Bella la neve quando non è troppa!

 

E' arrivata la neve… Neve in giusta quantità, né poca né troppa, in quantità tale da donare un aspetto completamente nuovo ad un ambiente fino all’altro ieri spento nella sua bruna tonalità tardo autunnale. Peccato che dopo la “bella nevicata”, per una settimana intera ad iniziare da due giorni dopo, di neve ne sia caduta ancora moltissima, tanta quanta non se ne vedeva da parecchi anni. Talmente tanta da appiattire ogni cosa sotto il suo peso e da rappresentare un problema per la gente di montagna che ha dovuto provvedere a liberare dalla candida massa, le strade e le piazze dei paesi oltre ai cortili delle singole case. Gente di montagna che, a differenza di qualche tempo fa, quando, immancabilmente, già novembre la neve ricopriva la valle, oggi, con il cambiamento climatico in atto è meno avvezza a far fronte agli inevitabili disagi provocati dalle nevicate, soprattutto dalle “grandi” nevicate. Quelle “grandi” nevicate che, nel corso di questi ultimissimi decenni interrompono, di tanto in tanto, il susseguirsi di stagioni invernali asciutte, avare di precipitazioni nevose o, più raramente, i periodi con la neve che muta in pioggia anche alle quote più elevate. Sono questi gli effetti della trasformazione climatica in atto, effetti che, con l’accentuarsi in intensità e frequenza degli eventi meteorologici estremi (il “tempo matto” che ormai caratterizza tutte e quattro le stagioni), sono sotto gli occhi di tutti, di tutti noi (o quasi tutti noi) che sempre ne parliamo, ci lamentiamo, ma ben poco facciamo per evitare ulteriori aggravamenti. Noi... che manteniamo intatto il nostro deleterio (o quantomeno poco sobrio e quindi dannoso) stile di vita e che tralasciamo ogni occasione che ci si presenta per sollecitare chi, a vari livelli ci governa (un “chi” che magari abbiamo anche mal scelto), ad occuparsi positivamente e seriamente della questioni connesse al riscaldamento globale.



Ma torniamo a noi. Nel breve intervallo, una sola giornata, intercorso tra la “bella” nevicata e la “grande” nevicata” ho potuto emozionarmi a lungo davanti ad un ambiente improvvisamente cambiato, davanti ad un “mondo” nuovo, un mondo che, coperto di neve, appariva completamente diverso, Durante la mia consueta camminata mattutina (sulle stradine lungo l'alveo del torrente Vermigliana, dai dintorni del castello di San Michele di Ossana fino oltre il Fil, alla base del versante destro della valle, in direzione del Tonale) molte delle “piccole cose” che mi erano familiari erano scomparse, sommerse dal soffice manto, ma era soprattutto la totale metamorfosi del paesaggio che più mi colpiva... case, giardini, cortili, strade, prati, campi, pascoli, boschi... fondovalle, versanti, cime…e il castello... tutto era diverso, tutto era improvvisamente mutato, era tutto immacolato. La neve aveva regalato un aspetto inedito, più leggero, più luminoso, ad un ambiente autunnale scialbo, scuro, pesante, senza vita.



Mentre, nei pressi del San Michele, procedevo a lunghi passi calcando il soffice strato di neve fresca, osservavo i bordi imbiancati della stradina dove in primavera e all’inizio dell’estate mi ero più volte dilungato adosservare e a fotografare una grande varietà di fiori selvatici sui quali svolazzavano, numerose, delle farfalle variopinte. Di quei fiori e di quelle farfalle mi pesava l’assenza. Una vivacità e una varietà di colori che ora, sul viottolo in abito invernale era impossibile trovare. Però... non era detta l’ultima parola... Esplorando qua e là, con molta accuratezza, individuai comunque, qualche piccola macchia colorata persa nella candida uniformità del paesaggio: trovai e fotografai i rossi frutti della rosa canina dispersi nella neve che ne inglobava i rami spinosi e gli altrettanto rossi grappoli di bacche del sorbo degli uccellatori coperti dagli ultimi fiocchi caduti.



Più avanti, verso il Fil ( o Spiaz dei Spini che dir si voglia) il paesaggio si faceva più selvaggio, era ancora più ripulito, levigato, immacolato. I rumori giungevano smorzati. Il mormorio del torrente che serpeggiava tra i massi ben camuffati nel tappeto nevoso, mi arrivava affievolito, appena percettibile. Magia della neve che, oltre a soffocare nel suo candore ogni altro colore, spegneva, assorbendolo, ogni suono, ogni voce, ogni rumore.
Il percorso era intatto. Nessuno lo aveva finora violato. Nessuno aveva finora “udito” il silenzio ovattato che lo racchiudeva, nessuno ne aveva “assaporato” l’umidiccio profumo, nessuno aveva finora ammirato quell’incantevole paesaggio, quelle boscaglie imbacuccate di neve, quegli abeti candidamente incappucciati, quei larici che, rivolgendo verso l’alto i loro rami spogli, ammantati di bianco, mascheravano il debole sole invernale. Un sole che era apparso solo per qualche istante, dopo essere emerso a fatica dal crinale dell’ombroso versante.
Panorama fatato da ammirare e godere con tranquillità, in solitudine… un incantesimo, un gelidi incantesimo che i suoni estranei, anche la parola di un amico avrebbero potuto rompere...
Durante il rientro la vista di una panchina coperta di neve, di una ormai inutile panchina abbandonata al bordo del sentiero, mi richiamava alla mente il ricordo della bella stagione, quando, proprio su quella panchina, mi ero più volte riposato. E, inevitabilmente, a quella vista e con in testa quel riesumato ricordo ritornava anche una grande desiderio di primavera e di estate, ritornava la voglia di un ambiente più colorato e vivace, di un paesaggio sicuramente meno attraente e coinvolgente di quello che avevo davanti ma più vario e rassicurante, più caldo e più allegro... di un paesaggio da poter ammirare tranquillamente anche in compagnia…

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Primo e ultimo sole sulle cime della Val di Peio

 

In un primissimo mattino di fine novembre, al termine di una breve sgambata, mi trovo sui prati di Novale, a Fucine, dove si apre la Val di Peio. Il paesaggio non è nel suo insieme particolarmente attraente, è opaco, spento, incolore ma l’atmosfera è comunque limpida, trasparente, il cielo è chiaro, quasi luminoso. Sulla terra domina invece l’ombra, domina ancora la rimanenza della notte soprattutto sul mio percorso, lungo l’oscura fascia boschiva, una sequenza di scheletriche sagome brune, piante e cespugli, che delimitano il percorso del fiume Noce al confine della piana prativa.




Il freddo è intenso, ma non mi scoraggio… Avanzo lentamente e attendo. Attendo al margine del prato spruzzato di brina, immerso in un silenzio quasi irreale, un silenzio rotto solo dal mormorio delle acque. Attendo che il sole inizi a rischiare la valle, che la ravvivi, che la riscaldi, che la riporti in vita. E finalmente il sole pian piano arriva. I primi tenui raggi raggiungono le cime, la sommità del Taviela e del Vioz, due degli imponenti massicci che chiudono la Val di Peio. Le due vette lentamente si illuminano, si colorano di un pallido rosa. Un rosa che rapidamente si fa più energico assumendo tonalità sempre più intense, sempre più rossastre. 




Era questo quello che volevo vedere, quello che mi aspettavo di vedere: il Vioz e il Taviela interamente dipinti di rosso, e poi di rosso aranciato, a sovrastare una vallata ancora in ombra, una valle che solo ora si sta lentamente risvegliando. Uno spettacolo che si ripete ogni mattinata, quando il cielo è sereno, lungo l’intero corso dell’anno, ma che nella stagione fredda acquista una particolare suggestione per l’intensità della sua vivida colorazione.


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Pochi giorni dopo, all’inizio di dicembre, l’ambiente è completamente cambiato. Una nevicata è riuscita ad imbiancare anche il fondovalle regalando al paesaggio un aspetto tipicamente invernale, da cartolina illustrata, come raramente, in questi ultimi anni, così avari di precipitazioni, si è riusciti ad osservare. La neve ha coperto ogni cosa, in quantità moderata, giusta, non eccessiva… non eccessiva come quella che, qualche giorno dopo, avrebbe sommerso la valle creando non pochi problemi. Una ennesima probabile conseguenza, questa, del cambiamento climatico, causa, ormai certa, di eventi meteorologici estremi sempre più frequenti ed intensi.




Ma torniamo a noi. Panorama tutto nuovo, neve ovunque anche in Val di Peio, sulle alte montagne che la racchiudono, sui suoi ripidi pendii, sulle terre alte a basse. Un paesaggio attrattivo che decido di ammirare nella luce diffusa della sera, nella luce diffusa da un cielo invernale, limpido e quasi sgombro da nuvole. Eccomi quindi a camminare nuovamente sui prati di Novale, sulla pista ciclopedonale e, più avanti, lungo le rive del Noce. Mi accompagna la vista degli abeti e dei larici, scuri, ma ben imbacuccati in un candido mantello, dei cespugli imbiancati con i rami irrigiditi dal gelo rivolti verso l’alto, la vista della distesa pianeggiante innevata, un deserto di neve che bianca non è perché velata dall’ombra azzurrognola della sera. 




Da questo ambiente che lentamente si offusca, dove i colori iniziano a sciogliersi fondendosi in un grigio uniforme privo di luci e di ombre, emergono, ancora molto luminose, le cime più alte, le punte del Vioz e del Taviela. Si innalzano ben rischiarate dagli ultimi raggi del sole. Posate su di un guanciale di accese nubi policrome, si staccano dagli spenti versanti rocciosi che le sorreggono e dai pendii boscosi e prativi che degradano verso la valle. Il crepuscolo si avvicina velocemente. La luce va calando. Il bosco si fa tenebroso, l’azzurro del pianoro innevato si fa sempre più scuro, si ingrigisce... Il cielo è sempre più opaco… Le cime del Vioz e del Taviela perdono la loro lucentezza, la loro nitidezza e a poco a poco si sciolgono nella ombrosa uniformità dell’ambiente che sovrastano. E’ quasi buio. Solo i puntini luminosi di qualche veicolo che attraversa la valle e le luci della case nei villaggi o sparse sui pendii, rompono la scura uniformità di un paesaggio ormai quasi notturno.

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Brina e nevischio sulle stradine tra Novale e Comasine

 


Era una limpida mattina di metà novembre, una mattina che considerai perfetta per una passeggiata, per una lunga e panoramica camminata lungo le stradine che dalla piana prativa di Novale, nei pressi di Fucine, si inerpicano sul versante destro della Val di Peio raggiungendo il paese di Comasine. Un itinerario che, inizialmente, prevede di scegliere tra alcune stradine o meglio mulattiere e sentieri che, via via, si staccano dalla pista ciclabile sul fondovalle e, penetrando nel bosco sovrastante, vi si immergono fino a raggiungere la trattorabile che, dal minuscolo nucleo di edifici del Forno di Novale, sale fino a Comasine. 



Una mattinata perfetta... No, "perfetta" è un po’ “troppo”, sicuramente una mattinata interessante, paesaggisticamente attraente dopo la fievole nevicata della notte che ha leggermente impolverato le cime dei monti e i loro versanti fino alle quote medio basse. Un minimale approccio all’inverno, a ciò che mi e ci attende… Un evento meteorologico imprevisto e particolare che ha ravvivato il panorama tardo autunnale spruzzando di bianco l’ambrato dei larici, il verde deciso e brillante degli abeti e lo smorto verde giallastro dei prati e degli alti pascoli. 



Procedendo lentamente sui sentieri nel bosco e più avanti, verso Comasine, sulla strada bianca che sale al margine di piccoli e ripidi appezzamenti terrazzati a prato falciabile, più che dal paesaggio venivo attratto dalle piccole “cose”, dai piccoli gioielli incastonati nel nevischio caduto nella notte, fili d’erba, minuscole felci, foglie secche costellate di goccioline luccicanti al primo sole. Ma non solo, nelle vallecole più fredde e ombrose, mi attirava il tappeto di brina, mi affascinavano i suoi minuscoli cristalli sparsi ovunque sulla vegetazione rinsecchita.



Raggiunte le prime abitazioni di Comasine invertivo la marcia e iniziavo la discesa rinviando ad una più consona occasione la visita al centro abitato che ospita la casa avita di Giacomo Matteotti. Calavo rapidamente a valle camminando incontro al sole che, ormai alto e luminoso, spesso mi abbagliava con i suoi raggi, lampi accecanti, che filtravano tra le fronde degli abeti e, giocando a rimpiattino, tra le nude, scheletriche ramaglie delle latifoglie più alte... Sequela di immagini in controluce, improvvisi chiarori nella semioscurità delle vallecole più ombrose. E, più in basso, nel folto del bosco, bagliori inaspettati, sottili lame di luce che, bucando per qualche istante il tetto dell’intricata vegetazione, impattavano su di una foglia incredibilmente ancora verde, su di un giallo lichene, su di un fungo invisibile nell’oscurità... macchie di colore vivido, piccole macchie, perse nella buia uniformità del bosco tardo autunnale….


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Novembre al Lago dei Caprioli

 

Lunga scarpinata autunnale, su sentieri, mulattiere, strade bianche e forestali. Salita da Ossana al Lago dei Caprioli a Fazzon di Pellizzano e, dopo il “giro” del lago, discesa sullo stesso tracciato, evitando ogni via asfaltata se non per un brevissimo tratto in prossimità dello specchio d’acqua..


La salita.

Parto di buonora, nell’atmosfera piacevolmente fresca d’inizio novembre, imboccando il sentierino che, dalla periferia di Ossana, verso Fucine, sale al Belvedere. Da qui, dopo una foto alla Val di Peio illuminata dal primo sole, proseguo sulla vicina strada forestale raggiungendo il Bosco Derniga e il suo Giardino Forestale, muto e vuoto vista la stagione. Successivamente mi immetto, dopo aver percorso il largo e pianeggiante sentiero che taglia il ripido versante sopra Ossana, sulla strada bianca che porta in Val Piana dove arrivo quando la luce del sole sfiora appena le cime che le fanno da sfondo. Attraversato il ponticello sul Rio Foce, proprio all’inizio della valle, prima del capitello di S. Antonio, imbocco la vecchia mulattiera del Selvat che seguo, tra noccioli, abeti e larici, fino a raggiungere la larga strada forestale che collega Val Piana a Fazzon. La percorro per un lungo tratto, il suo tratto finale, fino agli amplissimi e, in questo periodo del tutto deserti, parcheggi in prossimità del Lago dei Caprioli, dove arrivo sulla strada asfaltata che proviene da Pellizzano, strada ora deserta, ma che in estate è costantemente percorsa da frotte di turisti.

Il lago.

Silenzio assoluto sulle sponde del lago e calma piatta sulle sue acque… I primi raggi del sole, ancora basso, iniziano a rischiarare parte delle acque del lago e a illuminare, ravvivandole, le chiome degli abeti sempreverdi e dei larici ormai ambrati che impreziosiscono le rive dello specchio d’acqua. Paesaggio senz'altro suggestivo nella quiete di novembre, reso tale dalla vivace e calda policromia autunnale delle zone illuminate in contrapposizione alla piatta, oscura e gelida uniformità degli spazi ombrosi. Contasti decisi di luce e di colore che animano un paesaggio particolarmente accattivante in questo periodo e in quest'ora del giorno.




Mi affretto. Percorro il sentiero che abbraccia le acque catturando molte immagini: soprattutto riflessi, piante che si specchiano nelle acque, dettagli di erbe palustri coperte di brina... e, naturalmente, panoramiche del laghetto. Panoramiche che però mancano di uno sfondo adeguato, mancano delle belle cime innevate che contornano altri simili specchi d’acqua. Ma è meglio così. Il luogo è vario e interessante e dà modo di concentrarsi sui particolari, sulle sue peculiarità, evitando le classiche “foto cartolina”.




Del resto questo non è un laghetto naturale, è un bacino artificiale, creato dall’uomo per attrarvi valligiani e soprattutto turisti. E’ il frutto di una “impresa” risalente agli anni del boom economico. Se ricordo bene la sua realizzazione risale alla fine degli anni ‘50 o ai primi anni ‘60, e fu portata a termine erigendo un argine in terra battuta lungo un lato del futuro laghetto e sbarrando con una briglia il corso del Rio Fazzon (briglia, se non erro, ben presto asportata da un evento alluvionale con conseguente esondazione di Pellizzano, il paese sottostante… Briglia, o meglio piccola diga, poi ricostruita più solida di prima…).




Tutto bene... il laghetto, dal nome così attrattivo, è cosa fatta da decenni e non si può certo affermare che non sia veramente un bel laghetto ma, soprattutto, ed è questo quello che probabilmente a molti più interessa, un laghetto che, durante la stagione estiva, richiama le folle, richiama centinaia di persone che, distese sui prati in riva alle acque, possono rilassarsi e “cuocersi” al sole. Ma c’è un però. Un’area piccola, ma probabilmente particolarmente preziosa dal punto di vista naturalistico, un biotopo umido verosimilmente di un certo pregio, è stato sacrificato, sommerso per sempre, scomparso… e questo, forse, ma solo forse, senza preventivi approfonditi accertamenti sulla valenza naturalistica del luogo. Tutto sommato più che comprensibile: in quei lontani tempi si parlava ben poco di salvaguardia dell’ambiente naturale, i problemi erano ben altri...


Oggi, trascorsi molti anni, la sensibilità delle singole persone e l’attenzione delle istituzioni nei confronti della conservazione degli ambienti naturali di qualità è sicuramente cresciuta. I parchi, le riserve, le oasi, i biotopi protetti, i territori in qualche misura tutelati sono sempre più numerosi… ma purtroppo in molte situazioni prevale ancora l’interesse economico immediato, solitamente l'interesse di pochi, sulla salvaguardia del patrimonio comune e troppo spesso accade che il “naturale” diventi solo un ipocrita aggettivo, un’attrattiva etichetta, per “piazzare” turisticamente un territorio, una località, un ambiente, che di ”naturale” ha ben poco, ha, per l’appunto, solo l’etichetta


Il ritorno.

Discendo a valle in compagnia delle mie amare considerazioni ma anche soddisfatto per il silenzioso e avvincente spettacolo del Lago dei Caprioli in abito autunnale. Seguo lo stesso percorso dell’andata aggiungendovi però una breve deviazione sui “prati alti” di Val Piana (più in basso l’accesso è interdetto a causa dei danni alluvionali dello scorso mese) da dove posso ammirare lo stupefacente fondale dei monti innevati, primo tra tutti il Corno di Bon “inondato” dal sole del primo pomeriggio.

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