Al “Molin” di Ossana

Passeggiata alla località “Molin” di Ossana partendo da Pellizzano


Questa passeggiata che da Pellizzano raggiunge i dintorni di Ossana è poco conosciuta, è poco frequentata, almeno nel suo ultimo, ripido tratto ed è un vero peccato perché si tratta di un percorso che sa offrire (a chi, magari del tutto casualmente come lo scrivente, lo scopre e lo percorre) non solo degli ampi panorami sull'alta valle ma pure dei singolari scorci sul bosco e sulla campagna coltivata ma soprattutto sul vecchio ed abbandonato agglomerato di rustici edifici del “Molin”, in riva al sassoso ed erto torrentello che scende dalla Val Piana.


Partendo da Pellizzano si imbocca la stradina ciclo-pedonale diretta in Val di Pejo e vi si cammina per alcune centinaia di metri superando le continue gibbosità che, per la gioia degli amanti della bicicletta, la caratterizzano in questo zona. Quando la pista piega decisamente sulla destra, dirigendosi verso Cusiano, si abbandona la strada asfaltata e ci si infila sulla stretta mulattiera che sale ripida sulla sinistra, alla base del versante boscoso, seguendo a notevole distanza, il corso del Rio Val Piana. Più si avanza più il bosco si fa fitto e più il corso d'acqua si avvicina, convergendo con l'erboso sentiero, fino ad incontrarlo nei pressi della nostra meta. Un rustico, robusto ponte in legno, realizzato di recente, consente di proseguire, passando sulla sponda opposta del rivo, proprio là dove sorgono i vecchi fabbricati del “Molin” di Ossana. Sono fienili, stalle, vecchie ombrose abitazioni abbandonate... una fontana in un minuscolo cortile.... ma non è possibile individuare l'antico mulino ad acqua all'origine del toponimo del luogo. In quale edificio era situato? Si trovava forse in quel rudere che emerge dalla vegetazione, poco più a valle, lungo le sponde del torrentello? Chi lo sa.... Tra gli edifici ancora saldamente in piedi si distingue invece, nettamente per la sua particolare architettura, la gloriosa centralina che a lungo fornì energia elettrica all'intero territorio di Ossana. Dismessa ormai da molti anni è stata rimpiazzata da un'altra, più moderna ed efficiente centrale, realizzata sul fondovalle, lungo la pista ciclabile, poco oltre il “nostro” bivio per il “Molin”.


Proseguendo, superato il piccolo gruppo di vecchi fabbricati del “Molin”ci si ritrova immediatamente sulla bella strada asfaltata che proviene dal centro storico di Ossana. Ci si ritrova (con un certo stupore) immersi in un mare di edifici moderni, edifici di recente realizzazione. Siamo alla periferia del paese, in una località che, pochissimi decenni fa, fu fittamente urbanizzata, siamo ai piedi di un'ampia zona che venne totalmente trasfigurata... da prato, da zona agricola a zona ad alta densità residenziale. Ma sono solo residenze per le vacanze, solo seconde case... esclusivamente seconde case o quasi, appartamenti in gran parte condominiali, ben poco utilizzati, occupati per poche settimane in estate e a volte per qualche giorno anche durante il periodo natalizio... Investimenti che hanno portato solo momentanei e marginali benefici all'economia di questo comune montano. Fu un inutile spreco di suolo e di di denaro pubblico? Probabilmente sì. Furono comunque interventi promossi, se si vuole pensar bene, per innescare o sperando di innescare un successivo processo di sviluppo turistico (alberghiero) più consistente e redditizio. Uno sviluppo economico che mai si è visto e che ancora oggi si fa attendere nonostante la battente promozione turistica costantemente portata avanti con grande impegno... anche finanziario.


Chi non ha sentito parlare di Ossana? Ossana... il borgo con uno dei cieli notturni più limpidi d'Italia, il borgo più presepioso d'Italia, il borgo più “green” d'Italia.... Ma chi oggi, sull'onda di questo insistente battage pubblicitario, visita questo borgo si rende immediatamente conto delle carenze del paesello, che, se pure reso più attraente dai recenti interventi di arredo urbano e da alcune ristrutturazioni di vecchi edifici, manca quasi totalmente di strutture destinate all'accoglienza. Nel bel borgo sono carenti i bar, i negozi, le pizzerie, ristoranti, B&B, pensioni, alberghi... e carenti è dir poco, molti mancano totalmente, mancano anche declinandoli al singolare.
Va bene lavorare sull'immagine, richiamare le folle... ma se non esiste la sostanza... se la folla non si può adeguatamente ospitare a che serve tutto ciò?
Se non viene promossa l'imprenditorialità, incentivata in qualche modo (e non so quale), si opera sul nulla e per nulla, si sprecano inutilmente energie e denaro. E certamente non è “valorizzando” la ancora integra Val Piana, poco a monte del paese, realizzandovi, come si mormora, un ristorante e magari, a seguire, chissà quali altre strutture... o sorvolandola con una invadente zipline di supposto grande richiamo, che si sopperisce alle carenze del centro abitato. Anzi.... così si rischia pure di rendere molto meno “green” il borgo più “green” d'Italia alterandone la favolosa immagine acquisita con tanto impegno in questi ultimi tempi..


Ma torniamo a noi. Torniamo alla nostra passeggiata. Chi lo desidera, dall'ombrosa località “Molin”, può proseguire verso il centro di Ossana. Da lì può discendere verso il fondovalle imboccando la bella stradina di campagna che raggiunge, nei pressi del Colle Tomino e del Parco della Pace, la pista ciclo-pedonale e su questa può rientrare a Pellizzano ricalcando in parte il percorso dell'andata. Personalmente ho preferito non costeggiare la “bella” zona residenziale di Ossana, ricca di seconde case poco utilizzate e fare ritorno sulla via già battuta..



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Il giardino dei meli antichi

Un parco pubblico “come Dio comanda” nel centro dell'abitato di Pellizzano


Un parco pubblico, unico nel suo genere, in cui convivono storia, cultura e vocazione alla salvaguardia dell'ambiente e della biodiversità. Un parco che, se già non lo conosci, ti invito caldamente a visitare e, se ne avrai il tempo, a frequentare assiduamente. Potrai passeggiare seguendo le stradine ben lastricate o rilassarti riposando su di una rustica e robusta panchina nell'ombra di un folto meleto antico. Se lo vorrai potrai approfittare della piccola biblioteca libera, una “little free library” nascosta in una minuscola casetta in legno, per sfogliare o, meglio ancora, per impegnarti nella lettura di qualche corposo volume. Poi, se ancora lo vorrai, potrai abbandonare il frutteto e raggiungere la zona più aperta del parco. Bastano due passi e ti troverai immerso in un curioso laboratorio scientifico con dei simpatici giochi didattici. E poi, ma solo durante la stagione estiva e sempre se lo vorrai, potrai seguire qualche spettacolo o qualche incontro musicale nel vicino spazio allestito a mo' di anfiteatro.


Ma, e questo è davvero un consiglio appassionato, frequenta con costanza soprattutto l'antico meleto. Frequentalo in tutte le stagioni. Lo vedrai mutare di giorno in giorno. Vedrai spuntare e aprirsi le gemme primaverili, vedrai i fiori, diversi su ogni pianta, vedrai nascere le foglie, vedrai i frutticini gonfiarsi a poco a poco, le mele mature, le coloratissime foglie autunnali e vedrai pure i rami scuri e brulli d'inverno, vedrai il bianco della neve sugli alberi scheletrici... assisterai allo scorrere delle stagioni immerso in un mondo d'altri tempi. Il mondo di quei tempi lontani in cui la produzione della campagna non era, come accade ai nostri giorni, asservita agli interessi delle multinazionali o comunque dei grandi produttori e delle nostrane cooperative che monopolizzano il mercato imponendo pochi prodotti, standardizzati, sempre quelli, prodotti da apprezzare più con la vista che con il gusto. Mele e pere, nel nostro caso... mele e pere inturgidite con concimazioni chimiche e imbellettate con antiparassitari più o meno tossici.


Qui, nel Parco Sama, puoi ancora osservare e conoscere una grande varietà di meli (vecchi meli, in buona parte piantati nel lontano 1901). In questo frutteto, reso pubblico da una lungimirante amministrazione, puoi ancora trovare delle varietà di meli ormai rare, varietà che in altri tempi erano comuni ovunque. Qualità di meli che fino a mezzo secolo fa venivano normalmente e abbondantemente “allevati” anche nella nostra alpestre valle, nel “bròli” pianeggianti alla periferia degli abitati del fondovalle o subito fuori casa anche ai margini dei paesi più elevati. Meli che oggi sono diventati irreperibili, quasi una bizzarra curiosità.
Insomma, mio caro visitatore, qui puoi ancora vedere fruttificare quei meli e quei peri che altrove sono scomparsi, qui puoi ancora liberamente assaggiare, all'inizio dell'autunno, le mele spontaneamente cadute sul prato, nell'erba ancora verde. Puoi assaporare, centellinare... e sono sapori dimenticati, sapori ai più del tutto sconosciuti, sono sapori difformi, sono i sapori dei molti “pomi”del tempo che fu. Sono sapori corposi e delicati al contempo, sono profumi e colori altrove introvabili.
Rosso Mantovano, Limonzino, Canada Dorato, Pearmein d'Or, Napoleon, Belfiore Giallo, Rosa Mantovana, Rosa di Caldaro, Canada Bianco, Pomella di Pellizzano, e molte altre sono le varietà di meli che potrai scoprire muovendoti qua e là in questo frutteto antico e se poi vorrai approfondire le tue conoscenze troverai, a tua completa disposizione, due grandi cartelloni illustrativi pronti a soddisfare ogni tua curiosità sulle piante presenti nel parco..


Ma ora., dopo averti invitato a visitare il bel parco pubblico di Pellizzano, un pittoresco paese dell'Alta Valle, ben tenuto, pulito, curato, all'avanguardia da molti punti di vista, (energetico, sociale...), permettimi di segnalarti le mie perplessità su di una recente realizzazione di cui sono venuto a conoscenza sfogliando la stampa locale. Si tratta, forse già lo avrai intuito, del rifacimento dei due trampolini di salto con gli sci che si trovano alla periferia dell'abitato. Opera costosa, sia nella sua realizzazione (finanziata con denaro pubblico quindi con denaro anche mio e tuo), sia presumibilmente nel suo mantenimento. Opera costosa, dicevo, destinata ad un utilizzo marginale, riservata esclusivamente ai rari praticanti di uno sport poco popolare e ad alcune, probabilmente sporadiche, competizioni nazionali o internazionali che siano. Opera che mi richiama alla mente un analogo investimento che un comune limitrofo qualche anno fa volle fare costruendo un grande edificio destinato a bocciodromo: una iniziativa che si è rivelata fallimentare visto il sottoutilizzo dall'opera in rapporto alla spesa di costruzione e di mantenimento. E in questo caso si trattava di uno sport, se così vogliamo definire il gioco delle bocce, molto più praticato e popolare. Un errore che, temo, si stia reiterando anche qui, a Pellizzano... Il denaro pubblico si può e si deve spendere in altri modi (soprattutto oggi in tempi di cambiamento climatico)... e in ogni caso valutando per bene in termini non solo di sostenibilità ambientale ma anche economica, valutando in termini di costi e benefici le prospettive di utilizzo ed eventualmente di richiamo turistico o altro.


Naturalmente, mio caro visitatore, questa è solo una mia personale opinione e può darsi che tu veda le cose in modo ben diverso. Però ritenere che a 900 metri di altitudine, con il cambiamento climatico in atto, cambiamento che è sotto gli occhi di tutti, sia ancora possibile praticare uno sport tipicamente invernale che abbisogna della presenza costante della neve durante tutta quella che un tempo era definita la stagione fredda (e che ora non sempre lo è e che lo sarà sempre meno nei prossimi decenni) mi sembra una grande illusione. Caro visitatore, mi dirai che la neve, temperatura permettendo, la si può anche “fabbricare” artificialmente e che, tutt'al più, si può anche scivolare prendendo velocità per l'acrobatico salto su di un “letto” di plastica. Mi dirai che una pratica un tempo solo invernale è ora possibile anche a ferragosto. Ti rispondo che quello che mi dici è tutto vero. Tutto è possibile ma è anche del tutto innaturale, artificioso, più che di sport invernale odora di luna park. Per chi pratica questa disciplina volare sulla plastica multicolore, ben agghindato di tutto punto come un tempo si usava discendendo sulla neve caduta dal cielo, è come gustare un surrogato, una “cicoria” del tempo di guerra, al posto di un vero caffè espresso e per chi assiste a questa esibizione, se persona provvista anche solo di una piccola dose di buon senso e di spirito critico, questo strano spettacolo potrebbe apparire del tutto fuori luogo. Davanti ad un simile investimento di pubbliche risorse questa persona rimarrà probabilmente sconcertata o comunque molto perplessa.


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Cervi in amore nel parco Nazionale dello Stelvio


Ogni anno (da tantissimi anni, non ricordo nemmeno più quanti...) tra la metà di settembre e la metà di ottobre mi godo lo spettacolo dei cervi in amore in diverse località della Val di Pejo nel Parco Nazionale dello Stelvio. Un tempo ormai lontano, nel Parco, questi maestosi selvatici erano molto rari, osservarne qualcuno, durante le mie prime remote escursioni, costituiva un evento da raccontare a tutti, non solo a famigliari ed amici... Poi, in pochi anni, la popolazione di questo maestoso ungulato è cresciuta enormemente creando non pochi problemi alla rinnovazione del bosco, ai prati di fondovalle, alla diffusione degli altri ungulati (soprattutto del capriolo che in certe zone non si vedeva proprio più). La grande nevicata di dieci anni fa, dell'inverno 2008-2009, ha ridotto di molto la consistenza numerica della popolazione del cervo: pur in assenza di predatori la natura ha trovato il modo di riequilibrare la situazione evitando quel cruento intervento umano che ormai appariva ineludibile. Ora il numero di questi stupendi animali è più contenuto anche se in costante aumento (così almeno mi sembra) e questo nonostante le notevoli “perdite” dovute alle avversità climatiche soprattutto dell'inverno scorso.





























Le mie “uscite” di quest'autunno, alla ricerca dei cervi in amore, sono state ben poche e questo perché se le condizioni meteo sono state complessivamente favorevoli, altrettanto non lo sono state le mie condizioni di salute, le mie e anche quelle dell'amico che spesso mi accompagna. Gli anni passano, gli acciacchi aumentano e inevitabilmente si è costretti a limitare la quantità e la qualità delle escursioni, almeno quelle di un certo impegno, volenti o nolenti. Comunque anche quest'anno, con impegno e fatica, ho raggiunto un paio di volte la fascia al limite della vegetazione arborea a monte della stradina che da Malga Giumela porta ai Paludei in Val del Monte, sopra il lago di Pian Palù e le fotografie qui postate sono per l'appunto state scattate su quelle alte praterie verso al fine del mese di settembre.




























Non c'è luna ed è ancora buio quando, lasciata l'auto al Fontanino di Pejo, imbocco la strada bianca che sale ripida al lago artificiale. Verso levante inizia appena ad albeggiare e nel lieve chiarore del cielo sereno si delinea il profilo dei monti che sovrastano il Passo Cercen. Raggiunto i lago si fa più chiaro e, mentre proseguo sulla stradina per Malga Giumela, le scure vette rocciose del Corno dei Tre Signori e dell'Ercavallo lentamente si ravvivano rischiarate dai primi raggi del sole. Quei monti fatti di frastagliate creste e di aguzzi picchi si illuminano colorandosi di fuoco quando, lasciata alle spalle ormai da tempo la malga, raggiungo i sentierini, sconosciuti ai più, che dalle stradina dei Paludei salgono verso le alte praterie che si estendono al di sopra della vegetazione arborea.


Si è fatto giorno ma lunghe ombre scure si allungano ancora sul ripido sentiero e sui cespugli di rododendro che a tratti lo invadono e lo imprigionano rendendolo irriconoscibile. Improvvisi e violenti bagliori filtrano tra il fogliame ancora verdi degli ultimi nodosi larici d'altura illuminando il percorso ma contribuendo pure a confondere ulteriormente la già labili tracce. Nel silenzio del bosco, rotto solo dagli inopportuni scricchiolii dei rametti pigiati dal mio stanco avanzare, inizia a diffondersi qualche stentato bramito. E' il “canto” d'amore dei cervi che, ora ne sono certo, stazionano poco più in alto, oltre gli ultimi alberi... E' un mugghio debole, poco convinto, quello che mi giunge, un bramire strano, inusuale, che sicuramente mi emoziona ma che pure mi sconcerta. Mi affretto e, raggiunti gli ultimi larici, esploro l'ampio, ripido vallone che mi sovrasta. Non serve il binocolo per individuare i cervi che numerosi lo stanno lentamente attraversando. Quella che osservo è però una scena inconsueta.




























Durante il periodo degli amori, solitamente si incontrano gruppi di femmine, di cerve, in grande numero, ognuno sorvegliato da un solo possente maschio: sono gli harem dei cervi dominanti attorno a cui gironzolano uno o più maschietti vogliosi nell'attesa speranzosa di qualche momentanea distrazione del boss. Quello che oggi mi si presenta potrebbe sembrare, a prima vista, nientemeno che un harem al contrario, i maschi sono infatti più numerosi delle femmine. Ma a ben guardare quei maschi non sono sicuramente de maschi dominanti, “competitivi”, vagano insieme, rassegnati, sconfitti, probabilmente allontanati da coloro che, molto più prestanti, già da qualche giorno sono riusciti a radunare un bel branco di cerve impossessandosene definitivamente. I cervi che osservo, con le tre o quattro cerve, che li accompagnano, femmine raccolte chissà dove, pascolano e attraversano indolenti l'erta prateria lanciando di tanto in tanto un smorto, pietoso bramito. Poi lentamente, uno dopo l'altro, sconfinano nel lariceto e scompaiono alla mia vista. Sono deluso. Non era certamente questo lo spettacolo che mi attendevo... che speravo di vedere.



























Ora il brullo vallone è sgombro e silenzioso. Abbandono il grosso tronco di larice che mi nasconde e avanzo allo scoperto cercando un riparo più confortevole. Mi distendo nell'erba soffice in una depressione del terreno... un comodo strapuntino dove attendere comodamente la comparsa di qualche altro ungulato. Aspetto, aspetto e aspetto ma inutilmente, la prateria che mi sovrasta rimane vuota, del tutto priva di vita. Solo in alto, dove il verde bruciato del pascolo si immerge nel blu cobalto del cielo, svolazza insistentemente uno stormo di gracchi, neri puntini volteggianti alla ricerca di chissà quale preda. Poi, quando ormai rassegnato sto per lasciare il mio rifugio, dal lariceto alla mia sinistra spunta un branco di cerve. Forse spaventate da chissà chi, si precipitano nel vallone, tagliandolo a mezza costa e, correndo rapide, si dirigono verso il bosco sulla sponda opposta. Un harem... Le femmine sono scortate da un possente maschio. E' un maschio dominante, relativamente giovane ma decisamente imponente che le segue a breve distanza. A completare questo classico insieme un secondo maschio meno vigoroso le precede discostandosi decisamente dal gruppo. Lo osservo mentre si allontana, risale il pendio, si immobilizza e osserva le cerve che sfilano più in basso. Sembra studiare la situazione pronto ad approfittare della stanchezza o di di un attimo di disattenzione del “titolare” dell'harem. Il gruppo attraversa rapido il pendio erboso, non rallenta, non si ferma... pochi istanti ed è già scomparso tra la folta vegetazione alla destra del vallone. Non mi resta che ricomporre lo zaino e prendere la strada del ritorno... con negli occhi la brevissima ma stupenda sequenza della corsa dei cervi, la vista del poderoso maschio e delle sue femmine... sui versanti delle Mandriole nel bel Parco.



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Lungo le sponde del Rabbies





Di ritorno da una lunga escursione alle malghe Pollinar e Stablaz, mi ritrovo a Rabbi Terme, piuttosto distante dal paese di San Bernardo dove ho parcheggiato l'auto. Che fare? Fa caldo e sono affaticato ma con un ultimo sussulto di vitalità decido di scendere a valle a piedi, evitando la strada principale ma seguendo vie poco battute, le vie sconosciute che costeggiano il Rabbies. La stanchezza è tanta ma rinuncio alla comodità del servizio di trasporto pubblico e, seguendo le rinfrancanti indicazioni di una persona del luogo, mi avvio lungo le sponde del torrente, imboccando una bella strada asfaltata. La bella strada asfaltata, però, si fa ben presto stradina bianca, poi stradina verde, stretto sentiero e da ultimo viottolo di campagna.





Scelta sofferta, la mia, che mi ha comunque consentito di chiudere con soddisfazione il mio lungo percorso ad anello sul versante destro della valle. Di completarlo con l'ausilio delle sole mie (ultime) energie ammirando e apprezzando, da ampie e inusuali angolature, gli aspri paesaggi della valle e compiacendomi, nel contempo, dei ristretti scorci offerti dallo scorrere delle acque tra le lussureggianti ripe del torrente.


Inizialmente ho incontrato l'antica segheria dei Braghje (già più volte visitata), una delle poche segherie idrauliche ancora presenti sui territorio della Val di Sole e delle sue vallette laterali. La destinazione di questa segheria come di tutte le altre (alcune restaurate e riattivate, altre totalmente ricostruite) non è certamente quella produttiva... le ultime segherie veneziane, le ultime mosse dalla sola forza dell'acqua, stanno lì a ricordare epoche ormai lontane. Sono la memoria di abilità costruttive e operative che si perdono nel tempo. Sono dei musei monotematici, musei importanti, destinati a contribuire alla qualificazione e valorizzazione del patrimonio etnografico della valle.


Lasciata la segheria alle mie spalle così come, subito dopo, il centro termale di Rabbi Fonti proseguo la discesa seguendo l'argine destro del torrente attratto dalla vista del libero e movimentato defluire delle acque, tra argini rocciosi e verdeggianti. Sono attratto soprattutto dalla vista del versante sinistro della valle, al di là del Rabbies, versante solatio, ricco di pendici a prato costellate da masi sparsi e piccoli antichi agglomerati di rustiche abitazioni. Architetture tipiche della zona, direi esclusive della zona, in parte rimesse a nuovo, ristrutturate o ricostruite con cura dai valligiani o dai turisti più affezionati, salvate dal degrado e dalla definitiva scomparsa.

Un paesaggio montano molto particolare e suggestivo, valorizzato più dagli scorci circoscritti e dagli angoli caratteristici che da quella visione d’insieme ampia e imponente, che caratterizza la parallela Val di Pejo. Un ambiente antico, curato e ben conservato, dove le tradizionali attività agrosilvopastorali ben si integrano con una economia turistica sostenibile. Una territorio finora non omologato a quello sfruttamento turistico intensivo che caratterizza altre numerose zone della Val di Sole dove la natura della montagna è stata snaturata, degradata perfino entro i confini del Parco Nazionale dello Stelvio, sacrificata sull'altare del profitto immediato, di uno sviluppo turistico considerevole ma probabilmente fragile, legato alle mode del momento e dipendente dalle bizze del cambiamento climatico




Al contrario, in questa valle, è stata l'accurata conservazione del suo rustico aspetto coniugata con la valorizzazione delle tradizionali attività agricole, forestali e artigianali che ha incentivato il turismo. Ha movimentato un'attrazione turistica non invadente e ambientalmente sostenibile... Almeno finora... Finora perché anche quassù le sirene dell'interesse, per non dire della speculazione, si potrebbero far sentire, potrebbero essere già in agguato, pronte a modulare il loro apparentemente incantevole ma in realtà distruttivo richiamo...
Non serve molto tempo per trasformare un territorio intatto in un luna park di grande ma banale attrattiva, degradandolo per sempre. E, a volte, basta ben poco per iniziare l'opera di conversione... al limite potrebbe anche bastare solo un semplice ponte tibetano... Un primo attrattivo assaggio, uno specchietto per le allodole per il turismo massificato dei grandi numeri. Quel ponte tibetano, di recente realizzazione (si dice anche con in contributo del Parco dello Stelvio), che incombe invadente sul Rio Ragaiolo, costoso e inutile belvedere sulle sue cascate, potrebbe costituire (volendo proprio essere negativi e... pensare male a tutti i costi) una testa di "ponte", una apparentemente innocua avanguardia di una possibile schiera di altri interventi “di grande richiamo” volti a snaturare la Val di Rabbi, sostituendo il suo turismo di qualità con un generico turismo di massa.


Ma non voglio credere che sia così... non voglio credere che una percorso come quello che qui descrivo non sia più possibile... che una tranquilla passeggiata come questa, sulle sponde di un limpido torrente, non valga più la pena di essere portata a termine. Non voglio pensare che questo bel panorama fatto di monti dagli aspri profili, di ripidi versanti boscosi, di verdi pendii fittamente punteggiati da masi e agglomerati di rustiche case, venga a poco a poco snaturato innestandovi elementi avulsi dal contesto, quei manufatti impattanti fatti di infinite strade, piste, funi, tralicci, pseudorifugi, cemento in quantità, ecc. ecc. che già hanno invaso e continuano a invadere molte zone della Val di Sole.



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