Plenilunio sul castello di San Michele a Ossana







Bello il castello di San Michele. Suggestivo visto da ovest verso est al sorgere della luna piena d'ottobre. L'ho ammirato e ho pure cercato di fotografarlo...
L'ho ammirato e a lungo considerato dal ponte della Poia e dai prati del Sant a monte di Fucine approfittando della nuova visuale aperta in quella zona dall'opera di ripristino dell'antico paesaggio rurale, senza gli alberi e i cespugli cresciuti su quei terreni da tempo abbandonati dall'agricoltura.





E, a parer mio, sta in questa visuale ampia e nuova, l'unico apprezzabile vantaggio dei lavori di deforestazione che hanno impegnato per tempi lunghissimi operai e tecnici dei Sevizi Forestali della Provincia. Non riesco a individuare altri benefici se non quello di aver dischiuso la scena non solo sul castello ma anche verso il Tonale, verso la Val di Pejo e sul paese sottostante...
Ma ne valeva veramente la pena?





Ora, che siamo ormai vicini alle festività natalizie, riprendo in mano i miei scatti cercando di ricavarne qualche immagine... appena decente. E' un lavoro di post-produzione quasi impossibile, lungo e complicato... ma che mi consente comunque di rivedere il castello di Ossana, anche se solo dalla mia scrivania nell'abitazione lontana dalla Val di Sole.




Così, seppure solo in fotografia, posso guardare e riconsiderare il castello di San Michele, un castello dominato dalla luna piena, alta nel cielo, un castello con la sua antica cinta muraria, i ruderi del palazzo e il suo massiccio mastio, tutti elegantemente rischiarati con raffinata misura dalla nuova illuminazione artificiale. Però, in altre mie immagini l'austero maniero appare ancora scuro. Lo vedo dominare il paesaggio nell'esile chiarore del crepuscolo, opaco e piatto, apparentemente abbandonato, apparentemente cadente...




Irrimediabilmente coinvolto mi ritornano alla mente la poetica descrizione del castello che il Ciccolini, a suo tempo, fece nel suo storico testo “Ossana nelle sue memorie”: <<che cosa resta dell'agguerrito Castello San Michele, che i Federici ricostruirono nella prima metà del quattrocento? Il mastio alto, severo e mesto come cippo funebre su d'una balza dirupata, che gli serve da piedistallo; ai suoi piedi il deserto maniero, rotto ai venti e alla neve.


Tutto intorno è scompiglio e rovina e le mura di cinta male proteggono dall'occhio del curioso, come dall'uragano, lo sfacelo di antiche grandezze. I merli sono caduti, si sfasciarono le stanze, franarono gli avvolti e sotto le macerie stanno confusi e affratellati i modiglioni della gronda e la botola della prigione, l'altare della cappella e la pietra che celava il trabocchetto. E dove sono i caminetti, gli alari, le mazze, i trofei, le stoviglie, i monili? Perché non si ode più il fragore dell'armi, il cigolio della saracinesca e del ponte levatoio e il desiato suono della diana? Perché non si diffondono nella quieta notte stellata, il rumore della danza, il canto del menestrello e le melodie del liuto e della mandola?......>>


Ma ora la situazione è cambiata, le rovine del castello sono state ben consolidate e restaurate. Gli scavi hanno permesso di aggiornare la storia del castello collocando la sua origine più indietro nel tempo. Si sono rinvenuti numerosi reperti che sarebbe bene sistemare (almeno in fotografia o in video) all'interno delle mura... Oggi è possibile salire in sicurezza in cima al mastio e godere di uno stupendo panorama...
Il Castello di Ossana fa ormai parte a pieno titolo del paesaggio culturale della Val di Sole e del Trentino, è inserito in un contesto ambientale di rara bellezza e dovrebbe rappresentare un tratto distintivo qualificante del territorio... ma è proprio cosi?


Ora che siamo vicini al Natale mi fa male pensare al glorioso castello di San Michele, il castello dei Fderici, ridotto ad una fiera (seppure non di paccottiglia ma di articoli di qualità prodotti artigianalmente in loco). Ci sono siti più consoni per ilbel mercatino di Natale di Ossana... anche in paese. A cosa sono serviti gli interventi di risanamento e ristrutturazione, gli investimenti di denaro pubblico, le competenze e l'ingegno, il lavoro intellettuale e manuale di grande spessore se poi l'ottimo risultato di questi investimenti, l'opera finita, viene ridotta ad uno scenografico piazzale per ospitare la babele delle bancarelle di un mercato che nulla ha a che vedere con il contesto che lo ospita?

Purtroppo è il segno dei tempi dove si opera ovunque, incessantemente e alacremente per attrarre il flusso turistico con investimenti ed espedienti di ogni genere, legati ai gusti, alle tendenze e alle mode del momento e che, troppo spesso, risultano deleteri se non distruttivi per l'ambiente delle nostre valli. La valorizzazione e promozione turistica dei patrimoni naturali, storici, artistici e culturali locali è relegata in subordine e in particolare talvolta capita che si contrabbandino per eventi a sfondo culturale iniziative del tutto estemporanee... e così per un turismo culturale coerente, per manifestazioni e attività di qualità (eventi significativi ma non di élite, adatti ad un pubblico ampio e vario) rimane ben poco spazio.

Fortunatamente per il nostro castello non sempre è Natale ! In altre stagioni, accanto a qualche incongruenza e agli appuntamenti banali, si sono visti anche avvenimenti importanti volti a valorizzare con coerenza questo bene comune. Uno per tutti, la rassegna di manifestazioni a ricordo di IacopoAcconcio, illustre concittadino di Ossana (ingegnere, filosofo, teologo, morto 450 anni fa alla corte della regina Elisabetta) che hanno avuto come scenario privilegiato il Castello di San Michele. E poi va ricordato che anche il FAI (Fondo Ambiente Italiano) si è ricordato del Castello di Ossana finanziando un'installazione multimediale che permetterà la fruizione virtuale della quattrocentesca “Casa degli Affreschi” posta nelle vicinanza del castello e tuttora inagibile a causa di gravi problemi strutturali.

“La Casa degli affreschi” si era ben classificata (al centesimo posto a livello nazionale e al primo in regione) nel concorso FAI del 2016 per la scelta dei “Luoghi del Cuore” ed è stata inserita tra i 24 siti da recuperare anche con il piccolo contributo del FAI. Va ricordato che l'attivazione al censimento era stata incentivata anche dal Comune di Ossana che ora a parer mio potrebbe approfittare dell'occasione per ampliare i contenuti della piattaforma multimediale di prossima installazione allargandoli alla presentazione delle origini, della storia, delle leggende, dei criteri di restauro.... del bel castello. Un altro bel passo verso una gestione meglio orientata... Ma è solo una mia idea, un emotivo suggerimento...


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Le Tovare di Terzolas



Bella passeggiata nel bosco dalla località “Regazzini” alla periferia di Malè alle “Tovare” di Terzolas



La località Tovare, nel Comune di Terzolas, è una delle tappe del Percorso Bresadolano ideato e curato dal Centro Studi per la Val di Sole e dedicato a Giacomo Bresadola, illustre sacerdote solandro internazionalmente considerato il fondatore della micologia. Essendomi già imbattuto, del tutto casualmente, in altre tre stazioni di questo percorso ( il paese diOrtisè dove l'abate nacque, il bosco della "Derniga" ad Ossana e quello de "La Gnoca" a Carciato) mi è sembrato bello proseguire il percorso raggiungendo questa nuova località dove, come in molte altre, Giacomo Bresadola si recava per raccogliere i funghi da studiare, classificare e riprodurre in dettagliate tavole stupendamente colorate.
Devo confessare che il nome di questa località, le “Tovare”, mi incuriosiva alquanto sospettando che derivasse da “Tovi”. Così si chiamano, almeno nel dialetto locale, quelle scoscese canalette che solcano i pendii boscosi e che servivano, e ancora talvolta servono per l'esbosco del legname, per avvallare i tronchi lungo il versante. Immaginavo quindi una località impervia, coperta dal bosco fitto e ricca di “tovi” In realtà ho subito scoperto che le “Tovare” si chiamano così perché un tempo non tanto lontano erano luogo di estrazione dei “Tóvi” (singolare = tóf ?), pietre di tufo calcareo un tempo impiegate nelle costruzioni edilizie. La località è infatti ricca di sorgenti pietrificanti che danno origine ai “Tóvi”, materiale poroso, bucherellato e leggero che si forma col solidificarsi del calcare portato dall'acqua. Che in questa zona si estraesse materiale da costruzione calcareo è confermato anche dalla presenza di una “calcara” che si incontra lungo il percorso, provenendo dalla località Regazzini. E' una vecchia struttura, quasi irriconoscibile e coperta della vegetazione infestante, che anticamente veniva usata per la preparazione della calce viva.
La zona delle Tovare, che si raggiunge in meno di un'ora, attraversando il “Pont de la Val” appena a monte della località Regazzini-Tavernetta di Malè (vi si posteggia l'auto), sfiorando, subito dopo, una palestra di roccia e proseguendo poi per varie stradine nel bosco (larghe, ben tenute e con molte indicazioni: impossibile sbagliare...), è interamente coperta dal bosco. Un bosco dalle molteplici caratteristiche dove si alternano conche molto fertili con terreno profondo e umido su cui si innalzano alberi altissimi e dossi più magri, più aridi e sassosi... La vegetazione è conseguentemente molto varia senza contate che nelle zone più a valle si trovano formazioni forestali del tutto artificiali, cresciute sui terreni abbandonati dall'agricoltura e rimboschiti per opera dell'uomo. Inoltre, in passato, il bosco delle Tovare era zona di pascolo. Il bestiame bovino di Terzolas vi pascolava, in primavera e in autunno, all'ombra di qualche larice e di pochi altri alberi sparsi mentre i contadini  raccogliervano strame per farene lettiera nelle stalle del paese..
Ora il bosco delle Tovare è sicuramente meno sfruttato di un tempo e sembra lentamente evolvere, grazie anche all'applicazione dei moderni principi della selvicoltura naturalistica, verso delle formazioni climax, in maggiore equilibrio con l'ambiente. Prova ne è l'esplosione delle piante di latifoglie oggi rispettate ma che fino a pochissimi decenni fa venivano subito eliminate per lasciare spazio alle sole conifere molto più redditizie economicamente. Questo bosco, così prossimo agli abitati oltre a produrre legname da opera e legna da ardere oggi, con i tempi nuovi, svolge anche una sempre più importante funzione turistico-ricreativa come è subito evidente osservando l'ampia zona attrezzata per picnìc ricavata dove il largo sentiero proveniente dai Regazzini sbocca nella strada forestale che dal fondovalle, dai Molini di Terzolas, sale verso la montagna. E proprio al margine superiore di questa radura si trova il pannello dedicato a Giacomo Bresadola, che, come ho già detto, aveva scelto il bosco delle Tovare come uno dei suoi preferiti per la raccolta dei funghi.

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Stambecchi in Val di Strino



La Val di Strino è una delle più belle località montane della valle. Mi attrae sempre più e infatti con il passare del tempo la visito sempre più frequentemente, vi salgo più e più volte ogni anno, dall'inizio della primavera al tardo autunno...
Quando la neve inizia a ritirarsi anche alle quote più elevate, raggiungo i dintorni della malga per osservare e fotografare i miei fiori preferiti, gli anemoni primaverili mentre le marmotte, appena uscite dal letargo, si rincorrono sul prato dandosi alla pazza gioia. Più avanti vi ritorno per raccogliere qualche cespo di radicchio dell'orso lungo la strada militare che conduce al Forte Zaccarana con l'incerta speranza di imbattermi in un gregge di mufloni o in un capriolo al pascolo. Durante l'estate non mancano le escursioni più impegnative. Esploro i dintorni di questa stupenda, piccola valle raggiungendo i ruderi di Malga Mezzolo, il Bait del Vedeler o le più lontane valli Saviana e Verniana e non manca di certo l'escursione alla Città Morta o alla Bocchetta di Strino sul sentieroo per la Cima Redival con l'inevitabile sosta sulle sponde panoramiche dei due laghetti di Strino...


Però, ripensandoci bene, mi accorgo, devo dire con una certa meraviglia, che, pur avendo frequentato spessissimo la bassa valle e i suoi dintorni, da più di tre anni non salgo fino ai Laghetti di Strino... Mi sembra quasi impossibile... Mai era trascorso tanto tempo dall'ultima mia escursione sugli alti pascoli di questa incantevole valle.
Decido quindi, con il mio amico di sempre, di non interromper ulteriormente una tradizione consolidata e di raggiungere, per l'ennesima volta  i “laghetti” prima che la neve imbianchi la montagna rendendo impossibile l'escursione.
Di buon mattino, parcheggiata l'auto su di uno slargo della statale del Tonale, imbocchiamo la strada sterrata ex militare chiusa al traffico veicolare che conduce ai forti Mero e Zaccarana ma che, con una digressione, arriva anche alla Malga Strino. Mezz'ora di comodo cammino, quattro tornanti per superare il ripido versante coperto dal bosco fitto e la strada inizia a fiancheggianre i pascoli più bassi della valle. l primi raggi del sole infuocano le cime sullo sfondo... poi lentamente il chiarore raggiunge anche le alte praterie, scende sul lariceto illuminando le chiome ambrate degli stentati e contorti alberi d'altura, i larici, tutti ormai in veste autunnale...
Oltrepassiamo la malga. Tutto è silenzio. Lo scampanio estivo delle mucche al pascolo, il richiamo del pastore, l'abbaiare dei cani e il chiassoso schiamazzo delle comitive di giovani gitanti sono solo un lontano ricordo. Silenzio. Un silenzio quasi innaturale... Mancano pure i fischi delle marmotte che quassù, da sempre, popolano i prati in colonie numerosissime. Da qualche giorno le marmotte sono in letargo, addormentate nelle loro profonde tane.
Il sentiero si fa più stretto. Sale più ripido, a tornanti, superando un'ultima fitta macchia di bosco. Poi finalmente raggiunge uno slargo pianeggiante, al limite della vegetazione arborea.
Riprendiamo fiato in riva a torrente... Siamo già stanchi, in dubbio se proseguire o meno... se cambiare meta deviando verso la più vicina Città Morta. Poi il binocolo ci mostra un branco di stambecchi, lassù in alto, proprio in corrispondenza alle balze che serrano uno dei due laghetti... e la fatica svanisce quasi d'incanto. Rinfrancati e rinvigoriti riprendiamo a salire fantasticando su di un possibile, eccezionale scatto fotografico che vede, in primo piano, gli stambecchi specchiarsi nelle limpide acque del lago e, sullo sfondo, la bianca vetta della Presanella.


Delusione... lo scatto eccezionale era solo un sogno destinato a svanire... solo una vuota speranza che aveva ben poche probabilità di concretizzarsi.
Quando arrivo sulle sponde del primo lago, dopo aver distaccato il mio amico nell'ultima salita (l'amico stava comunque salendo in compagnia di una cortese, solitaria escursionista che ci aveva raggiunti), gli stambecchi erano scomparsi, avevano lasciato la zona...
A fatica supero la delusione stregato dall'incantevole paesaggio che mi circonda. I due azzurri laghetti immersi negli autunnali colori bruciati delle alte praterie dominano la scena ma sullo sfondo si impone anche la bianca cima della Presanella...
Poi sollecitato dalla ormai nostra compagna di avventure ( mi incoraggia: "la montagna riserva sempre qualche sorpresa”) riprendo il cammino in sua compagnia mentre l'amico di sempre si limita ad esplorare i dintorni dei laghi. Saliamo ancora, faticosamente, diretti verso la Bochetta di Strino alla ricerca degli “stambecchi che non ci sono”, che sono spariti... ma questa volta la fortuna è dalla nostra parte. Ben presto individuiamo un possente maschio sdraiato sul crinale che divide la nostra valle della Val Montozzo. E' parecchio distante, verso il Torrione di Albiolo che durante la grande guerra fu teatro di aspre, sanguinose contese. Troppo lontano per il momento... Proseguiamo e, sbucando da una ripida scarpata, avvistiamo, al di là di un slargo pianeggiante, un secondo imponente esemplare. E' sdraiato al sole su di uno spuntone roccioso, sta dormendo con la testa incredibilmente reclinata all'indietro. Ci avviciniamo lentamente, senza far rumore temendo di svegliarlo... Gli siamo accanto... ma lo stambecco sembra non accorgersene... prosegue imperturbabile il suo riposo, poi si sveglia, ci osserva ma nulla cambia. Solo ora ci accorgiamo che un altro prestante maschio sta pascolando tranquillamente a poca distanza. Anche questo robusto esemplare appare del tutto indifferente alla nostra presenza.
Sono molto sorpreso. Il comportamento di questi ungulati mi sta meravigliando. Camosci, cervi e caprioli fuggono immediatamente all'apparire dell'uomo. Questi stambecchi sono del tutto apatici, nulla li scuote, si ha l'impressione di poterli perfino accarezzare...
Mai prima d'ora ero riuscito ad osservarli così da vicino. Ricordo qualche avvistamento, sempre da lontano, in Val Comicciolo, sul versante opposto alla Val di Strino, verso le creste del Redival.
Solo ora, dopo averne osservato il comportamento a brevissima distanza, mi rendo veramente conto di come si poté giungere all'estinzione di questi animali sull'intero arco alpino, estinzione a lungo perpetrata e ultimata per bene da cacciatori e bracconieri alla fine del XIX secolo (gli stambecchi si erano salvati solo nella ben vigilata Riserva Reale di Caccia, oggi integrata nel Parco del Gran Paradiso da cui sono stati ultimamente prelevati gli individui reintrodotti un po' ovunque sulle Alpi). Gli stambecchi sono animali tranquilli, indolenti, troppo confidenti e la caccia di un tempo ne ha approfittato non risparmiandone alcuno.


L'amico ci attende da troppo tempo. Lasciamo riposare tranquillamente il grande stambecco e discendiamo rapidamente fino ai laghetti godendoci il sole di ottobre e lo stupendo panorama. Un rapido spuntino, ancora qualche scatto alla Presanella e alle vette circostanti che si specchiano nelle acque dei due laghi e si riparte. Non è tardi ma siamo a metà ottobre, il sole tramonta presto ed è subito sera. Quindi ci precipitiamo verso il fondovalle, un fondovalle già scuro, già totalmente in ombra... Quassù, nell'alta valle, la luce è ancora forte, i raggi radenti del sole prossimo al tramonto lambiscono il pascolo, allungano le ombre delle rocce sporgenti, infiammano le chiome dei larici. Si scende velocemente e ci si approssima sempre più alla zona d'ombra che altrettanto velocemente sale lungo il torrente estendendo il suo dominio anche alle pendici della valle fino a poco prima ben soleggiate. Raggiungiamo gli ultimi larici ancora accarezzati dal sole. Sono l'ultimo luminoso regalo di questa limpida giornata autunnale, poi la luce scompare e il paesaggio si fa mesto, piatto e cupo. Siamo ormai nei pressi della Malga Strino e non manca molto alla conclusione della nostra avventura... Il mio sguardo indugia sui pascoli che circondano gli edifici della malga. Osservando attentamente si notano ancora, a distanza di cento anni, le numerose piazzole che ospitavano i baraccamenti dei militari austriaci durante la prima guerra mondiale. La notte del 13 dicembre 1916 (la si ricorda come “Santa Lucia Nera”) la valanga travolse l'intero, esteso villaggio militare di questa valle causando più vittime di quante ne fecero tutti gli scontri armati sul fronte del Tonale. Ora, su questo soleggiato pendio, appena a monte della casera, allo squagliarsi della neve, fioriscono i primi anemoni primaverili. Viene da pensare che la natura non dimentica... e sembra quasi che con suoi primi fiori voglia commemorare quelle lontane vittime o quanto meno ricordarle, rammentando  a noi tutti, distratti e smemorati umani, quella lontana tragedia. Chissà... Io comunque ci sarò e già mi vedo seduto tra i bianchi anemoni, dopo il lungo inverno... quassù a respirare nuovamente l'aria fina di questi monti.



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Mancano solo gli stambecchi...


Per conoscere le vicende che si svolsero in Val di Strino durante la prima guerra mondiale consiglio la lettuta di "La prima guerra mondiale sui monti del Tonale. Storia, luoghi, itinerari" di Daniele Bertolini. Il testo presenta interessanti percorsi alla scoperte dei luoghi della guerra, Alla guida è allegata una carta topografica molto ben  fatta.

Passeggiata autunnale tra i paesi di Cusiano, Termenago e Pellizzano


Lunga, ottobrina camminata pomeridiana su di un percorso ad anello che partendo dal paese di Cusiano, sul fondovalle, arriva, inerpicandosi per un sentierino recentemente riattato, al montano abitato di Termenago per poi ridiscendere a valle seguendo inizialmente la strada provinciale e poi un lungo antico viottolo fino alla periferia di Pellizzano a poca distanza dal punto di partenza.  



Il percorso, pur essendo totalmente privo di segnaletica, è comunque facilmente individuabile. Non si può sbagliare...

Il “nuovo” sentierino” si distacca dalla strada forestale dei “Maregi” a monte di Cusiano in corrispondenza del suo primo tornante, lì dove si trova una piccola statua bronzea dedicata a S. Antonio Abate. Ci si inoltra e subito si sale nel bosco, all'ombra di larici, abeti rossi e pini neri, immersi in un fitto cespuglieto di noccioli che, purtroppo, limitano la veduta sui paesi della valle e sulle cime che si alzano sul versante opposto.
Il panorama si apre solo di tanto in tanto soprattutto nella parte terminale della salita quando, sul bordo di uno scosceso dirupo roccioso, si rinviene una rustica panchina, lì strategicamente collocata per consentire al visitatore non solo di riprendere fiato ma anche di ammirare l'ampio, scenografico paesaggio.
Poco più avanti il sentiero raggiunge la strada forestale “Campion” in corrispondenza ad un abbeveratoio in legno che una targa segnala come sito di riproduzione della Salamandra pezzata (è questa la seconda piacevole sorpresa naturalistica dopo l'incontro con una giovane lepre lungo il tratto iniziale del percorso).
Poche centinaia di metri e si sbocca sulla strada provinciale allla periferia di Termenago.
E' questo un antico paese un tempo densamente abitato da una popolazione che da tempi immemorabili sfruttava ogni più piccolo appezzamento di terreno ricavato con immani fatiche, disboscando e terrazzando il ripido versante della valle.
Una agricoltura povera, di pura sussistenza o l'emigrazione... questa fu per secoli l'amara scelta di vita degli abitanti dell'intera Val di Sole non solo degli abiatanti di Termenago. Oggi i pascoli, i campi e i prati sugli erti versanti della valle non esistono quasi più. Il bosco sta avendo il sopravvento e riconquista dopo secoli, forse millenni, quello che l'uomo, con enormi sforzi, gli aveva strappato. Il paesaggio sta radicalmente mutando e anche il paese di Termenago non è più circondato dalla campagna ma è imprigionato da boscaglie sempre più fitte. Boscaglie, che ultimamente, nei dintorni più prossimi dell'abitato, sono state eliminate, abbattendo alberi e cespugli e ridonando a una seppure minuscola porzione del versante soleggiato della valle quello che doveva essere il suo antico aspetto.
Questo si vede percorrendo in discesa la strada provinciale... si vedono le case antiche... lassù, in alto, a monte di ripidi prati appena “tirati a novo”, liberati dalle sterpaglie dai Servizi Forestali della Provincia.
Moltissime case hanno le imposte chiuse, non sono abitate... e non sono di sicuro le belle “seconde case” che costellano i paesi del fondovalle che, ben si sa, in autunno sono sempre ben serrate. No, queste sono le vecchie abitazioni abbandonate di un popolo che non esiste quasi più, di una popolazione che un tempo non molto lontano era ancora numerosissima e che ora si è ridotta solo ad un centinaio di residenti. E' la conseguenza di un cambiamento economico radicale che in pochi anni ha rotto un antico equilibrio, ha modificato un modo di vivere fermo, sostanzialmente immobile da sempre... una vera, rapida rivoluzione che, contestualmente, ha trasformato profondamente il paesaggio montano, un paesaggio che ben difficilmente potrà essere permanentemente e stabilmente riconvertito in “quello che fu”... anche solo nei dintorni più prossimi degli abitati
Il vecchio mondo non ritornerà più... Era un mondo dove si poteva sopravvivere solo a prezzo di dure fatiche ma era anche un mondo più solidale, più ricco di passioni e di relazioni umane (in positivo e in negativo), un mondo inevitabilmente più vicino alla natura, più legato al trascorrere del tempo, al susseguirsi dei mesi. al lento svolgersi delle stagioni... 
Sempre in vista del centro storico di Termenago, sul quale svettano i campanili delle due chiese (la piccola vecchia chiesa quattrocentesca di S. Nicolò e la nuova ottocentesca parrocchiale destinata ad accogliere il popolo che non c'è più) si scende per qualche centinaio di metri sulla provinciale e superati due tornanti si imbocca sulla destra il ripido viottolo erboso che scende verso Pellizzano. Un tempo doveva essere questa la principale, se non l'unica via di comunicazione con il fondovalle o almeno con i paesi dell'Alta Val di Sole. Oggi la si può considerare nulla di più di una inutile e stretta mulattiera che taglia un ripido versante un tempo in gran parte coltivato e oggi invaso dal bosco e dalla sterpaglia. Chissà quanto lavoro richiese la realizzazione degli altissimi muri a secco, ormai qua e là cadenti, che sostengono la stradina a valle e la delimitano a monte. Fu sicuramente una realizzazione di grandissimo impegno, presumibilmente portata a termine dagli uomini del paese in tempi lunghi, senza l'ausilio dei moderni macchinari, con incommensurabili fatiche e tanto sudore.
Oggi, pur ben tenuta, costantemente liberata da erbe e sterpi infestanti per il gioia dei turisti e degli escursionisti buontemponi come me, è comunque inevitabilmente destinata al degrado in tempi più o meno lunghi (ne sono già evidenti i primi indelebili segni) e così anche il suo ricordo e la memoria di chi la realizzò svanirà per sempre.
Il ripido viottolo si immette sulla strada statale di fondovalle alla periferia di Pellizzano, un paese che, come molti altri centri della valle, ha raggiunto con i “tempi nuovi” del turismo di massa (un turismo di dubbia sostenibilità e fin troppo condizionato dalle mode del momento) un certo benessere pagandolo però in termini di degrado ambientale e di notevole scompiglio non solo materiale...
Ed è sul marciapiedi della statale che si può proseguire per raggiungere il punto di partenza, a Cusiano e chiudere così rapidamente questa lunga passeggiata ad anello. Ma è consigliabile lasciare questa trafficatissima via il prima possibile, (in corrispondenza del ponte che porta al vecchio nucleo del paese) e proseguire verso Cusiano scegliendo tra la pista ciclopedonale di valle e la strada chiusa al traffico veicolare, appena sotto la statale.
E poi non scordiamoci, se ne abbiamo il tempo, di visitare le chiese di questi due ultimi paesi, la maestosa chiesa gotico-rinascimentale di Pellizzano dedicata alla natività di Maria (è l'edificio sacro di maggior pregio di tutta la valle che la leggenda vuole eretto addirittura da Carlo Magno) e quasi in contrapposizione la minuscola preziosa chiesetta di Cusiano interamente decorata da preziosi affreschi quattrocenteschi dedicati alla vita di Santa Maria Maddalena
Da leggere: "C'era una volta Termenago" di Mauro Pedrazzoli - Reperibile anche nelle biblioteche della valle. 

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Immagini autunnali dal Parco Nazionale dello Stelvio

Ottobrina escursione in Val de la Mare...


...nei dintorni delle Malghe Pontevecchio, Verdiniana e Levi a valle del Passo Cercen e delle Cime Vallon, Verdiniana, e Cavaion.




Stupendi i panorami che si contemplano esplorando in ottobre i pendii del versante sinistro della Val de la Mare nella zona di Pejo.
Salendo per l'erta stradina che da Malga Pontevecchio porta a Malga Verdiniana di tanto in tanto si vedono ergersi, tra lo scuro intrico dei larici e dei pini cembri, le alte, imponenti e imbiancate cime del Vioz e del Cevedale, Cime dorate dal sole del primo mattino.
Più avanti, dove la rada vegetazione arborea sconfina nei pascoli alberati e nelle praterie d'altura, lungo il Sentiero Italia diretto al Passo del Cercen e in Val di Rabbi, il panorama si fa più vasto aprendosi oltre che sui monti del Gruppo Ortles–Cevedale anche sulla Presanella e sulle cime circostanti, sul Redival, sul Boai... e sull'intera Val del Monte, oltre Pejo Terme, fino al Corno dei Tre Signori. Panorama mozzafiato in autunno quando la montagna si cambia d'abito con i larici che si vestono d'oro e i picchi si coprono di neve. Panorama comunque sempre bello, in ogni stagione, ma soprattutto all'inizio dell'estate quando il rosso dei rododendri in fiore accompagna l'escursionista amante della natura vivacizzando il suo lento procedere.


A cavallo dei mesi di settembre e ottobre il lento procedere dell'escursionista amante della natura è invece accompagnato dal bramito dei cervi in amori che risuona da un versante all'altro della valle... un'esperienza unica, un'emozione indimenticabile...
Ora. a metà ottobre il mugghio si sta spegnendo, si è fatto sporadico ma, con un pizzico di fortuna, è ancora possibile incontrare qualche bell'esemplare di cervo maschio in compagnia del suo harem. Ancora per poco. Non è poi da escludere l'incontro con il camoscio che quassù, sulle rocce e sulle praterie a valle delle Cime Cavaion e Verdiniana è costretto a convivere con il cervo.
Sono avvistamenti appassionanti che solitamente (soprattutto per il cervo) avvengono al mattino di buonora quando ancora il sole non illumina il versante sinistro della Val de la Mare. Talvolta però può accadere che qualche cervo faccia la sua comparsa anche più tardi, magari proprio quando i raggi del sole iniziano ad inondare la zona sfiorando, pian piano, il palco ramificato del selvatico abbagliato dall'improvviso chiarore. Accade raramente ma può sempre succedere ed è bene esserci... ne vale veramente la pena.



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Il percorso della mia escursione in sintesi. Parcheggiata l'auto il loc. Tablà in pochi minuti raggiungo, sul versante opposto, la Malga Pontevecchio. Proseguo, con il solito compagno di escursioni, nel bosco, salendo sulla ripida mulattiera fino a Malga Verdiniana. Nei suoi pressi imbocco il Sentiero Italia e lo seguo fino alle praterie che coprono il pendio sotto il Passo Cercen. Pausa pranzo e ritorno sullo stesso tracciato fino a Malga Verdiniana. Quindi deviazione sul sentiero che si dirige verso il Cavaion e che, molto più avanti, si congiunge a quello che da Malga Mare sale tortuosamente al Lago del Careser. Proseguo sul primo tratto di questo pianeggiante sentiero fino ad incontrare quello proveniente dai dintorni di Malga Pontevecchio sui cui tornanti discendo raggiungendo rapidamente il fondovalle.