Malinconie autunnali








Le cime, i pendii boscosi, i pascoli, il fondovalle stanno cambiando abito. E' arrivato l'autunno con i suoi colori forti, il rosso, l'arancione, il giallo ma anche con le sue leggere velature, la nebbia, le nubi, la pioggia e il bianco della brina e della neve sui monti più alti.



Il verde forte e uniforme dell'estate sta lasciando il posto ad una grande varietà di tinte. I versanti della valle si chiazzano pian piano di colori caldi... sono le foglie del ciliegio selvatico che si tingono di rosso, del pioppo tremulo del nocciolo e della betulla che rapidamente virano verso il biondo e sono infine i sottili aghi del larice che lentamente si colorano d'ambra, d'oro rossastro... per poi, lentamente, cadere disperdendosi sulla terra umida. Sono questi i colori, i rossi, gli arancioni, i gialli e i bruni, che sparsi tra il verde vigoroso dei pini e degli abeti accendono nella valle la magia dell'autunno.



E poi il sole basso, il sole autunnale... I suoi raggi radenti lambiscono le cime, scolpiscono il paesaggio, allungano le ombre sottolineando la sagome dei monti, i profili dei versanti, evidenziando i villaggi, le chiese, i masi sparsi, gli alberi isolati.
Però accade talvolta che, dopo la pioggia, le nubi e la nebbia invadano l'ambiente offuscando il paesaggio, attenuando i contrasti, sfumando i toni forti, regalando un mesto fascino alla valle e insinuando una grande malinconia in chi la percorre.





Ma è comunque bello passeggiare anche nella nebbia.... camminare nei dintorni del paese, vincere la pigrizia e inoltrarsi lungo gli abituali viottoli, avanzando pian piano nel candore che li offusca, nel bianco che confonde il percorso, che disorienta il procedere in un continuo susseguirsi di umide, vaporose ombre.






Il paesaggio è piatto, lo sfondo assente, velato, immerso nella fitta foschia. Gli alberi sono fantasmi che si perdono nel nulla, sprofondati in una densa caligine che attenua i vivaci colori del fogliame ma nel contempo esalta l'aspetto spettrale dei rami spogli.



Atmosfera fredda, triste, malinconica... ma anche fiabesca, misteriosa, talvolta inquietante.
Tutto è silenzio. La confusione estiva è completamente svanita. I mesi di luglio e di agosto con il viavai dei turisti è un lontano ricordo. Il rumore di fondo dell'estate, non privo di punte moleste, di fastidiosi schiamazzi, musiche di sagre paesane, feste campestri estemporanee e traffico automobilistico da metropoli si è esaurito nel nulla... I villaggi si sono fin troppo spopolati e sui viottoli che tagliano boschi, prati e pascoli non si incontra anima viva.




Così la vuota panchina, strategicamente collocata su di una svolta panoramica della stradina che lentamente sto percorrendo, sembra l'emblema della solitudine... di una malinconica solitudine.
E inevitabilmente pensi che la stagione fredda è ormai prossima, che il freddo pungente e la neve si stanno avvicinando... pensi che è quasi giunta l'ora di migrare e ti prende la malinconia dell'autunno.



Ma la nebbia solitamente non dura molto. Tra poco si scioglierà, le nubi si alzeranno e si apriranno sospinte dal vento e il sole farà nuovamente capolino donando alla valle l'incomparabile bellezza dei suoi nitidi colori autunnali. Colori vividi che ti scalderanno il cuore allontanando dalla mente i tristi pensieri. E almeno per qualche momento ti dimenticherai del buio che ormai sopraggiunge appena dopo il tramonto e delle notti che si stanno facendo sempre più fredde e lunghe...

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Merli o... dinosauri ?

Ma quanto sono voraci i merli del mio giardino !











Sì, proprio così... i merli che frequentano (ormai si potrebbe ben dire che risiedono permanentemente) nel prato che circonda la casa in Val di Sole, si sono divorati, in pochissimi giorni, l'intero raccolto di pere della mia antica pianta da frutta, progenitrice della moderna varietà Williams. Non che le pere maturate quest'anno fossero molte. In verità erano veramente poche, poche e bruttine, a stento sopravvissute alle gelate tardive e alle grandinate di una annata meteorologicamente molto sfavorevole. Comunque l'ingordigia dei merli, maschi, femmine e giovani dell'anno, non ne ha risparmiata nessuna, belle o brutte che fossero.









Osservare l'assalto dei merli al mio pero, appena fuori l'uscio di casa, faceva davvero impressione... che fame, che avidità, che ingordigia! Incredibile... I merli non abbandonavano le loro tenere prede nemmeno al mio sopraggiungere, quando per fotografarli mi approssimavo ad una distanza di molto inferiore a quella di fuga... “distanza di fuga” abituale, consueta durante l'intero anno fino al momento dell'abbuffata a base di pere quando nemmeno il feroce gattone dei vicini riusciva a spaventarli più di tanto...







Così, mentre li osservavo e li riprendevo durante le loro avide e insaziabili scorribande, mi assaliva una stravagante idea, mi balenava in mente un insensata vicinanza tra i comportamenti dei miei merli e i comportamenti  di quegli estinti esseri che ormai l'intera comunità scientifica ritiene i progenitori di tutti gli uccelli. Ritrovavo nella voracità dei moderni uccelli la stessa voracità degli antichi dinosauri, che senza entrare in approfondimenti qui del tutto fuori luogo, vengono considerati gli “antenati” dei nostri bei volatili. Scoprivo nei miei simpatici merli la stessa avidità, la stessa ingordigia (quasi la stessa affamata ferocia) che una certa più o meno recente cinematografia ha attribuito ai loro antenati dinosauri lanciando sul mercato pellicole avventurosamente avvincenti, (a parer mio raccapriccianti e spaventevoli) e quindi di grande richiamo per una grande massa di spettatori.






Così davanti al raggelante spettacolo dei merli mangioni e insaziabili (particolarmente dei giovani esemplari in muta) la mia mente stava elaborando gli elementi per una nuova prova, “scientificamente rigorosa”, a conferma della teoria che vede discendere gli uccelli dai dinosauri... stessa ingordigia, stessa avidità...
Se non fosse che la mia mente è molto fantasiosa... tutto quadrerebbe... Però così ragionando, ragionando per analogie, si potrebbe arrivare a formulare l'ipotesi che anche alcuni ominidi moderni, particolarmente ingordi, non solo di cibo ma di denaro, di ambiente da devastare, di risorse da sfruttare oltre ogni limite, ecc. ecc. potrebbero discendere direttamente dai dinosauri, magari dal feroce e avido Tyrannosaurus Rex... Ma evidentemente così non è e le mie sono solo bizzarre illazioni che non si basano su prove "scientificamente dimostrabili"... ma poi chissà... in futuro la scienza potrebbe anche riuscire a sorprenderci...

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In Val del Monte all'epoca degli amori del cervo

Venti settembre



E' ancora buio quando mi appresto a salire, con l'amico di sempre, in Val Ganosa, una delle piccole diramazioni della Val del Monte nel Parco dello Stelvio. Qualcuno mi ha suggerito che lassù dovrebbero stanziare alcuni stambecchi... Ma di questa lunga escursione di fine estate che ci ha condotti anche al piccolo Lagostel dirò in un prossimo post. Per il momento mi limiterò a dire brevemente del nostro incontro con i cervi lungo la parte iniziale del nostro cammino o meglio durante una breve diversione dal percorso prestabilito che ci ha condotti ai piedi delle alte praterie delle Mandriole prima di riprendere la faticosa marcia verso la nostra meta.





Ed è proprio su quelle alte praterie, al confine del bosco, dove gli ultimi larici diradano lasciando spazio ai pascoli di montagna che, al mattino presto, si possono ammirare i cervi. Branchi di femmine con i piccoli intenti a brucare le tenere erbe appena spuntate, durante i caldi mesi estivi e più avanti, in settembre maschi isolati o in minuscoli gruppi in perlustrazione o intenti a organizzare i loro harem in previsione degli accoppiamenti ormai prossimi.



La località, molto aperta, non consente purtroppo alcun avvicinamento ai selvatici senza essere individuati e quindi, solitamente, ci si deve accontentare di osservazioni da distanze notevoli. E questo vale anche per gli scatti fotografici i cui fotogrammi devono talvolta essere ritagliati a dismisura, a scapito della definizione, per ottenere un sufficiente ingrandimento dei soggetti ritratti. Accade ben raramente che qualche cervo, deviando dai percorsi usuali si avvicini ai tronchi o alle rocce che nascondono il “guardone” e quando succede è davvero una grande emozione...





Anche oggi i cervi sono molto distanti, davvero molto lontani, lassù in alto, sulle creste, dove il giallo dei pascoli si immerge nel blu... ma va bene così... si possono osservare anche da lontano, con il binocolo, in tutta la loro regale maestosità, sullo sfondo limpido di un cielo ormai autunnale.
Poi quasi all'improvviso il pendio si spopola, i cervi, maschi e femmine, sono scomparsi...





Attendiamo ancora una decina di minuti (la Val Ganosa non scappa...) e finalmente, a metà costa, dalle ultime rade macchie di larici escono due giovani maschi che attraversano correndo l'intero versante. Sono abbastanza vicini ma sono maschi fragili, soli e isolati e la loro vista non desta emozioni particolari. Poi il nulla.

Riprendiamo lo zaino, lasciamo il nostro riparo e mentre imbocchiamo il sentierino compare un possente maschio, lassù in alto, quasi al confine con il cielo. Un maschio con il suo numerosissimo harem e il contorno di alcuni altri esemplari più giovani. Una visiona inattesa e stupefacente.... Ma allora, ci chiediamo, la stagione degli accoppiamenti è già iniziata? Anche se ancora non si ode alcun bramito? E' così, evidentemente... Di tanto in tanti il maschio dominante solleva il capo nella tipica postura del bramito ma nulla esce dalla sua gola. E' ancora troppo presto... Comunque nulla sfugge al suo controllo, allontana e tiene al margine del gruppo gli altri maschi e controlla le femmine impedendo loro di allontanarsi. A poco a poco le costringe ad attraversare l'intero pendio guidandole verso un avvallamento nascosto alla nostra vista... Stupefacente...


Ormai il periodo degli amori è veramente alle porte e tra pochissimi giorni da quassù su diffonderanno i possenti bramiti di questo esemplare e degli altri numerosissimi cervi che popolano questi monti e il selvatico mugghio d'amore raggiungerà anche il fondovalle e i paesi più prossimi.


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Ventotto settembre



Verso levante albeggia appena e nel lieve chiarore del cielo si delineano gli scuri profili dei monti nei dintorni di Passo Cercen quando salgo “in solitaria” dal Fontanino di Pejo (dove ho parcheggiato l'auto) verso la Diga di Pian Palù nel Parco dello Stelvio. All'altezza dei “Masi de la Palù” abbandono la strada e mi inoltro nel bosco lungo la scorciatoia che conduce rapidamente ma ripidamente al “Prà di Palù” ai piedi della Val dei Orsi. Salgo e ancora salgo alla flebile luce della torcia frontale seguendo tracce poco battute mentre da un versante all'altro della valle si rincorre il mugghio dei cervi in amore.






Si fa giorno quando raggiungo il bordo del grande e pianeggiante “Prà di Palù” e mimetizzato tra i larici osservo con il binocolo l'oscuro versante di fronte alla ricerca di quei cervi che fino a poco fa si udivano bramire rabbiosamente ma che ora non si sentono proprio più. Nulla. Nessun selvatico in vista, nessun “canto d'amore” se non proveniente da boschi e da pascoli lontani.



Strano... Scruto più attentamente il pendio ed ecco... sorpresa … ma amara sorpresa.... due persone stanno risalendo il versante per il sentiero della grande guerra, vecchio sentiero, ora abbandonato, appena visibile e rinselvatichito. Guardie o operai alle dipendenze del Parco? Due semplici escursionisti? Chissà... Mi hanno preceduto raggiungendo comodamente la zona sulla strada bianca chiusa al traffico veicolare con una anonima auto (senza particolari distintivi o autorizzazioni esposte sul parabrezza) che scoprirò ben parcheggiata in una piazzola all'ombra delle conifere. Peccato!


Che fare? Deluso, alquanto innervosito dal contrattempo, stizzito con chi ha allontanato brutalmente i selvatici, decido comunque di continuare la mia faticosa avventura e cambio meta dirigendomi verso le alte praterie delle Mandriole. Praterie che ho già visitato all'inizio del mese e una seconda volta la scorsa settimana. Mi attende una buona oretta di salita e anche se è ormai tardi non mi scoraggio, mi incammino e raggiungo prima del previsto la mia “tana” ai piedi del brullo versante. Il sole ha ormai da tempo inondato la zona di una luce calda appena smorzata dalla leggera velatura del cielo che ne attenua la luminosità.



E' veramente tardi e i furiosi bramiti che provengono dal fitto lariceto alla mia destra mi suggeriscono che i cervi devono aver lasciato solo da pochi minuti il pascolo che mi ospita inoltrandosi nel folto del bosco per riposare dopo una notte intera dedicata a sfiancanti parate amorose. Però “sbinocolando” attentamente individuo subito un piccolo gruppo di cervi ancora attivi sulle alte pendici del monte. Impossibile avvicinarsi allo scoperto. Mi devo accontentare di osservarli e di fotografarli da lontano. I cervi notata la presenza estranea si darebbero immediatamente alla fuga.





Sono lassù, in alto, intenti alle loro acrobazie amorose ma comunque sempre attenti e vigili... Posso solo sperare che qualche esemplare si decida ad esplorare i dintorni avvicinandosi e scendendo verso di noi. Vana speranza... non mi resta che assistere da lontano alle loro manovre. Ma sono esibizioni complessivamente tranquille quelle a cui assisto nascosto tra le grosse radici di un larice abbattuto dal vento.

Nella luce ovattata che avvolge le pendici della montagna, luce di un sole malato, osservo emozionato il piccolo gruppo di cervi con le femmine che non sembrano particolarmente interessate alle manovre più o meno frenetiche dei maschi in amore. Nel branco sembra mancare il “sovrano”, non c'è il possente maschio con il capo coronato dall'ampio trofeo ramificato che domina su tutti, non c'è il “signore” che da solo comanda e governa sul gruppo intero spadroneggiando nel suo harem privato. No, lo spettacolo è sì avvincente ma non è quello che sognavo. Non siamo davanti alla classica iconografica rappresentazione dell'anfiteatro dei cervi in amore...Qui governa una minuscola oligarchia di mediocri (sono solo tre i maschi presenti nel gruppo), qui nessuno prevale in modo deciso e definitivo sui rivali.





Qui dominano più maschi, tra loro concorrenti per il possesso delle femmine ma probabilmente alleati nell'ostacolare l'eventuale entrata in scena di esemplari più giovani e fragili. Visione comunque appassionante che si protrae abbastanza a lungo fino a quando i cervi, abbandonata la prateria, si immergono nel fitto lariceto sul fianco del monte. Ancora qualche isolato bramito e sul versante ritorna il silenzio rotto solo dal gracchiare di qualche sperduta nocciolaia.





Poi, quando sto per lasciare il mio nascondiglio, un'ultima apparizione: una coppia di giovani cervi, maschio e femmina, attraversano bene in vista l'intero versante lasciandosi osservare tranquillamente. Non sono lontanissimi e li posso fotografare senza dover poi in post-produzione ingrandire e ritagliare eccessivamente i fotogrammi che li ritraggono. Si è fatto tardi, abbandono definitivamente la mia postazione e scendo a valle appagato, nonostante il contrattempo, dai momenti suggestivi che la natura anche oggi, come sempre è stata in grado di regalarmi.


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Nei boschi dell'Abate Bresadola...

...ancora un'estate avara di funghi








Estate 2017: stagione estiva nel complesso, avara di funghi... Per lunghi periodi è mancata la pioggia (non certo il sole) e si è dovuta attendere la seconda metà di agosto perché le condizioni meteorologiche mutassero a favore della comparsa di un sufficiente numero di miceti.




Sì, perché, da noi, alle nostre quote, la stagione dei funghi inizia generalmente verso la seconda decade di giugno (quando appaiono i primi, sporadici porcini (Boletus edulis subsp. pinicola ?) e qualche “finferlo” o galletto che dir si voglia (Cantharellus cibarius)) e si protrae con alterne vicende solo fino alla fine di settembre quando i porcini si fanno solitamente più rari e nei boschi e nei prati spuntano i miceti autunnali che ben pochi conoscono, ben pochi raccolgono nonostante la buona commestibilità di alcuni di loro.





Ma quale la causa o le cause della scarsità di funghi che ha caratterizzato i primi mesi di questa stagione ma anche quasi tutte le stagioni estive degli ultimi anni? Senza dubbio, come dicevo, le condizioni meteorologiche poco favorevoli ma probabilmente i motivi sono molteplici e difficili da individuare con sicurezza se non si è davvero esperti.



C'è chi parla di cambiamenti climatici, di autunni e inverni senza neve per lunghi periodi e conseguentemente di terreni gelati in profondità e troppo asciutti al disgelo... C'è pure chi pensa, a mio avviso non senza buone ragioni, che in questi ultimi decenni i boschi sono stati troppo frequentati, il terreno troppo calpestato e si sono raccolti troppi funghi impedendone così la normale “disseminazione”. Probabilmente le cause sono anche altre, molto più articolate e complesse, cause che solo il nostro conterraneo, il grande micologo “solandro” Giacomo Bresadola, avrebbe forse potuto individuare.

Così i funghi si stanno facendo sempre più rari e preziosi ed è inevitabile che questo dispiaccia, egoisticamente, anche alla mia “tavola”. Dispiace di doversi accontentare per quasi l'intera estate di qualche sporadico assaggio di “finferli” (Cantharellus cibarius) o di un misero e incompleto “misto” di pochi e mal dosati funghi (Russola cyanoxantha, virescens, aurata... Boletus Erythropus, Boletus elegans e tridentinus, Cantharellus cibarius e cornucopioides, Lactarius.......) o di una assaggio di “ombrelle”, le vistose mazze di tamburo (Lepiota procera ) ben impanate. Solo alla fine di agosto e all'inizio di settembre ho potuto raccogliere una piccola quantità di “brise” (Boletus edulis), una quantità di porcini comunque più che sufficiente per insaporire, ben essiccati, i miei risotti invernali.



Poi verso la fine della stagione, nel mio giardino, come da sempre accade, sono improvvisamente sbucati in grande quantità i chiodini (l'Armillaria mellea…..non manca mai) e anche di questi ne ho cucinato un piccolo assaggio come del resto ho fatto con altri funghi autunnali che si rinvengono abbastanza numerosi a fine settembre nei prati e nei boschi nei dintorni del paese (Tricholoma nudum, Coprinus comatus, Lactarius deliciosus...) e che quasi nessuno (terminata la stagione turistica) raccoglie.



Parlavo di “dispiacere” per la scarsità di funghi che sembra caratterizzare ormai tutte le estati che via via, sempre più rapidamente, si susseguono.... e a questo proposito, a ben guardare, la “sofferenza” più grande va ben al di là dell'aspetto culinario. Ciò che più mi dispiace, durante queste ultime stagioni avare di funghi, è il girovagare nelle selve senza poter ammirare la stupenda varietà di funghi vistosi e di timidi funghetti, multiformi e multicolori, che solitamente in passato impreziosivano il sottobosco.




Perché se ancora mi appassiona percorrere in lungo e in largo il bosco alla ricerca affannosa del porcino più grande, sano e bello, da mostrare agli amici e da essiccare per l'inverno... alla mia età trovo sicuramente più emozionante camminare lentamente nel bosco, tra muschi, acetoselle, felci, mirtilli fradici e osservare con tranquillità e attenzione ogni minima cosa che arricchisce il terreno, che abbellisce il sottobosco...





Guardare, osservare, ammirare ciò che di suggestivo il bosco ci offre: i cespugli, le erbe, i fiori, i frutti, e i funghi nella loro incredibile varietà di dimensioni, forme, colori... nell'ombra scura e compatta del la selva fitta, nella luce abbagliante del primo pomeriggio che filtra violenta nelle piccole radure o nella luce calda ma tenue dell'alba o del tramonto...





Osservare il popolo misterioso dei funghi minuscoli, appena visibili e dei funghi giganteschi spesso coriacei, legnosi... dei funghi morbidi, vellutati, lisci o ruvidi, rugosi, squamosi ma soprattutto dei funghi arricchiti dalle gocce di rugiada o inzuppati dalla pioggia caduta nella notte... che luccicano, brillano sfiorati dai raggi radenti del primo mattino che penetrano, qua e là, tra i rami degli abeti creando incredibili giochi di luci e di ombre.





Poi magari vale la pena di raccogliere un esemplare che ci incuriosisce particolarmente e al nostro ritorno cercare di classificarlo, di individuarne “nome e cognome”, commestibilità o tossicità, luoghi di crescita, ecc. ecc. (sulle orme del grande Bresadola), utilizzando qualche semplice e bel manuale di micologia alla portata di tutti

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Il porcino dal cappello color tonaca di cappuccino e dal grosso piede d’avorio; il gallinaccio dal collaretto arancione; increspato: l’ovolaccio col suo ombrello da fiera, vermiglio con lagrime bianche; il prataiolo maggiore col suo parasole chiaro da vecchia marchesa; funghi. che, da una specie all’altra, attraverso morbide sfumature e una infinita gradazione di tinte, spiegano tutta la gamma del prisma.
(Marcel Roland)