Avvisaglie di primavera

Avvisaglie dell'approssimarsi di una primavera che al suo arrivo non mi avrebbe trovato in Val di Sole.



Avvisaglie nel sole tiepido di metà febbraio che fondeva l'ultima neve affrancando il terreno dal gelido manto, liberando gli umori della terra fradicia e gli olezzi umidi del letame sparso nel tardo autunno sulle zolle dei prati falciabili alla periferia del paese.



Avvisaglie nei morbidi gattici sbocciati da poco sulle nude e intricate ramaglie del salicone sullo sfondo dell'austero castello e delle cime ancora ben innevate.



Avvisaglie nella comparsa delle infiorescenze dei noccioli e degli ontani verdi cresciuti al margine dei terreni coltivati lungo gli argini del torrente.



Avvisaglie... avvisaglie pure sulle cortecce delle betulle e dei sorbi altezzosamente emergenti dall'ormai inconsistente copertura immacolata, dove delle ampie chiazze di lichene sembravano annunciare con i loro caldi e luminosi colori l'approssimarsi della bella stagione.



Avvisaglie lungo il fiume Noce, avvisaglie nelle sue acque gonfie che ora scorrevano libere e rapide, nelle sue rive pietrose ormai del tutto prive di ghiaccio, nelle sue sponde asciutte dove, sui cespugli di rosa canina, avvizzivano le ultime rosse bacche autunnali che il freddo invernale aveva risparmiato.



Avvisaglie... primi accenni di primavera, di quella primavera che ho tanto atteso sicuro di poterla vivere, come sempre, nella “mia” valle. Un'illusione. Un “sogno” interrotto da un brusco risveglio per un inaspettato (in verità da me non del tutto inaspettato...), drammatico accadimento... che mi ha obbligato ad una più che giusta clausura lontano dalla terra che amo. Niente al confronto di ciò che sta succedendo ad altri umani (e che potrebbe accadere pure a me) costretti a subire le conseguenze (talvolta tragiche conseguenze) dell'irruzione nel “nostro mondo” di un'altra forma di vita (un microrganismo acellulare parassita obbligato) intenta a perpetuarsi a spese proprio della nostra specie. Irruzione che ha trovato impreparato l'homo sapiens, che lo ha sorpreso lasciandolo dapprima incredulo, poi allibito e quindi a lungo, troppo a lungo, disorientato. Sembrava che l'uomo, nonostante qualche precedente (di minore entità), non riuscisse proprio a immaginare che un esserino così insignificante potesse metterlo in così grave difficoltà. Nella sua visione superbamente antropocentrica della natura non riusciva a concepire di poter essere messo così rapidamente sotto scacco da un così banale vivente, una "nullità" che intelligente e sapiente non è. Invece così è stato e così ancora è... Così ancora è, mentre confusamente ma sicuramente con più consapevolezza, con impegno ed umiltà, l'homo sapiens cerca di far fronte a questo sottovalutato evento, a questa aggressiva invasione che l'ha colto del tutto impreparato.
Nella mia clausura domiciliare penso (ho ben poco altro da fare...) e auspico. Attendo, spero... e penso. Penso che la “superiore” intelligenza umana dovrebbe farci rivedere il modo di stare sul nostro piccolo e fragile pianeta, dovrebbe farci abbandonare l'idea di poter sempre soggiogare la natura al nostro volere sfruttandone all'osso tutte le risorse, dovrebbe farci abbandonare l'idea di poter asservire facilmente e totalmente l'intero mondo dei viventi, di poter impunemente governare fenomeni ed eventi sia naturali che da noi incoscientemente provocati (penso anche al cambiamento climatico)... abbandonare l'idea che la nostra presunta superiorità ci renda immuni dai flagelli o comunque sempre in grado di affrontarli positivamente. Penso ed è mia speranza che, usciti, in chissà quali condizioni, dal questa emergenza, si possa cambiare molto nell'organizzazione della nostra umana società... Questa potrebbe essere la giusta occasione per riorientare seriamente l'economia (nell'ottica di una riacquista consapevolezza del corretto ruolo dell'homo sapiens nell'ecosistema terra), indirizzandoci verso una maggiore (per non dire totale) sostenibilità ambientale (in un quadro anche di solidarietà ed equità sociale). L'indice del benessere, a mio parere, non dovrà più essere esclusivamente associato, come accadde ora, al reddito personale, all'aumento dei consumi e del PIL ma dovrà correlarsi a tutti quei parametri che definiscono la qualità della vita dei singoli individui, delle famiglie e delle comunità in termini complessivi... sommatoria di quell'insieme di elementi (lavoro e sue condizioni, tempo libero, servizi, salute, istruzione, sicurezza, trasporti, aspettativa di vita, qualità dell'aria, del cibo... e chi più ne ha più ne metta) che rendono la vita umana più (felicemente) vivibile.



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Nel sole di metà febbraio...

...sull'ultima neve tra Mezzana e Pellizzano



Bella passeggiata sul fondovalle, tra i paesi di Mezzana e di Pellizzano, in un luminoso pomeriggio di metà febbraio. Ho girovagato parecchio, senza una meta precisa, calcando con i miei scarponcini più leggeri sia l'asfalto (e il ghiaccio) della pista ciclopedonale che la neve che ancora copriva la gran parte dei prati falciabili sulla sponda sinistra del fiume Noce. Neve molliccia perché intiepidita durante l'intera giornata dai raggi di un sole ormai alto... neve che iniziava a squagliarsi al contrario della neve più compatta, ancora gelata, del versante opposto, il versante ombroso della valle dove passa la ciclabile e che, dagli anni 60-70 del secolo scorso, accoglie, in quota, il “luna park” dello sci da discesa.
Presumevo che quella neve, tutta, fradicia o gelata che fosse, sarebbe comunque stata l'ultima che avrei calpestato... Mi sbagliavo. Evidentemente non avevo fatto i conti con il cambiamento climatico, con un clima reso imprevedibile dal riscaldamento globale, con un clima che, dopo le abbondantissime precipitazioni nevose d'inizio novembre, precipitazioni del tutto fuori stagione, non aveva più elargito altre consistenti nevicate durante tutti mesi successivi... Non avevo considerato l'imprevedibilità di un "clima impazzito" che, dopo il lunghissimo periodo invernale asciutto, ha inaspettatamente atteso i primi giorni di marzo, per ”donare” nuovamente la neve, molta neve, neve ancora fuori stagione, neve alle porte della primavera.



Ma torniamo alla mia passeggiata... Rieccomi sulla ciclabile di fondovalle dove non sono il solo "viandante" che si sta godendo il sole di febbraio... Incontro infatti parecchie altre persone che si limitano a camminare accontentandosi di apprezzare il bel panorama innevato sull'alta valle, rinunciando, magari solo per un giorno, al saliscendi dei “consumistici” impianti di risalita e delle piste ritagliate nel bosco, che tanti squilibri hanno arrecato e arrecano al nostro ambiente montano.



Raggiunto e superato il pont dele caure (ponte delle capre), a metà strada tra Mezzana e Pellizzano, inizio ad “esplorare” l'ampio pendio prativo che si distende in leggera pendenza ai piedi del versante solatio della valle. Avanzo al margine del fiume, lungo le sue sponde, dove in una stretta fascia di suolo sottratto al prato, vegetano numerose piante selvatiche di latifoglie arboree ed arbustive le cui forme legnose, nude, scheletriche e contorte non possono non attirarmi...



Un gruppo di quelle ombrose piante immerso nella luminosità dell'ultima neve merita una interruzione del mio girovagare, o meglio, mi obbliga, quasi, ad una breve sosta nei suoi pressi. Si tratta di tronchi scuri e di grossi polloni avvolti nel balenio dei loro rametti spogli e nel luccichio delle acque del Noce che, ai loro piedi, scorrono calme verso valle. Un bel controluce ma difficile da immortalare fotograficamente... 



Poco più avanti, vale nuovamente la pena di soffermarsi in riva alla magra corrente invernale del Noce. Le acque qui scorrono più veloci, quasi impetuose, in un alveo più ripido e più stretto ma ben racchiuso tra alti argini naturali sempre coperti da una selvatica vegetazione.



La vegetazione che in inverno racchiude il fiume lungo questo tratto del suo percorso è solo cespugliosa ed arborea. E' una vegetazione fatta di tronchi e di ramaglie nude, spoglie, prive di foglie... Non potrebbe essere altrimenti... siamo solo a febbraio e la primavera, a questa altitudine, è ancora molto lontana. Tra qualche mese tutto sarà diverso, tutto sarà verde, tutto sarà vivacemente verde. Alte erbe rivestiranno gli argini del fiume, nascondendo il piede degli alberi mentre, qua e là, piante rampicanti ne avvolgeranno le chiome finalmente lussureggianti.



Proseguo, sempre sulla neve, distanziandomi, a poco a poco, dalle sponde del fiume, orlate, in questo tratto, da alte piante arbustive di salice. Il vivido aspetto dei loro tronchi e dei rami principali, interamente coperti di coloratissimi licheni mi sorprende.... mai, prima d'ora, avevo visto un simile sfoggio di chiazze così intensamente gialle e così densamente compatte sulle cortecce di queste, come di altre specie di piante...



Mi sto allontanando sempre più dal corso d'acqua. Risalgo i prati e osservo il panorama che si apre sia verso valle che, più ampio e attraente, verso monte, verso l'Alta Valle, verso Pellizzano, verso la conca di Ossana e l'antico borgo di Terminago che occhieggia dai ripidi pendii del versante solatif (solatio) della valle.



Seguo da lontano, dall'alto del pendio innevato, la corrente del Noce fermandomi, di tanto in tanto a cogliere e immortalare qualche scorcio reso interessante dalla luce radente del sole che inizia a calare. La neve che si sta squagliando rivela i contorti percorsi delle arvicole tracciati sotto la neve compatta durante i mesi scorsi. Sono disegni astratti, una vista non particolarmente rara ma comunque sempre curiosa e interessante, testimonianza di come la vita prosegua anche sotto il gelido manto invernale.




Il sole è sempre più basso, le ombre si fanno sempre più lunghe e più estese. E' ora di rientrare. Lentamente inizio a dirigermi verso il “Ponte delle capre”, ritorno indietro cambiando in parte il percorso dell'andata.



I raggi radenti del sole ormai vicino al tramonto filtrano tra la chiome degli abeti e dei larici. Sfiorando delicatamente i prati distendono nastri dorati sia sul manto nevoso sia sul terreno scoperto. Le zone non baciate dalla luce, si coprono di ombre, impenetrabili sulla terra nuda e azzurrognole sulle chiazze di neve sopravvissute ai tepori di metà febbraio.



Il sole sta per tramontare quando arrivo al pont dele caure... Lo attraverso scavalcando le acque ancora luccicanti del Noce e mi ritrovo ai piedi del versante gelido della valle, sulla sponda destra del Noce ormai deserta e totalmente in ombra.



Quando, raggiunta la pista ciclopedonale, inizio a dirigermi verso Mezzana il sole ha ormai completamente abbandonato il fondovalle. La calda atmosfera che mi ha accompagnato durante la mia lunga passeggiata si è dissolta. Ora il sole illumina solo il versante fortunato della valle dove si trovano arroccati antichi villaggi un tempo densamente abitati e ora, con il sopraggiungere della modernità, quasi del tutto abbandonati. Per il resto solo estensioni ombrose, in buona parte ancora coperte da un manto nevoso già velato d'azzurro, l'azzurro scuro che annuncia il crepuscolo. Un panorama bello ma decisamente glaciale... un ambiente ancora decisamente invernale che, dopo la luminosità, il sole e il tepore primaverili del primo pomeriggio, rischia di gelare, oltre alle mani e al viso, anche l'anima.


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