La casa avita di Francesco Guardi a Mastellina


Francesco Guardi ritratto da Pietro Longhi






Sorge nel centro del paese di Mastellina, piccola frazione del Comune di Commezzadura, la casa signorile della famiglia nobiliare dei Guardi, dove nel 1678 nacque Domenico, il padre dell’artista Francesco.
Francesco Guardi venne alla luce a Venezia nel 1712, dove i Guardi si erano trasferiti da Vienna dopo che avevano lasciato definitivamente e da tempo la Val di Sole,  ed ebbe l’occasione di visitare la casa dei suoi avi a Mastellina solo in tarda età, nel 1778 e forse anche nel 1782.



Anche ad un occhio inesperto come il mio appare evidente che del massiccio pallazzotto dei Guardi, ancora oggi adibito a civile abitazione, sono rimaste parzialmente immutate nel tempo solo le facciate del piano terra e del primo piano. Più in alto l’edificio ha subito interventi di rimaneggiamento o forse addirittura di sopraelevazione.  Inoltre sul fianco sinistro è stata edificata un’ala che forma un angolo retto con il prospetto principale. Restano dunque di sicuro interesse solo il portale d’ingresso, gli avvolti con il selciato originale, alcune porte e finestre con stipiti, cornici e davanzali in pietra, una pittura murale che rappresenta una Madonna con il bambino e il profondo pozzo coperto sulla destra dell’entrata.

Due piccole targhe commemorative in pietra, poste in alto, ai lati del portale nel 1908 e nel 1993 ricordano che qui visse la famiglia dei Guardi. Inoltre una bacheca, all’esterno del cortile, oltre a descrivere le caratteristiche architettoniche dell’edificio che ospitò gli avi di Francesco, riporta anche la biografia dettagliata del pittore e dei suoi più stretti famigliari.



Riprendo dal sito del “Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo” parte del post pubblicato in occasione della mostra “Francesco Guardi nella terra degli avi  Dipinti di figura e capricci floreali” tenutasi al Castello del Buonconsiglio di Trento nell’autunno del 2012.
Santo in adorazione dell'eucarestia (Castel Thun)
…… Quando Francesco Guardi nasce a Venezia il 5 ottobre del 1712, suo padre Domenico, capostipite della famosa famiglia di pittori, ha lasciato da più di vent’anni la sua terra natale, la valle di Sole, dove nacque a Mastellina, oggi comune di Commezzadura, nel 1678. Domenico, che morirà quattro anni dopo, è un modesto pittore ormai al termine della carriera di copista dei grandi artisti veneziani del Cinquecento, mentre il figlio maggiore Gianantonio (che nel 1712 ha 12 anni) bazzica nella bottega del padre per carpire i segreti del mestiere. Se Domenico non riuscirà a toccare livelli di eccellenza, i figli raggiungeranno invece risultati stilistici assoluti e Francesco diventerà uno dei più importanti maestri del vedutismo veneziano settecentesco. Oltre ovviamente a Venezia, i più famosi musei del mondo, dal Louvre all’Hermitage, dalla National Gallery di Washington e Londra al Metropolitan di New York, conservano sue Vedute e Capricci. La famiglia Guardi giunse a Venezia da Vienna, dove Domenico si era recato nel 1690 per studiare pittura presso l’accademia dei fratelli Strudel. Dopo il matrimonio e la nascita del primogenito Gianantonio (1699-1760), la famiglia Guardi si era stabilita definitivamente a Venezia. La prima notizia dell’attività di Francesco si riferisce a una serie di copie da celebri dipinti antichi, eseguite nel 1731, assieme al fratello Antonio, per la nobile famiglia Giovanelli. A questa data la bottega dei Guardi proseguiva nel solco dell’attività inaugurata dal padre Domenico. Dopo le prime comuni esperienze nell’ambito della bottega familiare, le carriere dei due fratelli si dividono e prendono direzioni diverse: mentre Antonio continuerà a dedicarsi, con esiti di altissima qualità, alla pittura di figura, Francesco si volgerà, sull’esempio di Canaletto, al vedutismo, genere di più larga fortuna, che il pittore
Paesaggio della val di Sole con torre e barche in riva al lago
saprà interpretare con geniale originalità, eclissando per lungo tempo la personalità del fratello, rivalutata solo in epoca recente. Il legame con il Trentino rimarrà tuttavia vivo: sarà infatti lo zio don Pietro Antonio Guardi, parroco di Vigo di Ton, a commissionare alcuni dipinti a soggetto sacro ai due nipoti. Di questa importante e rara attività si conservano in Trentino i più significativi esempi: le lunette con l’Apparizione dell’angelo a san Francesco d’Assisi, e la Lavanda dei piedi nella sagrestia della parrocchiale di Vigo di Ton (1738), Santo in adorazione dell’Eucarestia (San Norberto) in Castel Thun (firmato sul verso) e la pala dei Santi Pietro e Paolo nella parrocchiale di Roncegno (1775). 
Nelle lunette di Vigo, eseguite nel 1738 in collaborazione con il fratello Antonio, emerge, per la prima volta, un altro importante filone di attività di Francesco, sul quale la critica si è a lungo dibattuta, ossia la produzione di nature morte di fiori, che innova i modelli delle note composizioni floreali di Margherita Caffi ed Elisabetta Marchioni......



Guarda  le fotografie in Google Foto con i testi della bacheca posta all'esterno della casa dei Guardi.

Oltre le cime... il cielo

Il cielo oltre le vette… oltre le cime dei monti, oltre i prati, i boschi, gli alti pascoli.

Il mio paese è là dove passano le nuvole più belle.
(Jules Renard)
Il cielo sopra la valle. Il cielo dai mille colori all’alba e al tramonto.  Il cielo attraversato dalle forme mutevoli e bizzarre delle nubi. Il cielo dalle infinite, fantastiche varietà di sfumature dipinte dai raggi del sole. Il cielo limpido, sereno… il cielo blu…



La stella del mattino, Venere, alta sopra le cime, nel cielo scuro prima del sorgere del sole.
Il cielo del crepuscolo mattutino, oltre i monti di levante, sfumato dai toni rossi e gialli al turchino.
La valle ancora affogata nel buio.
Il cielo di ponente, opaco e piatto.
Le montagne dai colori spenti che si accendono al sole nascente.
La luna che si dissolve nel chiarore della luce del giorno.



Cumuli e i nembi che salgono turbinosamente oltre le creste.
Il cielo luminoso di un pomeriggio estivo, soleggiato e afoso, che muta velocemente in tempestoso e nero.
Un violento acquazzone dalle nubi buie e cariche di pioggia.
Fulmini che squarciano il cielo e tuoni che vibrano, profumo di terra, vento fresco che scompiglia i cappelli, pioggia e grandine che battono furiosamente.
Ultime gocce dal cielo e riecco il sole più brillante che mai.
Un magico luminoso ponte attraversa la valle.
L’arcobaleno si alza nel cielo. 


Le strie biancastre, sottili, quasi trasparenti dei cirri.
Il cielo a pecorelle disseminato di batuffoli bianchi ben allineati.
La liscia, grigia distesa nuvolosa degli altostrati.
Le forme bizzarre, ondulate o fibrose degli altocumuli.
Le nubi lenticolari durante le giornate di forte vento…
Le nebbie che avvolgono la valle e la rondine che vola in alto nel cielo pallido.




Nubi basse, grigie, cielo pesante, spento.
Fiocchi bianchi e leggeri.
Magia della prima neve.
Le nubi si dissolvono.
Il sole esce tra le nebbie, libero, padrone del cielo, illuminando la valle imbiancata.
Silenzio e profumo di neve fresca.



Sole morente che tarda a nascondersi dietro i monti.
Ombre sempre più lunghe.
Buio nella  valle con il calar del sole.
Nubi dorate, infuocate che avvolgono le cime dopo il tramonto…
Cielo arancione, rosso, violetto, caldo e forte del crepuscolo vespertino.
Oscurità.
Alone delle alte, sottili nubi attorno alla luna piena.
Brillantezza smagliante delle stelle e biancore appena percettibile delle cime innevate nel cielo sereno e cupo della notte.


Dio scrive il Vangelo non solo nella Bibbia, ma anche sugli alberi, e nei fiori e nuvole e stelle.
(Martin Lutero)

Passeggiate ed escursioni per fissare qualche immagine del cielo sopra le cime della valle...
Il cielo “sopra” la Presanella e le cime circostanti da Cima Cadì, dai laghi di Strino, di Cellentino, di Ortisè e dai loro dintorni. Il Peller, il Sasso Rosso, le Dolomiti di Brenta dal lago di Ortisè e dai pascoli delle Pozze ma anche (seppure lontani) da Cima Cadì e da Malga Saline. Dal fondovalle, lungo la ciclabile che porta a Cogolo, il Boai, il Vioz, il Taviela e la Cima Cadini. Dal sentiero delle Pendege la prima neve verso il Tonale. Dalle finestre, dal balcone e dal giardino di casa molte altre immagini.

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Ossana: Castel S. Michele e... il Tempio di Gerusalemme

Una voce fuori dal coro
  
Il Castello di S.Michele come il Tempio di Gerusalemme? Una sconsiderata, paradossale visione, una quasi blasfema simmetria che mi è balenata in mente visitando poco più di un anno fa, alla fine di dicembre 2014, il cortile del Castello arrangiato a mercatino di Natale in occasione della bella rassegna dei presepi che da tempo si tiene per le strade e per le “corti” del paese. Si, perché, sia il mercatino di Natale con le sue casette così fuori luogo all’interno del severo maniero, sia la confusione degli ospiti intenti agli acquisti, a consumare bevande e altro, a scambiare, talvolta chiassosamente, chiacchiere e auguri in un sito così austero (mi viene da dire quasi laicamente sacro), avrebbero meritato nella mia ironica e provocatoria immaginazione (ma con la terza età, l’ammetto, forse un po’ troppo bacchettona) un intervento simile a quello del Cristo nei confronti dei mercanti e degli acquirenti nei cortili del Tempio di Gerusalemme… Non fosse altro perché l’attività  commerciale (anche il mercatino di Natale bene o male lo è) con annessi e connessi mi sembrava inopportuna in un luogo dove, durante gli impegnativi lavori di consolidamento e restauro, si erano rinvenute delle sepolture ed  erano apparsi i resti della  cappella di S. Michele.  Non certamente una preghiera (ci mancherebbe! Non siamo in un santuario…) ma una certa considerazione rispettosa mi sembrava proprio dovuta. Si… doveroso rispetto, perché il sito del castello è una cosa seria, non è il paese dei balocchi, incarna la storia della valle, ricorda le antiche, talvolta drammatiche vicende degli abitanti che ci hanno preceduti. La visita (o assalto?) al castello, a parer mio, non doveva essere incentivata omologandola alla partecipazione ad una sagra, allo shopping della “fiera dei 7” o, guarda caso, del mercato di S. Michele del 29 settembre.








“Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe…”









"Forzatura !  Esagerazione !  Il Castello come il tempio di Gerusalemme !  Ci mancherebbe ! 
( Stracciamoci le vesti ! )"

E’ evidente che si tratta solo di una mia fantasiosa, paradossale e, forse un po’ troppo irriverente e impertinente provocazione.
Resta comunque mia ferma opinione che non sia opportuno banalizzare la fruizione di un bene comune di notevole interesse (anche se non paragonabile ad altri più prestigiosi e intatti come ad esempio Castel Thun) con trovate di grande richiamo ma non consone al luogo, con l’unico obiettivo di attrarre un numero sempre maggiore di persone (quando, oltretutto, in paese scarseggiano le strutture pubbliche e private per l’accoglienza…). Non contano solo i numeri (la “quantità” è importante ma spesso da sola non fa “qualità”)… e poi… i numeri oggi ci sono ma in futuro? Quando la curiosità sarà appagata e le mode cambieranno cosa ci inventeremo? Certo… con qualche altra interessante pensata potremmo magari (s)valorizzare ulteriormente il sito… semplice… si potrebbe, ad esempio, far confluire sul colle del castello ogni attività, di qualsivoglia “qualunquemente” natura…trasformandolo in monumento tuttofare adatto per ogni occasione e per ogni stagione… Sarebbe sufficiente un pretesto qualsiasi e la nostra creatività non avrebbe limiti e non ci potrebbero essere esitazioni nel conseguire un obiettivo ben interiorizzato come quello dei “grandi numeri” e dei supposti vantaggi economici ad essi connessi.
Ma lasciamo i possibili sviluppi ad un incerto futuro e ritorniamo ai giorni nostri, o meglio al passato prossimo… all’estate scorsa, quando accanto alle belle e centrate iniziative si sono visti anche eventi (pochi in verità ma pur sempre troppi) poco appropriati o non all’altezza. Alcune attività hanno banalizzato l’utilizzo del sito al punto di configurare, secondo la mia modesta e rigida valutazione, un uso  inappropriato di questo importante bene storico e culturale. Quello del castello non è, a mio avviso, purtroppo l’unico esempio di gestione e fruizione più o meno inadeguata e talvolta inappropriata (e forse anche troppo costosa) del patrimonio storico, artistico e ambientale del paese…
Ritorniamo alle manifestazioni del periodo natalizio dello scorso anno. Belli i 100 e più presepi simbolo di pace, per le vie del paese, suggestivi negli antichi avvolti (anche se molti presepi, visti e rivisti)…  belli i cori, i concerti e tutti gli eventi collaterali alla mostra dei presepi… e bello e interessante anche il mercatino di Natale con tante cosette altrove introvabili… ma (se non si fosse compresa la mia opinione la ribadisco nuovamente) non dentro il castello! Proprio no! Per le casette del mercatino ci sono tanti spazi caratteristici e pittoreschi lungo le vie e nelle piazze del paese...
Come mi piacerebbero venisse regolata la fruizione del S. Michele in futuro?  Questa la mia idea (o il mio sogno) per quello che conta: abbandonare i mercatini e le attività che suonano pretestuose all’interno del castello e perfezionare l’opera di restauro e di apertura al pubblico realizzando un centro visitatori degno di questo nome con bacheche, video, audio, immagini, biblioteca minima, mostra dei reperti ritrovati durante il restauro (o almeno le loro fotografie) e che ne so… mille altre “cose” che aiutino a conoscere a fondo il castello (com'è ora e come doveva essere in passato...), la sua storia e le sue leggende.  Al suo interno organizzare solo attività coerenti e di spessore, poche ma buone…. Fantasia e creatività  a briglie sciolte (e denaro… ben speso in questo caso), messe positivamente a frutto per qualificare e nobilitare veramente e in modo durevole un bene prestigioso e unico senza sminuirlo e impoverirlo (bruciandolo) con iniziative culturalmente misere e che lasciano il tempo che trovano.
"Facile a dirsi..."
Lo comprendo bene... è facile a dirsi ma non è facile a farsi... Ci sono certamente progetti e attività più popolari, di sicuro successo numerico e più semplici da portare avanti, progetti e attività a portata di mano...che magari creano anche più consenso... però...
però... vale la pena di riflettere, perchè, forse ci potremmo accorgere che, nel medio e nel lungo periodo, svalutare i gioielli del posto, banalizzandone l'utilizzo potrebbe, a lungo andare, risultare rischioso e poco conveniente anche economicamente…

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Al nuovo bivacco "Stalon de Bon"




Metà novembre. Il cielo è coperto da un velo di nubi che filtrando i raggi del sole appiattiscono il paesaggio. L’atmosfera è tardo autunnale. Non c’è neve sul sentiero che partendo dalla “Val Piana”, a monte di Ossana, conduce a "Bon" ma gli ontani bianchi, i noccioli, i saliconi, gli aceri e più in alto i sorbi, le betulle e gli ontani verdi sono completamente nudi e sembrano attendere che una abbondante nevicata li rivesta. Il forte vento dei giorni passati ha strappato le ultime foglie  e ha prostrato le alte felci ormai brune e rinsecchite. I larici hanno perso il bel colore dorato di fine ottobre e i loro aghi si staccano svolazzando nella brezza mattutina, poi cadono investendomi mentre procedo, impegnato faticosamente nell'ultima escursione della stagione con l'amico di sempre.

Siamo diretti al “Bait Stalon de Bon”, il bivacco recentemente realizzato dopo che la valanga ha travolto quello, quasi nuovo, di “Caldura”, nella stessa zona ma collocato sul versante opposto. Alla fine di giugno avevo già tentato di raggiungere il “bait” ma giunto nella conca di “Bon”, ormai prossimo alla meta, avevo dovuto desistere perché il torrente “Foce”, in piena, non aveva consentito un attraversamento in sicurezza per la mia attrezzatura fotografica. Oggi sono certo di poter raggiungere questo nuova costruzione che mi è stato detto essere veramente meritevole di una visita. Nessun problema in vista: la portata del torrente che, di tanto in tanto, si intravede scorrere più in basso, è ben piccola cosa rispetto a quella della mia salita d’inizio estate.




Avanziamo. Dopo poco più di un’oretta di cammino, su di un sentiero a tratti ripido, tortuoso e sconnesso, ai piedi dei “Crozi dei Meoti", sbuchiamo in “Anziana”, la stretta vallecola, sempre suggestiva nonostante la giornata uggiosa e i colori smorti dell’autunno inoltrato. Il tracciato è ora  più agevole e velocemente (meno di mezz’ora) raggiungiamo “Bon” dove com’è tradizione sostiamo. Ora il sentiero si biforca: sulla sinistra si sale verso “Caldura”, il “Monte Giner” o il “Passo del Cagalatin”.




Noi proseguiamo sulla destra e attraversato con estrema facilità il torrentello saliamo brevemente in direzione di “Venezia” (“Lago di Venezia”), da dove si potrebbe proseguire per il “Passo Scarpacò” (e quindi per i “Laghi di Cornisello”), o per il “Bochet dell’Omet” (per scendere al “Lago Piccolo” e al “Lago di Barco”) o per il bivacco “Jack Canali” e la “Forcella La Venezia”.




Una ventina di minuti e siamo di fronte, quasi all’improvviso, al nuovo bivacco. Veramente bello… è stato innalzato in fondo allo “Stalon di Bon”, o meglio all'estremità dei suoi resti ripuliti e consolidati (la stalla risalente a un’ottantina di anni fa, era da tempo dismessa e caduta in rovina. In tempi lontani ospitaava il bestiame “asciutto” all’alpeggio tra “Bon” e “Venezia”).


Solido e confortevole questo baito... Su due piani, provvisto di cucina economica (fornela) con tanta legna ben protetta all’esterno, tavola con panche, credenza, otto comodi posti letto con coperte, illuminazione elettrica (?), acqua e servizi igienici all’esterno, possibilità di barbecue all’aperto con grande tavolone rustico sulla vecchia pavimentazione della stalla. Ottimo lavoro: complimenti e riconoscenza a chi ha avuto l’idea e preso l’iniziativa e a chi ha collaborato e faticato nei fine settimana di più estati (cacciatori, alpini in congedo, vigili del fuoco e molti altri volontari) e naturalmente al Comune che ha approvato e finanziato l’opera.






Il bivacco è ubicato in una località molto interessante per una gita da “Val Piana” ma soprattutto in posizione favorevole come punto di appoggio per i cacciatori (anche fotografici...) o come tappa intermedia per lunghe e più impegnative escursioni.




Il cielo si è rasserenato ma è quasi ora di rientrare: le giornate sono ormai molto brevi, viene subito sera. Due panini e un bicchiere di vino e con il mio amico scendo velocemente a valle… giù fino in “Val Piana” dove ci attende l’automobile.
Resta il ricordo della scoperta di questo nuovo bivacco il "Bait Stalon de Bon" e nonostante il tempo incerto, di un'altra  bella escursione… peccato sia stata l’ultima della stagione…





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