiero a tratti ripido, tortuoso e sconnesso, ai piedi dei “Crozi dei Meoti", sbuchiamo in “Anziana”, la stretta vallecola, sempre suggestiva nonostante la giornata uggiosa e i colori smorti dell’autunno inoltrato. Il tracciato è ora  più agevole e velocemente (meno di mezz’ora) raggiungiamo “Bon” dove com’è tradizione sostiamo. Ora il sentiero si biforca: sulla sinistra si sale verso “Caldura”, il “Monte Giner” o il “Passo del Cagalatin”.




Noi proseguiamo sulla destra e attraversato con estrema facilità il torrentello saliamo brevemente in direzione di “Venezia” (“Lago di Venezia”), da dove si potrebbe proseguire per il “Passo Scarpacò” (e quindi per i “Laghi di Cornisello”), o per il “Bochet dell’Omet” (per scendere al “Lago Piccolo” e al “Lago di Barco”) o per il bivacco “Jack Canali” e la “Forcella La Venezia”.




Una ventina di minuti e siamo di fronte, quasi all’improvviso, al nuovo bivacco. Veramente bello… è stato innalzato in fondo allo “Stalon di Bon”, o meglio all'estremità dei suoi resti ripuliti e consolidati (la stalla risalente a un’ottantina di anni fa, era da tempo dismessa e caduta in rovina. In tempi lontani ospitaava il bestiame “asciutto” all’alpeggio tra “Bon” e “Venezia”).


Solido e confortevole questo baito... Su due piani, provvisto di cucina economica (fornela) con tanta legna ben protetta all’esterno, tavola con panche, credenza, otto comodi posti letto con coperte, illuminazione elettrica (?), acqua e servizi igienici all’esterno, possibilità di barbecue all’aperto con grande tavolone rustico sulla vecchia pavimentazione della stalla. Ottimo lavoro: complimenti e riconoscenza a chi ha avuto l’idea e preso l’iniziativa e a chi ha collaborato e faticato nei fine settimana di più estati (cacciatori, alpini in congedo, vigili del fuoco e molti altri volontari) e naturalmente al Comune che ha approvato e finanziato l’opera.






Il bivacco è ubicato in una località molto interessante per una gita da “Val Piana” ma soprattutto in posizione favorevole come punto di appoggio per i cacciatori (anche fotografici...) o come tappa intermedia per lunghe e più impegnative escursioni.




Il cielo si è rasserenato ma è quasi ora di rientrare: le giornate sono ormai molto brevi, viene subito sera. Due panini e un bicchiere di vino e con il mio amico scendo velocemente a valle… giù fino in “Val Piana” dove ci attende l’automobile.
Resta il ricordo della scoperta di questo nuovo bivacco il "Bait Stalon de Bon" e nonostante il tempo incerto, di un'altra  bella escursione… peccato sia stata l’ultima della stagione…





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Antichi percorsi tra Deggiano e Montes

toccando i “Masi da Mont” di Deggiano e la Chiesa di S. Valentino










Antichi percorsi… antichi sentieri… ma quanto antichi? La loro origine si perde nel tempo come l’origine degli insediamenti montani dai quali si dipartono. Di Deggiano e Montes con la vicina Bolentina si trovano tracce in documenti risalenti al XIII secolo (“Dezano” nel 1213 – “de Montesio”nel 1200) ma è verosimile che in zona esistessero insediamenti molto più antichi. (Il dosso del “Castelìr” a monte di Deggiano fu probabile sede di un castelliere preistorico. – La chiesa di S. Valentino, tra Montes e Bolentina, è sorta probabilmente sui resti di un villaggio fortificato preistorico).

I sentieri che collegano i due villaggi, tagliando a mezza costa il versante più soleggiato della valle, sono quindi di origine molto antica e venivano percorsi dalle popolazioni residenti fino a qualche decennio fa, non solo per recarsi nei prati e nei campi terazzati, nei pascoli e nei boschi, ma anche per spostarsi rapidamente (senza scendere e risalire dal fondovalle) da un centro all’altro per i più svariati motivi: per prestare mano d’opera, per concludere affari, per presenziare alle funzioni religiose, per portare al mulino un sacchetto di granaglia, e poi il sabato notte, la domenica e in occasione di feste e sagre per “bere un bicchiere” in compagnia e giocare a carta nelle cantine e nelle osterie e per prender parte ai balli di paese avvicinando qualche matela (ragazza)…



Oggi sono tracciati meno frequentati ma non abbandonati. Il panorama  sulla media e bassa valle e sulle estreme propaggini del gruppo montuoso del Brenta attrae i numerosi turisti che popolano la zona nei mesi estivi invitandoli ad avventurarsi su questi sentieri non segnati, alla ricerca di passeggiate alternative a quelle più conosciute e pubblicizzate. Qui ora salgono gli ormai pochi residenti per “fare legna”, salgono i fungaioli e i cacciatori e qui, di tanto in tanto, si organizzano corse campestri e gare di mountain bike.



“Come sono cambiati i tempi” ripete l’amico che mi accompagna… Lui quassù ha faticato, fin da bambino controllando la mucche al pascolo e più tardi coltivando campi e falciando prati. Pascoli, campi e prati che non esistono quasi più… Il bosco sta avendo velocemente il sopravvento e riconquista dopo secoli, forse millenni, quello che l’uomo, con immani fatiche, gli aveva strappato. Il paesaggio sta radicalmente mutando. Alberi ormai maturi nei terreni abbandonati da tempo, erbacce, rovi, cespugli nei prati e nei campi da poco dismessi… L’intero versante a mezzogiorno della valle sta cambiando rapidmente aspetto. Così come il versante a settentrione con i boschi e i pascoli profondamente segnati dagli impianti e dalle piste da sci. In pochi decenni l’economia e con essa  il paesaggio della valle si sono totalmente trasformati. Non più agricoltura di sussistenza, estesa sull’intero territorio a sfruttare anche gli appezzamenti più erti, magri e lontani ma poche aziende zootecniche, necessariamente più grandi e ben organizzate. Poi il turismo e molte altre nuove attività… e, conseguentemente, abbandono dei paesi aggrappati alla montagna, belli, solatii ma tanto distanti dai servizi e dal lavoro. Belli e solatii, dai panorami mozzafiato, che tanto piacciono ai turisti per trascorrevi qualche settimana nelle case, nei masi, acquistati e ben ristrutturati.



Un cambiamento radicale che in pochissimo tempo ha rotto un equilibrio, ha rivoluzionato un modo di vivere fermo, sostanzialmente immobile da sempre e ha trasformato profondamente il paesaggio montano…  Che dire? Nostalgia per un mondo che non esiste più? Direi di no… Un mondo, quello dei tempi passati, sicuramente più solidale (non fosse altro per necessità), più ricco di relazioni umane, più a contatto con la natura ma dove si poteva sopravvivere solo a prezzo di durissime fatiche: solo così gran parte della popolazione riusciva ad evitare la miseria e l’emigrazione…



E il paesaggio? Fa impressione vedere come l’ambiente si trasforma di anno in anno. Non più l’alternarsi pittoresco dei prati, dei frutteti, dei campi e degli orti sul fondovalle e sui versanti assolati, non più il rosso e l’azzurro del papavero e del fiordaliso nei campi dorati, non più il volo dei maggiolini nelle serate primaverili e delle lucciole nelle buie notti estive … sono ormai lontani ricordi della mia fanciullezza. Il bosco invade la valle, occupa gli incolti, riconquistando il terreno che nei millenni aveva perduto.







Quasi in un ritorno alle origini la valle o almeno i suoi versanti recuperano progressivamente l’aspetto selvaggio che dovevano avere dopo l’ultima glaciazione. Un cambiamento che va talvolta limitato ma soprattutto controllato e guidato valorizzando i benefici effetti di un bosco ben strutturato sulla protezione del suolo e sulla riduzione dell’effetto serra attraverso il consumo di anidride carbonica da parte delle essenze forestali.
Certo… ma il mutamento in atto con la semplificazione del paesaggio e la scomparsa di ambienti antichi e ben curati è comunque una perdita e comporta inevitabilmente un certo rimpianto.



Lunga passeggiata guidata dal mio amico che della zona conosce ogni segreto. Da Deggiano si sale per la trattorabile ai “Masi da Mont”. Un bel nucleo di masi oggi abbandonati (tranne che per qualche scampagnata estiva) e in parte cadenti: peccato! Qui si imbocca il sentiero, non segnato, che porta, attraverso incolti e boschi, sopra Montes, sbucando sulla strada asfaltata nei pressi della bella chiesa di S. Valentino. Visitato il colle della chiesetta si scende, sulla stessa strada, tra prati falciabili, al villaggio di Montes (volendo si può, allungando il percorso, transitare anche per il paese di Bolentina). Attraversato l’abitato si rientra a Deggiano percorrendo un secondo sentiero parallelo al precedente ma a quota inferiore che sbuca nella parte alta del paese. Passeggiata della durata di almeno tre - quattro ore, su mulattiere e sentieri non segnati che richiedono l’accompagnamento o almeno delle chiare indicazioni da parte dei residenti o di chi ha familiarità con la zona.


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Camosci ai piedi del Cevedale

Nei pressi del Lago Lungo, nel Parco Nazionale dello Stelvio, con la neve di novembre.





Stupendi i camosci, nella loro scura livrea invernale, sui crinali che sovrastano il Lago Lungo, ai piedi del Cevedale, del Vioz, del Palon de La Mare, delle creste di Cima Marmotta e di Cima Nera.  Si stagliano splendidi, i camosci, contro il cielo limpido, contro le vette innevate... Riposano, pascolano e si inseguono sui pendii assolati, dove la neve si è sciolta, si inerpicano sugli ombrosi versanti rocciosi che precipitano ripidi sul fondovalle, dove scorrono tranquille le acque del neonato Noce Bianco.






E’ lontana la stagione dell’escursionismo di massa, delle lunghe, a volte chiassose, parate dei gitanti estivi. Ora, all’inizio di novembre tutto è silenzio, non si incontra anima viva. Grandi spazi e grande silenzio... si coglie l'anima della montagna...



l lago, gelato, è una lunga, immobile striscia d'argento. I dintorni, le praterie, gli sfasciumi, le rocce, sono solo parzialmente imbiancati dalla neve caduta abbondantemente a metà ottobre. Il sole e le miti temperature di questo anomalo inizio di novembre, li hanno infatti in parte liberati dal manto nevoso e, qua e là, a macchia di leopardo, sono ricomparse le erbe secche del pascolo per la gioia dei camosci, che, nella pace e nel silenzio dell’autunno, sono scesi delle cime ancora completamente innevate in cerca di cibo. Ora, all’inizio del periodo degli amori, qui indugiano in grande numero, riposando e pascolando.






Nel branco sono molti i piccoli dell’anno che seguono con incredibile agilità le madri anche sulle pareti più scoscese, tra rocce verticali e sottili lastre di ghiaccio. Poi, di tanto in tanto, si abbandonano a giochi selvaggi piroettando sulla neve con i coetanei.




E' il periodo dell'amore. I maschi dominanti percorrono in lungo e in largo la zona controllandola con sicurezza e imponendo la propria supremazia. Collo e testa eretti dominano le camozze con la loro postura intimidatoria. Altri maschi più giovani e meno possenti si aggirano nei dintorni cercando timidamente di avvicinarsi al branco.





Sulla via del ritorno, al tramonto, i camosci che colonizzano abitualmente la cembreta, nei pressi del Laghetto della Lama, escono all’aperto, per nutrirsi sui pascoli alti, a valle del lago artificiale del Careser. Ultime apparizioni, ai piedi della Cima Vioz, nell’ombra della sera, prima del buio, del popolo dei monti, il popolo dei camosci, che da molto tempo abita, rispettato e protetto, la Val de La Mare nel Parco dello Stelvio.






Sono salito da Malgamare (raggiungibile in macchina da Cogolo di Pejo) per il sentiero che porta al Rifugio Larcher. Dopo meno di un’ora, ai Piani di Venezia, all’altezza del ”baito” (posto di avvistamento del Parco dello Stelvio) ho lasciato il sentiero principale imboccando sulla destra il tracciato meno battuto che conduce al Lago Lungo che ho raggiunto tranquillamente in un’altra ora di cammino.  Proseguendo sarei arrivato in riva al Lago Marmotte per scollinare poi al Rifugio Larcher e da qui scendere al punto di partenza. Ho preferito scarpinare brevemente ma duramente, per pascoli e sfasciumi, fino a inserirmi sulla via pianeggiante, ben visibile sul versante sinistro del Lago Lungo, diretta al Lago Nero e poco oltre, più a valle alla Diga del Careser. Da qui il rientro con la discesa, una incessante successione di tornanti, fino a Malgamare.


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Obiettivi Pentax 300 mm f 4.0 e zoom  18-55 mm f 3.5-5.6

Sul Colle Tomino a Ossana

La Chiesa di S. Antonio, l’antica Via Crucis, e il Parco della Pace

“Mesta, dal suo nido roccioso nascosto dal verde di un boschetto di conifere, la chiesette di S. Antonio di Padova domina l’ampia conca tra Cusiano ed Ossana, e guarda e chiama con la sua campanella chi, dato un addio alla vita, cerca ai piedi di quel santuario,all’ombra silente dei pini una fossa tranquilla per il lungo sonno della morte”. Così lo storico solandro Giovanni Ciccolini descrive la Chiesa di S. Antonio sul Colle Tomino nel suo prestigioso libro di storia locale “Ossana nelle sue memorie”, edito per la prima volta nel lontano 1913, .






La chiesa di S. Antonio da Padova, costruita tra il 1686 e il 1718, è considerata l’edificio più significativo del barocco solandro. Ad una navata, con volta a botte affrescata dal pittore Giovanni Marino Dalla Torre, contiene tre altari di cui il maggiore, con quattro importanti colonne e una statua del Santo opera di Alessandro Prati è in marmo mentre i due laterali sono in legno dipinto. Ricche le decorazioni a stucco opera di Filippo Boni e numerose  le tele realizzate da Domenico Bonora di Cavalese che adornano le pareti della chiesa.
Tra il 1733 e il 1739 vennero eretti i capitelli dell’emozionante percorso della Via Crucis lungo una stradina che dal piano sale alla sommità del colle.
Lateralmente all’entrata della chiesa è stato posto un singolare monumento a ricordo della tragedia aerea del Monte Giner, a monte di Val Piana, del 22 dicembre 1956.
Alle pendici di colle, a sera, con vista sul Castello di S.Michele, è ubicato il Cimitero Civile e al suo esterno, sul viale d’accesso, nel 1970 venne realizzato il monumento ai caduti con la bella statua bronzea del soldato morente opera del pittore e scultore solandro Livio Conta.




A mattina si trova il Parco della Pace, ex Cimitero della Prima Guerra Mondiale con il Monumento al Soldato Austriaco opera dello scultore tirolese Ohtmar Schrott-Vorst.
Larici secolari avvolgono da sempre le pendici del colle e donano all’insieme un aspetto suggestivo: vale la pena visitare questo sito anche solo per immergersi nell’ombra del bel lariceto
Un sito, il Colle Tomino, ricco di storia e di arte.
Qui si ricordano le persone che ci hanno lasciato, i soldati del paese caduti durante le due guerre mondiali, i morti della tragedia aerea del Monte Giner, i militari austroungarici deceduti durante il primo conflitto mondiale e che qui, dove ora si estende il Parco della Pace, furono provvisoriamente sepolti. 
Qui gli amanti dell’arte, delle cose “belle” soddisfano la loro passione e gli amanti della natura si rasserenano nel lariceto secolare e ammirano, dall’alto del colle, i boschi e i monti che circondano la vallata.
Qui i credenti percorrono mestamente le Via Crucis ricordando la Passione di Gesù e pregano nella chiesetta di S. Antonio e i non credenti, gli scettici e i dubbiosi si emozionano di fronte alla spiritualità che pervade questo luogo di pace…





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Informazioni dettagliate sul Colle Tomino, La Chiesa di S. Antonio, la Via Crucis e il Parco della Pace si possono trovare nel libro di Luciano Bezzi "Il cimitero austro-ungarico di Ossana", ma anche in "Ossana - Storia di una comunità" di U. Fantelli e A. Mosca e nel già citato "Ossana nelle sue memorie" di G. Ciccolini. Questi testi dovrebbero essere reperibili presso le biblioteche della valle.





A margine....


L'edicola della Via Crucis gravemente danneggiata dalla caduta di un larice
Riprendo dal sito internet “Trentino Grande Guerra – Il portale della Prima Guerra Mondiale” del “Museo Storico Italiano della Guerra” a Rovereto:
IN VISTA DEL CENTENARIO PARTE IL RESTAURO DI COLLE TOMINO AD OSSANA
Pubblicato il 20 gennaio 2012
Sono partiti i restauri del complesso monumentale di Colle Tomino ad Ossana. La Sopraintendenza per i beni architettonici, dopo aver eseguito numerosi sopralluoghi, ha deciso di affidare l’incarico all’architetto Andrea Lazzaroni. I lavori, che comporteranno una spesa complessiva di circa 260.000, interesseranno le edicole settecentesche del Calvario, le mura di cinta che sostengono l’intero complesso, ed il monumento ai caduti del primo conflitto mondiale. I lavori al monumento dovranno essere terminati entro il 2014 in vista delle celebrazioni del centenario dall’inizio della Grande Guerra.


Questo il racconto del mio incredibile colloquio con l’immagine del Cristo nel capitello semidistrutto della VI^ Stazione della Via Crucis sul Colle Tomino.

Così parlò l’immagine di un povero Cristo…

Qualche tempo fa, durante la discesa dalla sommità del colle verso il Parco della Pace percorrendo a ritroso la Via Crucis, udii un flebile lamento provenire da uno dei capitelli. Veniva senza dubbio dalla VI^ Stazione, “La Veronica che asciuga il volto di Gesù”, edicola gravemente danneggiata, qualche inverno fa, dal crollo di un enorme albero di larice e interamente avvolta da un telo più o meno impermeabile nell’economico tentativo di ripararla dalle intemperie. Sorpreso mi avvicinai e con cautela sollevai il telo scoprendo le rovine del capitello. Ero incuriosito e pronto a soccorrere l’animaletto in difficoltà, uccellino, gattino, cane o scoiattolo che si lagnava e che lì sotto doveva aver trovato rifugio. Nulla... Niente di niente... Pensai:
“Avrò sentito male”.
Stavo per andarmene quando la voce lamentosa si fece nuovamente udire:
“Dove vai ? Fermati… aiutami…aiutami…ti prego... aiuto!”
Sbalordito e spaventatissimo esclamai:
“Chi è ? Ma chi parla ?"
Miracolo dei miracoli! I miseri resti dell’immagine del Cristo caduto non solo sotto il peso della croce ma anche sotto un pesante larice stavano parlando, mi stavano supplicando.  Rimasi di stucco… No, non era possibile, si trattava sicuramente di una allucinazione… tremavo tutto…  La voce riprese con più vigore:
“Tranquillizzati... non temere... non avere paura, sono Io, l’immagine del Cristo… non vedi come sono ridotta? Aiutami se puoi! Non bastavano le botte, gli insulti, la corona di spine, il peso della croce che devo trascinare fin lassù, sulla cima del Colle Tomino… anche un pesante larice doveva cadere sulle mie povere spalle che già sopportano il peso di tutti i peccati del mondo… Ora, come vedi, sono malconcia, mi sto a poco a poco sbriciolando e sono costretta anche a sopportare questa umidità che mi provoca mille dolori reumatici… Sono anni che mi trovo in questo stato… due, tre, quattro anni, non ricordo più… Confidavo che l’immagine della cara Veronica potesse aiutarmi asciugando non solo il mio volto ma anche l’umidità che c’è qui dentro ma come vedi anche lei si sta decomponendo tutta, al pari mio”
Sogno o realtà? Ero sconvolto, non sapevo proprio che dire. Se ben ricordo, mi sembra di aver aggiunto tutto intimorito, quasi a giustificarmi:
“Ma io cosa posso fare? Sono un pensionato, posso fare ben poco: solo far conoscere la Tua sofferenza, raccontando dei Tuoi lamenti a quei pochi che vorranno ascoltarmi e soprattutto credere ad un attempato vecchietto. Comunque coraggio… Non disperare... Abbi fede… perché sono certo che tra non molto tutto si sistemerà”
“Si, lo voglio credere anch’io, devo avere fede e speranza”.
Disse alquanto rincuorata la figura del Cristo e così proseguì:
“Anche perché sono quasi certa, qualcuno di fiducia me l’ha assicurato, che chi di dovere si è da tempo attivato e dal lontano capoluogo dovrebbero salire quassù, a breve, dei bravi restauratori per sanare le mie ferite. Ma quanto tempo dovrò ancora aspettare? Mi sto sminuzzando sempre più. Confido comunque molto nella gente di qui che certamente ha preso a cuore la mia precaria situazione, e credo solleciti ogni giorno l’intervento dei capi del capoluogo dove tutto si decide perché inizino ben presto i lavori veri, prima che sia troppo tardi. Si, gli abitanti di qui devono essere addolorati e penso si impegnino a fondo per salvare me e l’intera Via Crucis. In primis gli amministratori che, io ben Io so, sono sempre attenti a incentivare con "belle" pensate le visite ai gioielli del posto e così presumo saranno impegnati notte e giorno a sollecitare l’intervento di restauro delle edicole di questo luogo, così ricco di storia, in modo da attrarre in futuro un grandissimo numero di turisti per la gioia e il  benessere economico di tutti i censiti. Poi almeno qualcuna delle associazioni e  delle devote persone, che realizzano ogni anno decine di presepi per le vie del paese o che depositano immagini e statuette dei santi e dei componenti della Mia Sacra Famiglia nei boschi e nei dintorni dei villaggi, penserà sicuramente anche alle Mie precarie condizioni e si preoccuperà per la triste sorte delle immagini sacre di questa antica Via Crucis e agirà quindi di conseguenza... No, credo che nessuno mi abbia abbandonata e molti in paese si staranno sicuramente attivando per far si che la mia situazione non peggiori ulteriormente e che in tempi brevi, incalzando chi di dovere, mi si ridoni un pochino di salute… Però non posso non pensare, ma magari mi sbaglio, perché tecnico non sono e sono solo abituata a volare alto... dicevo che non posso non pensare che, nel frattempo, si poteva porre, sopra la mia martoriata e inumidita testa, una semplice tettoia... e volendo, si potrebbe collocare anche adesso un semplice riparo... che seppure in ritardo non guasterebbe... ma forse pretendo troppo… o sarebbe un intervento superfluo ?”.
Ero sconcertato da questo fiume di parole...
“Non sono proprio in grado di valutare ma sono convinto che tutto si aggiusterà, ne sono sicuro."
Dissi e continuai più o meno così:
"Tu lo sai, io non sono particolarmente devoto. Disapprovo ad esempio le croci svettanti sulle vette di molti dei nostri monti, non mi piacciono, le cime sono belle, pure e nude, così come chi rappresenTi le ha create, e poi chissà… un giorno queste croci potrebbero entrare pericolosamente in competizione altimetrica con le mezze lune di altre fedi, non sarebbe il primo caso... Non sono particolarmente devoto Ti dicevo ma questa Via Crucis, pur non essendo un artistico capolavoro, mi piace proprio … questo è un posto intriso di pace e di spiritualità che induce a riflettere… Sono, come sai, un frequentatore abituale del Colle Tomino. Chissà quante volte mi avrai visto girovagare pensieroso in questo luogo di pace e di meditazione. Sarebbe una grave colpa, un peccato mortale, quasi un sacrilegio, giudica Tu, che l’incuria degli umani lo abbandonassero a se stesso ancora a lungo…  ma certamente non è così, devi avere fiducia… devi avere  fede e speranza, come già Ti ho detto e anche molta carità, grande misericordia, nel comprendere e perdonare l'inadeguatezza e il ritardi di noi umani. Vedrai che dal capoluogo prima o poi giungeranno le persone in grado di rimetterTi in sesto. Da parte mia posso solo far conoscere a quei pochi che leggono i miei scritti la Tua sofferenza e la Tua  più che giustificata impazienza…”
13 novembre 2015



26 aprile 2016















Sicuramente il "povero Cristo" della VI^ stazione della Via Crucis si sentirà rassicurato e più sereno.

















26 aprile 2017







Un altro anno è trascorso...
e dell'immagine del “povero Cristo” nella VI^ stazione della Via Crucis ben poco rimane...


Mi rivolgo timoroso a ciò che resta dell'immagine ma non ottengo risposta, come temevo....
Io l'avevo illusa, l'immagine del Cristo, molto tempo fa, rassicurandola e garantendole che ben presto chi di dovere sarebbe intervenuto per sanare le sue ferite ma è evidente che finora ben poco è stato fatto. Quindi, giustamente, l'immagine si sarà indispettita, irritata nei miei confronti e non intende parlarmi. Ma no... forse non è così... lei sa comprendere e perdonare... Forse l'immagine del Cristo si è semplicemente del tutto disciolta... semplicemente non vive più... è morta.





La pioggia che oggi scende sul Colle Tomino, dopo mesi di siccità, potrebbe essere il segno tangibile del suo dolore, potrebbe essere il frutto del suo pianto. Le gocce che precipitano copiose dal cielo potrebbero essere le sue lacrime, lacrime di dolore che ci ricordano le nostre inadempienze, la nostra incomprensione davanti alle sue sofferenze.
Ma io resto ottimista. La povera immagine del Cristo prima o poi risorgerà, ritornerà in vita e allora, chissà... forse vorrà ancora parlarmi...
Del resto, durante quest'ultimo anno, qualcosa, in verità molto ma molto poco, è stato fatto per ridare lustro a questa storica Via Crucis. Piccoli, minimi lavori ma che denotano, si spera, la buona disposizione ad intervenire per il recupero l'intero complesso monumentale del Colle Tomino. Comunque restano “lavori minimi”, irrilevanti, che certamente non corrispondono alle necessità e alla premura che una situazione tanto degradata richiederebbe. Chissà... si dice in giro che chi di dovere sia povero, che manchino i denari. Sarà anche vero ma come mai i denari per strani progetti, per altri interventi meno urgenti se non inutili, per iniziative poco rilevanti e attività talvolta futili si riescono sempre a trovare? Come mai? Esistono delle priorità... anche questo si dice in giro...

26 aprile 2018
Trascorso esattamente un altro anno, l'ennesimo, rieccomi ancora una volta davanti alla VI stazione della Via Crucis: “La Veronica asciuga il volto del Cristo”. Ormai dell'immagine del Cristo e di quella della Veronica non è rimasto quasi nulla... Però, finalmente, pare ci siano “buone nuove”...
A breve, così riportano i mass media, dovrebbero iniziare i tanto sospirati lavori di consolidamento e restauro della VI^ edicola e dell'intera Via Crucis... è trascorsa solo una decina d'anni. Se si fosse intervenuti prima, se si fosse, fin dall'inizio e, con opportuni criteri, adeguatamente protetta l'edicola dall'umidità che ha sminuzzato il dipinto, l'immagine del Cristo forse si sarebbe potuta salvare, almeno parzialmente. Forse... dico forse, perché la mia è solo un'opinione, un parere di persona del tutto incompetente. Resta il fatto che dall'evento rovinoso è inutilmente passato molto tempo senza che nulla si facesse, il degrado si è via via dilatato e ora lo stato di abbandono e disfacimento è ben percepibile anche agli occhi di un incompetente.
I "media" dicono che l'intera spesa per i lavori di restauro ricadrà sul bilancio comunale, dicono che l'amministrazione comunale si è accollata l'intero costo dell'intervento di risanamento (onore al merito) perché chi sarebbe, a suo tempo, dovuto intervenire, laggiù, nel capoluogo “dove tutto si decide”, dopo le promesse e i progetti, si è reso latitante (questo ancora si dice) per carenza di spiccioli. E questo riportano i mass media locali... A questo punto non posso non chiedermi come la nostra ricca Provincia non sia riuscita in tutti questi anni a trovare quattro denari da sacrificare sull'altare della conservazione e valorizzazione di un sia pur secondario “monumento”, una settecentesca Via Crucis certamente non di artistica fattura ma che è comunque, per noi valligiani, un “segno” importante del nostro passato. Quello che è grave e che laggiù, nel capoluogo dove tutto si decide, i denari sembra che non manchino... naturalmente per interventi di altro genere per i quali naturalmente si riescono sempre a trovare... soprattutto per finanziare interventi a sostegno di un sviluppo che, nelle nostre valli, viene spacciato per sostenibile (si parla dell'ambito turistico) ma che in realtà, a mio giudizio, troppo frequentemente si rivela poi paesaggisticamente e ambientalmente deleterio. Un solo, recente, esempio, sempre rifacendomi a quanto diffuso dai vari "media". Una bella somma (se ho ben compreso, circa 12-13 volte più del costo dei lavori di sistemazione della Via Crucis in questione) sarà destinata al rifacimento del trampolino di salto con gli sci a poca distanza dal nostro Colle Tomino. E' un'opera considerata importantissima, un intervento a quanto pare indispensabile (cosa sarebbe al giorno d'oggi una valle trentina senza il suo bel trampolino da cui volare inverno ed estate... tutti ne sentirebbero la mancanza). Sì, penso anch'io che il trampolino tutto considerato sia importante ma esistono delle priorità... e investire sul proprio patrimonio storico, conservare e valorizzare ciò che resta del nostro passato, è sicuramente, a parer mio, una di queste priorità dove, quindi, sarebbe necessario spendere “prioritariamente” il denaro pubblico. Ma spendere lì, forse, paga meno, elettoralmente...
Cosa sarebbe oggi una valle trentina senza i “segni” del suo passato, compresi i segni del “sacro” comunque lo si intenda? Cosa sarà di una popolo, che abbagliato solo dalle luci di un fatuo progresso, dimentica le sue origini, il suo passato, la sua storia? Spesso si usa dire che se un popolo dimentica il suo passato non ha futuro... sarà vero?

26 aprile 2019

E' trascorso un altro anno... esattamente un anno, dal 26 aprile 2018 al 26 aprile 2019. Nel frattempo, come già avevo segnalato, sono iniziati, eseguiti e, presumo, conclusi i lavori di consolidamento e restauro dell'intero complesso monumentale del Colle Tomino, dell'antica Via Crucis e dell'imponente struttura che sovrasta il Parco della Pace ex cimitero austroungarico ai piedi dell'incantevole altura. Un bel lavoro, davvero bello ma soprattutto un'opera indispensabile, invocata da tempo. Un'opera che l'amministrazione comunale ha portato a termine da sola, in proprio, senza l'intervento finanziario che gli organi provinciali avevano concesso e poi negato prolungando così i tempi di attesa dei lavori di risanamento. Almeno per quanto ne so...
Ora, finalmente si può affrontare la salita del Colle Tomino, costeggiando i capitelli rimessi a nuovo, senza il timore di deprimersi... ed è appunto quello che faccio oggi, 26 aprile, con l'ombrello aperto, sotto una pioggia fitta ed ininterrotta.



Sostando, per qualche istante, davanti alla VI stazione , l'edicola colpita dalla caduta di quel larice che la danneggiò una decina d'anni fa, non posso però non dispiacermi, ancora una volta, osservando, sul suo fondo, ciò che rimane dell'affresco (o pittura che sia) che un tempo ritraeva la Veronica intenta ad asciugare il volto del Cristo. Di quella immagine restano solo poche croste colorate che non lasciano nemmeno lontanamente intravedere ciò che un tempo contribuivano a rappresentare.
Ed è così che, per qualche istante, la mia mia stravagante mente vede solo lacrime nelle gocce di pioggia che mi martellano in continuazione. Pesanti lacrime di dolore che il Cielo invia sulla terra. Un pianto ininterrotto... il pianto del Cielo davanti ad una perdita così preziosa, davanti ai miseri resti dell'effige del Cristo. La stessa effige che, alcuni anni fa, quando era ancora ben percettibile, fu in grado di parlarmi (così almeno volle la mia immaginazione)... che mi si rivolse lamentandosi del suo precario stato, lagnandosi dell'umidità che a poco a poco la stava dissolvendo... quell'effige che io ingenuamente rassicurai, che illusi prospettandole una guarigione ormai prossima, vicinissima. Così purtroppo non è stato... e ora il Cielo piange.
L'immagine del Cristo non è “risorta” a nuova vita e dispiace pensare che se si fosse intervenuti prima, nei limiti del fattibile subito dopo l'evento calamitoso, proteggendo il capitello dalla neve, dalla pioggia, dalle infiltrazioni (e bastava una semplice tettoia) probabilmente la figura del Cristo si sarebbe potuta salvare. Ma tant'è...




Ottimo il lavoro di risanamento complessivo della Via Crucis ma, a ben guardare, il lavoro non è del tutto finito... La II edicola, “Gesù è caricato della croce”, a suo tempo pure gravemente danneggiata dal crollo di quel famoso larice secolare, non è stata ancora riparata. Non vorrei, o meglio non vorremmo attendere altri dieci anni...



31 maggio 2020
 




Ultimissimo aggiornamento con più di un mese di ritardo rispetto ai miei annuali consueti interventi. Ritardo dovuto all'impossibilità di raggiungere il Colle Tomino per la pandemia da coronavirus.
Pur essendo al corrente dell'intervento di restauro effettuato da tempo sulle pitture di tutte le edicole della Via Crucis (di tanto in tanto quel lavoro l'ho pure seguito “disturbando” l'opera delle restauratrici) ho comunque voluto attendere la solita scadenza per potere corredare il mio “racconto” con le fotografie della nuova situazione.

Dopo il conclusivo risanamento di tutte le edicole della Via Crucis sono certo che anche l'immagine del Cristo della VI Stazione, “la Veronica asciuga il volto di Gesù”, sia soddisfatta, o comunque sicuramente più serena... Come per magia, il dolente viso del Cristo, come quello della pia donna, sono emersi dalle umide croste che, nonostante tutto, ancora li contenevano...








Peccato che parte della scena sia andata definitivamente perduta. Poteva andare peggio ma pure meglio se si fosse intervenuti per tempo... Comunque, dopo ben un decennio d'attesa, si può essere contenti dell'opera finalmente e definitivamente portata a termine...