Il Passo del Tonale e la sua torbiera


Un'isola di natura protetta in un contesto fin troppo antropizzato


Tutti conoscono le drammatiche vicende della prima guerra mondiale che cento anni fa ebbe tra le sue cruente arene anche il Passo del Tonale e i monti che lo attorniano. Così come moltissimi sono al corrente che per secoli e secoli i viandanti che attraversavano il Passo potevano trovare accoglienza e rifugio per la notte in un antico ospizio che ancora esiste ma ben camuffato in un elegante hotel alla moda. E sicuramente molti hanno anche sentito raccontare dei sabba, degli incontri tra streghe e stregoni che al buio, sui prati del Tonale, si davano a sfrenate orge con il diavolo, scatenando sulla valle temporali e tempeste. Nessuno sarebbe mai transitato sul Passo nel tardo pomeriggio e men che meno di notte. Sono leggende di matrice ancestrale e folclorica... ma resta il fatto che tra il 1400 e il 1600, molte donne, accusate di stregoneria, subirono processi e torture che spesso si conclusero con il supplizio purificante del rogo.




Ma veniamo ai giorni nostri... Oggi il Passo del Tonale è il regno dello sci ai piedi, è una delle stazioni turistiche invernali più note e frequentate dell'arco alpino... è una conosciutissima ma antropizzatissima e ambientalmente oltremodo deturpata località per vacanze e di fine settimana all'insegna del luna park dello sci. E così anche nella nostra modernissima epoca il bel Passo del Tonale continua ad avere, come in passato, le sue tribolazioni... pur possedendo, inaspettatamente, anche un'isola di benessere e di tranquillità complessivamente intatta, un prezioso gioiello...



Chi di voi sa che al Tonale oltre agli alberghi, ai negozi ai ristoranti e bar, alle torri, alle piste da sci, agli infiniti impianti di risalita, al caos di un turismo troppo invadente... si trova anche un silenzioso e prezioso biotopo protetto? Non ditemi che non lo sapevate... E' una piccola porzione dell'ambiente fisico del Passo, un luogo di particolare interesse naturalistico dove prospera una biocenosi, una comunità di organismi vegetali ed animali che fanno parte di un ecosistema di notevole pregio, un ecosistema che, in altri ormai lontani e più fortunati tempi, si è deciso di salvaguardare dall'invadenza dell'uomo.


E' una torbiera che si estende su due aree, una a monte (in parte occupata da altiporto e altre struttura e quindi distrutta) e una a valle dell'ultimo tratto di strada statale che sale al passo. Fa parte delle Oasi naturali protette istituite in Trentino con L.P. n. 14 del 23-06-1986 e della Rete Natura 2000, nome con cui l'Unione Europea designa un sistema di aree destinato alla tutela di habitat e di specie animali e vegetali ritenute meritevoli di protezione. La località è ricca di micro-situazioni ambientali. Vi si trovano zone molto asciutte, laghetti in miniatura (crateri creati probabilmente dall'esplosione di bombe durante la prima guerra), acque correnti più o meno veloci e acque tranquille...


Alla diversità di situazioni ambientali corrisponde una grande varietà di associazioni e di specie vegetali molto diffuse nelle regioni artiche ma rare sulle Alpi. Sono dei “relitti glaciali”, piante che colonizzarono il territorio migrando a sud durante le glaciazioni e che successivamente si estinsero, con l'aumentare della temperatura, tranne che in piccole aree dal clima rigido come quella in questione. L'origine della torbiera va ricercata nella grande quantità di acqua di risorgiva che ha occupato la zona permettendo lo sviluppo della vegetazione palustre che nel tempo ha formato il deposito di torba sul quale si estende il biotopo.




E' insomma un'area di grande valore ambientale che ho visitato, nella sua parte bassa, in una serena mattinata di ottobre inoltrato. Non era certamente quello il periodo più adatto per inoltrarsi lungo il sentierino che permette di ispezionare il biotopo. Sentierino che ho imboccato in prossimità del depuratore e che sale in leggera pendenza fino alle “maestose” torri bianche che da più di quarantanni (se ben ricordo) “ingentiliscono” il Passo.

L'autunno non è la stagione migliore per osservare gli animali e i vegetali che popolano la zona. Impossibile incontrare la biscia del collare ormai in ibernazione o le libellule, il rospo, la Rana temporaria, il tritone alpestre e il ditisco nei laghetti congelati... e nemmeno le specie di piante rare che vegetano nel biotopo, come le carnivore Drosera rutundifolia e Piguicola alpina o la grande varietà di stupende orchidee... Ma avrò altre occasioni durante la prossima bella stagione... Nella radente luce di ottobre mi sono dovuto accontentare, si fa per dire, del coinvolgente aspetto autunnale del biotopo, aspetto che richiamava alla memoria la tundra artica che avevo visto in qualche documentario televisivo.


Verso la fine del percorso ho raggiunto un fabbricato simil-rustico adibito a punto informativo che vista al stagione era chiuso e non ho quindi potuto visitare. In quest'ultima zona il percorso era costellato da piccole tabelle ben conficcate nel terreno (metalliche, bianche, alquanto squallide) che riportavano edificanti aforismi e poetici versi di vari autori richiamando alla contemplazione e alla salvaguardia della natura. Tra questi anche il Cantico delle creature di San Franceso al quale il Papa si è ispirato per intitolare la sua enciclica ambientalista “Laudato sii”, testo che tutti, credenti e non, farebbero bene a leggere e meditare...






Le belle scritte che via via leggevo mi apparivano sempre più provocatorie ma insieme anche contraddittorie considerando il degrado ambientale che imperava, nei pressi del biotopo... “Qui “chi di dovere” applica due pesi e due misure”... mi venne da pensare...




Non potendo osservare le piccole cose, la flora e la fauna che caratterizzavano il luogo, alzavo continuamente lo sguardo verso il Passo e mi deprimevo sempre più. Sul confine occidentale svettavano i grattacieli che davano un buon apporto all'accozzaglia architettonica e urbanistica del Passo. Più a monte tralicci e funi in grande quantità invadevano i versanti delle cime Bleis e Cadì e non mancavano certamente sui pendii della Valbiolo fin quasi al passo dei Contrabbandieri.





Grandi toppe di pascolo artificialmente seminato costellavano la montagna. Erano le piste, che ben ripulite, spianate, lisciate e rinverdite, apparivano in netto contrasto cromatico con la rimanente, originaria cotica erbosa. Poi, qua e là apparivano isole e strisce di terra nuda, frutto degli scavi effettuati per la posa delle tubazioni degli impianti di innevamento “programmato” e chissà che altro...

Riflettevo mettendomi nei panni di un fantomatico escursionista in difficoltà: “Povero, escursionista... ignaro della normativa che regola la protezione della flora in Trentino, hai ingenuamente raccolto un “mazzolin di fiori” nei prati del Tonale e ora potresti incorrere in severe sanzioni. Hai sbagliato, per te non ci sono giustificazioni... e non permetterti di contestare la giusta punizione a chi di dovere. Non mostrargli, a tua difesa, lo sfacelo ambientale, la distruzione della vegetazione originaria che vi circondano... Quegli scavi, quei rattoppi, quella distruzione... è stata portata a termine legalmente con l'avvallo degli organi istituzionali, dopo severa valutazione del suo impatto ambientale... e solo per superiore e generale interesse”




Incongruenze di una politica di protezione ambientale che appare contraddittoria ma che, in realtà, durante gli ultimi anni, è stata sostanzialmente annullata... tanto da sembrare “pilotata” da chi ha interessi ben diversi... E purtroppo le conseguenze dell'attuale deleteria gestione del territorio turistico non si limitano al degrado ambientale, a mio parere le conseguenze, già pesanti, potrebbero ampliarsi ulteriormente con possibili implicazioni economiche e sociali.



L'aumento costante e irreversibile delle temperature dovrebbe convincere, chi ci governa, a ripensare la montagna come sede di un turismo stagionale nuovo, maggiormente diversificato e quindi più resistente alle modificazioni indotte dal cambiamento climatico. Se è comprensibile, ma certamente non giustificabile, che impiantisti e affini guardino solo all'immediato come fonte di rapido guadagno... questo non è accettabile per chi dovrebbe guidare la società, scegliere in quale direzione farla viaggiare per il benessere di tutti, un benessere che duri nel tempo.


Chi è interessato solo all'incasso immediato affronta le conseguenze del cambiamento climatico di giorno in giorno disinteressandosi del futuro. Fabbrica la neve che viene a mancare e se l'acqua necessaria scarseggia costruisce bacini di accumulo (ne verrà realizzato uno molto capiente anche in Valbiolo) o la pompa dai torrenti, svuotandoli ... e se le giornate fredde diventano più rare amplia i bacini in modo da sfruttare al meglio le “finestre di freddo” che si fanno di anno in anno sempre più strette. Se poi il sole estivo, sempre più intenso, scioglie il bel ghiacciaio (che si può utilizzare, sciandovi sopra, anche in primavera)... beh, niente paura, usa dei bei teli bianchi per schermarlo.





Questa l'adattamento degli impiantisti al mutare del clima, le comprensibili soluzioni (evidentemente solo temporanee) escogitate da chi pensa solo al profitto guardando all'oggi o tutt'al più al giorno dopo senza preoccuparsi più di tanto né dei danni ambientali che provoca né del futuro che attende tutti e quindi pure loro.


Ciò che stupisce veramente è il constatare la scarsa lungimiranza di chi ci governa che asseconda, per non dire promuove, in tutti i modi, con provvedimenti ad hoc e sovvenzioni delle sue agenzie (agenzie di cosiddetto “sviluppo sostenibile”), le modalità di crescita del turismo invernale perpetrate dagli imprenditori della neve. A mio parere manca la percezione della gravità del problema (o non lo si vuole vedere? O magari si è condizionati dagli interessi in gioco? Non voglio nemmeno pensarlo... men che meno supporlo...) che sola potrà portare, magari gradualmente, a cambiare rotta iniziando a percorrere nuove strade per la nascita di un turismo più responsabile, più compatibile con l'ambiente di montagna e con il clima che cambia.



Perseverando a lungo con le ottuse pratiche odierne, insistendo con questa insensata e dispendiosa gestione del turismo invernale, finiremo solo, tra uno o tutt'al più due o tre decenni, per creare disoccupazione. Potremmo ritrovarci con molti disoccupati, creati dalla improvvida gestione di un comparto turistico invernale impotente davanti al riscaldamento globale, ridotti a fare i ricuperanti, nel caldo torrido, per liberare la montagna da una ferraglia ormai inutile sparsa ovunque sui monti del Tonale, quasi come alla fine della prima guerra mondiale.


Pensiamoci e pensiamo anche che non si collabora di certo a contenere l'aumento della temperatura continuando con l'attuale politica dello spreco, non si collabora consumando energia per l'innevamento artificiale a tutti i costi o limitandosi a mascherare i ghiacciai con delle pezze bianche e e nel contempo costruendo dispendiosi simil-rifugi di lusso oltre i 3000 m. Nemmeno la politica urbanistica che ancora insiste a destinare altro suolo a nuove strade e a nuove strutture ricettive (come accade al Passo al confine del biotopo protetto) appare molto saggia e utile... esistono sicuramente vie più responsabili e produttive per investire e per mantenere l'occupazione e il benessere nella nostra terra... basta crederci e lavorarci.



Ma ho poche speranze... a volte penso che solo il ritorno delle streghe e dei diavoli del tempo che fu a difesa del Tonale potrebbe impedire altri passi falsi.



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Lungo il torrente nel biancore dell'inverno

Silenzio e paesaggio in chiaroscuro lungo le sponde congelate del torrente Vermigliana


Fa freddo ma non è il freddo pungente che sarebbe normale attendersi alla fine di dicembre. Il mio lento procedere lungo la strada della Poia a monte di Fucine (verso il Fil o Spiaz dei Spini) è accompagnato dallo scricchiolio dei grumi di ghiaccio frantumati, ad ogni passo, dalla dura suola degli scarponi.





La stradina è stata sommariamente sgomberata dalla neve caduta qualche settimana fa ma una pioggia inaspettata e copiosa ha successivamente trasformato il bianco piano stradale in una traslucida poltiglia che si è ben presto solidificata in una crosta ghiacciata rendendo precario, quasi avventuroso, il calpestarla.





Si dice che siano gli effetti del riscaldamento globale con degli estremi climatici che tendono ad alternarsi con una rapidità finora sconosciuta. Caldo e freddo, neve e pioggia, sereno e nuvoloso, limpido e nebbioso... in una successione temporale davvero inconsueta.







Procedo con prudenza nella delicata, mite luce diffusa da un cielo lattiginoso, un cielo senza confini, che sembra toccare il candore del suolo: è bianco su bianco.






Il magro torrente, dalle acque scure e impenetrabili alla vista, scorre zigzagando tranquillo tra i massi innevati. Poi scompare rapido nella morsa del gelo e ricompare poco più a valle dove le acque possono procedere più lente e silenziose...




Solo di tanto in tanto le acque cantano, sottovoce, precipitando dalla soglia delle briglie che serrano l'alveo. Poi, dopo il salto imprevisto, si riposano sul fondo del baratro distendendosi in slarghi profondi e bui scosse solo dall'improvviso zigzagare di un pesce a caccia di una illusoria preda congelata.
Poi il torrente riprende svogliatamente il suo cammino, scende pacatamente a valle nel bianco che lo circonda.





Lungo gli argini il salice viminale apre le sue braccia scheletriche. Quelli che furono flessibili rami verdi, elastici polloni, ora sono contorte, scure estremità... gementi, piegate al suolo dal peso della neve o orlate di bianchi cristalli e rigidamente allungate nel vuoto, quasi a implorare il ritorno della bella stagione.





Natura congelata, terra ben protetta... dopo alcuni anni riecco finalmente la neve scesa copiosa anche alle quote medio basse.... Una neve che il freddo pungente, il caldo improvviso, la pioggia inattesa, la nebbia... trasformano continuamente, una metamorfosi infinita fino alla dissoluzione primaverile.




Oggi la neve è ammantata da uno fitto strato di cristalli ghiacciati. Non sono gli stupendi grandi e stellati cristalli che spesso adornano la sua superficie. No... sono anonimi cristalli allungati, minuscoli insiemi di barrette ghiacciate caoticamente disposte a formare uno pungente rilevo che, con le sue mille sfaccettature, riflette la smorta luce di dicembre.




E tra i cristalli acuminati, lungo il torrente, staziona il merlo acquaiolo. Si muove a piccoli passi, del tutto indifferente alle aguzze sporgenze. Si sposta rapido lungo il torrente, dove le acque si allargano placidamente in ampi e limpidi slarghi. Corre sulla neve e sulle vetrose lastre ghiacciate e gironzola sui massi che si ergono candidi dal greto.



Poi si tuffa nelle gelide acque dove scompare a lungo per riapparire poco più lontano, all'improvviso, con una piccola preda nel becco. Instancabile cacciatore il piccolo scuro Cinclidae si tuffa e si rituffa, ritorna riva, sceglie una nuova ansa, si tuffa nuovamente, si dilegua nuotando e camminando contro corrente sul fondo del torrente, cattura una larva di tricottero racchiusa nel suo guscio di sabbia o, più raramente, un piccolo avannotto, riemerge... pronto ad inabissarsi nuovamente...






Ma ecco che per un attimo si distrae e scorta la presenza estranea, la mia presenza, prende il volo. Con uno slancio fulmineo, radendo la glaciale superficie delle acque, si porta in pochi istanti più a monte alla ricerca di un nuovo indisturbato territorio di caccia.





L'aria che si respira profuma di freddo, di neve e di ghiaccio. Il merlo acquaiolo è ormai scomparso, ha risalito il torrente che si perde lontano, sconfina nel bosco. E' ora di rientrare. Ripercorro la stradina ghiacciata, a ritroso, con grande cautela.



Il cielo è ancora nebbioso, opaco. La luce è spenta, la vista è in bianco e nero... Dal compatto tappeto candido si innalzano cupe colonne, sono i massicci tronchi degli abeti e dei larici del bosco che a tratti delimita il torrente. Qua e là, nell'immenso biancore, si ergono anche le sottili, brune verghe ramificate dei cespugli dormienti e sulle erte pareti rocciose orlate di neve pendono piccole stalattiti di ghiaccio. Sto attraversando un ambiente certamente suggestivo, un paesaggio in chiaroscuro malinconicamente coinvolgente ma non posso trattenermi oltre... e riprendo il cammino.



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Autunno ai "Masi da Mont" di Deggiano


Passeggiata pomeridiana sui prati sottratti al bosco.


Una delle più interessanti zone della media valle e quella dei “Masi da Mont”. La si raggiunge partendo da Deggiano, minuscola frazione del comune di Commezzadura, un paesino solatio caratterizzato da alcuni rustici fabbricati dalle imponenti strutture lignee e da una piccola ma bella chiesetta dedicata alla Ss.ma Trinità.





La strada che porta ai “Masi da Mont” si diparte nelle vicinanze di una grande fontana nella zona alta dell'abitato. La stretta stradina sterrata (è consigliabile percorrerla a piedi e comunque solo con auto 4X4) sale, inizialmente ripidissima, in mezzo ai coltivi per poi inoltrarsi nel bosco misto di conifere e latifoglie. Nel suo ultimo tratto spiana alquanto raggiungendo i prati di montagna, dove le ripide pendici del versante a mezzogiorno della valle si aprono in slarghi di pendenza più dolce.




Ed è qui che attorno ad una rustica fontana in pietra si eleva il nucleo degli antichi “Masi da Mont”. Sono questi dei pittoreschi, rustici masi, che dominano la località con le loro spesso possenti architetture lignee, tipicamente montane. Alcuni sono ben conservati, altri cadenti. Un tempo vi si ammassava il fieno tagliato nei prati vicini ma raccolto anche in quelli molto, ma molto più lontani... i prati che si trovano al di sopra del limite della vegetazione arborea.


In passato attorno ai masi si aprivano gli spazi più fertili e facilmente coltivabili ma l'intero versante veniva sfruttato, anche nelle zone più pendenti, tutte terrazzate, scolpite dai muretti a secco che sostenevano minuscoli campi a patate, segale, grano, orzo... Il bosco occupava solamente le aree più ripide e rocciose, incoltivabili, e veniva comunque sfruttato riducendolo sostanzialmente ad un pascolo ben alberato.. L'intero territorio montano era quindi intensamente utilizzato... prati, campi, pascoli fino a raggiungere le rocce e le praterie d'altura che pure venivano falciate almeno una volta l'anno... la montagna, ora quasi totalmente lasciata a se stessa, un tempo, non molto lontano, veniva spremuta fino all'osso...


Oggi le coltivazioni si estendono solo su poche comode superfici facilmente lavorabili, tutto il resto è stato abbandonato e così il bosco ha avuto il sopravvento e ha riconquistato i terreni che l'uomo con immense, secolari fatiche gli aveva strappato. I ripidi pascoli del tempo passato, solo leggermente ombreggiati dai larici, si sono fittamente rimboschiti trasformandosi in dense abetaie. Alberi di latifoglie, ormai maturi, sono cresciuti nei terreni abbandonati da tempo, erbacce, rovi e cespugli hanno invaso i prati e i campi dismessi da poco e questo in tutta la valle, non solo a monte di Deggiano...



I fianchi soleggiati della Val di Sole hanno cambiato rapidamente il loro volto. Quasi un ritorno alle origini, un ritorno all'aspetto selvaggio che le pendici della valle dovevano avere dopo l'ultima glaciazione allora presumibilmente coperti interamente dalle selve. Un cambiamento inarrestabile ma non sempre negativo per i benefici effetti che, in futuro, un bosco ben in equilibrio con l'ambiente potrebbe avere sulla protezione del suolo, la regimazione delle acque e sulla riduzione dell’effetto serra attraverso l'assorbimento di anidride carbonica da parte delle essenze forestali.





Ma il mutamento in atto con la semplificazione del paesaggio e la scomparsa di ambienti antichi e ben curati è comunque una perdita e comporta inevitabilmente anche un certo sentimentale rimpianto per un rustico e solidale, anche se misero e faticoso, modo di vivere, di interpretare l'esistenza.


Un mutamento ambientale, per certi aspetti un ritorno alle origini, che va talvolta limitato ma soprattutto, per quanto possibile, controllato e guidato... ed è quello che il “Servizio foreste e fauna” della Provincia ha iniziato a fare con i suoi “cantieri” in alcune zone della valle e tra queste anche la nostra zona, la zona dei “Masi da Mont”. Sono cantieri di lavoro, quelli del Servizio Forestale, descritti come “Interventi di conservazione, sistemazione e ripristino del paesaggio rurale” che sostanzialmente prevedono, dopo i necessari accordi con i proprietari, il recupero agricolo dei fondi che si sono naturalmente trasformati in bosco.


Nella nostra località, ai “Masi da Mont” i lavori sono da tempo terminati... le piante e i cespugli sono stati abbattuti e il terreno è stato sistemato, livellato e inerbito rendendolo agibile ai moderni macchinari agricoli. Ora in autunno, a fine ottobre, percorrendo con il mio amico e la sua famiglia i verdi dintorni dei “Masi da Mont” si possono apprezzare i risultati dell'intervento di riqualificazione concluso da qualche mese. Nell'ampia zona sottratta al bosco, ai cespugli e ai rovi, è ben attecchita una nuova cotica erbosa di essenze erbacee montane ben selezionate e l'ampia radura a prato che circonda i masi è già stata tosata, ben falciata per ricavarne del buon foraggio.



Ma soprattutto l'intera zona ha ora un aspetto diverso, molto più aperto e attraente, rispetto a quello che osservai durante la mia lunga passeggiata di due anni fa, un aspetto che dovrebbe avvicinarsi a quello del tempo che fu... Due anni fa il bosco fitto impediva la visuale che ora può liberamente spaziare dal fondovalle alle cime del gruppo dolomitico del Brenta e del gruppo granitico della Presanella. Il panorama che osserviamo è aperto, ampio, incantevole nella sua calda veste autunnale.





Ma inevitabilmente ci chiediamo se ci sarà sempre qualcuno disposto a sfalciare il nuovo vasto prato impedendo la ricrescita del bosco sui terreni appena recuperati al “paesaggio rurale”. Si troverà anche in futuro qualcuno disponibile a lavorare su questi terreni così lontani dal centro abitato? Difficile fare previsioni a lungo termine... per il momento accontentiamoci del bel risultato conseguito.



Un risultato costoso ma certamente positivo come purtroppo, a mio parere, forse non necessariamente lo è in altre zone della valle in cui ultimamente si è intervenuti ripristinando l'antico paesaggio rurale... Mi riferisco in particolare alle perplessità che ha suscitato in molti residenti e turisti il disboscamento della località Bacheta (detta anche "del Sant") nel Comune di Ossana... ma sull'argomento ho già brevemente scritto in altri due miei precedenti post: "Castel San Michele al levar del Sole" e "Plenilunio sul Castello di San Michele a Ossana".




Non è infatti detto che la restituzione di terreni, che si sono naturalmente rimboschiti, alla loro passata destinazione, cioè a prato, a seminativo o a pascolo, migliori in ogni caso la loro valenza, ambientale ma soprattutto paesaggistica. Molto dipende dalla situazione locale e quindi a mio parere è determinante scegliere con oculatezza le zone da “trattare”. Inoltre oggi di “rurale” in valle ne resta ben poco e prima di ripristinare il paesaggio rurale (con costi non indifferenti) bisognerà essere certi di poterlo convenientemente “utilizzare come rurale”, come rurale privato per molti ma molti anni... anche per non far ricadere l'impegno economico del suo mantenimento sull'intera collettività.



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...ed è subito sera


Solitaria camminata serale lungo la stradina della Pendege tra Fucine e Cortina di Vermiglio.


Pomeriggio autunnale. Il sole, ormai prossimo al tramonto, rallegra i versanti della valle rivolti a mezzogiorno ma le ombre della sera incipiente iniziano ad allungarsi sui prati pianeggianti del fondovalle e velano ormai da parecchio tempo le boscose pendici meno fortunate che guardano a settentrione. Siamo all'inizio di novembre ma la temperatura ancora mite e il cielo sereno mi invitano a chiudere la giornata con un'ultima breve passeggiata.




Mi metto in cammino sulla stradinadelle Pendege che sale da Fucine a Vermiglio tagliando il piede del Monte Boai e scorrendo poco sopra la statale del Passo Tonale. Procedo svelto. Ansimando supero rapidamente gli iniziali tornanti e mi inoltro nel bosco che copre per un lungo tratto il ripido pendio. Voglio raggiungere al più presto il versante meno pendente della montagna, la zona terrazzata, libera dagli alberi d'alto fusto che un tempo fu intensamente coltivata e ora è solo occasionalmente meta di minuscoli greggi di pecore al pascolo.



Quando sbucherò dal fitto del bosco la vista si aprirà sui monti del Tonale, dove la valle si estingue ed il sole tramonta... ed è lì che intendo arrivare al più presto per cogliere gli ultimi raggi del sole, cogliere il suo calare, l'attimo della sua scomparsa. Ma purtroppo la mia corsa si rivelerà inutile, troppo tardiva. Lasciando gli alberi alle mie spalle, riesco solo ad intravede, per pochi istanti, tra i cespugli e le stoppie secche, il brillare dell'ultimo sole poi più nulla... poi l'ombra copre rapidamente non solo il fondovalle ma anche la stradina che sto percorrendo.




Proseguo comunque. Ora posso camminare lentamente nella quiete del tardo pomeriggio, nel silenzio che pian piano avvolge la montagna. E' tardi e il boscaiolo ha ormai deposto l'accetta e spento la motosega, il cacciatore sta rientrando con il fucile in spalla, il contadino si è da tempo allontanato con il suo scoppiettante trattore... gli uccelli si tacciono e dai paesi giunge solo il rintocco ovattato delle campane che segnano il trascorrere delle ore.




Non c'è anima viva. Sono solo sullastradina che ora, ormai fuori del bosco, vedo allungarsi serpeggiante lungo l'erto versante. Versante oscuro, inciso da minuscoli sentieri e da antichi muretti a secco, tappezzato qua e là dai cespugli infestanti che sottolineano il totale abbandono dei campetti terrazzati. Sullo sfondo la luce giallastra di un sole ormai scomparso rischiara il cielo sopra l'ampia incisione del passo del Tonale. Cielo ancora luminoso... dorato... ma ancora per poco...






E ancora per poco i raggi del sole sfioreranno le vette più elevate pennellandole di colori caldi e brillanti. Ancora per poco, poi rapidamente scenderà la sera a spegnere definitivamente il giorno.







Già si respira un'aria più fresca, l'aria mossa che precede il crepuscolo e la pace della notte. La tinta del cielo muta di minuto in minuto, virando dal giallastro all'aranciato, dal rosato al violaceo, al plumbeo bluastro...





Una solitaria panchina domina dall'alto un fondovalle totalmente immerso nelle ombre della sera. L'atmosfera si fa sempre più cupa e anche lassù, verso il passo, il cielo perde velocemente le luminose tonalità del tramonto e si fa più spento, più grigio... è il crepuscolo che avanza a passi sempre più lunghi.


Nei pressi della panchina, immerso nel silenzio e nella semioscurità della notte incipiente, esploro e considero l'inusuale e affascinante ambiente che mi circonda che per qualche attimo mi sento di abbracciare, di possedere per intero... Per qualche istante mi sento d'essere l'unico, solitario intestatario di tutto ciò che osservo... che domino dall'alto. Mi sento al centro del mondo, al centro del mondo... in totale solitudine.
Solo e al centro del mondo? Ma che tristezza... Ma che tristezza la solitudine, che pena la panchina vuota, il silenzio, la mancanza di condivisione, l'assenza di comunicazione... Spira un brutto venticello, un vento che porta tanta negatività...





Poi, laggiù, nei paesi del fondovalle si accendono le prime luci. Sono dei minuscoli puntini che brillano nella notte e che d'incanto mi riconducono alla realtà rammentandomi che “non sono solo al mondo”. Sono lontano, perso nel buio, ma non sono solo... laggiù nella valle c'è vita, c'è la vita che continua... c'è accoglienza e c'è ancora speranza.


Poi c'è la luna, la luna che accompagna e soprattutto illumina il mio cammino, il mio ritorno...
Scendo a valle, ripercorrendo a ritroso non solo la stradina ma anche il vissuto, le sensazioni e le emozioni di questa serata. Sono tranquillo e sereno ma non posso comunque non pensare... non riconsiderare come “il poeta”, nei suoi ermetici versi, palesa, pessimisticamente, la condizione esistenziale di ogni essere umano:

          Ognuno sta solo sul cuor della terra
          trafitto da un raggio di sole:
          ed è subito sera.




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