"Il bosco degli urogalli" a Malga Talè


Percorso tematico dedicato ai tetraonidi allestito all'interno della ristrutturata Malga Talè

…… Gli abeti non sono fitti e hanno i rami allisciati lungo il tronco dalle nevi di tanti inverni. Qua e là vi cresce qualche larice contorto e qualche mugo; il sottobosco è pulito: senza cespugli o erbacce ma con tappeti di uva orsina dalle foglie rivestite di cellofan e le bacche rosse e bianche dal gusto acidulo e gradevole come piccole mele. Nelle radure mirtilli succosi. Nei posti più ombrosi vi crescono soffici il muschio verde e l’argenteo lichene islandico. Questo bosco da Grandi Cacce dell’Aldilà finisce contro la montagna dove si alzano le rocce grige che lo chiudono. Vi sono pure dei grandi massi erratici chissà quando portati dai ghiacciai.
Ecco proprio tra questi massi pensavamo si fosse rifugiato l’urogallo. Si camminava cauti e i piccoli rumori del bosco rendevano più grande il silenzio……

Così Mario Rigoni Stern, nel sua seconda pubblicazione “Il bosco degli urogalli”, descriveva un bosco, habitat del gallo cedrone...
E così, per ricordare lo scrittore, le sue storie di cacciatori, di animali selvatici, di montagne, gli operatori del Parco dello Stelvio hanno denominato il percorso tematico sui tetraonidi (urogallo o gallo cedrone, gallo forcello o di monte, francolino di monte e pernice bianca), “Il bosco degli urogalli”, riprendendo il titolo del suo libro...

Bell'allestimento "Il bosco degli urogalli", ricavato all’interno della ristrutturata Malga Talè. Vale veramente la pena di raggiungere questa malga: stupendo il video 3D sulle danze d’amore del gallo forcello e molto belli anche la mostra fotografica e lo slideshow sulla pernice bianca realizzati con le immagini dell'archivio del concorso fotografico “Fotografare il Parco”.
Diapositive digitalizzate del gallo cedrone da me ripreso qualche anno fa a monte del piccolo paese di Menas.
Il gallo cedrone è ancora presente sulle montagne della valle ma la sua presenza si è rarefatta, non tanto a causa della caccia, da tempo vietata, quanto al disturbo, a cui questo tetraonide è molto sensibile, causato da un’eccessiva antropizzazione della montagna: troppe strade forestali, impianti e piste da sci, eccessiva presenza di escursionisti sia in estate che in inverno, fungaioli, cicloturisti, sciatori…

Malga Talè
Come si arriva a Malga Talè?
Si tratta di un itinerario relativamente breve e comodo (una lunga passeggiata), ben segnato, di circa tre chilometri, in leggera salita, che, su strada forestale, partendo da Pejo Paese, taglia a mezza costa, il versante destro della Val de La Mare, dirigendosi verso i monti che chiudono la vallata. Il panorama non è particolarmente attraente ma si possono comunque cogliere interessanti aspetti del paesaggio montano. Soprattutto procedendo oltre Malga Talè, si incontrano antichi masi, al centro di grandi radure, ricavate, chissà quando, nel folto del bosco. Sono prati, a tratti molto ripidi e in gran parte abbandonati, residuo di un’economia agropastorale complessivamente in declino ma che in questa zona sembra trovare nuova linfa e nuova vitalità nell’alleanza con l’economia turistica e con la presenza del Parco Nazionale dello Stelvio.



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Al "Lago dei Caprioli" per gli antichi sentieri

Lunga camminata, prevalentemente su vecchi sentieri nel bosco, con salita da Ossana in Val Piana e quindi a Fazzon, al “Lago dei Caprioli”, con discesa finale al paese di Pellizzano.






Raggiungo la bella “Val Piana” di buonora, al sorgere del sole, salendo per il suggestivo“sinter dela lec”, sentiero di cui ho già a lungo detto in un altro post. Proseguo per la vecchia stradina del Selvat che, attraversato il ponticello sul Rio Foce, proprio all’inizio della valle, prima del capitello di S. Antonio, sale nel fitto bosco di noccioli, abeti e larici, fino a connettersi con la strada forestale di collegamento tra la Val Piana e la Valle di Fazzon.



Finalmente si discende verso Fazzon e passato il ponte sul rio e superati i vasti parcheggi per le auto dei turisti che, quando il sole sarà alto, invaderanno la zona, raggiungo il lago, situato poco più a monte. Calma piatta e silenzio assoluto. I primi raggi del sole iniziano a rischiarare le cime frondose degli abeti lungo i bordi dello specchio d’acqua. Paesaggio suggestivo, nella quiete e nella luce diffusa del primo mattino. Mi affretto. Percorro il sentiero che abbraccia le acque e rubo alcune immagini del laghetto deserto prima che giungano i vacanzieri che tendono a confondere le sponde di un lago di montagna con una spiaggia romagnola.


Al paesaggio del lago manca però uno sfondo adeguato, mancano le belle cime che contornano tanti altri laghetti alpini ma forse è meglio così: il luogo è comunque interessante e mi concentro sui particolari evitando la “foto cartolina”. Del resto questo non è un bacino naturale ma artificiale, creato dall’uomo per scopi di attrazione turistica, negli anni del boom economico, se ben ricordo alla fine degli anni '50 o all'inizio degli anni ’60, sbarrando con una briglia il corso del Rio Fazzon (briglia, se non erro, asportata ben presto da una alluvione con conseguenti allagamenti nel paese sottostante... diga poi ricostruita...) ed erigendo un argine di contenimento in terra battuta lungo un lato del futuro specchio d’acqua.


Tutto bene anche perché in quei lontani tempi poco si parlava di salvaguardia degli ambienti naturali di particolare interesse, e così una se pur piccola area, forse un biotopo umido di un certo pregio, venne sommerso e perso per sempre…forse ma forse, senza approfonditi accertamenti preventivi… Oggi è sicuramente cresciuta la sensibilità delle singole persone e l’attenzione dell’autorità nei confronti della conservazione degli ambienti naturali di qualità, numerosi i parchi naturali, le riserve, i biotopi protetti, e poi Dolomiti Unesco… ma in tanti casi prevale ancora l’interesse economico immediato di pochi sulla salvaguardia del patrimonio comune (quanti esempi potrei fare…) e spesso il “naturale” è solo l’ipocrita richiamo, per “piazzare” un prodotto turistico che di "naturale" ha solo la bella etichetta…


Discendo a valle, in compagnia delle mie considerazioni, scegliendo un percorso sui vecchi e bei sentieri nel bosco e raggiungo il paese di Pellizzano…



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Da “Malga Strino” al “Bait del Vedeler”

Alla scoperta di un sentiero poco noto

Giunti a Malga Strino, dopo la salita che prende il via dalla strada statale del Tonale, si può proseguire il cammino, risalendo gli ultimi radi lariceti e i bei pascoli della valle per raggiungere la “Città morta” o i “Laghettidi Strino”. Volendo ci si può anche inerpicare sulla vetta panoramica del monte “Redival”. Più modestamente si può pensare di raggiungere il “Forte Zacarana” percorrendo per intero il “Sentiero del Bòzerlait” o una scorciatoia che sale direttamente dalla malga o si può semplicemente riposare distendendosi sui prati a monte della malga, tra le mucche al pascolo e i fischi allarmati delle marmotte. Ma ci si può anche avviare per un comodo sentiero quasi pianeggiante che in circa un’ora e mezza conduce al “Bait del Vedeler”. E’ questo un sentiero poco frequentato che taglia il versante a mezza costa nell’ombra di lariceti coetanei e di boschi più fitti, misti di abete rosso e larice.



In verità questo tracciato andrebbe sottoposto a lavori di manutenzione, estirpando le erbe invadenti e rimuovendo alcuni (pochi) tronchi che caduti sul sentiero impediscono il passaggio costringendo a larghi, faticosi, aggiramenti. Comunque il sentiero è sempre ben individuabile tranne nel suo ultimissimo tratto dove i molti alberi crollati in seguito ad un turbine di vento lo nascondono alla vista: siamo comunque in prossimità del “baito” che è visibile, poco più in basso, appena superato l'intrico delle ramaglie.



Lungo l’intero cammino ci accompagna l’emozionante vista dell’ampio, stupendo, scenario sulle cime del Gruppo Adamello Presanella quasi a ricompensarci per aver scelto un percorso che allunga di molto il rientro. Giunti infatti al “Bait del Vedeler”, dopo aver ammirato il bel panorama e esserci riposati e ristorati, si scende per un sentierino e di seguito per la strada forestale fino ai ruderi di “MalgaMezzolo”. Si raggiunge quindi, la base della Val di Strino, chiudendo così il percorso ad anello, per proseguire infine, sulla strada militare, fino alla statale, nostro punto di partenza. Il tragitto del ritorno è lungo ma è comodo ed è sempre animato dalla consolatoria vista degli scintillanti ghiacciai della Cima Presanella.

 “Laudato si’ mi’ Signore, per sora nostra madre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fiori ed herba"... I versi del "Cantico delle creature" di S. Francesco mi frullavano in testa camminando lungo il sentiero, rapito dalla bellezza del paesaggio… Ripensavo, io, laico, sostanzialmente agnostico, all’interessantissima enciclica di Papa Francesco, “Laudato si’” che avevo iniziato a leggere e che mi aveva particolarmente colpito… Una voce alta, a difesa dell’ambiente, della casa comune, dei diritti di tutti i popoli… una voce nel deserto… una voce importante in un contesto dove si  parla, si decide e si traffica solo in funzione del mercato, dell'interesse immediato, della “crescita”...... costi quello che costi... consumismo compulsivo, spreco di risorse, inquinamento, cambiamenti climatici, accentuazione delle disuguaglianze, tra i popoli e tra gli individui... 

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I forti austro-ungarici sul fronte del Tonale

Forte Strino, Forte Mero e Forte Zaccarana



Si è da poco commemorato il centesimo anniversario dell’entrata del Regno d’Italia nel conflitto mondiale e, per ricordare i tragici avvenimenti che colpirono la nostra zona, dopo aver visitato il Fortino Barbadifior presso Pejo Terme, sono salito anche verso il Passo del Tonale, raggiungendo i forti austroungarici dislocati sul versante sinistro della valle. Si tratta di tre forti, Forte Strino, Forte Mero e Forte Zaccarana. Il primo è oggi adibito a museo e le sue rovine, ripulite e ben consolidate, sono interamente visitabili e accolgono, tra il resto, i cimeli delle battaglie che si svolsero sui monti del Tonale. Gli altri due si trovano più in alto e sono raggiungibili a piedi, imboccando la strada militare che si diparte dalla statale e conduce in Val di Strino (circa un’ora per Forte Mero, due per Forte Zaccarana) ma si possono raggiungere anche partendo dal Passo Tonale, seguendo una stradina quasi pianeggiante che porta a forte Mero o dei sentieri ben segnati per forte Zaccarana.






Lascio al lettore interessato approfondire la conoscenza dei tre forti attraverso la consultazione del bel sito internet “Sulle tracce della grande guerra” e mi limito quindi  a postare le fotografie che ho scattato durante la mia escursione.


Penso però, possa essere interessante leggere ciò che, molti anni fa, scisse un testimone degli avvenimenti bellici nella zona del Tonale e in particolare del forte Zaccarana. Si tratta di mio nonno che allo scoppio del conflitto mondiale fu dichiarato inabile al servizio militare e con altri elementi inabili o troppo giovani o troppo anziani fu aggregato agli Standschützen, “tiratori al bersaglio volontari” forzatamente militarizzati durante il periodo bellico, impiegati a difesa del loro territorio di origine e addetti a varie attività logistiche. Il nonno fu assegnato ai servizi di contabilità a Vermiglio, ultimo paese della valle prima di raggiungere il Tonale e prese nota sinteticamente di molti accadimenti in un suo diario per descriverli puntualmente, a guerra conclusa, nelle sue “Memorie”.
Scrive il nonno riferendosi alle prime settimane dopo l’entrata in guerra dell’Italia:

...Da un certo tempo i due avversari duellavano con qualche cannonata, ma non vi erano stati né morti né feriti. Un giorno però il cannoneggiamento si fece così potente che, tremavano i vetri della finestre ed esso continuava senza interruzione...
...Sul far della sera giunsero in paese alcuni soldati che scortavano una carretta militare trainata da un mulo. Il carro era coperto e non era possibile vedere che cosa trasportasse, ma ben presto si sparse la voce che si trattava delle tre prime vittime del bombardamento di quella mattina. A conoscenza della casa , nella quale erano depositate, assieme a Redolfi, volli andare a vederle. Quale orribile visione! I soldati erano orrendamente maciullati dalle ferite; carbonizzati da sembrare neri africani. Che ribrezzo! Che orrore! Ancora al ricordo mi corre un brivido nelle ossa. Ci allontanammo ben presto da quella macabra scena che ci aveva sconvolti.
Che cosa era avvenuto per ridurre i tre soldati in quel misero stato? Interpellammo un tedesco reduce dal forte Zaccarana che aveva accompagnato le salme e lui ci disse: ”Stamane abbiamo trascorso un brutto quarto d’ora. Due potenti bombe avevano colto il grosso terrazzo del forte, ma dato lo spessore e quindi la sua robustezza in cemento e ferro, resistette ai due formidabili colpi, benché all’interno ogni cosa ondulasse come per terremoto e comunque ci ritenevamo discretamente sicuri. Ma una terza granata ebbe la sfacciataggine di entrare per un’apertura volta verso il Tonale. Nella quale era posto un nostro grosso cannone di fortezza. La granata scoppiando, lo scaraventò violentemente contro le vicine pareti, riducendo i tre uomini addetti a quel servizio nello stato che avere visto. Uno di costoro era il mio sergente: era molto buono con noi; aveva moglie e tre figli e abitava a Bolzano.”... Provammo una profonda pietà. Fu il mio primo incontro con i veri orrori della guerra...
...Le due fortezze, rese inservibili da pochi e potenti colpi di cannone, vennero abbandonate. E dire che i genieri austriaci avevano impiegato anni di lavoro a costruirle ed erano considerate efficienti ed imprendibili… (la seconda fortezza cui il nonno si riferisce è il Forte Pozzi Alti sul versante opposto).

Le “Memorie “ del nonno, per ciò che rigurda la prima guerra mondiale, sono state pubblicate integralmente nel testo di Udalrico Fantelli, “Si partecipa per notizia e sollecita pubblicazione ai signori preposti comunali e curatori d’anime” – parte seconda – e in breve stralcio in “Il cimitero militare austro-ungarico di Ossana” a cura di Luciano Bezzi. Ambedue i testi sono di interesse locale e sono quindi di difficile reperibilità.


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Una bella fioritura sulle Dolomiti di Brenta


Si dice che quest’anno la fioritura sugli alti pascoli  sia particolarmente abbondante e in effetti ho potuto constatare che anche sulle Dolomiti di Brenta si assiste ad una rigogliosa comparsa di fiori di monte.




Salito, di buon mattino, da campo Carlo Magno, mi trovo al confine tra la Val di Sole e la Val Rendena, nei pressi della Malga e del Dosson di Vagliana e mi dirigo lentamente verso il Passo del Grostè. Il cielo che all’alba minacciava temporali si è rasserenato, le nebbie sul fondovalle si sono rarefatte, le nubi si sono aperte, e si può procedere in tutta tranquillità. Il manto erboso è abbondantemente bagnato. Sarà la rugiada o più probabilmente la conseguenza di  uno scroscio di pioggia notturno? Osservo e fotografo i bei fiori delle dolomiti cosparsi di gocce d’acqua che luccicano ai raggi del sole sbucato dalle creste sovrastanti.




Si tratta di una flora basofila in parte diversa da quella acidofila, che meglio conosco, tipica degli altri gruppi montuosi che contornano la valle, i gruppi Adamello-Presanella e Ortles-Cevedale Sono poche le specie che riesco a identificare con precisione… Un buon motivo per riprendere in mano, al mio ritorno, qualche manuale di botanica. Per il momento mi sento più che appagato davanti all’incanto dei pascoli in fiore alla luce del primo mattino… alla varietà di forme e colori che ravviva il verde dei  prati.




Però, se alzo lo sguardo, non posso non rilevare come il territorio, “Patrimonio Unesco”, che si estende verso lo Spinale e il Grostè e più avanti verso il Doss del Sabion, sia deturpato da troppe costruzioni, impianti a fune, piste da sci, strade di servizio, tutto a favore di un turismo per niente sostenibile e rispettoso dell’ambiente montano. Così pure di fronte a me, sui monti periferici del gruppo Adamello-Presanella, all’interno e nelle zone limitrofe del Parco Naturale Adamello-Brenta, è un rincorrersi di piste di discesa, ritagliate nei boschi, con i relativi impianti di risalita e le strutture per l’accoglienza dei turisti “sci ai piedi”.






Quando si interverrà, con la stessa mano pesante, anche nella zona, relativamente tranquilla e intatta in cui mi trovo?  Non passerà molto tempo se persisterà l’escalation in atto di distruzione dell’ecosistema e del  paesaggio alpino alla faccia dei parchi naturali e di Dolomiti Unesco, “patrimonio dell’umanità”. Speriamo che non sboccino altre piste e impianti di risalita al posto dei bei fiori delle dolomiti…



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Il “giro dei laghi” ai piedi del Cevedale


Lago della Lama, Lago artificiale del Càreser, Lago Nero, Lago Lungo e Lago delle Marmotte
nel Parco Nazionale dello Stelvio.

Ci troviamo alla testata della Val de La Mare, nel comune di Pejo. “Il giro dei laghi” è un percorso ad anello, uno dei classici percorsi che il turista, minimamente amante della montagna, predilige affascinato dalla bellezza degli specchi d’acqua e dall’imponenza delle cime circostanti. Si tratta di un tracciato che prende il via a Malga Mare (ad  alcuni chilometri da Cogolo e solitamente raggiungibile in auto) e che abitualmente si sviluppa in senso orario con la salita a Pian Venezia, il proseguimento fino al Rifugio Larcher al Cevedale e che di seguito tocca i laghi, il lago delle Marmotte, i laghi Nero e del Càreser con vista, lungo il sentiero, sul lago Lungo. Inoltre al ritorno, in discesa, dal Càreser a Malga Mare, sfiora il Lago della Lame che è possibile raggiungere per ammirare un ambiente e un panorama unici. In alternativa il “giro dei laghi” si può effettuare anche seguendo il sentiero, poco frequentato, che partendo da Pian Venezia si inerpica sulla destra e che conduce direttamente in riva al Lago Lungo e quindi al Lago delle Marmotte senza transitare nei pressi del Rifugio Larcher.



In compagnia dell’amico di sempre, mi cimento su questo percorso, invertendo però il senso di percorrenza dell’anello, salendo quindi, di buon mattino, direttamente al Laghetto della Lama, prima che i raggi del sole lo raggiungano.  Il mio sogno è quello di osservare e fotografare i camosci che talvolta, nelle prime ore del giorno, stazionano attorno al lago. Ma purtroppo la realtà non corrisponde al sogno: qualche solitario camoscio sta veramente pascolando nella zona ma è molto lontano, inavvicinabile … Probabilmente i branchi di femmine con i piccoli, nati da poco, si nascondono ancora in località lontane e ben riparate... Una delusione…

Però, la bellezza del panorama e dell’ambiente che mi circonda, mentre salgo per il tortuoso sentiero che da Malga Mare conduce al Càreser, mi compensano ampiamente e mi sorprendono per la loro particolarità. Immerso nella nebbia, attraverso dapprima la fitta cenbreta per sbucare infine nelle alte praterie, umide di rugiada e in piena fioritura.  Qua e là emergono gli ultimi contorti larici e i piccoli cembri che stanno colonizzando, a poco a poco, anche le zone più elevate. Sotto di me, nell’ombra, un mare di nubi avvolge interamente la vallata occultando paesi, prati, e versanti boscosi.  Affiorano  solo i monti: le cime più elevate brillano, inondate dal sole, nel cielo limpido del primo mattino. Il laghetto è a tratti immerso nella nebbia che sale dal fondovalle, che si dirada, si rarefa, si dissolve.



Poi l’aria si fa fresca,  statica, il cielo è limpidissimo sopra le nubi, le acque del lago scure, immobili, levigate…. Vi si specchiano le cime vicine e lontane, il Vioz, il Cevedale, la Presanella…  Poco a poco i raggi del sole raggiungono e ravvivano anche le nubi che coprono, oscurandolo, il fondovalle; raggiungono pure le rive e le acque del  lago e tutto si colora, prende forma ma, purtroppo, si dissolve il gioco di luci e ombre e così, l’incanto del mattino svanisce. Anche le nubi sul fondovalle si disperdono e lo scenario torna nell’ ambito delle consuete, serene, mattinate estive.


Riprendo il cammino verso il Càreser, fotografando qualche fiore ancora gocciolante di rugiada lungo il sentiero rischiarato dai raggi radenti del sole. Superata la diga arrivo al lago Nero dove si riflettono le cime innevate del Vioz, del Palon della Mare, del Rosole, del Cevedale  e dello Zufal. Studio l’estensione dei ghiacciai che mi stanno di fronte valutando l’enorme ritiro dovuto ai cambiamenti climatici in atto e di fronte all’imponente panorama ricordo all’amico le mie antiche imprese alpinistiche, le “traversate” Vioz, Cevedale”, dei tempi andati, di quando, allora giovane, avevo la stessa passione per la montagna che ancora mi pervade ma avevo anche molta più energia…






Proseguo  il cammino,  osservando dall’alto il Lago Lungo e le piccole alture che lo sovrastano, dove è facile, nella giusta stagione, incontrare all’alba, i camosci al pascolo.



Giunto sulle rive dell’ultimo lago, il Lago delle Marmotte, riposo e mi diverto a ricordare e raccontare, all’amico, dei tempi in cui portavo quassù i miei piccoli figli per osservare fiori, marmotte e in qualche occasione il raro ermellino. Osservo la Cima Nera che mi sovrasta con i vicini crinali dietro i quali, al riparo dallo sguardo dei turisti, sicuramente riposano all’ombra o si rincorrono sui nevai  i camosci, soprattutto i branchi delle femmine con i piccoli d’annata.


Scendo verso il Rifugio Larcher e a seguire verso Pian Venezia. Le nuvole pomeridiane avvolgono ormai le cime più elevate. Il sole le filtra, di tanto in tanto, creando interessanti giochi e contrasti di luce. Vale la pena interrompere la discesa per scattare ancora qualche foto prima di chiudere il percorso ad anello a Malga Mare. E' proprio il caso di riprendere fiato e riposare perché i muscoli e le articolazioni di ginocchia e caviglie non sono più quelle di una volta… “Il giro dei laghi” un tempo era per me una passeggiata, seppure lunga: oggi rappresenta una vera e propria escursione, piuttosto impegnativa. Il tempo passa… ma la passione per le mie montagne resta viva nonostante i limiti imposti dall’età…



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