Sole radente di mezza estate









Nella notte il temporale ha attraversato la valle lampeggiando tra le nubi e rischiarando con i suoi bagliori i versanti e le cime dei monti. All'alba le nubi si sono dissolte e sulla valle è ritornato il sereno. Ora, nei pressi del paese, i raggi radenti del sole d'agosto bucano le fronde degli abeti fradici di pioggia proiettando isole brillanti sui cespugli bagnati e sull'erba alta e inzuppata al limitare bosco.






Lame di luce filtrano tra le chiome degli alberi creando luminosi artifici sugli ultimi fiori che l'estate ci offre, tra ombre profonde e umidi chiarori.





Le minuscole perle d'acqua che bagnano erbe e fiori sfavillano nella luce del primo mattino mentre nella penombra le gocce restituiscono l'immagine del bosco che vi si specchia. Sono gocce limpide che come lenti vetrose riescono ad ingrandire, a dilatare deformandole le fragili venature dei petali su cui riposano.





Sono gli ultimi fiori dell’epilobio, dell’epilobium angustifolia che cresce numeroso, alto e vigoroso sui detriti, tra pietre, ghiaia e sabbia nei dintorni del Fil lungo il Torrente Vermigliana. E’ pianta frugale, l'epilobio, pianta colonizzatrice dei terreni minerali, amante delle sabbiose e umide sponde dei corsi d'acqua.






Solitamente fiorisce verso la fine di luglio (è chiamato fiore di sant'Anna, la santa che si festeggia il 26 di luglio) quando i prati e i boschi della valle hanno ormai assunto una monotona colorazione verde smeraldo smarrendo del tutto le tenui e policrome tinte primaverili.




Ora, a metà agosto, la maggior parte delle piante erbacee sono sfiorite ma non l'epilobio che nel frattempo è cresciuto altissimo e robusto ed è ancora in grado di aprire le sue ultime infiorescenze all'intensa attività delle api e di altri numerosissimi insetti. I suoi fiori ravvivano ancora, con ampie chiazze di colore fucsia, la verdastra uniformità del paesaggio di mezza estate ormai quasi del tutto privo di altre macchie colorate.






Sono fitti cespugli colorati, quelli dell'epilobio, che si fanno ammirare già da lontano per l'intensa tonalità del colore ma le infiorescenza piramidali, all'apice di uno stelo coperto di foglie lanceolate, vanno osservate soprattutto da vicino. Solo così i singoli fiorellini possono rivelare tutta la loro fragile bellezza...




Quattro petali leggeri, quasi trasparenti in controluce, solitamente di colore fucsia ma anche rosa, rosso porpora o viola, leggermente bilobati e quattro sepali dello stesso colore ma meno fragili, quasi fossero altri petali più sottili e allungati... otto lunghi stami dal lungo filamento bianco e il pistillo con lo stimma simile a un minuscolo polpo biancastro... Belli, ma solo se si guardano singolarmente e da breve distanza...






Fiori che brillano in controluce arricchiti, come sono, da una miriade di goccioline, che li ornano, che ne orlando i bordi, che ne definiscono i contorni, come una corona di minuscoli acini brillanti, che scintillano ai raggi radente del primo sole.





Brilla il caduco fiore dell'epilobio, ultimo segno di un'estate che lentamente volge al termine, brillano anche le felci grondanti di pioggia, le foglie dei noccioli, delle betulle, dei salici, dei sorbi, scintillano gli aghi degli abeti...risplendono le goccioline d'acqua sui muschi, sull'acetosella, sugli arbusti del lampone, sulle ragnatele tra gli steli e l'erba fitta e alta al margine del bosco.




Poi, a poco a poco, il sole si fa più caldo, si alza sempre più nel cielo limpido, riscalda e asciuga il bosco e i suoi dintorni. Mossi dalla brezza mattutina si levano leggeri fumi di vapore dagli abeti, dai larici, delle latifoglie, dal terreno... la luce si fa più intensa, il sole disseca il fogliame, le erbe, gli ultimi fiori, i muschi, la lettiera... e il bosco riacquista il sue usuali sembianze, l'aspetto di un qualsiasi giorno estivo.



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Visita al forte Barbadifior nel centenario della grande guerra






Tre anni e qualche mese sono trascorsi dall'ultima mia salita al forte Barbadifior poco a monte di Pejo Terme. Tre anni e sembra ieri. Ero con il mio compagno di tante passeggiate ed escursioni e con lui parlai a lungo, ci scambiammo informazioni, pareri e impressioni sui tristi tempi della grande guerra che inevitabilmente coinvolse anche, per non dire soprattutto, la popolazione della nostra valle portando infinite sofferenze.



Tre anni fa eravamo alla vigilia del centenario della dichiarazione di guerra del Regno d'Italia all'Impero Austroungarico e noi, io e il mio amico, celebrammo così l'avvenimento, con una ascesa alla minuscola fortezza e due chiacchiere a ruota libera, senza la retorica che solitamente accompagna queste ricorrenze ma semplicemente, a modo nostro. Giunti alla meta osservammo e fotografammo a lungo, dall'esterno, ciò che di quella struttura fortificata, acrobaticamente posta su di uno sperone roccioso, era ancora in piedi.





Ora, trascorsi tre anni e ormai vicini alle celebrazione del centenario della fine del conflitto ritorno, questa volta in compagnia di mia figlia, sull'altura a rivedere i ruderi di forte Barbadifior ma... sorpresa... ritrovo il forte Barbadifior in una veste tutta nuova, consolidato, svuotato dai detriti che lo intasavano, ristrutturato e visitabile in tutta sicurezza nei suoi spazi interni.



Ottimo lavoro, evidentemente portato a termine, a mia insaputa, durante questo ultimissimo periodo... Osservo e fotografo ogni angolo chiedendomi quale sia stato l'utilizzo dei singoli locali, la logica della disposizione dei vari ambienti, la dislocazione delle difese sia interne che esterne... Purtroppo non trovo risposta alle mie domande. Manca qualsiasi indicazione, manca un'adeguata cartellonistica atta a soddisfare le mie curiosità come le legittime curiosità di un qualsiasi altro visitatore.




Rinvengo solamente un tabellone, malamente esposto su di una finestra del forte, in pessime condizioni e quasi illeggibile in alcune sue parti. Il tabellone (leggo: non definitivo e no esaustivo) è stato redatto dal progettista dei lavori di recupero del manufatto, l'arch. Roberto Pezzato. Onore al merito... Si decifra a fatica ma con un certo impegno si riescono a ricavarne interessanti informazioni storiche e dettagliati ragguagli sulle modalità di recupero e ristrutturazione del forte.






Nell'attesa che che venga allestito un adeguato supporto alle viste mi devo necessariamente accontentare, si fa per dire, di quanto sono riuscito a ricavare dall'inzuppato cartellone e volentieri lo condivido con il mio lettore (ricopiandolo e in parte sintetizzandolo).







“Il Forte Barbadifior (o forte Peio) fa parte di un complesso gruppo di fortificazioni austriache collocate a ridosso dell'allora confine italiano e costruite per la difesa del fronte tra l'Impero austro-ungarico e il Regno d'Italia. Queste fortificazioni, che comprendevano forti, sbarramenti, strade militari, caserme, casematte ed accampamenti, furono realizzate tra il 1838 e il 1915 e poi completate durante la prima guerra mondiale: alcuni forti non furono tuttavia mai realizzati.






L'intero fronte era diviso in Rayon. Le fortificazioni che ci interessarono la nostra zona facevano parte del Rayon I° Tirol Subrayon II° ed erano costituite, oltre che del forte Barbadifior, dai forti Velon, Strino, Mero, Zaccarana e Presanella.
Il 24 maggio 1915, quando il conflitto trasformò il confine tra il Regno d'Italia e l'Impero Austro-ungarico in linea di fronte i combattimenti si assestarono stabilmente a Peio con scontri e battaglie che si svolsero anche oltre i 3000 m di quota. Vanno ricordate, prime tra tutte, ma ultime in ordine di tempo, le insensate e ormai inutili battaglie dell'agosto e settembre 1918, per il possesso della Cima San Matteo a 3678 m.





Il forte Barbadifior è posto a 1610 m s.l.m. su di un colle sulla sponda orografica destra del torrente Noce, poco a monte di Peio Terme. La sua costruzione si ritiene sia iniziata durante il ventennio 1860-1880 con l'obiettivo di presidiare la Val del Monte scongiurando eventuali attacchi provenienti dalla Forcellina di Montozzo in aggiramento del Passo del Tonale. Il manufatto doveva essere affiancato da una fortificazione gemella realizzata sulla dirimpettaia Frattasecca che avrebbe dovuto godere di un armamento più distruttivo e completo inserito in cupole corazzate girevoli. Questa secondo imponente manufatto non fa mai realizzato. Ci si limitò a fortificate la zona con opere diverse che interessarono buona parte del versante di Frattasecca.






Nel 1906 si ritenne di dover intervenire con opere di ammodernamento della struttura ma questi innovativi interventi non furono mai ultimati per cui, durante il conflitto, il forte svolse per lo più una funzione di caserma con importanza strategica per le comunicazioni via telefono e telegrafo con le forze dislocate sul fronte del Tonale. L'edificio fu sostanzialmente una “blokhaus” ovvero una caserma difensiva. Realizzato in calcestruzzo e rinforzato da scudi corazzati verticali era armato oltre che con delle mitragliatrici con due cannoni da 8 cm a tiro rapido. Gli armamenti, di piccolo calibro, trovandosi il forte in posizione arretrata rispetto al fronte, vennero dislocati in posizioni più avanzate sotto le cime e lungo i ripidi costoni della Val del Monte.






Verso il 1930 il forte venne demolito per ricuperare il materiale ferroso. La rimozione degli elementi strutturali metallici a supporto di solai e murature combinata con il prolungato succedersi dei naturali eventi meteorologici, piogge copiose, neve, gelo e disgelo e con l'inevitabile sviluppo di licheni, muschi e cespugli infestanti hanno fortemente deteriorato il manufatto comprese le sue strutture portanti.





Nel 2011 (probabilmente con l'avvicinarsi delle celebrazioni del centenario della grande guerra) si decise di intraprendere l' opera di recupero, restauro e valorizzazione dello storico edificio. L'intervento, realizzato (durante gli ultimissimi anni) con la supervisione della Sovrintendenza per i beni culturali e architettonici della Provincia Autonoma di Trento ha portato alla luce alcuni elementi inizialmente non identificabili quali i resti di una scala di risalita in pietra, la pavimentazione di una presunta latrina, l'appoggio di una stufa, la botola di accesso ai locali interrati.







I lavori di consolidamento e restauro possono considerarsi sostanzialmente conclusi. Il manufatto è agibile in sicurezza ed è stato reso visitabile in tutti i suoi spazi interni sia a al piano terreno che, per ciò che rimane, al piano superiore. (Manca ancora la cartellonistica, quei tabelloni illustrativi che costituiranno un indispensabile supporto alle visite, la prevista mostra esplicativa permanente all'interno della fortezza.)”


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Qualche giorno dopo ritorno sull'altura del forte Barbadifior in occasione della coinvolgente rappresentazione teatrale che si è tenuta proprio lassù a due passi dalla piccola fortezza. “Una Comunità sul fronte – La Val di Peio e la Grande Guerra”, questo il titolo della rappresentazione: un “percorso partecipato dell'Ecomuseo della Val di Pejo” sempre attento al recupero della storia locale, ma non solo, anche delle tradizioni, degli antichi mestieri che si vanno rapidamente dissolvendo, travolti dalla “modernità”, dallo “sviluppo”, dal “progresso” che pur portando un certo benessere sta bruscamente e totalmente affossando anche il ricordo della civiltà che ci ha preceduto disperdendone anche i suoi più genuini valori.







La rappresentazione rievoca le peripezie e le sofferenze della popolazione della Val di Peio suo malgrado coinvolta nei tristi avvenimenti bellici della prima guerra mondiale e in particolare racconta di come la gente di Peio Paese, riuscì, a costo di immensi sacrifici, ad evitare l'evacuazione dal proprio paese, vicinissimo al fronte, e l'internamento nei campi di concentramento situati in terre lontane e sconosciute.







Così non fu per la popolazione di un altro paese della Val di Sole, un paese ancora più prossimo alla linea del fronte, il paese di Vermiglio. Mio nonno, allora aggregato negli Standschütser dovette assistere alla drammatica partenza di quella popolazione verso il campo di Mitterndorf e, molti anni dopo, ricordandola ancora lucidamente, la descrisse in un capitolo delle sue “Memorie”, capitolo che, in buona parte, riporto più sotto....


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"... ...Il comando militare... emanò un ordine tassativo alla popolazione delle tre frazioni di Vermiglio, di lasciare i paesi entro le successive quarantotto ore. Non si facevano eccezioni né per infermi , né vecchi, né bambini: tutti dovevano partire a scanso di dover usare mezzi coercitivi.
Ognuno può immaginare la disperazione di quella povera gente: abbandonare così immediatamente il paese dov'erano nati; dove tra stenti e sudori, avevano costruito la loro casa tra mille difficoltà, abbandonare questa, il bestiame, la campagna, granaglie, mobilio, biancheria, ogni loro avere; lasciare tutto in mano ai vandali, ai ladri... ai tedeschi: ah, era tremendamente penoso! Bisognava però sottomettersi. Chi vide e visse la disperazione, le lacrime, i pianti di quella povera gente, durante quei due giorni, non poté certo non piangere con loro. Così accadde anche a me e non vorrei certo rivivere quel dì. Era un interrotto correre da una parte all'altra con mobili, biancheria, mangiativa ed altro, per nascondere nelle cantine,nei sotterranei... ma a che scopo? Per porre questa loro roba in balia dell'umidità... dei topi... dei vandali soprattutto. Questi infatti, non appena la gente se ne fu andata, cominciarono a forzare le porte per arrangiarsi a loro piacimento e fra questi non mancarono anche coloro che erano stati assegnati al buon ordine cioè alcuni gendarmi.
Per chi sale la nostra caserma era sulla destra della strada principale, mentre quella dei gendarmi era posta a sinistra, quasi di fronte. Sulla strada già stava una successione di piccoli carri a due ruote (broz) aggiogati a delle vacche, su cui stavano dei vecchi impossibilitati ad andare a piedi, perché ammalati. Dietro seguivano i nipotini, quali a piedi,quali in braccio alle loro mamme, che non cessavano di piangere e di stringere al seno i loro bambini. Era una scena talmente commovente che Redolfi e io, mentre stavamo al balcone ad osservare, non potevamo fare a meno di commiserare quegli infelici e piangere con loro. Quando la lunga fila di quei poveri carriaggi, di quei vecchi ammalati, bambini e mamme, stava lentamente avviandosi verso un loro destino incerto ed ignoto e quella faticosa lentezza sembrava ostentata e probabilmente voluta, come di chi non riesce a distogliere lo sguardo, i pensieri, il cuore dalle cose che gli li sono state immensamente care, ecco improvvisamente uscire dalla caserma, come forsennato e con la sciabola sguainata, il summenzionato gendarme e lo sentiamo gridare come inferocito: “Via di qui: spioni, ladri, figure sporche di vermigliani! Avete fatto la spia, per troppo tempo!Via, via se non volete provare l'acciaio della mia sciabola!”
Quella povera gente intanto si avviava verso il suo fatale destino, senza reazioni, senza parole ma con una enorme amarezza in cuore. Io e il collega Redolfi, assistemmo angosciati a quel tristissimo esodo mandando in cuor nostro un mondo di imprecazioni al gendarme inumano. A poco a poco la colonna di profughi scomparve alla nostra vista, ma la mia mente ebbe presente per giorni l'immagine di quei poveri migranti che con i loro piccoli involti, contenenti lo stretto necessario, se ne andavano verso Vienna, nel campo di concentramento di Mitterndorf … Le infinite miserie per fame, malattie e maltrattamenti furono tali che ben cinquecento e più non fecero più ritorno e quando finalmente dopo oltre tre anni venne il giorno tanto atteso della pace, quelli di Cortina e Pizzano trovarono le loro case semidistrutte dalle fiamme... ..."


Il forte “Barbadifior” si raggiunge salendo da Peio Terme in automobile in direzione del Fontanino, per circa un chilometro, fino al parcheggio di Malga Termenago Bassa (o Frattasecca) e proseguendo poi a piedi per un brevissimo tratto fino ad imboccare sulla sinistra la stradina che scende dapprima fino al torrente Noce per poi salire sull’altura fortificata (tempo di percorrenza a piedi circa 30-45 minuti).




Una minuscola cascata nei dintorni di Vermiglio









Mi rivolgo a te, caro pensionato e pure a te, turista in vacanzia in quel di Vermiglio e a te autoctono lavoratore in ferie e a te che, chiunque tu sia, ti sei stufato di recarti ogni giorno ai “Laghetti”, mi rivolgo proprio a te che ti annoi non riuscendo a trovare valide alternative a questa consuetudine, a questo ormai metodico intermezzo quotidiano.




In effetti, a ben guardare, Vermiglio, ultimo bel paese della Val di Sole prima del Passo del Tonale, non ti offre molto. Non offre molto a chi, come te, vuole svagarsi facendo due passi nei dintorni del paese, due passi in tutta tranquillità, senza affaticarsi troppo. Sì, perché quassù, mentre per le escursioni impegnative c'è solo l'imbarazzo della scelta per chi, come te, si accontenta o è costretto ad accontentarsi di brevi e possibilmente pianeggianti percorsi, c'è ben poco.




Potresti imboccare la via delle Pendege che dalla frazione di Cortina degrada lentamente verso Fucine tagliando il versante solatio della valle ma lì, in questo periodo, fa veramente troppo caldo. Magari, sempre partendo da Cortina, potresti salire ai masi di Dasarè per godere dell'ampio panorama o partendo da Pizzano arrancare verso la Cà del Mosa e magari più si verso le Valli Verniana o Saviana, ma queste salite, seppur relativamente brevi, sono sicuramente troppo erte e faticose per te...




E allora? Non ti resta che dirigerti al solito posto, ritornare ancora una volta ai bei “Laghetti”, che, alimentati dalle gelide acque del Rio San Leonardo e ben ombreggiati da alte conifere ti offrono sempre e comunque la giusta frescura. E se poi ti annoi o i frenetici giochi dei ragazzini ti disturbano, puoi sempre procedere oltre, seguendo le comode stradine che, al di là del torrente Vermigliana. risalgono la valle verso Volpaia o la discendono in direzione della Poia di Cortina e quindi del lontanissimo Spiaz dei Spini.



Ma, ascolta me: almeno per una volta, potresti anche tentare la salita alla piccola cascatella del rio che scende da Masi di Palù. E' poco distante dai “Laghetti” e pur non costituendo una meta di grande interesse potrebbe comunque essere un buon diversivo al tuo solito tran tran quotidiano. La puoi raggiungere attraversando il ponte appena a valle dell'ultimo laghetto. Poi dovrai proseguire, per poche centinaia di metri, sulla strada bianca, in leggera discesa, fino a raggiungere il prossimo ponte. Ti informo che trovi sul tratto iniziale della stradina per la Poia di Cortina di cui ti ho già detto.



Invece della stradina puoi prendere lo stretto sentierino che si snoda lungo le sponde del Vermigliana, è più fresco e panoramico e termina proprio in corrispondenza del ponte di cui ti ho appena detto. Qui, comunque giunto, devi imboccare l'evidente sentiero che sale ripidissimo sul versante del monte. Non spaventarti, fatti coraggio. Sono solo poche decine di metri, non più di un centinaio di metri che puoi affrontare in tutta tranquillità, lentamente, riposandoti di tanto in tanto. La vista della cascatella che ti appare quasi subito, al termine della salita, meritava questa piccola, grande sfacchinata.


Sei arrivato. Mai avresti immaginato che nei pressi del parco dei “Laghetti” ci fosse un sito così selvaggio con un salto d'acqua tanto minuscolo quanto suggestivo . Un ponte appena a valle della cascatella ti permette di osservarla al meglio, da varie angolazioni. Lo puoi attraversare e volendo puoi anche proseguire oltre, sul sentierino che da qui si diparte e che dovrebbe ricondurti a valle seguendo un percorso diverso da quello che hai finora, in parte faticosamente, affrontato. Se sei audace, se sei in cerca di avventure, se ami scoprire cose nuove prova a seguirlo... Non ti so dire cosa incontrerai. Io non sono coraggioso, non l'ho mai percorso, solitamente preferisco calcare strade già battute, strade ben conosciute...



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4 passi tra le mura del castello di San Michele






Quattro passi... ma solo quando ne vale la pena. Sì, solo quando ne vale la pena perché dopo le “obbligatorie” prime visite risalenti qualche anno fa, al periodo dell'iniziale apertura al pubblico del castello e dopo la quasi “obbligatoria” consultazione di volumi e pubblicazioni varie per approfondire la storia e le modalità di recupero di ciò che del castello è rimasto, da qualche anno oltrepasso poco quello che fu il suo ponte levatoio. Vi accedo solo in particolari circostanze, solo in occasione di mostre o eventi che, a ragion veduta, ritengo mi possano interessare.


Le mie visite al castello non sono quindi molto numerose, avvengono solo di tanto in tanto. Devo dire però che ultimamente la mia frequentazione è si è fatta più costante. Questo perché durante le due ultime stagioni estive, ho piacevolmente assistito ad un utilizzo più consono dei suoi spazi. Ora, a mio giudizio, il bel maniero non è quasi più sede della banale fruizione che inizialmente l'ha fin troppo caratterizzato quasi fosse un monumento tuttofare adatto per ogni occasione e per ogni stagione. Il nuovo criterio d'utilizzo, basato in buona parte sullo sviluppo di precise tematiche, opportunamente scelte di anno in anno, mi è parso positivo, una buona cosa, un buon miglioramento.





L'estate scorsa, con una serie di interessanti appuntamenti (tra i quali eccellevano una coinvolgente rappresentazione teatrale e due interessanti tavole rotonde), si è reso omaggio, a 450 anni dalla sua morte, a Jacopo Aconcio ingegnere e filosofo nato a Ossana proprio ai piedi del San Michele.



Gli appuntamenti di questa estate 2018, che hanno come scenario privilegiato il castello ma non solo, prendono invece spunto da una ricorrenza celebrata un po' ovunque: il “centenario della grande guerra”. Gli eventi in programma ad Ossana vanno però oltre la mera celebrazione della ricorrenza: sono eventi molto diversi tra di loro, sono spettacoli teatrali, letture, concerti, mostre, incontri con giornalisti di guerra... Il tutto nel ricordo delle dolorose vicende locali, per riflettere sulle sofferenze che la guerra comporta, per tutti, militari e popolazione civile, nell'auspicio di un futuro solo di pace.





Lodevoli iniziative, quelle portate avanti nel corso delle due ultime stagioni estive, culturalmente apprezzabili e attrattive sia per la popolazione locale che per la popolazione turistica. Una fruizione intelligente non solo del castello di San Michele, anche di altri ambienti chiusi e spazi aperti all'interno dell'abitato.
Non cosi purtroppo, a mio avviso, l'utilizzo che del bel castello viene fatto durante la stagione invernale. Si insiste, ormai da parecchi anni, a convertire le antiche mura del maniero in uno scenografico fondale per il mercatino natalizio. E questo per l'intero periodo natalizio, giorno dopo giorno... Si tratta di un mercatino piacevole da visitare ma che dovrebbe trovare una collocazione più adatta. Come già scrissi dueo tre anni fa, è mia opinione “...che non sia opportuno banalizzare la fruizione di un bene comune di notevole interesse con trovate di grande richiamo ma non consone al luogo, con l’unico obiettivo di attrarre un numero sempre maggiore di persone (quando,oltretutto, in paese scarseggiano le strutture pubbliche e private per l’accoglienza…). Non contano solo i numeri (la “quantità” è importante ma spesso da sola non fa “qualità”)… ...




La invernale rassegna dei presepi che si tiene in paese con annesso mercatino natalizio (ripeto, a pare mio fuori luogo nel bel castello), sta assumendo dimensioni eccessive per non dire elefantiache, certamente non commisurate alle potenzialità ricettive del paese ospitante. Ciò nonostante, si persiste nell'enfatizzare l'offerta con nuovi e creativi espedienti cercando così , di anno in anno, di attrarre sempre più visitatori.




A quanto pare il nuovo espediente, la creativa novità del prossimo Natale sarà il “Volo”, il volo sul paese in compagnia di Babbo Natale. Un volo naturalmente solo virtuale, un viaggio fantastico sulla slitta di Babbo Natale. La slitta virtuale sarà trainata dalle renne, partirà dalla Lapponia, sorvolerà l'intera Europa e arriverà sui nostri monti, volerà sulla Val Piana, sul bel maniero e infine atterrerà sulla piazza della chiesa parrocchiale..... così almeno ho letto da qualche parte.




Un'idea che non mi sorprende conoscendo la locale propensione i per i voli pindarici in particolare per i voli in zipline e per altri creativi progetti di valorizzazione turistica all'insegna (o con la copertura) di una supposta sostenibilità ambientale. (Progetti riguardanti in particolare la Val Piana e di cui si è letto ultimamente, Mi chiedo dove ci potrebbero portare, passo dopo passo, in un futuro più o meno prossimo).

Una realizzazione, quella del volo virtuale su Ossana, che se ben costruita, risulterà certamente efficace nella logica unidirezionale dei “grandi numeri”, logica che indirizza il tutto, che, ormai da parecchio tempo, governa quella che fu un'iniziale umile e tranquilla rassegna di presepi. Devo comunque ammettere (anche se con un certo sforzo da parte mia) che questa iniziativa potrebbe anche essere in grado di coinvolgermi emotivamente: portare un pizzico di fantasy in Val di Sole non guasta, potrebbe anche essere un simpatico evento... se non fosse che forse con i denari necessari per l'acquisto del software e dell'hardware necessario per far volare il visitatore curioso, me compreso, si sarebbero potute fare cosette più utili, concrete e durature...

Sì, perché esistono delle priorità, priorità che naturalmente dipendono sempre e comunque da valutazioni molto soggettive... Priorità soggettive dicevo, priorità che spesso si potrebbero risolvere con dei minuscoli interventi di conservazione, manutenzione, abbellimento... Interventi che molte persone in paese auspicano e che ognuna di loro saprebbero ben indicare regalandone la ricetta... ma queste persone, ben si sa, non vedono lontano, non hanno “visione”, non riescono a cogliere l'importanza di progetti e di realizzazioni di ampio respiro, di interventi che guardano al futuro, allo “sviluppo” turistico del loro paese, sviluppo ormai alle porte... Probabilmente quelle persone hanno una mentalità troppo ristretta...

Anche a parer mio, quei denari (pochi in verità) si sarebbero potuti impiegare diversamente pur investendoli sempre nell'ambito dell'incentivazione dell'offerta turistica. Ad esempio, sempre a mio parere, si sarebbero, potuti impiegare per realizzare alcuni plastici o comunque delle rappresentazioni tridimensionali (virtuali o meno) del probabile aspetto del castello di San Michele nelle diverse epoche. Un importante sussidio per le visite guidate. Un impiego destinato ad una utilizzo duraturo, un aiuto ad un turismo non legato alla curiosità del momento. Un utilizzo del denaro pubblico nella logica di un'offerta turistica “senza tempo”, al di fuori delle mode e della corsa ai “grandi numeri” di visitatori che oggi ci sono ma che domani non si sa....


Ma forse con quei soldini si sarebbe anche potuto provvedere all'installazione nei padiglioni del castello, della piattaforma multimediale assegnata lo scorso anno dal FAI (concorso “I luoghi del cuore”), piattaforma studiata per presentare al visitatore le quattrocentesche opere della “Casa degli affreschi” nell'attesa che vengano programmati, intrapresi e portati a termine i lavori di consolidamento e restauro dell'edificio che li ospita rendendolo agibile al pubblico. Di questa piattaforma non ho più saputo nulla. Devo però ammettere di essermene completamente disinteressato e quindi quanto ho scritto lascia il tempo che trova.

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Fino a metà settembre, all'interno del castello di san Michele, si può visitare la mostra “Memorie vissute Val di Sole 1914-1918”. Si tratta di un'esposizione di materiali, documenti, ricostruzioni ed oggetti della vita quotidiana del periodo della grande guerra.



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