Al lago di Barco con la prima neve


La prima neve, il candido manto che, inaspettatamente all'inizio di settembre, è caduta sulle cime e sugli alti versanti della valle, mi ha “stregato”... la vista dei monti imbiancati mi ha sedotto forzandomi ad intraprendere un'impresa a cui pensavo di continuo ma che non riuscivo (o volevo?) concretizzare per cui finiva per insabbiarsi, sempre più, sul fondo del cassetto dei buoni propositi... Un'impresa? Ma quale “impresa”! Non c'era nessuna grande impresa da compiere. Si trattava solamente di una lunga escursione, di una lunga scarpinata fino al Lago di Barco che in tempi assai lontani avevo ripetuto all'infinito e che ultimamente, considerata la mia certamente non più verde età, mi ero comunque ripromesso di portare a termine almeno una volta all'anno. Raggiungere sistematicamente quel posto era quindi un serio impegno che avevo preso con me stesso ma soprattutto che avevo preso con le acque del Lago e che, colloquiando con loro, avevo rinnovato anche durante la mia ultima visita... Un impegno da onorare sempre, di anno in anno, una impegno, però, da qualche tempo coscientemente disatteso, una promessa non mantenuta,...

Oggi, raggiunta la terza età (mi piace più pensare ad una seconda età avanzata...) cerco di recarmi almeno una volta all'anno al lago di Barco. E' un “pellegrinaggio” sui luoghi della mia giovinezza... e annoio le figlie o gli amici che mi accompagnano con le storie di un tempo lontano.” Questa il finale del mio post “Lago di Barco” pubblicato quattro anni fa, nel quale mi ero precedentemente dilungato a descrivere le adolescenziali avventure ("le storie di un tempo lontano") vissute sulle sponde di quel laghetto. Un laghetto incantevole, a detta di tutti, ma, ai miei occhi, reso addirittura mitico da un sentimentale legame fatto di giovanili nostalgici ricordi.

E quindi.... e quindi eccomi qui, di fronte al “mio” Lago.
Dopo una lunga e faticosa scarpinata (sono lontani i tempi in cui questo percorso mi sembrava una passeggiata che replicavo anche più volte durante la settimana...) mi trovo sulle sponde del Lago di Barco. Quest'anno ho ottemperato al mio impegno. Mi sono diligentemente presentato al mio annuale appuntamento.
E ora? Che dire? Della mia presenza, al lago e alle sue scure acque non sembra importare molto. Il Lago di Barco non sembra proprio ricordarsi di me, non sembra ricordarsi di quello che, molti anni fa, accadeva, giorno e notte sulle sue rive e nei suoi dintorni per merito mio e dei miei amici d'avventura (ma di questo e altro ho lungamente raccontato nel mio vecchio post). Nessuna reazione... solo un costante e tranquillo sciacquio e, sui suoi argini, un lento squagliarsi della neve al sole di settembre. Il lago è indifferente, del tutto disinteressato alla mia presenza.. Troppa gente sale quassù, troppi i permessi di transito ai veicoli sulle strade forestali, troppe le persone che calcano i suoi dintorni. In estate rumorose compagnie di turisti affollano le sue adiacenze e si ammassano tra tavoli, panche e fornelli… Troppa confusione. il lago mi appare disorientato da questi “tempi nuovi”, non riesce ad adattarsi, non comprende, si sente smarrito... e, cosa assai più grave, a questa moderna condizione il lago, o chi per lui, sembra decisamente rassegnato... non si lamenta, non protesta, non reagisce minimamente.
Guardandolo dall'alto, dal vecchi baito di tronchi che lo sovrasta, lo “vedo” sempre bellissimo ma lo "vedo" diverso, mi appare molto cambiato. Vedo un lago che assomiglia poco a quello di un tempo e ho la sensazione che questo specchio d'acqua e i suoi dintorni stiano dimenticando, che non siano più in grado di ricordare qual era il loro aspetto alcuni decenni fa... Ma io, amico di questo lago, non dimentico, io ricordo e ricordo bene... Ricordo i "bei tempi”, i tempi in cui questo lago ero popolato da autoctoni salmerini, i tempi in cui le boscaglie che lo circondano erano poco frequentate, erano selvagge, i tempi in cui l'insieme sembrava “fuori dal mondo”.
Questo lago era il mio regno, mio, di pochi miei compagni, di poche altre appassionate persone. Le sue solitarie acque sembravano sempre in attesa di qualcuno che con la sua presenza rompesse la loro malinconica solitudine.
Sì, deve essere proprio così. Quando durante quelle lontane estati, dopo la lunga salita, emergendo dalla boscaglia sbucavo sulle rive del lago di Barco avevo la sensazione che le sue acque mi stessero aspettando, che mi accogliessero con un "benvenuto" e alla mia partenza che sempre mi salutassero con un nostalgico "arrivederci".


L'itinerario: Val Piana di Ossana - Malga Doss - Lagheti



Val Piana-Malga Doss 



Malga Doss



Ai "Lagheti"



Al Lago di Barco










Ritorno: stesso itinerario





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Come raggiungere il Lago di Barco? Innanzitutto evitando, se non in casi particolari, di munirsi degli speciali permessi per poter percorrere in auto le strade forestali vietate al traffico veicolare. In secondo luogo evitando di calzare sandali, scarpe di "pezza" o da ginnastica al posto degli scarponi o degli scarponcini da trekking. In terzo luogo evitando di portare nello zaino salamelle, braciole, puntine e polenta da arrostire in riva al lago... Infine evtando urla e schiamazzi e naturalmente di spargere immondizia ovunque...
Detto questo ecco come raggiungere il nostro lago:
Il Lago di Barco si raggiunge da Val Piana di Ossana, salendo per la strada forestale (o per le scorciatoie) fin oltre la Malga Dosse proseguendo per un sentiero alquanto sconnesso e ripido nella sua parte terminale, dopo i Lagheti (circa 3 ore). In alternativa si può salire dalla località Volpaia di Vermiglioper una ripida e monotona strada forestale fino al Baito di Barco e da qui percorrere l'ultimo tratto su di un sentiero ben tenuto me erto. Dal Lago di Barco si può proseguire e raggiungere un secondo laghetto, il Lago Piccolo detto anche Lago della Ste (ore 1 e 30').







Sgambata in Val di Peio sotto il sole di metà agosto


Lunga passeggiata seguendo sterrati, viottoli e stretti nastri asfaltati: all'andata le vecchie mulattiere che da Fucine, all'imbocco della Valeta, raggiungono gli solatii abitati di Strombiano, Celentino e Celedizzo e, al rientro, la pista ciclo-pedonale che si snoda sul fondovalle passando per il Forno di Noval.



In agosto, percorrere, sotto il sole del primo pomeriggio, il sentiero che partendo dalla conca di Ossana, in località Corina, sale al paesino di Strombiano, non è particolarmente allettante. Il versante è ben esposto e fa caldo nonostante la pista sia quasi sempre immerso nell'ombra del bosco. La brillante barriera del ceduo alternata, a tratti, all'oscurità della selva fitta di conifere ostacolano la vista rendendo particolarmente noioso il cammino. Il panorama si apre solo alla fine, quando, ormai nei pressi di Strombiano, emergono, dal verde compatto del bosco e dei primi prati, le cime del Vioz e del Taviela in fondo alla Valeta. Finalmente si intravedono Comasine e Peio Paese e, alle spalle, in lontananza, appaiono i selvosi pendii e le creste rocciose del versante ombroso dell'alta Val di Sole.
Un tracciato, quello tra Fucine e Strombiano, che è consigliabile percorrere in altri periodi, in primavera quando sbocciano anemoni e crochi, si aprono le gemme e compaiono le prime tenere e pallide foglie o in autunno quando il bosco si incendia di rosso, di arancione e di giallo. 



A Strombiano il sole picchia forte. L'acqua della fontana è fredda, impossibile non approfittarne...  per rinfrancare spirito e corpo...
Prima di proseguire, è bene gironzolare per qualche minuto nel minuscolo centro storico del paese, ricco di ballatoi e travature lignee e, se la si trova aperta al pubblico, vale anche la pena di visitare l'antica Casa Grazioli, la Casa della Bega, una rara testimonianza dell'evolversi dell'architettura locale e del modo di vivere di un tempo come pure vale la pena di infilarsi nella cappella dedicata a Sant'Antonio da Padova dove si può ammirare un pregevole altare ligneo.



La salita da Strombiano a Celentino è breve se si evita la strada asfaltata ma si imbocca una scorciatoia, un viottolo sterrato che sale dalla zona "nuova" del paese.
Quassù il bosco ha lasciato il posto ai prati e lo sguardo può spaziare ovunque, sui monti, sui paesi circostanti, sul fondovalle ma ciò che più attrae è lo stagliarsi della chiesa di Celentino, (chiesa dedicata a Sant'Agostino) che, con la sua imponente mole e con l'alto campanile dall'insolita copertura a cipolla, domina la valle intera. Una volta raggiunta conviene visitarla, questa chiesa, come conviene aggirarsi a lungo per le vie di questo antico nucleo abitato arroccato sul versante sinistro della Val di Peio. Tra le strette viuzze e tra i piccoli slarghi di questo solatio villaggio, perse tra le moderne ristrutturazioni, ancora si possono rinvenire alcune architetture originarie, rustici masi ancora intatti......


....strutture lignee sorrette da murature in pietra grezza e finestrelle ad arco raramente osservabili altrove.... e certamente non mancano gli scorci interessante, le viste dall'alto o dal basso, le prospettive attraenti che si insinuano tra gli edifici, i cortili, le aia e gli orti di questo piccolo borgo di montagna.



Poco sotto il paese si diparte una strada poderale che porta ai dei giacimenti minerari abbandonati (miniere di magnetite?). Il viottolo prosegue verso il paesone di Celledizzo. Si tratta di un percorso molto panoramico che inizialmente, con delle rampe anche molto erte, attraversa degli ampi valloni selvosi ma che, proseguendo, termina semipiano, tra i prati, nei pressi di edifici rurali abbandonati e cadenti e di altri ancora in uso.
Bello poterlo percorrere per intero... ma non è stato il mio caso... La stanchezza e l'ora tarda mi hanno consigliato di abbreviare i percorso ”tagliando” verso il fondovalle, per i prati da poco falciati, (all'altezza dei masi di Contra, sul versante opposto), fino a raggiungere la strada provinciale da dove in breve si arriva al bivio per Comasine e con esso alla pista ciclo-pedonale che, costeggiando il Fiume Noce, scende al Forno (dove un tempo assai lontano si fondeva il minerale ferroso).
Al Forno di Noval la lunga sgambata volge al termine... una rinfrescata alla fontana e via, ancora in cammino (ancora per poco) sulla pianeggiante pista asfaltata che porta a Fucine, dove al tramonto si chiude questo lungo percorso ad anello durato l'intero pomeriggio.



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Quattro passi nel passato



In questo post non troverete, come da sempre accade, la cronaca (emozionalmente narrata) di una lunga escursione sulle terre alte o di una breve passeggiata sul fondovalle, e nemmeno il resoconto di una visita a qualche sito di particolare interesse artistico, culturale o storico. Troverete invece un invito, per non dire un'esortazione ad assistere, ogni volta che ne avrete l'occasione, a tutti quegli eventi (spettacoli teatrali ma anche conferenze, presentazioni di libri, di mostre, incontri vari...) che “raccontano” la storia di questa terra, che ne rievocano il passato, che ricordano imprese e vicissitudini della sua popolazione. E' chiaro che mi sto rivolgendo a voi, cari visitatori del mio blog, per assicurarvi che così facendo avrete modo di viaggiare, viaggiare più che piacevolmente, a ritroso nel tempo, avrete modo di fare “4 passi nel tempo che fu”, volando con la mente più che camminando... avrete modo di scoprire “cose nuove” sul questa Valle e, se in questa valle risiedete permanentemente, avrete modo di approfondire quanto già sapete sul vostro paese, sulle traversie dei suoi abitanti, sul come campavano i vostri avi. Il tutto in maniera estremamente immediata e gradevole...
Io i miei “4 passi nel passato” ho iniziato a farli da tempo e finora, ve lo assicuro, si sono rivelati una interessante oltre che simpatica esperienza, per cui, di “passi nel passato” ne farò sicuramente altri...
Ero presente alle dotte ma vivaci e chiare conferenze su Jacopo Aconcio (ingegnere e filosofo della scienza, promotore del confronto e della tolleranza religiosa) nato ad Ossana e morto a Londra, alla corte della regina Elisabetta 450 anni fa) e ho pure assistito, tra le mura del Castello di San Michele (come, successivamente, anche a teatro), allo spettacolo “Il sogno di Aconcio - tra dogma ed eresia” una recita importante, ottimamente costruita, di grande impatto sotto tutti i punto di vista.
Ho avuto modo di vedere (sotto la luna, nella corte del castello di San Michele) la bella rappresentazione “Le donne delle dighe”, messa in scena dall'associazione “Un paese tra le nuvole” e ben interpretata da attori dilettanti, su di un testo che ripercorre, grazie ad una approfondita ricerca storica, le vicissitudini della popolazione (soprattutto femminile) legati alla costruzione della diga di Pian Palù.
Ho pure partecipato all'incontro “Ossana – Cile e ritorno - tra musica e parole”, in occasione della presentazione del libro di Amelia Tonolli “Come una straniera”: storia dell'emigrazione in Cile di una famiglia trentina (emigrazione organizzata, o meglio disorganizzata dalle istituzioni che coinvolse anche numerose, povere famiglie solandre).
E infine come non ricordare la mia presenza ai percorsi teatrali dell'Ecomuseo della Val di Peio che, supportati da adeguate ricerche, ricostruivano degli accadimenti locali, più o meno lontani nel tempo. Ho assistito a ben tre rappresentazioni dell'Ecomuseo e, vi posso dire, miei cari lettori, che ne è valsa veramente la pena. Pur non trattandosi di spettacoli professionali, la loro qualità, a parer mio, è stata, senza alcun dubbio, più che apprezzabile e, quel che più conta, frutto di un grande impegno, frutto di un intenso lavoro comune. E' stata il risultato del coinvolgimento e della partecipazione della popolazione locale, sia nella ricognizione storica che nella preparazione logistica degli spettacoli. Così almeno mi è parso di intuire, ma ecco, cari lettori, i tre lavori a cui ho assistito. “Il mistero di Pegaia” è il primo, in ordine di tempo, ed è stato, senza dubbio, anche il più suggestivo: una rappresentazione notturna che si è svolta nei dintorni di Cogolo, ai piedi di una chiesetta, costruzione superstite di quello che fu l'antico (realtà o leggenda?) villaggio di Pegaia, villaggio che si dice sia scomparso nel nulla e di questo, per l'appunto, si racconta nello spettacolo.
A seguire, l'anno scorso, “Una comunità sul fronte” - La val di Peio e la grande guerra”: corteo storico e successiva interessantissima recita sullo sfondo del Forte Barbadifior in Val del Monte. Infine “Magòn – storie di paroloti e altri migranti della Val di Peio”: animazione teatrale recentemente messa in scena in una caratteristica piazzetta di Cogolo per ricordate le peripezie dei nostri “padri”, costretti dall'indigenza ad abbandonare stagionalmente la propria casa (“paroloti”: ramai in terra padana) o più tragicamente, dalla miseria più nera, ad emigrare definitivamente (padri, madri e figli) in paesi stranieri, lontani e sconosciuti, anche al di là dei mari. Dolenti ricordi che fanno riflettere sull'analoga situazione di chi oggi, costretto ad abbandonare la terra d'origine, arriva sulle coste del nostro paese. Di chi attraversa deserti e mari, del tutto “nudo”, privo anche della misera valigia di cartone o dello zaino dei nostri emigranti. Di chi, dopo inenarrabili traversie e se tutto va bene, riesce finalmente a sbarcare, ancora vivo. Di chi si presenta nella nostra ormai “ricca” valle in cerca di sostentamento e di una vita migliore...



Eccovi alcune immagini dello spettacolo teatrale “Magòn”. Ne potete vedere altre cliccando qui accanto, su Google Foto......


.....Nel salutarvi, vi invito nuovamente a fare “4 passi nel passato della nostra valle”: molti sono i modi per poterlo fare, per riuscire a “camminare” nel nostro passato. Quello che vi ho proposto e che ora vi ripropongo è decisamente piacevole: non perdetevi gli spettacoli teatrali sul “tempo che fu” presentati (o ripresentati) in valle, e non scordatevi che “non c'è futuro se si dimentica il passato...”