Mufloni in Val di Sole?


Certamente. I mufloni sono da tempo presenti in val di Sole. Da molti anni li osservo e fotografo sui versanti del Monte Boai, quando in inverno e in primavera scendono a valle in prossimità dei paesi. Bellissimi ungulati, soprattutto i maschi con le loro enormi corna ricurve. Ma cosa fanno nella nostra valle questi animali estranei alla fauna locale? Sono turisti provenienti  dalla Sardegna, loro zona d’origine fin dal neolitico? No. Semplicemente sono stati immessi  per scopi venatori. Per il diletto dei cacciatori. Per l’emozione di una fucilata andata a segno. Per esibire un magnifico trofeo.



Pratica pericolosa quella di alterare la situazione faunistica con specie alloctone. Pratica che spesso ha provocato danni incalcolabili: basti pensare alla abnorme diffusione del cinghiale o delle nutrie (specie questa diffusasi per motivi accidentali e non venatori…). Si pensi alle specie ittiche alloctone che tendono a sostituire quelle autoctone. Si pensi al dibattito sulla presenza dello scoiattolo grigio nordamericano...



Non ho alcun titolo per valutare ma penso che probabilmente il muflone, pur essendo specie estremamente rustica, possa entrare in concorrenza alimentare con altri ungulati diminuendone la  presenza. In effetti ho osservato che il numero dei caprioli nelle zone occupate dal muflone è di molto calato. La presenza del muflone potrebbe forse essere una delle cause del decremento dei caprioli sulle Pendege. Se ciò corrispondesse al vero la popolazione del muflone andrebbe ben gestita e tenuta sotto controllo.



Anche se l'insediamento del muflone nella valle non sembra aver creato finora grossi problemi è mia opinione, di profano, che la biodiversità vada conservata e non inquinata con presenze di animali estranei ai nostri ambienti. Mi piacerebbe che venissero immesse solo quelle specie che, ora estinte, erano, un tempo, comuni sulle nostre montagne (come si sta facendo con lo stambecco in val di Peio). E poi un mio sogno: il ritorno dei predatori come la lince e con essi il ritorno ad una naturale e “vera” selezione sulle popolazioni di ungulati. Un riavvicinamento ad un equilibrio ecologico governato il più possibile dalla natura e non dall'uomo.



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Da Malga Pontevecchio a Malga Levi nel Parco Nazionale dello Stelvio





Bella escursione in Val de la Mare. Bel panorama sulla Presanella, Vioz, Cevedale. Consigliabile soprattutto all’inizio dell’estate o in autunno.  All’inizio dell’estate quando il rosso dei rododendri in fiore ravviva il nostro percorso o in autunno, a fine settembre, quando ci accompagna il bramito dei cervi in amore. In questo ultimo periodo, i larici assumono sembianze dorate. Brillano contro il sole ormai basso sull’orrizzonte rendendo il girovagare più vario e attraente.

L’orientamento del versante fa si che non venga illuminato durante le primissime ore del mattino. Purtroppo rimane in ombra, proprio quando è più facile avvistare e fotografare caprioli e cervi. Ciò nonostante, di buon mattino, ripercorro questi sentieri almeno una volta l'anno. In passato ho dormito più volte nella malga Verdignana per essere pronto all’alba a muovermi nel bosco circostante.

Su questi monti  ho trascorso (e ancora trascorro) momenti emozionanti in attesa, ai bordi delle radure o dei canaloni, dei selvatici, spesso in compagnia dei fratelli o di amici che nutrono la mia stessa passione. Pronto a fissare qualche immagine che rivedevo poi con piacere durante i mesi invernali, in città, nell’attesa di riprendere a girovagare, appena possibile, sui sentieri della Val de la Mare.










Posteggiata l'auto in loc. Tablà, ci si porta a malga Pontevecchio. Si prosegue su una ripida mulattiera (104 bis) fino alla malga Verdignana. Si prende il sentiero Italia che porta al Passo Cercen. In vista del passo si discende per altro sentiero a malga Levi. Il ritorno può avvenire su un percorso più a valle (140) che si congiunge al precedente in prossimità di malga Verdignana.


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La guida, “Escursioni - Parco dello Stelvio - Trentino e Alto Adige - Itinerari fuoriporta - di Paolo Turetti e Tiziano Mochen”, riporta un itinerario più lungo, che in parte si sovrappone a quello da me proposto.






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Al Fil






Fil o Spiaz dei Spini che dir si voglia. Già ne ho scritto in un altro post. Sono la meta preferite per le mie quotidiane passeggiate, da solo o in compagnia.


Camminare è una pratica salutare, inoltre, in primavera e in estate, si possono cogliere facilmente e in abbondanza, nei dintorni del Fil, asparagi di monte, spugnole e qualche bella “brisa”, senza dover scarpinare per ore su ripidi pendii.


Qualche volta porto con me, nei miei giretti, la macchina fotografica, così, senza un preciso scopo. Procedendo per  la stradina che porta al Fil e nei boschi e nei prati circostanti osservo e fotografo quello che mi attrae: i primi fiori primaverili, una rosa canina, delle farfalle, un fungo, uno scoiattolo… Sono affascinato in particolare dagli effetti di luce creati di raggi del sole che filtrano nel bosco tra i rami degli abeti. Il sottobosco si illumina all’improvviso e prende vita come d’incanto.


Anche il torrente che scorre accanto alla stradina può offrire  opportunità stimolanti se si è in grado di coglierle. Il merlo acquaiolo a caccia di larve di tricotteri, le luci e i riflessi autunnali, le sculture di ghiaccio nell’alveo invernale…




Poi, recarsi al Fil è piacevole anche perché lungo la stradina si incontrano sempre delle persone, turisti o valligiani: si fa o si approfondisce la conoscenza, si parla del  più e del meno, si fanno previsioni meteorologiche, si discute… quattro ciacole... qualsiasi argomento  va bene…






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Dopo la Pioggia

Frutti del Berberis dopo la pioggia
E’ bello camminare di buon mattino, dopo la pioggia della notte, per le stradine o per i sentieri che si dipartono dal paese.  L’aria è frizzante, il cielo terso, l’atmosfera  limpida. Talvolta sulle cime dei monti compare la prima neve. Si piglia la strada del Fil o quella del Forno. Possiamo anche recarci al Sant e proseguire verso il Belvedere e la Derniga. Ma se preferiamo dedicarci alla fotografia è preferibile scegliere il Colle Tomino con l’antica chiesetta di S.Antonio, i capitelli della Via Crucis e il Parco della Pace ai suoi piedi.
Dalla sommità del colle possiamo vedere gran parte dell’alta valle, verso est , rischiarata in controluce dal sole del mattino. Nei boschi, sui versanti, si formano le ultime nebbie, salgono, si scompongono e si dissolvono. Gli abeti zuppi di pioggia luccicano al sole. Il paesaggio è stimolante: ci esercitiamo e sperimentiamo a lungo con la nostra reflex. Oppure entriamo nel bosco… I raggi del sole filtrano tra i rami degli alberi e illuminano il sottobosco: gli arbusti, i muschi, i licheni, le felci, i funghi, i fiori… facendo brillare le gocce d’acqua che li coprono. Ci divertiamo ad osservare e a fotografare…




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Sul monte Boai

"Nente en Boai, endò che canta i gai?" (Andiamo sul Boai, dove “cantano” i galli?) era questa  la domanda ricorrente tra noi fratelli che, un po’ sul serio, un po’ per scherzo, ci facevamo all’inizio del mese di maggio, con il sopraggiungere della bella stagione anche alle quote più elevate.
Sul monte Boai
Si parla di molti, molti anni fa quando  era diventata nostra consuetudine salire, al primo pomeriggio, alla “baracca” sul monte Boai per trascorrervi la nottata e poter assistere il giorno successivo, di buon’ora,  alle danze dei galli forcelli. L’ascesa non era sempre facile. Lo zaino era smisurato e pesantissimo: vestiario abbondante e pesante per l’attesa mattutina al freddo, enorme sacco a pelo militare per la notte, fornelletto a gas e pentolino…, attrezzatura fotografica con cavalletto  In alto c’era di solito ancora molta neve, resa molle dal sole per cui si procedeva a fatica, con le racchette da neve ai piedi.  Il mattino successivo lo spettacolo dei galli di monte in competizione, sull’arena di canto, compensava però ogni sforzo.
La “baracca”, ormai abbandonata ma ancora in discrete condizioni, era stata il punto di appoggio, dormitorio e cucina, per gli operai che avevano, qualche anno prima, terrazzato i versanti del monte in funzione antivalanga.
Il balz sul monte Boai
Prima dell’alba, dopo una notte insonne, si lasciava il calduccio del rifugio e si scendeva  poco più in basso, ai margini del bosco, sui bordi del balz per assistere, ben nascosti , alle parate dei forcelli in amore Era ancora buio ma quando verso est, dove brillava la stella del mattino, spuntava un lieve chiarore risuonavano,  nel silenzio della montagna, i primi richiami del merlo dal collare. Poi nel buio si sovrapponeva  il rugolio del forcello e i primi acuti soffi…
Gli ultimi larici
Scrive Mario Rigoni Stern nel suo libro “Stagioni”: “Già qualche macchia bruna è comparsa anche verso le montagne più alte, e là dove il sole fa sentire di più i suoi raggi si stanno preparando le arene di canto per i galli di monte. … la loro veste è diventata più lucente, i colori più brillanti e più evidenti le caruncole rosse sopra gli occhi. Già isolatamente hanno incominciato a far sentire i loro segnali: sono come dei soffi. Si avvicinano al balz per le lotte di supremazia...Gli adulti si avvicinano con baldanza, i giovani se ne stanno discosti a vedere e a ascoltare per apprendere l’arte di quella lotta rusticana. I rivali escono dai mughi, scendono dai larici, osservano, lanciano qualche soffio di sfida, si avvicinano camminando o svolazzando verso il grande rivale che ha preso possesso del balz e ora stende le ali e le abbassa sino a strisciarle sul terreno, spalanca e alza la coda, la rovescia verso il dorso, fa vedere le piume bianche del sottocoda per esaltare riflessi e contrasti; fa alcuni passi, raspa il terreno con forti unghiate, gira in breve cerchio, il collo alto e la testa protesa hanno un fremito, spalanca il becco e ruglia... I rivali più forti escono in aperta sfida, non solo come esibizione di parata ma anche di lotta con colpi di zampa, di ali di becco… Le femmine che  hanno ascoltato i richiami e sono arrivate in silenzio escono svolazzando dai mughi o dagli ontani; i maschi le sentono presenti e allora aumentano le esibizioni che diventano bizzarre e vivaci e i suoni si vanno confusi e pazzi i movimenti della danza…” 



La danza dei marassi
Al sorgere del sole sull’arena restava  solo qualche piuma e le impronte dei combattimenti e delle danze. Si risaliva alla baracca ma lo spettacolo non era finito: più in alto, il maschio della pernice bianca lanciava il suo richiamo profondo e rauco, “grroo-groh” e se ci si  affrettava e ci si avvicinava con cautela si poteva avvistare qualche esemplare ben mimetizzato tra neve e rocce. Mattinata emozionante. Peccato che non sia stato passibile fissare qualche immagine decente sulla pellicola fotografica: troppo buio… Quando aumentava la luce, al sorgere del sole, i forcelli erano già volati tra i cespugli di ontano verde o nel bosco di larici sottostante. Si ritornava al paese. Si scendeva prima che la neve indurita sgelasse.
Durante un rientro più tardivo, ho potuto assistere ad uno spettacolo unico perchè credo non avrò altra occasione di rivedere: la danza dei maschi di vipera in amore. Si trattava di due marassi (vipera berus) intenti ad intrecciarsi cercando di atterrarsi a vicenda. Una teza vipera (la femmina?) attendeva a pochi passi. Mauro Corona descrive un analogo avvistamento nel suo libro “Cani, camosci, cuculi (e un corvo)”. Si tratta di vipere dal corno (vipera ammodites) presente solo sulle Alpi Orientali. “Cinque vipere dal corno, bellissime, lucide, perfette nell’eleganza erano uscite dai rovi che circondano il cason e si erano messe a giocare tra di loro elevandosi in una danza amorosa che aveva dell’incredibile. S’intrcciavano, s’annodavano, si rincorrevano con dolcezza senza alcun movimento brusco… Si levavano verticali come zampilli d’acqua e univano il capo tra loro in una sorta di bacio alla punta del naso…”
Da molti anni non ritorno su, alla baracca. Mi dicono che è stata risistemata. Sarà vero? Mi riprometto di ritornaci la prossima estate e forse proverò anche salire fino alla cima del Boai. Lassù si apre un scenario maestoso sul gruppo Ortles Cevedale, sull’ Adamello Presanella e sul Brenta. Questo monte di 2700 m di quota si incunea tra la Val di Peio e la prosecuzione della Val di Sole verso Vermiglio, quindi in posizione centrale e panoramica. Nel 2007 ho raggiunto, durante il mese di marzo (era una stagione eccezionalmente poco nevosa, una primavera precoce) la Malga Boai, senza però proseguire oltre. Di questa escursione ho postato il video. Le altre immagini sono disegni  e fotografie ricavate digitalizzando vecchie diapositive. La loro qualità è modesta per i motivi che ho spiegati in un altro post.


Ma da dove si parte per salire al monte Boai? Si può raggiungere la Val Comasine, sia dal paese di Comasine (bella strada forestale) che da Peio Fonti (il sentiero sale dal Belvedere) e proseguire oltre su tracce segnate e discretamente visibili, oppure si può scegliere la via che sale da Cortina di Vermiglio e attraversati i Masi di Dasarè conduce, su strada forestale, alla Malga Boai. Si procede oltre su di un discreto sentiero. Dalla cima si può scendere poi verso la Val Comasine. Da ragazzo salivo direttamente da Fucine. Non esiste sentiero se non nel tratto iniziale. Seguivo il displuvio ma era una faticaccia: ascesa veloce e panoramica ma troppo ripida, sconsigliata a chi ha superato i 25 anni!
I masi di Dasarè


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Camosci in Val de la Mare



Con l’amico Germano sono salito da Malgamare fin quasi alla Forcella Vedretta Alta. Erano parecchi anni che non mi cimentavo in questa impresa, perché quasi di impresa si tratta alla mia età. In passato questa era un’escursione che ripetevo almeno una volta all’anno, da solo o in compagnia. L’ultima volta fu molto divertente. Ero con mia figlia Elena e scendemmo a valle ”sciando” sui nevai per un lunghissimo tratto,  fino a raggiungere il Lago delle Marmotte. Era l’inizio di luglio e c’era ancora molta neve. Ricordo che in un’altra occasione io e Luigi, il compagno di tante avventure, facemmo il bagno in uno dei piccoli laghi che si trovano a quasi 3000 metri di quota: era l’estate del 2003, eccezionalmente calda.


Questa zona offre un maestoso panorama che spazia sulle cime del Gruppo Ortles-Cevedale: la cima del Vioz, il Palon de la Mare, Rosole, Cevedale,  Zufal, Gran Zebrù. Ma non solo. Qui è facile avvistare branchi di camosci, molte femmine con i loro piccoli. La distanza di fuga di questi animali nel parco dello Stelvio è ridotta rispetto alle zone aperte alla caccia. Il camoscio, come gli altri ungulati, qui è più facilmente avvicinabile, e si riescono a scattare delle buone fotografie ma manca l'emozione dell'appressamento, ad un animale reso più timoroso e sospettoso, fuori dei confini delle aree protette. In passato ho fotografato anche il raro picchio muraiolo che nidifica sulle ripidissime pareti rocciose che sovrastano la zona delle Pozze. In volo sembra una grande farfalla con le ali macchiate di rosso ed è veramente emozionante poterlo osservare. Capita anche di incontrare, raramente in verità, un ermellino o una pernice bianca.  


Ho qui postato le  immagini dell’escursione della scorsa estate. Sono soprattutto  fotografie di camosci ma ho immortalato anche lo straordinario paesaggio che si gode lungo il cammino (immagini HDR). Il percorso è quello indicato nella cartografia. Fino al Lago Lungo si segue un comodo e frequentato sentiero. Oltrepassato il lago si devia sulla destra, tra pietraie e piccole praterie fino a raggiungere il sentiero che dal Rifugio Larcher porta alla diga del Careser. Si cerca la segnaletica per la traversata al rifugio Dorigoni (Cima Lago Lungo – Vedretta del Careser). Si segue il sentiero, se così si può chiamare, e ci si inerpica fino alle Pozze. Percorso ripidissimo, sconnesso e confuso. Alle Pozze (numerosi piccoli laghetti) si lascia il tracciato segnato e ci si inoltra sulla sinistra, nella valletta seguendo i numerosi ometti. Non esiste sentiero ma tutto è intuitivo e facile. Per osservare i camosci generalmente è opportuno salire in cresta, sulla sinistra. Un
percorso alternativo prevede la salita dal rifugio Larcher al Lago delle Marmotte e alla cima Nera per poi raggiungere la Forcella Vedretta alta.  E’ questa un’escursione più suggestiva dal punto di vista paesaggistico ma probabilmente meno vantaggiosa per il fotografo interessato a riprendere i selvatici.


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El Foren de Noval

La località Forno, detta in dialetto “el Foren de Noval,”  si trova sulla pista ciclabile della Val di Sole a circa un chilometro da Fucine, verso Cogolo nella valletta di Pejo. Il toponimo ha origine dall’attività di fusione del materiale ferroso estratto dalle miniere di Comasine, attività che al Forno si protrasse a lungo, per molti secoli. In questa località  si poteva osservare, fino a tempi relativamente recenti, un altoforno di notevoli dimensioni. Era collocato dove ora sorge la dipendenza di una casa per ferie, appena  valle della ciclabile. Veniva alimentato attraverso un ponte in legno proveniente dall’edificio a monte, oro sede principale dell’albergo, che fungeva da deposito del minerale e del carbone. Sono pochi i segni superstiti di questa attività secolare: solo la traccia di una “roggia”, il canale per l’acqua  che alimentava con la sua energia un grande maglio di cui rimangono le due grosse pietre lavorate su cui poggiava.


Il ferro scavato nelle miniere di Comasine veniva trascinato al “Fôren” tramite slitte a mano.  Il carbone veniva prodotto invece nei boschi di tutto il territorio. Numerosissime sono ancora le “ajàl”, piazzole  che servivano a tale scopo. Basta rimuovere un po’ la terra in superficie e subito appare la terra nera indicante il loro utilizzo. La notevole attività legata all’estrazione del ferro richiamò in valle numerose persone, soprattutto dalle vicine valli lombarde.  Parliamo dei secoli XIV – XV e XVI.  L’attività mineraria e siderurgica proseguì però, tra alti e bassi,  fino a metà dell’ottocento. A Fucine avveniva gran parte della lavorazione del ferro in numerose officine alimentate dall’abbondante forza motrice prodotta dalle acque della Vermigliana.
Recarsi oggi al Forno e più oltre verso il bivio per Comasine è una bella passeggiata molto frequentata, non solo dai ciclisti: un tracciato che si snoda, nel suo tratto iniziale, tra prati e boschi e più avanti, oltrepassato “el Foren”, lungo la riva del  fiume Noce.  Il percorso, quasi pianeggiante al principio, si fa piuttosto ripido nei pressi della provinciale che conduce a Comasine. Poi, superata la provinciale, prosegue leggermente ondulato,  in fronte al massiccio del Vioz, fino al paese di Cogolo.  In estate, con il caldo, conviene percorrere la ciclabile di pomeriggio quando il sole è ormai occultato dal monte Boai che sovrasta la strada; nella stagione fredda è più opportuno passeggiare al mattino al tepore dei deboli e radenti raggi solari invernali.

Ho postato delle immagini HDR estive del Fiume Noce ripreso della ciclabile oltre il Forno. Altre fotografie ritraggono l’aspetto invernale della zona. Particolari i “fiori di ghiaccio”  fotografati  nei prati del Forno durante un inverno umido e particolarmente freddo.

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Cima Cadì

Ci troviamo al confine tra il Trentino e la Lombardia. La cima Cadì domina il Passo del  Tonale. Il suo versante medio-basso, ben esposto e soleggiato, ospita numerosi impianti di risalita con le relative piste da sci.

Sulla cima e sulle pendici della Cima Cadì e più oltre sui crinali fino a raggiungere  il monte Tonale Occidentale, erano arroccate, durante la prima guerra mondiale, le truppe italiane. Più a est, sull’Albiolo, sul Monte Tonale Orientale e giù verso il Forte Zaccarana era trincerato lo schieramento austroungaricco. Il paesaggio è tuttora caratterizzato dai segni lasciati dalla grande guerra: trincee ancora visibili e in parte ben conservate, caverne scavate nella roccia, profonde buche dovute allo scoppio delle granate, qua e là residui di filo spinato. Il tutto in un contesto ambientale di notevole  spessore.  Non solo per la  vista, incantevole in particolare verso il gruppo Adamello-Presanella, ma anche per la bellezza della vegetazione che ammanta  il monte con fioriture indimenticabili nella giusta stagione. Una flora molto varia, con rare specie endemiche e officinali. Tra queste l’erba iva (Achillea muschiata) e il genepì (Artemisia genepì) non comune sulle nostre montagne. Si è tentati di raccoglierne le infiorescenze per preparare il celebre liquore ma la normativa provinciale sulla protezione della natura lo vieta. Ci si limita ai pochi steli fioriferi consentiti, sufficienti comunque per aromatizzare una piccola, preziosa bottiglietta di grappa, evitando così di ricadere in errori giovanili… Le regole vanno rispettate. Certo che esaminando lo scenario che va dal Passo Paradiso al Passo dei Contrabbandieri attraverso il  Passo del Tonale c’è veramente da riflettere: non si può non rilevare come i numerosi impianti di risalita e le relative piste da sci,  che dal passo si arrampicano su fino ai ghiacciai o fino a lambire i confini del Parco dello Stelvio, abbiano gravato su questo ambiente alpino colpendo anche una flora considerata così preziosa e da proteggere.  Scavi e sbancamenti per le stazioni motrici e di rinvio delle seggiovie, per i sostegni di linea, per gli impianti di innevamento, per le strade di servizio, per le piste da sci, per il piccolo aereoporto…  Inerbimenti  artificiali… Mandrie di bovini e greggi di pecore al pascolo… Poi al passo quelle enormi torri, alcune bianche altre rosa, tante architetture diverse, casette in stile alpino, palazzi moderni … ma questa è un’altra storia…

Sicuramente nulla di illecito, tutto secondo le regole e nel rispetto delle normative. Ma c’è materiale su cui riflettere. Tira un brutto venticello. Si scende a valle con i 5 steli fioriferi regolamentari. Come è giusto.


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Per escursioni nella zona di Cima Cadì e Monte Tonale Occidentale si possono vedere questi siti: uno e due.

Ricordi di "caccia fotografica" in Val de la Mare





Ho raccolto i ricordi delle “battute” di caccia fotografica sui monti della Val de la Mare nel Parco Nazionale dello Stelvio. Si tratta di una selezione di immagini scattate molti anni fa durante le mie scarpinate nelle zone delle Malghe Levi – Verdiniana, del Cavaion, delle Lame, Piani Venezia, Laghi Lungo - Marmotte, Le Buse, Forcella Vedretta Alta, Cisa…


Sono immagini di modesta qualità, spesso poco nitide, sgranate, poco incise. Fanno quasi tutte parte dell’archivio che ho costruito nel 2007-08 digitalizzando con uno scanner e un procedimento "caserecci" tutto il mio materiale analogico dopo essere passato alla fotografia digitale. Unico scopo era quello di catalogare le diapositive per poter eventualmente recuperare a colpo sicuro quelle d’interesse dall'insieme ormai confinato in cantina.


Sono stato a lungo indeciso se utilizzare queste foto nel blog. Ho ritenuto infine che ciò che conta non è tanto la perfezione fotografica quanto ciò che le immagini mi ricordano ed emotivamente rappresentano.





Quando guardo queste immagini mi rivedo a camminare in compagnia dei miei fratelli, dei giovani figli, o dei miei compagni di avventure sui monti della val de la Mare. Di giorno ma anche a notte fonda. Mi rivedo, anche se i ricordi dei singoli episodi sono ormai confusi, all’alba, appostato in attesa che il cervo che ha trascorso la notte nei prati del fondovalle, risalga in quota per riparasi nel fondo del bosco: sempre pronto a scattare qualche dia anche se i tempi di esposizione risultano troppo lunghi. Mi rivedo a camminare sicuro sul sentiero nella neve o intento a rischiare oltrepassando il rio ghiacciato sull'orlo del burrone. Mi rivedo in estate, con l’amico ora scomparso, a bagnarmi nella gelide acque del laghetto quasi a tremila metri di quota. A trascorrere la notte nella malga per essere pronto di buon mattino ad esplorare le macchie di larici e cembri e le radure in cerca di cervi e caprioli…



Sono ricordi questi che mi invogliano a perseverare, seppure con i limiti dell’età, nella ricerca del piacere di un’alba o di un tramonto sui monti o nell'attesa trepidante dell’apparire improvviso del selvatico o del bramire dei cervi in amore nella notte…

Ripenso alle mie prime attrezzature fotografiche. Alla prima gloriosa reflex, la OM 20 Olympus con il misero catadiottrico Panagor  500 mm.  Poi le varie Pentax con il discreto 400 mm Sigma e il Tamron  70-210 che uso ancora. Ai vari treppiedi, uno più pesante dell’altro. Poi finalmente il passaggio all’autofocus e al digitale con i suoi incredibili vantaggi nella fotografia naturalistica.





Ripenso alla mia storia, la storia di un appassionato fotografo dilettante che forse non ha amato tanto la fotografia quanto ciò che la continua ricerca di immagini fotografiche sempre più belle gli ha permesso e gli permette di vivere: una ripetuta avventura a contatto con le meraviglie della natura alla scoperta di sensazioni sempre nuove








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Per escursioni nella Val di la Mare e in generale nel Parco Naturale dello Stelvio consiglio queste due guide:
  • Parco Nazionale dello Stelvio - 64 percorsi naturalistici - di Walter Frigo.
  • Escursioni - Parco dello Stelvio - Trentino e Alto Adige - Itinerari fuoriporta - di Paolo Turetti e Tiziano Mochen.
 Naturalmente si trovano numerose altre guide...

Bellissime fotografie scattate nel parco Nazionale dello Stelvio e in altri Parchi, non solo italiani, si trovano Qui.




Nel giardino di casa







Per osservare "cose belle" non serve necessariamente fare lunghe passeggiate o escursioni sui monti. Se si sa guardare, se si è attenti a quello che ci circonda, si possono cogliere molti interessanti aspetti della natura e fare scoperte singolari anche appena fuori l'uscio di casa.








In inverno sulla betulla

Il giardino della casa dove abito in Val di Sole, non è, in verità, un vero e proprio giardino come comunemente si intende, non è  insomma un giardino all’italiana né all’inglese. Troppo disordine si lamenta mia moglie. In effetti vi si trova di tutto e disposto in modo del tutto casuale: dal vialetto  d’accesso e dal cortile lastricati “alla bell’è meglio” con pietre piatte naturali raccolte qua e là, al prato con i tre orti contornati da lastre di tonalite. Nel grande prato ci sono le aiuole dei fiori (narcisi, tulipani, anemoni, astri, bocche di leone, zinnie, settembrini….) e delle fragole, i  cespugli  di forsizie, di lillà e di pesco giapponese,  gli alberi da frutto (meli e peri di antiche varietà, prugni, ciliegi, maraschi, l’albicocco, il noce), i cespugli di nocciole, lamponi, mirtilli, ribes… e nella parte più fresca e in ombra gli alberi selvatici autoctoni: piccoli abeti bianchi e rossi, giovani pini cembri, frassini, betulle, sambuchi,  pioppi tremuli, il sorbo degli uccellatori, l’ontano bianco, ciliegi selvatici, aceri e il grande larice… Questa zona nei periodi piovosi è ricca di funghi e  in particolare a fine settembre mi permette la raccolta dei chiodini.  La  grande varietà di vegetali spontanei  e coltivati favorisce la presenza di molte specie animali grandi e piccole che qui trovano gli ambienti più adatti al loro insediamento, moltiplicazione  o quantomeno alla loro alimentazione. Ogni anno nidificano sugli alberi o nelle cassettine che ho predisposto alcune coppie di uccelli. Possono essere, a seconda delle annate, cince, codirossi, codirossi spazzacamino, fringuelli, merli, pettirossi,  cardellini o tordele… In autunno come d’incanto compaiono gli scoiattoli intenti a raccogliere le nocciole e a rincorrersi sul tronco del grande larice. Il noce è preda dalle ghiandaie che fanno provvista di noci ma che, sempre vigili, difficilmente si lasciano avvicinare e osservare.







Sono moltissimi gli altri animali che vivono nel “giardino”: le talpe che con i loro cumuli di terra mi devastano il prato e  gli orti (pazienza! Non c’è molto da fare!), le arvicole che rosicchiano i miei ortaggi, le chiocciole e le limacce, e una grande varietà di artropodi tra i quali stupende farfalle (ma tra queste anche distruttive cavolaie)…
Di tanto in tanto (in verità assai di rado), mi diverto a fotografare piante , fiori ed animali che popolano il giardino di casa: le tante piccole "belle cose" che si trovano appena fuori casa






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Lungo la "stradina delle Pendege"

Il vecchio sentiero

La “stradina delle pendege” collega gli abitati di Fucine e di Cortina di Vermiglio. Si snoda sul  versante sud della valle, un centinaio di metri a monte della strada statale. Inizialmente attraversa un bosco misto, di abeti, larici e varie latifoglie, per proseguire poi tra ripidi prati e campi terrazzati, abbandonati da molto tempo ed in fase di rimboschimento naturale.
Fino ad alcuni anni fa la stadina era solo un sentiero poco frequentato e la zona era il regno degli ungulati. Era facile osservare caprioli e mufloni soprattutto in inverno e in primavera. Talvolta, dopo una grande nevicata, sbucava dal bosco anche qualche cervo. Da quando il sentiero è stato allargato ed è percorribile anche da trattori e fuoristrada ed è frequentato da un maggior numero di persone gli avvistamenti  si sono fatti più difficoltosi e rari.

Caprioli nella neve sulle "Pendege"

Percorrere questa stradina è piacevole: è una lunga passeggiata in un ambiente molto vario e paesaggisticamente attraente. Frequento spesso questa zona soprattutto in primavera, in autunno e, se la neve lo consente, anche in inverno; in estate non proseguo oltre il posto delle farfalle perchè più avanti, usciti dal bosco, il sole picchia forte e quindi preferisco scegliere località più ombreggiate e fresche.
In genere parto da Fucine e raggiunta la frazione di Cortina rientro percorrendo sentieri e mulattiere sulla sponda  destra della valle, sul versante nord, e così posso attraversare anche lo spiaz dei spini.  Chi non conosce la zona è bene che eventualmente si informi  presso gli abitanti del luogo per avere indicazioni precise su questo percorso di ritorno.



Ho postato, oltre ai miei disegni, una selezione di fotografie che colgono alcuni aspetti autunnali e primaverili di questo percorso. Sono state scattate in giornate particolari, nebbiose, piovose, di neve precoce e di neve tardiva. Altri disegni li riservo per altri post così come le immagini fotografiche estive ed invernali della "stradina delle pendege".


Autunno: guarda le fotografie nella raccolta foto di Google+

Neve d'aprile: guarda le fotografie nella raccolta foto di Google+







Il bramito del cervo: emozioni nel Parco Nazionale dello Stelvio.



Autunno: una incantevole stagione sui monti della Val di Sole.

I colori mutano rapidamente, di giorno in giorno.
Il sole è basso sull'orizzonte e le ombre degli abeti e dei cembri si allungano nelle radure sulle erbe secche e sui ginepri gelati. La neve ha imbiancato le cime circostanti. Sui pascoli alti la brina brilla alle prime luci del giorno e i larici ormai biondi scintillano in controluce.


La stagione turistica estiva si è conclusa e gli escursionisti nel Parco nazionale dello Stelvio sono rari. Nel silenzio e nell'oscurità della notte si diffonde da lontano il canto d'amore dei cervi. Mi fermo e ascolto. Una magia, una grande emozione. Ma anche un brivido di timore quando il cervo si trova a pochi passi nel folto del bosco, al buio, prima dell'alba. Un potente bramito che per un attimo mi ghiaccia il sangue nelle vene. Un batticuore.


Più tardi, al sorgere del sole, ben nascosto dietro un masso, un cespuglio o un tronco di larice, osservo nella radura il cervo dominante che bramisce ingaggiando duelli vocali con i concorrenti e conquistata la supremazia dell'harem lo controlla instancabile, lo protegge dalle intrusioni confrontandosi e scacciando gli antagonisti, inseguendo e radunando le femmine più restie...
Non è impossibile che qualche maschio nel suo sfrenato inseguimento della cerva in calore mi passi vicinissimo rischiando di travolgermi.


Sono molti anni che, tra la metà di settembre e la metà di ottobre, assisto allo spettacolo dei cervi in amore in diverse località del parco in Val di Pejo.
Inizialmente questi maestosi selvatici erano veramente pochi nel parco: osservarne qualcuno durante le mie prime e ormai lontane escursioni costituiva un evento da raccontare a familiare e amici. Poi in pochi anni il numero dei cervi è cresciuto notevolmente creando problemi alla rinnovazione del bosco, ai prati di fondovalle, ai pascoli e alla diffusione degli altri ungulati. La grande nevicata dell'inverno 2008-09 ha ridotto di molto la consistenza numerica del cervo: spesso è la stessa natura che provvede a controllare le popolazioni animali in abnorme espansione senza che si renda indispensabile l'intervento dell'uomo. Ora il numero di questi stupendi cervidi è più contenuto anche se a me sembra in costante lenta ripresa.

" La vita degli spettacoli naturali è solo nel cuore degli uomini; per vederla bisogna sentirla"
J. J. Rousseau
Le mie uscite dello scorso autunno sono state poche, limitate dalle condizioni meteorologiche avverse. Sono salito alcune volte in Val del Monte, con il mio amico Germano che mai aveva assistito allo spettacolo dei cervi in amore. La località che maggiormente abbiamo frequentato è stata la fascia al limite della vegetazione arborea a monte della stradina che da malga Giumela porta a malga Paludei, lungo il lago di Pian Palù. Le fotografie che ho postato più sotto sono state scattate in questa zona. Altre volte ci siamo recati nella Val dei Orsi  anche se è un po' meno frequentata dagli ungulati rispetto al passato. Ma di questo scriverò in un altro post.



Guarda le fotografie in Google Foto










I due video con una risoluzione migliore si trovano in YouTube. Per vederli cliccare su: Cervi nella neve e Cervi in autunno

Chi fosse interessato agli aspetti tecnici della gestione del cervo nel Parco Nazionale dello Stelvio può scaricare QUI in formato pdf uno studio molto approfondito su queste problematiche.


Val Piana come la vedo io

I colori della primavera e dell'estate in Val Piana





Ecco la "mia" Val Piana!
Val Piana come la vedo io.
Val Piana nei i miei disegni, le mie stampe ma anche nelle immagini HDR. Fotografie che ho volutamente trattato in modo poco realistico, accentuando dettagli e contrasto, cercando risultati il più possibile suggestivi, quasi pittorici.
Primavera, estate, autunno e inverno in Val Piana
Il "Coren de Bon" dopo la pioggia







Val Piana, per chi non conosce la zona, si trova a monte dell'abitato di Ossana. la si raggiunge anche in automobile (preferibile ripristinare un servizio di bus navetta) salendo dal piazzale della parrocchiale per la strada che, attraversato il nucleo abitato del Taiadon, si inoltra nel bosco. La strada è stata recentemente sistemata e resa più agibile e sicura pur rimanendo una strada di montagna non asfaltata. Personalmente preferisco percorrere il Sentiero della Lec che in una quarantina di minuti porta all'imbocco della valle passando per una zona molto particolare che merita veramente di essere attraversata e osservata. Un mio post descrive questo tracciato molto suggestivo.









Val Piana è, come dice il suo nome, una piccola valle pianeggiante tenuta a pascolo, con i ripidi versanti completamente ricoperti di fustaie di abete rosso, di abete bianco e di larice. Nella malga recentemente ristrutturata si possono acquistare ottimi prodotti dell'alpeggio ed eventualmente consumare i pasti. In definitiva si tratta di una località complessivamente ben tenuta che si è conservata integra nella sua antica e naturale veste contrariamente a quanto è accaduto ad altri siti di montagna. Siti eccessivamente antropizzati, talvolta urbanizzati in modo selvaggio e speculativo che in nome di un momentaneo vantaggio economico e di una confusa visione del progresso producono già ora e produrranno ancora di più nel medio e nel lungo periodo più svantaggi che vantaggi, creando problemi di risanamento ambientale e costi notevoli e non preventivati per  l'amministrazione pubblica: icone di regresso e non di un progresso stabile e duraturo.


Guarda le fotografie HDR nella raccolta foto di Google+

I disegni sono stati eseguiti  con normali matite di grafite di diversa durezza.
Le "stampe" sono delle rielaborazioni al computer di vecchi disegni realizzati con le matite colorate. Ho utilizzato il software Artrage e successivamente Adobe Photoshop Elements per le rifiniture finali. Le riproduco su carta artistica "tipo acquarello" con stampante fotografica Epson.
Per le high dynamic range imaging (HDR) ho impiegato il programma open souce Qtpfsgui (con profilo Mantiuk 06 se ben ricordo).