Da Velon a Vermiglio lungo il “Giro dei Masi” e il “Sentiero di Valle”

 

Gennaio 2021. Il paesaggio esclusivamente candido che mi circonda da più di due mesi mi fa rimpiangere il “colore” di altre stagioni, di periodi pitturati più vivacemente, pitturati con l’intera gamma dei colori della bella stagione.

Troppa neve quest’anno, veramente troppa quasi a compensare, con la sua anomalia abbondanza, la carenza che ha caratterizzato gli inverni precedenti, molti degli inverni di questi ultimi decenni. L’alterazione del clima dovuta all’aumento dei gas serra in atmosfera ha condotto all’accentuazione degli eventi meteorologici estremi (e tra questi i lunghi periodi siccitosi e le precipitazioni di inusuale intensità)… e forse, ma solo forse, pure la causa delle frequenti e abbondantissime nevicate di quest'ultimo periodo va ricercata nella mutazione climatica, va ricercata in quel riscaldamento globale che, nonostante l’apparente contraddizione, potrebbe aver fatto sì che la valle si sia pesantemente colorata di bianco, di tanto bianco come da parecchi anni non si vedeva.



Dunque solo bianco, bianco ovunque, opprimentemente solo bianco… ed è proprio la vista di una valle esclusivamente bianca che, come dicevo, mi spinge a riscoprire e a presentare le immagini di una mia settembrina passeggiata dove il bianco è confinato esclusivamente sulle cime dei monti più alti. Immagini di una camminata, in compagnia dell’amico di sempre, su di un breve tracciato che, da Velon (sul fondovalle verso il Tonale) discende lungo il versante sinistro dell’Alta Valle fino a raggiungere Pizzano di Vermiglio sopra i Laghetti di San Leonardo.




Questo mio percorso, per chi volesse intraprenderlo, si imbocca partendo dalla provinciale Vermiglio-Velon, due-trecento metri prima della Baita Velon, e fa parte, nel suo primo tratto, di quello che, da più fonti, viene indicato come il “Giro dei masi” (di cui ne ho esplorato altre porzioni descrivendole nel post “Il Giro dei Masi a Vermiglio”). La seconda parte del percorso coincide invece con il “Sentiero di Valle”: è questa la frazione finale, meno “ricca” di masi, del tragitto ed è il tratto che inizia là dove la pista precedente (che va abbandonata) scende sul fondovalle in direzione della località Stavel .
Va comunque detto che la confusione tra i due “cammini”, il “Giro dei Masi” e il “Sentiero di Valle” è grande... regna sovrana, sia per quanto riguarda la segnaletica, del tutto carente, che per la descrizione che ne viene fatta in più siti internet. Leggendo qua e là si ricava l’impressione che i due percorsi si sovrappongano per buona parte della loro lunghezza se non totalmente. Due diverse denominazioni per lo stesso tracciato? Vai a capire…



Peccato perché la zona, dominata dalla maestosa parete nord della Presanella, è paesaggisticamente gradevole e meriterebbe una promozione più incisiva o almeno una presentazione, sui diversi media, più corretta, e curata (oltre ad una migliore segnaletica sui sentieri). Si ha la netta impressione che quassù (perlomeno per quanto riguarda questo percorso) il potenziale turisticamente attrattivo del paesaggio, dei boschi e dei prati, dei panorami sulle cime, delle rustiche architetture dei masi, venga sottovalutato e ben poco incentivato al confronto di quanto invece, copiosamente, si fa per la vicina stazione turistica del Passo del Tonale. E’ questo un pensiero che inevitabilmente ti frulla in testa percorrendo questi sentieri che, seppure recentemente riattati, non appaiono però adeguatamente curati in tutta la loro lunghezza come pure poco attenta e curata (fatte le debite e numerose eccezioni) sembra la conservazione, la manutenzione e in alcuni casi anche il recupero dei vecchi rustici edifici che. via via, si incontrano lungo il cammino. Niente a che vedere con quanto si trova e si può ammirare soprattutto in Val di Rabbi ma, parzialmente, anche in Val di Peio e in altre località della valle dove sembra si sia maggiormente compreso che l’attività turistica è, seppure lentamente, destinata ad evolvere verso forme di richiamo più legate al territorio, meno invadenti e più sostenibili, compatibili con gli effetti del cambiamento climatico e con la maggiore sensibilità, consapevolezza e curiosità del visitatore nei confronti dell’ambiente che lo ospita.


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Molte cince e qualche fringuello…

 

nel giardino innevato di casa mia



Solo alcuni merli, molte cince, robuste cinciallegre ma pure alcune fragili cinciarelle, e qualche solitario fringuello bazzicano nel mio giardino affondato nella neve alta che si è via via accumulata durante le settimane scorse. Svolazzano tra le piante da frutto e, passando di ramo in ramo, si avvicinano cautamente all’abitazione fino a raggiungere il davanzale della finestra a pianterreno dove solitamente depongo delle briciole di pane, di dolci natalizi, di mandorle, di gherigli di noce… oltre a delle castagne e delle noci intere per attrarre le ghiandaie che, di tanto in tanto, visitano i paraggi tenendosi però a debita distanza dalla casa. 




Le castagne e le noci scompaiono sistematicamente. Le ghiandaie, senza farsi scoprire, se le portano via, ma solo all’alba quando il paese dorme ancora immerso nella quiete della notte. Uccello bellissimo la ghiandaia, mente brillante come tutti i corvidi ma soprattutto volatile sempre vigile e sospettoso, difficilmente abbordabile, anche da chi, come me, vuole solo ammirarlo e mai penserebbe di catturalo o fargli del male. Bello, variopinto, ma oltremodo diffidente al contrario delle cince che, pure guardinghe come tutti i selvatici, sono curiose e si riescono. entro certi limiti, ad avvicinare, come pure i fringuelli che, in estate, arrivano a piluccare le briciole del mio panino becchettando ai piedi della panca dove talvolta mi siedo per un pomeridiano spuntino.




Dunque solo merli, cince e fringuelli nel mio giardino durante queste gelide giornate invernali... Con il sopraggiungere del freddo e della neve sono infatti scomparsi tutti gli altri uccelli che popolavano la zona durante la bella stagione. I cardellini sono migrati da tempo a quote inferiori, le ballerine bianche hanno scelto altre località più ricche di cibo… Insolitamente, anche tutti i pettirossi hanno lasciato il giardino così come la maggior parte dei fringuelli e dei merli. Non ho più visto la capinera sulle piante da frutto e nemmeno il rampichino sul tronco del grande larice così come le numerose coppie nidificanti di codirosso che, come sempre, sono da tempo migrate verso paesi più caldi. 




Scomparsi il luì piccolo e i codirosso spazzacamino, e pure l’averla piccola e lo storno che in verità non si vedevano più già da alcuni anni… Quest’anno non sono ritornate nemmeno le tordele e i ciuffolotti che, in autunno, solitamente si cibavano, assieme ai merli, dei pomi del sorbo degli uccellatori. Nessun stormo di lucherini o di organetti è calato sulle betulle per nutrirsi dei loro semi. Nessun codibugnolo si è unito ai gruppi di cince come non è più comparsa la coppia di picchio rosso che, qualche anno fa, aveva frequentato il giardino dal tardo autunno alla primavera inoltrata.




Se l’avifauna presente nel mio giardino durante questo inverno particolarmente duro è estremamente ridotta sia come varietà che come esemplari presenti altrettanto lo è, e già da alcuni anni, anche quella che popola i dintorni della mia abitazione, ma non solo, durante la bella stagione. Mi sembra di assistere ad una costante contrazione di cui non riesco a comprendere le cause. Ne parlo talvolta con gli amici, anche con gli amici che risiedono in altri paesi della valle e ne discuto pure con qualche cacciatore… tutti, più o meno, condividono la mia sensazione (il che mi conforta: allora la mia non è solo una soggettiva, magari errata percezione...) ma nessuno è finora riuscito a individuare con precisione le cause di questo anomalo decremento, a darmi delle spiegazioni convincenti. Molte le ipotesi ma nessuna certezza... Cambiamento climatico e con esso delle rotte migratorie… aumento della temperatura media annua e con esso della copertura vegetale spontanea… abbandono dell'agricoltura tradizionale, dei campi, degli orti, dei pascoli, delle piccole stalle, dei masi e delle malghe che un tempo costellavano i versanti della valle... epidemie… Ipotetiche cause non generalizzabili, generiche, certamente non riferibili alla totalità dell’avifauna locale ma, eventualmente, a singole specie..... Come si diceva molte le ipotesi ma nessuna certezza.



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Freddo, neve, tanta neve… alla faccia del riscaldamento globale?

 

Un dicembre così freddo e nevoso non si era visto da parecchio tempo e anche all’inizio di questo nuovo anno, durante i primi giorni di gennaio, la situazione meteorologica non è mutata, il cielo sta “regalando” altra neve e altro gelo. Così, lungo le strade e nelle piazze innevate del paese oltre che nei negozi, dove i valligiani incidentalmente si incontrano e fanno due chiacchiere evadendo dalla casalinga clausura da covid 19, qualcuno, ironicamente, si chiede e chiede ai presenti (parafrasando Trump?) se l’arrivo di tanta neve si debba imputare alle conseguenza di quel famoso riscaldamento globale di cui tanto si parla in ogni dove. In effetti trovarsi nel gelo e sommersi dalla neve nel bel mezzo di un cambiamento climatico che, secondo quanto viene assicurato, sta, di anno in anno, facendo aumentare la temperatura (media annua) ovunque nel globo terracqueo può sconcertare e, a prima vista, apparire contraddittorio.



Come al solito, come sempre più spesso accade, qualcuno gioca a semplificare la complessità rendendola facilmente percepibile ed immediatamente appetibile con interventi ad effetto, di sicura efficacia ma generici, sbrigativi, del tutto superficiali… Le conseguenze del clima che cambia non si possono ridurre solo a delle estati un po’ più calde e al ritiro dei nostri ghiacciai, gli effetti sono molto più vari, talvolta imprevedibili e non sempre immediatamente decifrabili nella loro origine ed evoluzione soprattutto a noi profani.



Per quanto ne so si configurano in un continuo aumento, d’intensità e di frequenza, dei fenomeni atmosferici estremi cioè di quegli eventi meteorologici particolarmente impattanti che, in passato si verificavano raramente e che, da alcuni decenni, hanno iniziato a ripetersi con una cadenza più ravvicinata. Tempeste d’acqua e di vento (Vaia), ripetute precipitazioni d’insolita intensità con conseguenti eventi franosi e alluvionali, gelo e nevicate precoci e tardive, temporali fuori stagione, lunghi e reiterati periodi siccitosi… e tra questi periodi, molto secchi, i molti inverni senza neve o quasi senza neve che hanno preceduto questo nostro inverno 2020/21 particolarmente nevoso. Nevoso come, di tanto in tanto, lo sono comunque stati altri inverni in passato (eccone alcuni che ho vissuto di persona e altri, meno recenti ma noti a tutti: inverni 2008/09, 2003/2004, 1985/86, 1981, 1950/51, 1916/17 con Santa Lucia Nera... e chissà quanti altri inframmezzati e antecedenti…).



Annate particolarmente nevose, come e più di quella attuale, che si sono sempre verificate e che, conseguentemente, rendono difficile stabilire in quale misura le attuali copiose nevicate siano imputabili al cambiamento climatico, siano da considerarsi un effetto o quantomeno una enfatizzazione di un evento meteorologico destinato  a verificarsi comunque, al di là del clima che muta.. Forse, ma solo forse (non voglio incorrere in macroscopiche semplificazioni) si potrebbe (nuovamente forse) supporre che i lunghi mesi invernali privi di neve, che ci hanno accompagnati durante gli ultimi anni, possano essere, loro sì, una conseguenza del cosiddetto “clima impazzito”. Infatti le annate quasi totalmente prive di neve un tempo erano molto più rare.
E a proposito di stagioni invernali senza neve ho recentemente riletto quanto scrissi, alcuni anni fa, in questo stesso blog, dopo una nevicata, una normale nevicata, né esigua ne copiosa, che aveva interrotto un lungo periodo siccitoso, un periodo povero di neve, protrattosi per più anni. Ripresento quello scritto qui sotto, trovandolo molto attuale e coerente con quanto appena esposto.



<< Da alcuni anni il bel manto candido del tempo passato non ricopriva più i prati e i boschi del fondovalle e anche sui versanti più alti i bei fiocchi immacolati si adagiavano in ritardo, creando un tappeto sottile, misero, e discontinuo. La neve non era più il dono che già in novembre, immancabilmente, il cielo elargiva a piene mani su tutta la valle... La neve che scendeva era ormai diventata selettiva, sceglieva solo le stazioni sciistiche invernali, era una neve “firmata”, fabbricata ad hoc da artificiosi congegni, era una neve che si addensava in spazi ristretti distendendosi solo in fasce sottili che tracciavano, sui versanti dei monti, innaturali serpentine bianche nel giallo autunnale dei pascoli alti e nel verde intenso delle fitte peccete. 



Tutto ciò che un tempo era familiare, il bel paesaggio totalmente innevato, sembrava definitivamente scomparso. “Colpa del cambiamento climatico” si sosteneva nei bar della valle, “colpa dell'innalzamento della temperatura che sta divorando anche i nostri ghiacciai”... ma l'abitudine “consumistica”, troppo ingorda di energia e prodiga di gas serra, stentava a cambiare e la corsa al completamento degli impianti di “innevamento programmato” accoppiata allo scavo di nuovi bacini per l'acqua di scorta procedeva sempre più celermente. La carenza di precipitazioni nevose, la neve che sempre più frequentemente mutava in pioggia sul fondovalle e non solo, erano tra i sintomi più evidenti delle trasformazioni climatiche in atto, confermando quanto i climatologi “predicavano” da tempo. Ma era soprattutto l'accentuarsi delle condizioni meteorologico estreme che ormai caratterizzavano tutte le quattro stagioni, il “tempo matto”, a non lasciare più alcun dubbio. Tutti lo sapevano e spesso lo vivevano sulla loro pelle. In inverno ma non solo accadeva che ad un periodo anomalamente mite ne seguisse immediatamente uno freddissimo o che ad una stagione siccitosa, priva di precipitazioni ne seguisse una particolarmente umida. Tutti rammentavano le interminabili, abbondanti nevicate della stagione invernale 2008-2009 che avevano portato tanti problemi e grande preoccupazione. Eventi così particolari non si erano fortunatamente più ripetuti alle nostre latitudini e all'opposto durante gli ultimi inverni si era verificata una costante tendenza alla siccità, alla scarsità di precipitazioni nevose, che era altrettanto negativa.




Fortunatamente dopo gli inverni asciutti degli ultimi anni ora è finalmente ricomparsa la neve.... è “fioccato” anche alle quote medio basse e la neve si è accumulata in discreta anche se non eccezionale quantità... in quantità comunque tale da richiamare alla memoria gli inverni del “tempo che fu” quando la neve non mancava mai.… ...>> 

Come già detto, anche quest’anno, è ritornata la neve, è ritornata come "allora", è ritornata dopo alcuni inverni di magra... è  ricomparsa in abbondanza, accumulandosi in grande quantità, in quantità esagerata, talmente esagerata che, a differenza di “allora”, “ora”, in paese, le chiacchiere  vanno assumendo ben altro orientamento indirizzandosi a mettere in dubbio il riscaldamento globale, riscaldamento dato per certo dalla totalità degli studiosi. 



Per quanto mi riguarda, al di là di ogni considerazione sul cambiamento climatico e nonostante i disagi che la neve inevitabilmente mi ha procurato e che ancora mi procura, non posso che rallegrarmi davanti a questa novità. Rallegrarmi come un bimbo davanti ai fiocchi che volteggiano scendendo al suolo ed emozionarmi, durante le mie abituali passeggiate, di fronte ad un paesaggio imbiancato come da tempo non si vedeva, di fronte ad una vista piacevolmente insolita, talmente insolita da sorprendere.

A proposito di cambiamento climatico: “Terra futura – Dialoghi con papa Francesco sull’ecologia integrale” di Carlo Petrini è un libro semplice e interessante di cui consiglio la lettura.


Tutte le foto del paesaggio imbiancato in “Google Foto”


Le stagioni di un roseto selvatico

...lungo il torrente Vermigliana in vista del Castello di San Michele


Camminare lungo i maggiori corsi d’acqua sul fondovalle ma anche lungo i torrentelli secondari e i rivi che scendono dai versanti è sempre bello, talora più che bello, è avvincente. Ogni uscita, ogni passeggiata o escursione che sia può riservare delle singolari scoperte documentabili in immagini più o meno insolite e sicuramente inedite. Il ritorno sul medesimo percorso a distanza di tempo valorizza l’esplorazione ampliando l’osservazione ed aggiunge, a quanto già fatto, altre nuove riprese frutto di una situazione mutata essendo, di solito, mutate le condizioni meteorologiche e, ciò che rende ancora più interessante la ricognizione,  pure il periodo dell’anno.




A fine primavera e all’inizio estate passeggiare e soffermarsi lungo le sponde del torrente Vermigliana è particolarmente piacevole. Percorrere la stretta striscia di bosco che costeggia il torrente e osservarne lo scorrere impetuoso delle acque ritornate abbondanti dopo le magre invernali è una “impresa” che ripeto anche più volte nel corso della settimana. Neve e ghiaccio sono scomparsi da parecchi tempo e lungo il corso d’acqua dopo la spenta pausa invernale è ritornato il colore, è ritornato il verde sui cespugli che vi si specchiano, il giallo, il rosso, il blu, il violetto dei fiori nei prati che, a debita distanza, lo fiancheggiano ed... è ritornato anche il rosa, il rosa delle rose… il rosa in un roseto selvatico che ho scoperto in prossimità del paese, un roseto di cui mai, nel corso di altri anni, avevo notato la presenza. Le piante di rosa canina che lo compongono sono tante, sono dei grandi cespugli che, in parte, allungano i loro rami spinosi sopra le turbolente acque del torrente Vermigliana. Un bel roseto con il Castello di San Michele di Ossana sullo sfondo. Un roseto in fiore, in piena fioritura. I suoi fiori sono tutti uguali, tutti rosa, sono esclusivamente di colore rosa e su di loro, sul loro rosa, si posano in continuazione, numerosi, i bombi e, ancor più numerose, le api.




Alcuni mesi dopo, a metà novembre, l’atmosfera del luogo è totalmente cambiata. Il torrente, dopo la pericolosa piena di fine estate, scorre tranquillo distendendosi qua e là lungo il suo percorso, in ampi e placidi slarghi dove si riflettono i gialli, gli arancioni e gli ambrati colori del bosco in abito autunnale.
Il roseto selvatico non è più lo stesso, non assomiglia minimamente a ciò che era qualche mese prima, è irriconoscibile. Qualcuno dei suoi rami continua sporgersi sulle acque argentee del torrente ma ora quei rami sono quasi completamente privi di foglie… e, naturalmente, sono privi di fiori, e privi di colore rosa… Delle belle rose rosa si è perso perfino i ricordo. Al loro posto, al posto di ogni rosa, è maturato un frutto, un frutto rosso, intensamente rosso... una grossa bacca rossa. Una “fioritura“ diversa, non più rosa, ma interamente rossa. Frutti piccoli, numerosissimi... coloratissimi addobbi fittamente posizionati sui grovigli di nude ramaglie spinose. Un vivace primo piano per la vista autunnale del bel castello di Ossana. Un panorama attraente, non paragonabile a quello primaverile da “cartolina illustrata”, ma proprio per questo diverso, particolare, più raro e ugualmente gradevole.




E arriva l’inverno o meglio il tardo autunno e con esso arriva la prima neve. Neve sul roseto selvatico e nei suoi dintorni… neve pure sul torrente dove il gelo ha iniziato a “soffocare” lo scorrere delle acque: vi convivono le acque prigioniere, immobili perché ghiacciate e le acque libere, lente e scure, nel loro penoso zigzarare tra i massi innevati. Su quelle esigue acque, libere ma tenebrose, tentano di specchiarsi i cespuglio di rosa, ma sono rarissimi quelli che riescono ad allungare i loro rami sulla corrente compressi ed appiattiti come sono sotto il peso del candido manto. Da quel candido manto, da quella neve che si è posata in ogni dove, sia al suolo che sulla vegetazione, emergono, qua e là, dei rametti spinosi carichi di bacche autunnali, bacche più che mature ancora intensamente rosse. Colorati dettagli invernali piacevoli da cogliere fotograficamente, gelide particolarità da accomunare alle panoramiche sul castello di san Michele dove, in primo piano, risaltano i polloni di rosa canina, i getti più robusti che non si sono piegati e adagiati sotto il peso della neve.


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