Visita al forte Barbadifior nel centenario della grande guerra






Tre anni e qualche mese sono trascorsi dall'ultima mia salita al forte Barbadifior poco a monte di Pejo Terme. Tre anni e sembra ieri. Ero con il mio compagno di tante passeggiate ed escursioni e con lui parlai a lungo, ci scambiammo informazioni, pareri e impressioni sui tristi tempi della grande guerra che inevitabilmente coinvolse anche, per non dire soprattutto, la popolazione della nostra valle portando infinite sofferenze.



Tre anni fa eravamo alla vigilia del centenario della dichiarazione di guerra del Regno d'Italia all'Impero Austroungarico e noi, io e il mio amico, celebrammo così l'avvenimento, con una ascesa alla minuscola fortezza e due chiacchiere a ruota libera, senza la retorica che solitamente accompagna queste ricorrenze ma semplicemente, a modo nostro. Giunti alla meta osservammo e fotografammo a lungo, dall'esterno, ciò che di quella struttura fortificata, acrobaticamente posta su di uno sperone roccioso, era ancora in piedi.





Ora, trascorsi tre anni e ormai vicini alle celebrazione del centenario della fine del conflitto ritorno, questa volta in compagnia di mia figlia, sull'altura a rivedere i ruderi di forte Barbadifior ma... sorpresa... ritrovo il forte Barbadifior in una veste tutta nuova, consolidato, svuotato dai detriti che lo intasavano, ristrutturato e visitabile in tutta sicurezza nei suoi spazi interni.



Ottimo lavoro, evidentemente portato a termine, a mia insaputa, durante questo ultimissimo periodo... Osservo e fotografo ogni angolo chiedendomi quale sia stato l'utilizzo dei singoli locali, la logica della disposizione dei vari ambienti, la dislocazione delle difese sia interne che esterne... Purtroppo non trovo risposta alle mie domande. Manca qualsiasi indicazione, manca un'adeguata cartellonistica atta a soddisfare le mie curiosità come le legittime curiosità di un qualsiasi altro visitatore.




Rinvengo solamente un tabellone, malamente esposto su di una finestra del forte, in pessime condizioni e quasi illeggibile in alcune sue parti. Il tabellone (leggo: non definitivo e no esaustivo) è stato redatto dal progettista dei lavori di recupero del manufatto, l'arch. Roberto Pezzato. Onore al merito... Si decifra a fatica ma con un certo impegno si riescono a ricavarne interessanti informazioni storiche e dettagliati ragguagli sulle modalità di recupero e ristrutturazione del forte.






Nell'attesa che che venga allestito un adeguato supporto alle viste mi devo necessariamente accontentare, si fa per dire, di quanto sono riuscito a ricavare dall'inzuppato cartellone e volentieri lo condivido con il mio lettore (ricopiandolo e in parte sintetizzandolo).







“Il Forte Barbadifior (o forte Peio) fa parte di un complesso gruppo di fortificazioni austriache collocate a ridosso dell'allora confine italiano e costruite per la difesa del fronte tra l'Impero austro-ungarico e il Regno d'Italia. Queste fortificazioni, che comprendevano forti, sbarramenti, strade militari, caserme, casematte ed accampamenti, furono realizzate tra il 1838 e il 1915 e poi completate durante la prima guerra mondiale: alcuni forti non furono tuttavia mai realizzati.






L'intero fronte era diviso in Rayon. Le fortificazioni che ci interessarono la nostra zona facevano parte del Rayon I° Tirol Subrayon II° ed erano costituite, oltre che del forte Barbadifior, dai forti Velon, Strino, Mero, Zaccarana e Presanella.
Il 24 maggio 1915, quando il conflitto trasformò il confine tra il Regno d'Italia e l'Impero Austro-ungarico in linea di fronte i combattimenti si assestarono stabilmente a Peio con scontri e battaglie che si svolsero anche oltre i 3000 m di quota. Vanno ricordate, prime tra tutte, ma ultime in ordine di tempo, le insensate e ormai inutili battaglie dell'agosto e settembre 1918, per il possesso della Cima San Matteo a 3678 m.





Il forte Barbadifior è posto a 1610 m s.l.m. su di un colle sulla sponda orografica destra del torrente Noce, poco a monte di Peio Terme. La sua costruzione si ritiene sia iniziata durante il ventennio 1860-1880 con l'obiettivo di presidiare la Val del Monte scongiurando eventuali attacchi provenienti dalla Forcellina di Montozzo in aggiramento del Passo del Tonale. Il manufatto doveva essere affiancato da una fortificazione gemella realizzata sulla dirimpettaia Frattasecca che avrebbe dovuto godere di un armamento più distruttivo e completo inserito in cupole corazzate girevoli. Questa secondo imponente manufatto non fa mai realizzato. Ci si limitò a fortificate la zona con opere diverse che interessarono buona parte del versante di Frattasecca.






Nel 1906 si ritenne di dover intervenire con opere di ammodernamento della struttura ma questi innovativi interventi non furono mai ultimati per cui, durante il conflitto, il forte svolse per lo più una funzione di caserma con importanza strategica per le comunicazioni via telefono e telegrafo con le forze dislocate sul fronte del Tonale. L'edificio fu sostanzialmente una “blokhaus” ovvero una caserma difensiva. Realizzato in calcestruzzo e rinforzato da scudi corazzati verticali era armato oltre che con delle mitragliatrici con due cannoni da 8 cm a tiro rapido. Gli armamenti, di piccolo calibro, trovandosi il forte in posizione arretrata rispetto al fronte, vennero dislocati in posizioni più avanzate sotto le cime e lungo i ripidi costoni della Val del Monte.






Verso il 1930 il forte venne demolito per ricuperare il materiale ferroso. La rimozione degli elementi strutturali metallici a supporto di solai e murature combinata con il prolungato succedersi dei naturali eventi meteorologici, piogge copiose, neve, gelo e disgelo e con l'inevitabile sviluppo di licheni, muschi e cespugli infestanti hanno fortemente deteriorato il manufatto comprese le sue strutture portanti.





Nel 2011 (probabilmente con l'avvicinarsi delle celebrazioni del centenario della grande guerra) si decise di intraprendere l' opera di recupero, restauro e valorizzazione dello storico edificio. L'intervento, realizzato (durante gli ultimissimi anni) con la supervisione della Sovrintendenza per i beni culturali e architettonici della Provincia Autonoma di Trento ha portato alla luce alcuni elementi inizialmente non identificabili quali i resti di una scala di risalita in pietra, la pavimentazione di una presunta latrina, l'appoggio di una stufa, la botola di accesso ai locali interrati.







I lavori di consolidamento e restauro possono considerarsi sostanzialmente conclusi. Il manufatto è agibile in sicurezza ed è stato reso visitabile in tutti i suoi spazi interni sia a al piano terreno che, per ciò che rimane, al piano superiore. (Manca ancora la cartellonistica, quei tabelloni illustrativi che costituiranno un indispensabile supporto alle visite, la prevista mostra esplicativa permanente all'interno della fortezza.)”


Tutte le foto in “Google Foto








Qualche giorno dopo ritorno sull'altura del forte Barbadifior in occasione della coinvolgente rappresentazione teatrale che si è tenuta proprio lassù a due passi dalla piccola fortezza. “Una Comunità sul fronte – La Val di Peio e la Grande Guerra”, questo il titolo della rappresentazione: un “percorso partecipato dell'Ecomuseo della Val di Pejo” sempre attento al recupero della storia locale, ma non solo, anche delle tradizioni, degli antichi mestieri che si vanno rapidamente dissolvendo, travolti dalla “modernità”, dallo “sviluppo”, dal “progresso” che pur portando un certo benessere sta bruscamente e totalmente affossando anche il ricordo della civiltà che ci ha preceduto disperdendone anche i suoi più genuini valori.







La rappresentazione rievoca le peripezie e le sofferenze della popolazione della Val di Peio suo malgrado coinvolta nei tristi avvenimenti bellici della prima guerra mondiale e in particolare racconta di come la gente di Peio Paese, riuscì, a costo di immensi sacrifici, ad evitare l'evacuazione dal proprio paese, vicinissimo al fronte, e l'internamento nei campi di concentramento situati in terre lontane e sconosciute.







Così non fu per la popolazione di un altro paese della Val di Sole, un paese ancora più prossimo alla linea del fronte, il paese di Vermiglio. Mio nonno, allora aggregato negli Standschütser dovette assistere alla drammatica partenza di quella popolazione verso il campo di Mitterndorf e, molti anni dopo, ricordandola ancora lucidamente, la descrisse in un capitolo delle sue “Memorie”, capitolo che, in buona parte, riporto più sotto....


Altre foto della rappresentazione teatrale in “Google Foto

"... ...Il comando militare... emanò un ordine tassativo alla popolazione delle tre frazioni di Vermiglio, di lasciare i paesi entro le successive quarantotto ore. Non si facevano eccezioni né per infermi , né vecchi, né bambini: tutti dovevano partire a scanso di dover usare mezzi coercitivi.
Ognuno può immaginare la disperazione di quella povera gente: abbandonare così immediatamente il paese dov'erano nati; dove tra stenti e sudori, avevano costruito la loro casa tra mille difficoltà, abbandonare questa, il bestiame, la campagna, granaglie, mobilio, biancheria, ogni loro avere; lasciare tutto in mano ai vandali, ai ladri... ai tedeschi: ah, era tremendamente penoso! Bisognava però sottomettersi. Chi vide e visse la disperazione, le lacrime, i pianti di quella povera gente, durante quei due giorni, non poté certo non piangere con loro. Così accadde anche a me e non vorrei certo rivivere quel dì. Era un interrotto correre da una parte all'altra con mobili, biancheria, mangiativa ed altro, per nascondere nelle cantine,nei sotterranei... ma a che scopo? Per porre questa loro roba in balia dell'umidità... dei topi... dei vandali soprattutto. Questi infatti, non appena la gente se ne fu andata, cominciarono a forzare le porte per arrangiarsi a loro piacimento e fra questi non mancarono anche coloro che erano stati assegnati al buon ordine cioè alcuni gendarmi.
Per chi sale la nostra caserma era sulla destra della strada principale, mentre quella dei gendarmi era posta a sinistra, quasi di fronte. Sulla strada già stava una successione di piccoli carri a due ruote (broz) aggiogati a delle vacche, su cui stavano dei vecchi impossibilitati ad andare a piedi, perché ammalati. Dietro seguivano i nipotini, quali a piedi,quali in braccio alle loro mamme, che non cessavano di piangere e di stringere al seno i loro bambini. Era una scena talmente commovente che Redolfi e io, mentre stavamo al balcone ad osservare, non potevamo fare a meno di commiserare quegli infelici e piangere con loro. Quando la lunga fila di quei poveri carriaggi, di quei vecchi ammalati, bambini e mamme, stava lentamente avviandosi verso un loro destino incerto ed ignoto e quella faticosa lentezza sembrava ostentata e probabilmente voluta, come di chi non riesce a distogliere lo sguardo, i pensieri, il cuore dalle cose che gli li sono state immensamente care, ecco improvvisamente uscire dalla caserma, come forsennato e con la sciabola sguainata, il summenzionato gendarme e lo sentiamo gridare come inferocito: “Via di qui: spioni, ladri, figure sporche di vermigliani! Avete fatto la spia, per troppo tempo!Via, via se non volete provare l'acciaio della mia sciabola!”
Quella povera gente intanto si avviava verso il suo fatale destino, senza reazioni, senza parole ma con una enorme amarezza in cuore. Io e il collega Redolfi, assistemmo angosciati a quel tristissimo esodo mandando in cuor nostro un mondo di imprecazioni al gendarme inumano. A poco a poco la colonna di profughi scomparve alla nostra vista, ma la mia mente ebbe presente per giorni l'immagine di quei poveri migranti che con i loro piccoli involti, contenenti lo stretto necessario, se ne andavano verso Vienna, nel campo di concentramento di Mitterndorf … Le infinite miserie per fame, malattie e maltrattamenti furono tali che ben cinquecento e più non fecero più ritorno e quando finalmente dopo oltre tre anni venne il giorno tanto atteso della pace, quelli di Cortina e Pizzano trovarono le loro case semidistrutte dalle fiamme... ..."


Il forte “Barbadifior” si raggiunge salendo da Peio Terme in automobile in direzione del Fontanino, per circa un chilometro, fino al parcheggio di Malga Termenago Bassa (o Frattasecca) e proseguendo poi a piedi per un brevissimo tratto fino ad imboccare sulla sinistra la stradina che scende dapprima fino al torrente Noce per poi salire sull’altura fortificata (tempo di percorrenza a piedi circa 30-45 minuti).




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