In Val di Rabbi sulla “Via delle malghe”


A Malga Polinar e a Malga Stableti tra foreste di conifere e pascoli verdissimi.


Bella anche se non entusiasmante scarpinata di metà luglio tra i boschi e gli alpeggi del versante destro della Val di Rabbi alla scoperta delle antiche attività agro-silvo-pastorali di alta montagna ben integrate, quassù, con l'accoglienza dei turisti e degli escursionisti.

L'angusta Valle di Rabbi è ancora immersa nell'umida ombra del primo mattino quando la percorro in auto raggiungendo il suo centro principale, il paese di San Bernardo. Qui la valle si allarga, e il panorama si dischiude, si apre sui versanti coltivati , sui prati punteggiati da minuscole frazioni e da masi sparsi... Più in alto la vista si eleva sulle selve ancora tenebrose sovrastate dal cime e da creste appena sfiorate dal sole.
Di fronte al paese si adagia un ampio conoide di deiezione costellato di rustici fabbricati nel verde ombroso dell'erba bagnata. Al suo apice precipita un lungo, sottile, filo biancastro. Sembra investire le alte conifere del bosco che, lassù, è subentrato al prato. E' una spettacolare cascata, la cascata di Valorz, orlata da rocce tenebrose e sovrastata dal vallone che porta al Passo Valletta. Là, in alto, si distendono i bei laghi di Soprasasso, Lago Alto e Rotondo che raggiunsi in tempi molto lontani e il cui ricordo, con il trascorrere degli anni, si fa ormai sempre più flebile.



Questo ciò che mi appare scendendo dall'auto, un paesaggio magico nella tenue luce dell'alba, un paesaggio che incanta, un paesaggio perfetto, tanto perfetto da sembrare irreale... un paesaggio che, se fossimo in inverno, si potrebbe definire da presepe natalizio..
Ma è ora di procedere. Mi avvio, discendo, raggiungo e attraverso il torrente Rabbies poi, seguendo la segnaletica, inizio la salita. Imbocco il sentiero per il Soprasasso che “taglia”, ripidissimo, per i prati del conoide fino ad immettersi, raggiunto il bosco, nella strada forestale che porta alla cascata. Seguo questa via per alcune centinaia di metri e, raggiunto un parcheggio, imbocco la stradina che conduce a Malga Polinar. Bella, comoda e larga stradina... all'inizio. Ben presto la bella stradina si restringe e sale sempre più erta in un susseguirsi continuo di tornanti che tagliano un versante sempre più ripido. E quella che era una bella stradina si inerpica sempre più, si restringe sempre più, diventa un sentiero e quindi un sentierino, strettissimo e che non termina più... Mai mi sarei aspettato un simile tracciato. Arranco a fatica e il peso degli anni non agevola... si fa decisamente sentire. Poi finalmente il sentierino spiana, il bosco si apre e appare il pascolo di Malga Polinar.



In verità non è un bel pascolo. E' completamente invaso da alti e spinosi cardi infestanti. In compenso si schiude un ampio panorama che merita senza alcun dubbio una lunga sosta per ammirarlo ma anche per riuscire a determinare correttamente ciò che permette di scorgere. Sul versante opposto della valle si vedono molte malghe poste al centro di pascoli ritagliati all'interno delle foreste di conifere, ma pure qualcuna sulle alte praterie, poste oltre il limite della vegetazione arborea. Con l'aiuto della mia “Kompass” localizzo le malghe Terzolasa e Samocleva, e poi le due malghe Caldesa, bassa e alta, le Garbella, le Zoccolo e le Mandrie di Sopra e di Sotto... Quanto mi piacerebbe poterle raggiungere, trovare ancora il tempo e la forza indispensabili per percorrere interamente, la “Via della Malghe” della val di Rabbi, passando appunto, di malga in malga... Infine scorgo, minuscolo, il Rifugio al Lago Corvo, lassù in alto al Passo di Rabbi e non posso non sognare di raggiungerlo. Non posso non tentare di concretizzare il mio sogno programmando una futura escursione al bel lago alpino, un ritorno al rifugio... dopo quasi cinquant'anni dalla mia prima e unica ascesa, quando lassù pernottai con l'amico, oggi scomparso, e assieme a lui il giorno dopo raggiunsi il Rifugio Dorigoni e quindi Rabbi Fonti sotto una pioggia intensa e incessante. Fu una avventura impossibile da dimenticare.
Ma eccomi alla Malga Polinar. Bella malga, seminuova, ricostruita recentemente, voglio sperare nel rispetto dell'originario disegno (che non ho conosciuto) e delle antiche particolarità architettoniche tra le quali è senz'altro stata preservata la copertura del tetto in “scandole”.




Silenzio assoluto. E' ancora molto presto. Non si vede nessuno, non si vedono i gestori della malga (vista l'ora sono sicuramente al lavoro all'interno degli edifici) e pure nei paraggi non si vede anima viva. Nessuna presenza, nessun escursionista. Tutto tace. Solo di tanto in tanto sembra di udire un lontano scampanellio di animali al pascolo. Sembra provenire dai pascoli alti, a monte della malga, lassù verso le cime. Su di un cartello si legge che qui si possono acquistare i prodotti della caseificazione quindi le mucche ci devono pur essere, da qualche parte... Ma i cortili della malga sono molto puliti... fin troppo puliti, come se le mucche non esistessero, non “abitassero” più qui..
Riprendo il cammino questa volta su delle belle strade forestali che, a parte un brevissimo tratto di ripido sentiero, mi conducono fino alla Malga Stableti. Un tragitto comodo, quindi, in leggera discesa, ma molto lungo, interamente compresso nel bosco fitto e conseguentemente ben poco panoramico. Così mi devo accontentare, si fa per dire, dei bei fiori che crescono sui bordi della strada e della vista che talvolta, grazie a qualche canalone privo di piante, si apre verso il basso, sul fondovalle e sulle sue iniziali pendici punteggiate da masi sparsi e minuscoli aggregati di rustici edifici.



Ma eccomi a Malga Stableti, un edificio molto diverso dal precedente, più vecchio, direi antico nella sua struttura complessiva ma, purtroppo, con la copertura del tetto rifatta in lamiera e non in scandole come avrebbe richiesto il rispetto del paesaggio e della tradizionale architettura locale.
Dense volute di fumo escono dai camini della casera e dell'edificio principale di questa malga che si presenta al visitatore come un agriturismo, così almeno sta scritto da qualche parte. Anche qui la pulizia non manca ma non manca pure un certo disordine all'esterno dello stallone...
Questa malga si trova sul basso versante destro della Val Ceren, una valle stupenda che parzialmente rientra (con il suo versante sinistro) nel Parco dello Stelvio. E' una valle ricca di boschi ma soprattutto di alpeggi con delle numerose malghe che, in gran parte, sono state ricostruite o ristrutturate adeguandole ad ospitare visitatori ed escursionisti. Ma non mi dilungo oltre, della “Via delle malghe” in Val Cercen ho già scritto in un mio post di due anni fa.




Poco a valle della Malga Stableti, lungo il torrente Ragaiolo, si distende l'ampia area attrezzata per picnic del “Fontanon”. Qui non mancano i tavoli, le panche, le fontanelle, i focolari in pietra per barbecue e qui mi ristoro sostando lungamente. Poi, rifocillato, scendo a valle percorrendo la bella strada bianca che conduce a Rabbi Fonti. Ma, poco prima di arrivare al piccolo centro termale, lascio momentaneamente la comoda strada e scendendo per un ripido sentiero, raggiungo il tanto pubblicizzato ponte tibetano che scavalca la forra del Rio Ragaiolo dirimpetto ad una altissima cascata: un nastro bianco e sottile che precipita appena a monte della “favolosa”, metallica costruzione. E' una tecnologica realizzazione che, a parer mio, svilisce la suggestione di un paesaggio selvaggio inserendosi brutalmente in un sito naturalisticamente prezioso tanto da essere racchiuso all'interno del Parco Nazionale dello Stelvio. Ma si sa... per attrarre il turista, sempre molto curioso (ma forse, talvolta, anche poco consapevole) si fa questo e altro... Ciò che mi meraviglia è che, secondo quanto a suo tempo “raccontavano” i media, alla realizzazione dell'attrattivo, adrenalinico espediente ha contribuito economicamente anche l'Ente Parco... che, sempre a parer mio, dovrebbe occuparsi di ben altro... ma di questo ho già scritto alungo in un altro mio post e non voglio ripetermi.
Raggiunto il fondovalle, poco a monte delle teme di Rabbi, devo proseguire fino al paese di San Bernardo dove ho parcheggiato l'auto. Sono due o tre chilometri, forse di più, che potrei percorrere comodamente seduto su di un pullman ma preferisco fare un'ultima camminata. Le gambe reggono ancora e quindi imbocco la strada che costeggia il torrente Rabbies tenendosi sulla sua sponda destra... più avanti questa strada si farà stradina e a tratti pure uno stretto sentiero sull'orlo del torrente... ma di questa bella sgambata finale dirò in un prossima puntata... in un altro post.



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Alla scoperta delle miniere perdute

Sulla montagna di Comasine in Val di Pejo tra storia e natura

L'insieme della zona mineraria di Comasine è ben individuabile dalla strada provinciale della Val di Pejo: si estende sui due versanti della vallecola che scende dal Boai sulla destra della isolata chiesetta di Santa Lucia.

Ricordi. Ricordi molto lontani di quando, bambino e poi giovane adolescente, osservavo con interesse e una certa trepidazione la calata nella vallata di un pesante contenitore metallico dai monti di Comasine, i monti delle antiche miniere di ferro. Era il contenitore usato per il trasporto dei preziosi ciottoli scavati nelle rocce del Boai. Benna ben appesa al carrello che scorreva lento sulla fune portante della teleferica. Scavalcava la profonda incisione del Noce e raggiungeva la stazione di valle dove riversava il suo carico nella tramoggia metallica posta sul bordo della strada principale a poca distanza da Celledizzo. Era un carico gravoso, era ferro, magnetite estratta nelle profonde gallerie che perforavano i ripidi costoni del versante destro della Val di Pejo.




Io mi avvicinavo ai vent'anni, era il 1967, quando quelle miniere vennero dismesse, chiuse ed abbandonate definitivamente. Il carrello si fermò per sempre, l'acrobatica teleferica venne pian piano smantellare e, in seguito, con il sopraggiungere del cosiddetto “progresso”, con la rapida virata dell'economia della valle da agro-silvo-pastorale (ed estrattiva) a prevalentemente turistica, della antica zona mineraria di Comasine si sentì parlare sempre meno...
Alcuni anni dopo discendendo a rotta di collo dalla Val Comasine, tagliando per scorciatoie e sentierini appena visibili dopo aver conquistato la Cima Boai, mi ritrovai, in quella che fu una delle zone di estrazione del ferro. L'erto terreno era costellato da anomali rilievi e da strane depressioni, risultato, gli uni del deposito di materiale e le altre dell'imbocco, non più visibile, di una galleria o del suo cedimento oppure, forse, di uno scavo o sondaggio superficiale. Avevo, del tutto casualmente, “scoperto” uno dei siti minerari sulla montagna di Comasine. Non potevo certo riprendere la discesa senza un piccolo souvenir. Cercai frettolosamente, rovistai tra i pesanti sassi sparsi ovunque, trovai e raccolsi un piccola pietra luccicante di minerale ferroso... poi, esausto per la lunga camminata, mi feci coraggio e, dopo la breve pausa, ripresi la calata verso il fondovalle.
Da alcuni anni (in realtà da parecchi anni ma a me sembrano pochissimi, mi sembra solo ieri...) è possibile raggiungere la zona mineraria percorrendo in automobile (o a piedi cosa che sempre preferisco e consiglio) la comoda ma lunga e stretta strada forestale che sale alla malga di Val Comasine. La strada costeggia infatti e in parte mi sembra che attraversi quello che fu uno dei principali siti di estrazione del materiale ferroso, probabilmente quello stesso sito che molti anni fa “scoprii” del tutto involontariamente. Delle insolite cavità, degli inconsueti avvallamenti, delle inattese piazzole, degli strani depositi di materiale sassoso nel bosco fitto segnalano la presenza del bacino minerario. Questo ad iniziare dal tornante che precede di poche decine di metri il divieto di proseguire oltre con l'automobile, se non, durante la stagione estiva, per raggiungere la malga di Val Comasine e lì parcheggiare.
Qualche giorno fa ho voluto percorrere ancora una volta questa strada a monte di Comasine. Il sole illuminava appena il dintorni di Ossana, laggiù nel lontano fondovalle, quando mi lasciavo alle spalle la strada asfaltata e la chiesetta di S. Lucia che fu tanto cara ai minatori. Ancora un'oretta di cammino tra boschi e prati in fiore e mi ritrovai alla base della zona mineraria ben segnalata da un tabella illustrativa collocata qualche anno fa dall' Ecomuseo della Val di Pejo. Era mia intenzione esplorare il sito cercando di individuare l'entrata di qualche miniere ma la vista di un recentissimo crollo che aveva aperto una profonda voragine ai margini di un sentiero mi fecero desistere. La prudenza innanzitutto. Così mi limitai a seguire altre indicazioni poste recentemente che mi consentirono di raggiungere in piena sicurezza l'imbocco di due gallerie, quella della miniera S. Barbara (se non erro) e quella, posta poco più in alto di S. Luigi.



Era evidente che le due gallerie, in particolare la seconda, erano state oggetto di alcuni recenti lavori di ripristino. Questi interventi avrebbero dovuto consentire l'esplorazione dell'intera miniera e la sua riapertura al grande pubblico e alle scolaresche per delle visite guidate. Così evidentemente non è stato: i due imbocchi risultavano sbarrati da una solida inferriata. Mi è poi stato riferito che i lavori erano stati interrotti quasi subito per i crolli, per le difficoltà incontrate nel rendere sicuro l'accesso ai tunnel e quindi per i costi eccessivi che la riapertura della miniera avrebbe comportato.



Purtroppo, come già ho constatato in altre analoghe situazioni, i denari per finanziare progetti importanti di salvaguardia o il recupero del patrimonio storico, culturale e artistico locale non si trovano o comunque vengono centellinati mentre per interventi di altra natura (particolarmente interventi finalizzati all'incentivazione del turismo soprattutto invernale, interventi definiti “sostenibili” ma della cui reale sostenibilità, non solo ambientale, nutro spesso seri dubbi), si trovano immediatamente e solitamente sono molto copiosi...


Così facendo delle antiche miniere di Comasine scomparirà anche il ricordo. Tra qualche decennio chi si rammenterà più delle vecchie gallerie, chi saprà più indicare la loro ubicazione, determinare con certezza la loro entrata? Chi si rammenterà più dell'attività estrattiva e della fusione del minerale che contrassegnarono per secoli (sicuramente dal 1300 in poi) la vita dell'alta valle, il suo sviluppo demografico, economico e sociale. Chi saprà più individuare nell'attività di trasporto del minerale ferroso l'origine di toponimi quali la “Via delle Ferrére” o la “Strusa”, chi conoscerà l'origine del minuscolo aggregato di edifici denominato “Forno di Novale” (dove fino al 1954 ancora esisteva il vecchio altoforno)...


Chi mai saprà che la lavorazione del ferro fu la causa della nascita e dello sviluppo di un intero centro abitato, il paese di “Fucine”, la “Villa nova Fucinarum” sorta dal nulla sulle rive del torrente Vermigliana le cui acque fornirono per secoli la forza motrice ai magli delle sue officine? Chi potrà mai immaginare che il periodo di maggiore ricchezza e splendore del castello di San Michele a Ossana fa legato alla fusione e alla lavorazione del ferro estratto in quel di Comasine? Chi, camminando sui boscosi versanti della valle, saprà fornire una qualche spiegazione sull'origine delle “ajàl”, le numerose piazzole nere di carbone, che andrà via, via incontrando?


Ricordi, conoscenze, informazioni che si vanno e si andranno sempre più perdendo... e che se non fosse per la benemerita opera di una associazione che da alcuni anni opera in Val di Pejo e per l'attività di ricerca e divulgativa di qualche (o solo uno?) appassionato studioso già si sarebbero perse...
Io non sono certamente uno studioso e lungi da me l'idea di iniziare un'indagine sul campo o quantomeno una ricerca di quegli antichi documenti di cui qualcuno assicura la sopravvivenza ma che sono dispersi chissà dove. Documenti che potrebbero meglio chiarire le storiche vicende delle miniere di Comasine approfondendone gli aspetti più antichi e ancora nebulosi.

Sicuramente mi piace conoscere, approfondire... mi limito però a recepire le informazioni che altri hanno scoperto e divulgato. Sempre. Va comunque specificato che, al di là dello studio, quello che mi piace sopra ogni cosa è immaginare, fantasticare, perdermi con la fantasia nel passato risalendo mentalmente molto indietro nel tempo... sognare ad esempio l'alta valle tutta ammantata da foreste vergini (foreste, poi, molto più tardi, quasi interamente abbattute per ricavare il carbone indispensabile alla fusione del minerale ferroso). Immaginare una vallata colonizzata da pochi umani primitivi ma già in grado di estrarre e fondere il minerale ferroso.. per ricavarne armi e utensili... o semplicemente per barattarlo con altri beni...




Solo fantasticherie, le mie, solo bizzarre costruzioni mentali che si perdono in quel remoto periodo di cui nulla si conosce, di cui nulla o quasi nulla è rimasto o è stato finora rinvenuto. Sembra infatti impossibile, almeno per ora, datare scientificamente l'epoca nella quale l'uomo della Val di Sole iniziò ad estrarre il ferro sulla montagna di Comasine. Si può solo ipotizzare o, nel mio caso e solo nel mio caso. viaggiare piacevolmente e a lungo sulle onde dell'immaginazione... sulle ali della fantasia...


In rete si trova un prezioso documento dal titolo “Le miniere di Comasine - appunti” a cura di Romano Sonna. In rete c'è ben poco altro.


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Com'era verde la “mia” Valbiolo!



E verde la “mia” Valbiolo (affettuosamente “mia” e di tutti coloro che amano la montagna come Dio l'ha creata) lo è ancora ma non del tutto, non più... Troppe sono le ferita che le sono state inferte, le profonde lacerazioni che ancora le vengono, senza interruzione, rifilate.
Sono lontani i tempi in cui, partendo dal Passo del Tonale, la si risaliva lentamente, a piedi, percorrendola in tutta la sua estensione fino a raggiungere dopo una lunga scarpinata il Passo dei Contrabbadieri... si camminava in silenzio, solo un asciutto cenno di saluto agli escursionisti incontrati strada facendo... si procedeva in compagnia sostando di tanto in tanto per ammirare il panorama delle cime del Gruppo Presanella che sia apriva, sempre più ampio, alle nostre spalle. Si arrancava tra i rododendri in fiore, accompagnati dai fischi delle marmotte, superando le mandrie di vacche al pascolo. Accadeva che l'aquila in perlustrazione ci sorvolasse. Provenieva dalla Cima Cadì, ed era diretta verso il Redival. Un bel vedere.
Tutto bello, tutto verde... ma forse, siamo sinceri, i ricordi sono resi così belli, così verdi, dalla nostalgia di quel lontano periodo, dalla nostalgia della giovinezza ormai sfumata da tempo...
Resta il fatto che nel frattempo la “mia” Valbiolo è comunque molto, ma veramente molto cambiata e non è certamente più quella di una volta. E' mutata radicalmente, in peggio, anche se molti lo negheranno sostenendo che il cambiamento, le innovazioni che oggi la caratterizzano sono necessarie e positive, sono il risultato del “Progresso”. Sosteranno chi i cambiamenti sono in linea con lo “sviluppo sostenibile” di una stazione turistica moderna e ben radicata sul territorio.
Io mi chiedo: progresso o regresso? Progresso sì, senza dubbio, ma solo se lo sviluppo è davvero sostenibile, se è contenuto in ambiti accettabili, realmente compatibili con le caratteristiche dell'ambiente... se il territorio montano viene utilizzato con attenzione, responsabilità e misura, se viene piegato alle esigenze dell'uomo con la necessaria lungimiranza pensando non solo agli interessi dell'oggi ma anche a quelli del domani... Altrimenti in un prossimo futuro ci troveremo davanti ad un sicuro regresso, ad un ambiente devastato, povero e improduttivo.
Ho la netta sensazione che quassù, in Valalbiolo si sia andati oltre la soglia della sostenibilità ambientale, per non dire del buon senso...


Comunque, nonostante tutto, le marmotte si incontrano ancora in Valbiolo e sono pure numerose anche se io le ho osservate solo sui versanti più ripidi e non sul fondovalle ormai del tutto sconquassato da seggiovie, da piste da discesa per sci e bike, da strade, dai muraglioni per il contenimento delle valanghe, dai lavori sempre in corso...
Le marmotte le ho viste ma però non le ho udite. Sembra che le marmotte non fischiano più... Sono talmente assuefatte alla presenza umana, alla presenza di veicoli di vario genere, automobili, fuoristrada, camion e camioncini, ruspe e macchine operatrici di ogni tipo che, pur rimanendo vigili, non si spaventano più di tanto. Forse solo l'aquila o la volpe, ammesso che ancora frequentino questa zona così antropizzata, potrebbero indurle a lanciare il loro sibilo d'allarme.


Anche i rossi rododendri e con loro i molti bellissimi altri fiori alpini crescono ancora in Valbiolo ma spuntano solo dove l'uomo non è intervenuto con scavi e movimentazioni di terra modificando indelebilmente la morfologia originaria del terreno. Quassù si è ampiamente eliminata l'originaria preziosa cotica erbosa, si sono inerbite artificialmente le larghe e lisce piste da sci con miscugli di essenze vegetali, compatibili con l'ambiente montano ma sicuramente poco ricche di diversità biologica. Si son create difformità cromatiche tra il verde alpino originario e quello artificialmente realizzato alterando per chissà quanti decenni il bel paesaggio della valle.


Papa Francesco si è ispirato al “Cantico delle creature” di Francesco d'Assisi nel redigere la sua enciclica “Laudato si'” di ispirazione ambientalista . Alcuni versi del Cantico (questi: <<Laudato si', mi' Signore, per sor'Aqua, la quale è molto utile ed humile et pretiosa et casta>>) li ho trovati impressi sulla prima delle tabelle collocate lungo percorso di visita del biotopo protetto della torbiera del Tonale che giace sul fondovalle esattamente sotto la Valbiolo. Sono versi che ben si adattano ad accogliere il visitatore in una delle poche aree umide alpine ancora esistenti nella nostra provincia.
Questi versi io li ho fotografati e li ho incollati a mo' di ironica e provocatoria didascalia su una delle immagini che riprendono i lavori di realizzazione del bacino di deposito delle acque per l'innevamento artificiale delle piste del Passo. Opera questa che gli impiantisti più che “utile” ritengono indispensabile... opera che come al solito è ben “appoggiata” e probabilmente anche ben “foraggiata” dalle istituzioni pubbliche e dalle sue emanazioni finanziarie. La foto, insieme a tutte le altre si commenta da sé, parla da sola ma naturalmente parla solo per chi la sa udire e la vuole ascoltare.
Ma ecco... nell'immagine sottostante ecco il costoso sconquasso provocato dall'opera di scavo del grande bacino di deposito per l'innevamento programmato (si parla di una capienza di 120000 mc). La nuova impresa è commentata dalla frase riportata sulla fotografia. Una frase che come la precedente proviene da una delle tabelle del biotopo protetto. Un aforismo che, nell'evocare un profondo e alquanto recondito significato, si richiama al naturale scorrere delle acque, di tutte le acque che liberamente scendono a valle, non solo quelle del Rio Valbiolo nei pressi della la citata tabella.


A parer mio sono parole particolarmente adatte a sottolineare, con amarezza, l'artificioso ciclo delle acque utilizzate per l'innevamento programmato. Le acque, in parte prelevate dal Rio Valbiolo (da notare che, come già accennato, quel rio confluisce nel biotopo protetto...) e in parte pompate a risalire dal Torrente Vermigliana, riempiranno il lago artificiale in costruzione per essere poi all'uopo inviate ai “cannoni” che le “spareranno” sotto forma di neve sui campi da sci. Solo con il tepore primaverile le acque potranno ridiscendere a valle. Un ciclo innaturale ma che tuttavia non è l'unico nel suo genere. Un ciclo artificioso che, con modalità diverse, è, ad esempio, da tempo utilmente impiegato per la produzione di energia elettrica pulita. Ma c'è una differenza: sui campi da sci non si produce energia rinnovabile, l'energia la si consuma, copiosamente, contribuendo, seppure in misura minimale ma che comunque non è mai trascurabile, all'effetto serra e quindi al cambiamento climatico fonte di tanti guai per il turismo invernale. Guai destinati a peggiorare sempre più e sempre più rapidamente. Guai non affrontabili ancora a lungo con i palliativi che si sono messi in atto e che si stanno potenziando... Prevedibilmente tra non molto l'attuale strategia adottata per neutralizzare le conseguenze della carenza di neve sarà definitivamente messa in crisi dalle temperature sempre più elevate che tra alcuni anni renderanno inutilizzabili i cannoni “sparaneve”. E con il senno di poi si sentirà dire: “che enorme spreco di risorse economiche e ambientali....”


<< Monti lontani riverberano negli occhi delle libellule>>. Poetici versi, perfetti per il biotopo umido del Tonale dove sono stati posti e dove le libellule sono di casa ma che ben si adattano anche all'ambiente alpino della nostra Valbiolo anche se di libellule lassù non se ne vedono e mai e mai se ne sono viste... Le creste lontane della Valbiolo, quelle che si stagliano lassù, verso il passo dei Contrabbendieri, verso la Cima e il Torrione d'Albiolo, ma anche quelle che attorniano la Presanella, ”riverberano” comunque... si specchiano o almeno tentano di farlo ma non negli occhi delle libellule, né delle farfalle, né delle marmottine. Si specchiano nella lucidissima vernice metallizzata delle bike che discendono la valle e cercano pure di farlo nelle nuovissime, brillanti e riflettenti piste che da qualche anno si snodano nei pascoli. Un labirinto, un intreccio di ferite inferte al verde e prezioso manto vegetale per l'intera estensione della Valbiolo. Una vista sgradevole, fuori luogo, sullo sfondo dei monti che furono teatro di cruenti scontri durante la grande guerra. Ma si sa, si deve pur lavorare e quindi il turismo locale è sempre pronto ad intercettare le mode del momento, a promuoverle ed incentivarle costi quel che costi in termini ambientali. Purtroppo questo non è il turismo lungimirante che mi piacerebbe vedere... non è un turismo in grado di “ripensare la montagna”, di valorizzarla rispettandola, di porsi obiettivi a lungo termine uscendo dagli schemi consolidati, schemi prevedibilmente destinati a soccombere con il cambiamento climatico. E' un turismo troppo legato alle mode, alla stagionalità, un turismo senza “visione”che investe molto ma che vive alla giornata, pensando solo all'oggi, alle entrate immediate e sicure...







Eccola la Valbiolo: un luna park d'alta montagna. Eccola all'inizio dell'estate, tutta sfregiata, ben scolpita dall'intreccio serpentinoso delle piste da percorrere in bike... ma attenzione, solo in discesa, acrobaticamente, saltando di gobba in gobba, di trampolino in trampolino e di ponte in ponte secondo i dettami della una nuova moda... evidentemente al momento molto redditizia... ma solo per qualcuno.
Davanti a questo sconsolante spettacolo all'escursionista non resta che sostare (sperando di non essere investito da qualche spericolato discesista)... non resta che fermarsi per riflettere, rifugiarsi nel ricordo, richiamare alla memoria la Valbiolo integra del tempo che fu quando veniva risalita solo dagli amanti della montagna, a piedi, lentamente mentre gli amanti della bicicletta si limitavano a percorrere le ciclabili o tutt'al più le bianche stradine forestali, evitando gli stretti e pietrosi sentieri dei monti e i biki park che nessuno era ancora riuscito a concepire.









L'ontano verde sul basso versante della Valbiolo scuote le sue fronde al vento, sussurra la sua nenia. Sussurra, nel silenzio della montagna... Bella immagine, bella vista.... peccato sia guastata, quasi oltraggiata dallo sfregio della pista per biker: una ripida stradina che taglia il pendio e conclude la sua discesa con un trampolino in legno all'uopo predisposto per l'immancabile salto finale dell'eroico sportivo. E naturalmente accanto alla pista non manca la dovuta segnaletica onde evitare incidenti sia agli spericolati ciclisti sia agli sprovveduti escursionisti che, fuori dal tempo e dalle mode, ancora amano camminare... Miserelli, potrebbero venire investiti ed è meglio cautelarsi... non si sa mai...










Ed eccola nuovamente la segnaletica. Qui i segnali sono spuntati e cresciuti quasi all'improvviso nel verde della scarpata, poi sono sbocciati ed ora giganteggiano come girasoli sostituendosi ai piccoli fiori di montagna. Ma tanto... chi li guarda più i bei fiori di montagna? A chi possono interessare? A ben pochi... e che quei pochi vadano ad ammirarli nel biotopo protetto all'uopo predisposto. A noi interessano solo le esibizioni sulle nostre fantastiche bike... e una bella segnaletica è proprio ciò che ci vuole.


<<L'agricoltura di montagna è un patto di reciproco rispetto tra uomo e natura.>> Questo sta scritto sulla tavola posta nell'ultimo punto di osservazione del percorso guidato nella Torbiera del Tonale. Sta ad indicare che anche in un'area protetta l'erba può essere falciata. Evidentemente, con le dovute precauzioni, l'uomo può utilizzare una seppur limitata zona di quel biotopo. La Valbiolo non è un sito protetto come lo è la Torbiera che si trova alla sua base. E' una vasta ed erta prateria di montagna che l'uomo ha da tempi immemorabili sfruttato monticandovi le mandrie di bovini, in perfetto secolare equilibrio con la natura del posto. Un tempo quassù c'era una grande malga. Una malga funzionante. Ora non c'è più... o meglio ancora c'è... ma non è più lei. Ora non accoglie più le mucche da latte per la notte, per la mungitura della sera e del mattino ma al loro posto ospita frotte di turisti assetati e affamati, sia in inverno che in estate... Ora la vecchia malga si presenta in un altra veste, trasfigurata in ristorante, tramutata in bar, ambedue all'esclusivo servizio del turismo stagionale. Giusto. Quassù, a queste quote, con la rivoluzione del turismo, non è certo il caso di parlare ancora di agricoltura, di allevamento e nemmeno di agriturismo, di malghe aperte che accolgono gli escursionisti amanti della montagna, della montagna al naturale... che ospitano i visitatori attenti alla cultura del luogo, alle tradizioni, alla gastronomia tipica.... Queste banalità lasciamole ad altri, lasciamole ad altre località meno fortunate, lasciamole alla Val di Rabbi, ad esempio. Queste non sono cose serie, non sono attività che si confanno alla nostra moderna e ricca imprenditorialità... .





<<L'essenza delle cose ama celarsi.>>. Chissà quali meraviglie nasconde madre natura nei dintorni di quella che fu malga Valbiolo. Chissà... Forse cercando a lungo qualche meraviglia si può ancora scoprire anche quassù, in questo ambiente... contaminato: forse un fiore di montagna, una stupenda farfalla, un insetto raro, un rettile, un minuscolo innocuo residuato bellico, un cristallo... Lo spettacolo che si presenta all'escursionista arrivato finalmente a queste alte quote, dopo una lunga scarpinata a piedi, non stimola di certo la voglia di impegnarsi in sfibranti ricerche. Ci si trova infatti di fronte ad un ambiente squallido, caoticamente antropizzato, totalmente compromesso dal punto di vista paesaggistico. Solo piloni, tralicci, carrucole e funi...e poi forme e colori nettamente contrastanti con il contesto ambientale e una malga-ristorante grossolanamente ristrutturata e l'incredibile verde delle piste da sci artificialmente inerbite.... Confidavo nel tanto reclamizzato “Parco delle marmotte” che avevo inteso come un vero parco naturale, un punto di osservazione dei simpatici sciuridi ma, ahimè, mi sono trovato davanti ad un banale parco giochi, un luna park per bambini cresciuti, oltre tutto ben poco esteticamente integrato nel già caotico complesso.. Ma tant'è...

Povero escursionista...
Povero escursionista... ignaro della normativa che regola la protezione della flora in Trentino, hai ingenuamente raccolto un “mazzolin di fiori” nei prati del Tonale e ora potresti incorrere in severe sanzioni. Hai sbagliato, per te non ci sono giustificazioni... e non permetterti di contestare la giusta punizione a chi di dovere. Non mostrargli, a tua difesa, lo sfacelo ambientale, la distruzione della vegetazione originaria che vi circondano... Quegli scavi, quei rattoppi, quella distruzione... è stata portata a termine legalmente con l'avvallo degli organi istituzionali, dopo severa valutazione del suo impatto ambientale... e solo per superiore e generale interesse. Quindi zitto... meglio non fiatare...”

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La “Torbiera” del Tonale nel suo abito tardo primaverile



Un biotopo protetto, un'isola di natura incontaminata, in un contesto ambientalmente degradato e paesaggisticamente deturpato.


Fine giugno. Dopo la mia visita autunnale (post: “Il Tonale e la sua torbiera”) rieccomi nuovamente quassù, al centro di questo interessante biotopo che oltre a far parte delle oasi naturali protette istituite in Trentino con L.P. n. 14 del 23-06-1986 è pure compreso nella Rete Natura 2000 dell'Unione Europea. Si tratta di una torbiera che si estende su due aree, una a monte dell'ultimo tratto di strada statale che dalla Val di Sole sale al passo (è in parte da tempo occupata da aeroporto e altre invadenti strutture e quindi parzialmente compromessa) e una in una depressione a valle della suddetta strada ed è in questa conca che o io mi trovo. Sotto un sole ancora basso ho imboccato il sentierino, appena visibile, che partendo dal depuratore sale in leggera pendenza, tra l'erba alta fradicia di rugiada. Con le pedule e i calzoni inzuppati ho finalmente raggiunto la stradina asciutta e ampia che attraversa il biotopo fino a raggiungere il suo confine occidentale e le “maestose” torri bianche che da più di quarantanni (se ben ricordo) “ingentiliscono” il Passo. Percorro così l'intera zona, la ispeziono lentamente attento a non abbandonare, se non eccezionalmente, la stradina, l'itinerario canonico tracciato nei prati, sulla sponda sinistra del rio che taglia la torbiera. La sponda opposta, la destra, mi appare naturalisticamente più interessante, più umida e paludosa, ma non è percorribile se non uscendo dal tragitto preordinato... e non mi sembra il caso, non mi pare corretto.
Salendo verso il Passo, avvicinandomi alle sue “belle” torri, ho sostanzialmente seguito a ritroso il percorso tematico predisposto per visitatori e turisti più o meno interessati che in estate discendono nel biotopo. Un percorso tematico consistente in dodici punti di osservazione segnalati da delle targhe metalliche riportanti poetici versi, frasi ed aforismi edificanti,... nell'insieme un inno alla natura incontaminata che motiva alla sua contemplazione, alla sua salvaguardia... Lungo il percorso si apre anche uno slargo, un erboso piazzale per una sosta rilassante (...tavolo, panche e un assurdo, contraddittorio “fornello” in pietra per barbicure) con, al margine, la costruzione similrustica del punto informativo con, al suo interno, un allestimento didattico sulla biodiversità , non visitabile in questo inizio di stagione.




Località ricca di micro-situazioni ambientali il biotopo protetto del Tonale. Vi si trovano zone molto asciutte, laghetti in miniatura ( probabilmente crateri creati dall'esplosione di bombe durante la prima guerra), acque correnti più o meno veloci e acque tranquille... Alla diversità di situazioni ambientali corrisponde una grande varietà di associazioni e di specie vegetali molto diffuse nelle regioni artiche ma rare sulle Alpi. Sono dei “relitti glaciali”, piante che colonizzarono il territorio migrando a sud durante le glaciazioni e che successivamente si estinsero, con l'aumentare della temperatura, tranne che in piccole aree dal clima rigido come quella in questione. L'origine della torbiera va ricercata nella grande quantità di acqua di risorgiva che ha occupato la zona permettendo lo sviluppo della vegetazione palustre che nel tempo ha formato il deposito di torba sul quale si estende il biotopo.
In definitiva la Torbiera del Tonale è un'area di grande valore ambientale ma anche paesaggistico che ho potuto ammirare nella sua colorata e radiosa versione tardo-primaverile, così diversa da quella più malinconica dello scorso ottobre. Purtroppo però, anche durante questa, quasi estiva, escursione, non mi è stato possibile osservare la biscia del collare e le libellule, imbattermi nel rospo, nel tritone alpestre e nel ditisco a caccia nei tetri laghetti... e nemmeno ho individuato qualcuna delle piante rare che vegetano nel biotopo, le carnivore Drosera rutundifolia, Piguicola alpina, l'acquatica Utricularia minor e le molte altre. Credo che solo la fortuna, il caso o più probabilmente solo la guida di un esperto naturalista ben conoscitore del sito avrebbe potuto permettermi di osservare tutte le nascoste meraviglie di questo paradiso botanico e zoologico. Così, da solitario e inesperto visitatore, mi sono dovuto accontentare della stupenda visione d'insieme dell'umida torbiera, limitandomi ad osservare solo dei girini di Rana temporaria sul fondo di una pozza d'acqua , a scoprire, oltre alle essenze erbacee più comuni, tre specie di orchidea e, meraviglia delle meraviglie, un pianta acquatica dagli stupenti fiori candidi mai incontrata prima d'ora: il trifoglio d'acqua (Menyanthes trifoliata).

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Il tutto purtroppo in vista dei tre giganteschi grattacieli bianchi del Passo del Tonale ma non solo... anche ai piedi di altre rosate torri paesaggisticamente impattanti, ai piedi del disordinato guazzabuglio architettonico e urbanistico della stazione turistica del Tonale. Stazione da sempre regno del luna park invernale dello sci da discesa e ora pure regno del luna park estivo della bike da discesa.
Dal biotopo alzo lo sguardo sul versante solatio del Passo e osservo: tralicci e funi in grande quantità invadono i versanti delle cime Bleis e Cadì e non mancano certamente sui i pendii che salgono al passo dei Contrabbandieri. Grandi toppe di pascolo artificialmente seminato costellano la montagna: sono le piste, che ben ripulite, spianate, lisciate e rinverdite, appaiono in netto contrastano cromatico con la rimanente, originaria e preziosa cotica erbosa. Qua e là appaiono pure isole e strisce di terra nuda, frutto di scavi effettuati per la posa delle tubazioni degli impianti di innevamento “programmato” e l'interramento di chissà che altro... Ma non solo: in Valbiolo (dominata dalla Cima e dal Torrione d'Albiolo, teatro di cruenti scontri durante la grande guerra) risaltano le lunghe ferite inferte al terreno per scolpirvi l'intreccio serpentinoso delle piste da percorrere in bike, solo in discesa, acrobaticamente, saltando di gobba in gobba, di trampolino e di ponte in ponte secondo i dettami di una nuova redditizia moda... ben promossa e incentivata... e, ultimo incanto, non sfuggono di certo alla vista gli enormi scavi e le movimentazioni di terra per la realizzazione del tanto desiato, capientissimo bacino, destinato a fornire l'acqua per l'innevamento artificiale delle piste dell'intero, caldo e soleggiato versante.




E' questa la risposta di impiantisti e affini al cambiamento climatico, all'innalzamento della temperatura, alla carenza di neve, alle nevicate che, chissà perché, il buon Dio ultimamente si è intestardito a non elargire più come faceva un tempo. Una risposta che è supportata, ci mancherebbe altro, dalle istituzioni pubbliche e dalle loro emanazioni finanziarie generalmente pronte a intervenire per sostenere il cosiddetto “sviluppo”, sviluppo definito sostenibile ma che in realtà è ben poco sostenibile, solitamente ambientalmente degradante, paesaggisticamente deturpante (basta guardarsi attorno...) e, alla luce dei cambiamenti climatici, nel medio e lungo periodo, anche poco lungimirante, inefficace, e quindi probabilmente economicamente insostenibile per non dire fallimentare. E allora perché fossilizzarsi ad investire esclusivamente sull'attuale dispendioso modello di sviluppo, un modello ingordo di territorio e risorse ambientali ed economiche... perché non “ripensare la montagna” individuando obiettivi diversi su cui investire, obiettivi che consentano comunque di mantenere l'attuale benessere e livello occupazionale. Perché non iniziare, seppure lentamente, a destagionalizzare il turismo non pensando solo all'inverno, alle settimane bianche, ma anche al turismo delle stupende stagioni intermedie, al turismo primaverile e autunnale, meno legato alle mode, sicuramente un turismo più consapevole e responsabile. Basta crederci e lavorarci... e soprattutto promuovere stornando qualche spicciolo da altri impieghi. Ma questo non è certo compito degli impiantisti ma di chi dovrebbe essere avveduto e previdente, di chi si occupa del bene comune e a questo fine gestisce il denaro pubblico.

Ma quante belle parole!
Ho raccolto in una sola immagine le fotografie delle targhe metalliche incontrate durante la mia passeggiata nella Torbiera del Tonale. Sono piccole tabelle, strategicamente disposte in alcuni punti caratteristici del biotopo. Sono tabelle che riportando tante belle parole, frasi, aforismi, poetici versi inducono il visitatore all'osservazione consapevole della natura, alla sua contemplazione e quindi alla sua protezione... Tavole perfettamente consone all'ambiente in cui sono state poste, un sito intatto, istituzionalmente protetto. Ma se appena alziamo lo sguardo... ecco... ci si presenta un degrado ambientale profondo, un ambiente montano troppo antropizzato, troppo sfruttato. E allora davanti all'immiserimento ambientale che sovrasta quest'isola incontaminata le belle parole appaiono fuori luogo... L'ambiente andrebbe protetto tutto, nella sua interezza, naturalmente con criteri diversi perché l'uomo c'è, esiste e sul territorio l'uomo deve campare. Ma nell'utilizzo delle risorse ambientali ci vogliono intelligenza, lungimiranza, responsabilità, misura... che nei dintorni del nostro biotopo sono decisamente molto carenti. Le belle frasi sulle tabelle ( o lapidi cimiteriali ?) del biotopo potrebbero anche essere considerate degli epitaffi, dei necrologi a ricordo e commemorazione di quello che, un tempo lontano, fu l'ambiente incontaminato del Passo, un ambiente integro, un ambiente intatto che ora possiamo considerare del tutto dissolto, morto, sacrificato sull'altare di uno sviluppo turistico eccessivo e male interpretato.

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