Il volo dell'ape


L'ape è diventata un soggetto politico, un simbolo di resistenza e di affrancamento dalle prevaricazioni. Rispettare le api vuol dunque dire rispettare l'ambiente, quindi tutti gli insetti e le altre forme di vita animali e vegetali.



Non è sicuramente mia intenzione tediare l'eventuale lettore con un trattato sul favoloso mondo delle api. Non dirò nulla, anche perché tutto sommato ben poco conosco, sul come è organizzata la vita dell'alveare, sul ruolo della regina e dei fuchi, sui diversi compiti che le operaie svolgono in successione in funzione dell'età trasformandosi da pulitrici a nutrici, da costruttrici a magazziniere, da guardiane dell'alveare a bottinatrici... Tutti comunque sappiamo che quella delle api è una società complessa e organizzatissima, dove l'individuo non conta come tale perché il singolo individuo esiste, vive e opera esclusivamente in funzione della sopravvivenza e del benessere della comunità.

A questo proposito Mario Rigoni Stern scrive: << Le api sono “insieme” e non individui. Fuori dalla comunità non possono vivere.>> Ma lo scrittore di Asiago dipinge la complessa vita dell'alveare anche in altro modo, usando pennellate descrittive molto più suggestive: << Alla sera centinaia di api stanche e accaldate sostavano a prendere il fresco sul predellino dell'arnia, proprio come i contadini che al tempo della mietitura o della fienagione sostano sull'aia... dall'interno veniva in brusio continuo e intenso che dava l'impressione di un grande lavoro di sistemazione dei prodotti raccolti durante la lunga giornata di sole; e di pulitura, fabbricazione di cera e di propoli, rielaborazione di polline e di nettare... e tutto questo mentre la regina provvedeva continuamente a deporre le uova... Tutto appariva regolare e ritmato come fosse governato da un perfetto congegno meccanico.>>




Un quadretto bucolico quello di Mario Rigoni Stern, un quadretto di una società organizzatissima e laboriosissima, dove tutto tende esclusivamente alla conservazione della specie, al suo perpetuarsi, senza tentennamenti nemmeno di fronte alla tragica e atroce (nell'ottica di noi umani) sorte che le operaie riservano ai fuchi, i maschi dell'insieme, dopo l'operazione di fecondazione della regina.





<<L'ape non è un animale domestico e neppure selvatico, ma qualcosa di intermedio, una creatura capace di contrarre rapporti con l'uomo senza perdere la propria libertà; o comunque restando sempre in condizioni di riprendersela.>> Così scrisse Plinio in Historia naturalis.



Tutto vero ma resta il fatto che ultimamente per causa dell'uomo e delle sue attività gli alveari si stanno spopolando... L'uomo... ... ... sempre lui...  L'uso dei pesticidi, ma anche l'inquinamento, la cementificazione del territorio, il disboscamento, e forse anche la diffusione abnorme di onde elettromagnetiche si aggiungono ai cambiamenti climatici (e anche qui, probabilmente, l'uomo ha delle responsabilità), ai patogeni e ai parassiti naturali primo tra tutti l'acaro Varroa destructor come causa della moria sempre più accentuata delle api.




E ben si sa che le api sono il principale responsabile dell'impollinazione delle piante di quella frutta e verdura di cui l'uomo si nutre. Senza di loro la riproduzione delle piante sarebbe molto più complicata. Qualcuno attribuisce, probabilmente in modo erroneo, ad Albert Einstein la frase: << Se le api scomparissero dalla terra, all'uomo non resterebbero che 4 anni di vita>>.




Frase famosa, che segnala con enfasi il problema del declino delle api nel mondo. Se malauguratamente le api si estinguessero probabilmente molte delle piante che coltiviamo sopravviverebbero comunque ma in diversi casi avrebbero difficoltà a fornirci produzioni adeguate. Senza considerare le numerose specie vegetali che rischierebbero in ogni caso la totale scomparsa.



Che fare? Sono molti i provvedimenti che si stanno prendendo nei diversi paesi del mondo per limitare cause e concause del declino e moria delle popolazioni delle api ma forse questi provvedimenti sono insufficienti di fronte alla gravità del problema. Fortunatamente, contrariamente a quanto accade con il riscaldamento globale, le soluzioni da adottare non richiedono necessariamente un coordinamento tra i Paesi, le soluzioni possono essere anche e semplicemente solo locali concentrandosi soprattutto sul modo di gestire agricoltura e territorio.

E in Val di Sole? Non so dire quale sia la situazione... parlo di tanto in tanto con uno dei numerosissimi apicoltori, un apicoltore dilettante mio amico, che sempre si lamenta presentandomi un quadro poco lusinghiero... ma poi chi lo sa? Gli apicoltori in Val di Sole sono molto numerosi e in costante crescita. A Croviana è stato inaugurato in un vecchio mulino restaurato, addirittura un museo dedicato all'ape il MMape. (mulino museo dell'ape) E' il primo e unico museo di questo genere in tutto il Trentino. La situazione in val di Sole non dovrebbe quindi essere tanto disastrosa... almeno nella media ed alta valle dove non esiste la frutticoltura intensiva e non si usano pesticidi ma dove, così mi si dice, non mancano i problemi e si è comunque diffuso il nemico degli alveari, l'acaro Varroa.



Inoltre anche quassù altri fattori giocano contro l'apicoltura. Anche quest'anno, ad esempio, abbiamo assistito alle pazzie di un clima in rapido cambiamento che ci ha regalato una primavera davvero curiosa: ad un periodo anticipatamente caldo con una conseguente stupenda ed abbondante fioritura degli alberi da frutto sono seguiti dei giorni particolarmente gelidi che hanno “bruciato” i fiori sulle piante e totalmente compromesso anche la fioritura della Robinia pseudoacacia alla base della produzione del delizioso miele d'acacia.



Resta comunque il fatto che le api che si vedono in volo sono ancora molto numerose ed ora, in piena estate, si osservano svolazzare sugli ultimi fiori ancora presenti nei prati e nei boschi ma anche su quei fiori che sono stati a suo tempo seminati non solo come ornamento nei centri abitati ma anche con la consapevole intenzione di fornire nettare e polline alle api nostrane, esattamente sulla falsariga di ciò che si fa in Inghilterra dove nelle campagne viene incentivata la semina di fiori selvatici.




Anche nel mio giardino volano le api, soprattutto in un angolino ben soleggiato dove il fratello ha, a suo tempo, seminato papaveri e fiordaliso e molti altri fiori più o meno selvatici. Api che in grande numero, quasi fossero un minuscolo sciame, volteggiano sull'aiuola fiorita, si incrociano, si librano nell'aria fresca del primo mattino, virano improvvisamente di qua e di là alla ricerca del fiore più ricco di nettare sul quale si posano talvolta rapide talaltra lente calando leggere quasi in verticale...



Una danza continua, un ballo collettivo, leggero e imprevedibile, sorprendente vista la grande mole corporea di ciascun esemplare rispetto alla minuscola apertura alare che lo sorregge e lo guida in incredibili acrobazie uniche ed irripetibile nell'intero mondo degli insetti volanti... Il segreto dell'incredibile volo delle api sta nell'alta frequenza del battito d'ali e soprattutto nella loro rotazione in tondo che crea un piccolo vortice, un'area di bassa pressione sul bordo anteriore dell'ala che consente alle api di sollevarsi e tenersi in aria così a lungo volando di fiore in fiore.




Ma non solo voli per la raccolta di nettare e polline... si sa che le api con un loro particolarissimo volo, riescono a comunicare con le compagne annunciando di aver trovato una nuova sorgente di cibo da sfruttare rapidamente. Si parlano attraverso le cosiddette danze circolari e le danze scodinzolanti che con diverse modalità indicano al gruppo la posizione dei fiori appena individuati, la loro distanza e la direzione da seguire per raggiungerli.






Un fantastico, raffinato modo di esprimersi attraverso il volo che ancora una volta non può che sorprendere come del resto sorprendono tutti gli altri aspetti della perfetta organizzazione sociale del popolo delle api.




E ora domandatevi in cuor vostro: “ come distingueremo ciò che è buono da ciò che è male nel piacere?” Andate nei campi e nei vostri giardini e vedrete che il piacere dell'ape è raccogliere miele dal fiore. Ma è anche piacere del fiore concedere all'ape il suo miele. Perché un fiore per l'ape è la fonte di vita. E un'ape per il fiore è un messaggero d'Amore. E per entrambi, per l'ape e per il fiore, darsi e ricevere piacere è insieme ebbrezza e bisogno.
Hhalil Gibran

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Val Montozzo: terra di nessuno


Appena ieri...

Erano molti anni che non salivo in Val Montozzo, trent'anni, forse qualcuno in più o forse qualcuno in meno. Delle escursioni di allora in val Montozzo e nei suoi dintorni ho in mente solo alcune sfocate immagini destinate a poco a poco a sfumare come molte altre nel groviglio dei molti sempre più confusi ricordi... Mi sforzo di “metterele a fuoco”...
...e rivedo abbastanza distintamente la pernice bianca che, al riparo di una minuscola sporgenza rocciosa, protegge e riscalda i piccoli mentre l'aquila volteggia nel cielo comparendo e scomparendo dietro la crestina che si innalza scoscesa in direzione del Redival.



Mi trovo sul crinale che divide la piccola e selvaggia Val Comiciolo dalla più ampia Val Montozzo, crinale che, ben fortificato, era occupato durante la grande guerra dagli austroungarici. Sono giunto quassù con il fratello e un amico dopo un lungo percorso che dal Fontanino di Pejo mi ha condotto al Lago del Palù, in Val Pudria e quindi in Val Comiciolo ed il nostro cammino non si conclude certamente qui. Infatti, in compagnia, “rotolo” a valle, come una estiva valanga, lungo il verde ripido pendio tra gialle macchie di arnica e di anemoni ancora in fiore. Ricordo il balzo oltre i residui di reticolato a difesa dell'avamposto ed i piccoli cumuli di bombe inesplose (accatastati e pronti per essere asportati chissà da chi). Ricordo infine il guado dell'impetuoso torrente della Val Montozzo a piedi scalzi per raggiungere il sentiero sulla sponda opposta...



Sono immagine che mi ritornano alla mente, sono dei flashbacks difficilmente collocabili con precisione nel tempo ma sono anche brevi spezzoni in technicolor che “girano” sfumando rapidamente nelle foschie della mia ormai quasi senile memoria.



Reminiscenze di escursioni che mi portarono per esempio, in una imprecisabile occasione, a scoprire i tre stupendi laghetti in fondo alla valle, all'altezza della Forcella di Montozzo, ma più su, ai piedi del Torrione d'Albiolo. Li individuai in un nebbioso inizio d'estate che rendeva magico ma anche alquanto inquietante il paesaggio di quel luogo ancora parzialmente innevato, luogo fino ad allora sconosciuto... O come la faticosa e pericolosa arrampicata lungo la ripida crestina rocciosa che separa la Val Comiciolo dalla Val Montozzo salendo verso la Bocchetta di Strino e la cima del Redival, quando mi apparve per un solo istante un cucciolo di stambecco, mai visto prima... solo il tempo di “salvarlo”, di fissarlo nella memoria, da dove ora riemerge distintamente...




Sono questi, come dicevo, i singoli fotogrammi o i brevi spezzoni ancora a fuoco del lungo filmato delle mie escursioni, filmato che tende ormai a scolorire e lentamente a svanire nella nebbia degli anni.

Oggi...

Per ravvivare i miei sempre più spenti ricordi ho deciso di ritornare lassù. Ho deciso di calpestare ancora una volta, dopo tanto tempo e con tutti i limiti della mia non più verde età, i luoghi teatro di molte delle mie imprese giovanili. Ho deciso di rincontrare quei luoghi che tanto in passato ho frequentato ed amato.
Salgo quindi, con l'amico di sempre, scegliendo il sentiero più comodo (come dicevo sono passati i tempi delle corse avventurose per vie sconosciute) ma inevitabilmente più lungo che si stacca dalla stradina che costeggia la sponda destra del Lago di Pian Palù poco prima di raggiungere l'omonima malga e le acque del Noce che si riversano nel lago.
Il sentiero è veramente agevole, poco ripido tranne in alcuni suoi tratti finali. E' un sentiero che non annoia, non è monotono perché pur nell'ininterrotto succedersi dei tornanti il panorama sul bosco sottostante, sul lago e sulle cime dell'Ortles-Cevedale è sempre vario e stupendo, muta continuamente.
Certo, qualcosa manca sempre... Superato il limite della vegetazione arborea pensavo di trovarmi immerso nel rosso vivo dei rododendri in fiore che coprono per intero l'ultimo vasto pendio ma la stagione è ormai troppo avanzata e i cespugli sono ormai sfioriti.
Più avanti però, in una piccola zona più ombrosa e fresca, trovo la vegetazione ancora in piena fioritura; sono ranuncoli, genziane, margherite, arnica... e gli ultimi rododendri, ancora in fiore. Vivaci rododendri che fanno capolino dalle pareti di una singolare formazione rocciosa, una lunghissima scura scalinata naturale, punteggiata di rosso, modellata dai ghiacciai di ere molto lontane. Poco più avanti inizia ad aprirsi la Val Montozzo. Finalmente. Siamo stanchi, assetati ed il sole che picchia forte non aiuta. Procediamo lentamente, a fatica e inevitabilmente pensiamo a quanto sono lontani i tempi che... … … Qua e là si nota qualche resto presumibilmente di opere militari della prima guerra mondiale, piccoli ricoveri, muri, piazzole o chissà che altro ma soprattutto quello che mi colpisce il pendio dei miei ricordi, il ripidissimo pendio verde che sale alla cresta fortificata sullo spartiacque con la Val Comiciolo, Lassù, invisibili dal nostro fondovalle, si allineano delle caverne scavate nella roccia dagli austriaci per colpire d'infilata il fronte italiano, la sua linea di fuoco trincerata dirimpetto sulla Forcelladi Montozzo.
E nel mezzo la terra di nessuno, che finalmente raggiungiamo, l'ampia, lunga, quasi pianeggiante verdissima valle solcata dal biancastro, a tratti serpeggiante torrente. La terra di nessuno ai cui margini, sulle cui creste, erano ben appostati gli schieramenti avversari. Sulla destra orografica gli austroungarici, annidati sui crinali della Val Comiciolo, della Val di Strino fino al tanto conteso Torrione d'Albiolo. Sulla sinistra le postazioni italiane, alla Forcella di Montozzo, veso la Punta di Ercavallo e a seguire lungo i crinali della Montagna di Ercavallo a picco sulla Valletta che porta al Passo della Sforzellina di fronte al San Matteo ( 3678 m) cima questa teatro delle ultime, sanguinose e ormai inutili battaglie della grande guerra. Questa è la terra di nessuno... terra di nessuno che tale sembra anche oggi, esclusa com'è, direi sorprendentemente, dai confini del Parco Nazionale dello Stelvio che la lambiscono appena comprendendo invece, nella sua zona lombarda, la Conca di Montozzo con il Rifugio Bozzi appena a valle della Forcella di Montozzo. La terra di nessuno... dove, almeno per il momento, non vediamo nemmeno quei bovini che un tempo pascolavano numerosi sui suoi estesi e verdissimi prati.
Avanziamo imperterriti lungo la valle, calpestando questa terra che sembra solo nostra. Procediamo lenti ma sicuri lungo quel largo e comodo sentiero che in tempi lontani fa una importante via di comunicazione tra la Val di Pejo e la Val Camonica, che più tardi fu percorso con muli e asini carichi di carbonella dai carbonai camuni che in Val di Pejo accendevano il loro poiàt e che nelle notti buie e fredde fu percorsa dai contrabbandieri che attraversavano il confine gabbando guardie e i finanzieri...
E ora? Ora chi percorre ancora questa valle? Sono ben pochi gli escursionisti che salgono da Pejo per raggiungere la Val Montozzo, la Forcella , il sottostante Rifugio Bozzi per poi risalire eventualmente al Passo dei Contrabbandieri e discendere al Passo del Tonale. Sono invece piuttosto numerosi bikers in folle discesa per lo sconnesso sentiero. Provengono dalla Conca di Montozzo, dopo aver risalito la Val di Viso laterale della Val Camonica. Un modo quello dei bikers incomprensibile di godere della montagna e dei suoi panorami (almeno per noi vecchietti), un modo assurdo e talvolta anche poco rispettoso nei confronti degli escursionisti tradizionalmente appiedati come noi. Ma tant'è... queste sono purtroppo le mode del momento... e l'economia del turismo a tutti i costi le incentiva trasformando i sentieri più belli in piste da luna park per acrobati dilettanti.
Noi procediamo comunque sulle nostre povere gambe raggiungendo una vecchia piccola stalla abbandonata a metà della valle e qui ci fermiamo. L'ora è tarda, la stanchezza notevole, il tempo sta cambiando e dei neri nuvoloni sulla cima del Redival e verso il San Matteo minacciano temporali. A malincuore rinunciamo ad avanzare fino alla Forcella di Montozzo anche se ormai non dista più di tanto. Rinunciamo... Più avanti, in un'altra occasione forse visiteremo anche le fortificazioni e le trincee italiane ristrutturate dagli alpini in congedo della Val Camonica sulla Forcella e nei dintorni del Rifugio Bozzi e il piccolo museo nella Conca di Montozzo. Magari arriveremo lassù per un'altra via, scendendo dal passo dei Contrabbandieri raggiungibile dal Passo del Tonale.. Chissà... Oggi ci accontentiamo e scendiamo a valle velocemente (si fa per dire) per sfuggire al temporale. Sostiamo brevemente solo per ammirare le marmotte che popolano numerose questi pascoli, per dissetarci a qualche rigagnolo e per fotografare nell'ombra del cielo coperto qualche fiore lungo il sentiero.



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Ossana, Jacopo Aconcio e Castel San Michele




Jacopo Aconcio, noto anche come Giacomo Aconzio, nacque a Ossana probabilmente verso la fine del 1400 o l'inizio del 1500 e morì a Londra alla corte della regina Elisabetta nel 1567, esattamente 450 anni fa. Oltre a questa ricorrenza, nel 2017 cade anche 500° anniversario della riforma protestante, riforma che molto pesò sulle vicende delle nostre terre con il Concilio che si tenne a Trento tra il 1545 e il 1563 e molto influì, direi in modo sostanziale, sul pensiero di Jacopo Aconcio.

Ma chi fu Jacopo Aconcio?

Jacopo Aconcio fu un personaggio eclettico, una figura affascinante, sicuramente uno dei più grandi trentini di tutti i tempi... fu segretario del Cardinal Madruzzo... fu notaio, ingegnere, filosofo, teologo... In definitiva Jacopo Aconcio fu una personalità complessa e versatile, ingiustamente (ma forse volutamente) poco ricordata e celebrata e conseguentemente poco conosciuta dal grande pubblico.
L'Aconcio fu soprattutto un convinto promotore del pacifico confronto di idee e della tolleranza religiosa. In odore di eresia, abbandonò il cattolico suolo italiano alla ricerca nelle confinanti terre riformate di una maggiore libertà intellettuale e di una visione religiosa meno dogmatica. E così durante gli agitati anni della riforma e della controriforma attraversò in lungo e in largo l'Europa intera operando come ingegnere (progettando bonifiche e fortificazioni esclusivamente difensive), acquisendo grande esperienza e ottenendo grande consideazione e apprezzamento da parte dei regnanti. Durante il suo peregrinare nei vari paesi europei inevitabilmente si scontrò o meglio si confrontò (da uomo di pace e pragmatico quale era), con le rigidità dottrinali che albergavano (e albergano tuttora) in tutte le "Chiese" nessuna esclusa. Rigidità dogmatiche. Verità imposte nate da umani esercizi speculativi o da singolari e univoche interpretazioni dei testi sacri e quindi fonte di contrapposizioni (e di odio) tra i credenti delle diverse fedi e non di pacifico confronto. Rigidità che conducevano (e ancora conducono) a complesse diatribe e talvolta a feroci controversie rendendo intollerante anche l'uomo più pio.

Semplificando e se ho ben compreso secondo l'Aconcio la salvezza è raggiungibile solo con una fede semplice, essenziale, che si rifà ai sostanziali insegnamenti del Cristo, che si ispira alla Sua testimonianza al di fuori dell'accetazione dei dogmi, delle sovrastrutture istituzionali da lui addirittura intese come creazioni “sataniche” di chi si ritiene depositario di verità assolute (Satanae stratagemata). 





Oggi, a 450 anni dalla sua morte, Ossana, inaspettatamente, riscopre questi suo illustre concittadino e decide di "rendergli omaggio" con una lunga sequenza di appuntamenti culturali, rivolti ad un pubblico ampio e vario, che hanno come scenario privilegiato il Castello di San Michele.   Castello che sembra così, seppure lentamente, indirizzarsi verso un adeguato utilizzo dopo i lunghi e costosi lavori di consolidamento e restauro ed una iniziale, incerta e contradditoria conduzione non priva di banalizzazioni e incoerenze gestionali.








Sono spettacoli teatrali, concerti di musica rinascimentale, mostre d'arte, spettacoli di giocoleria, concorsi di scultura, un cortometraggio, un convegno... in onore di Jacopo Aconcio e del Rinascimento in Val di Sole.
Ossana e il suo castello nei miei ricordi

La cascata di Valorz a San Bernardo di Rabbi



L'angusta Valle di Rabbi è ancora immersa nell'umida ombra del primo mattino quando la percorro in auto raggiungendo il suo centro principale, il paese di San Bernardo. Qui il panorama si apre, si allarga sui versanti coltivati punteggiati dai masi sparsi e dalle minuscole frazioni e si dischiude sulle alte selve ancora tenebrose e sulle cime appena toccate dal sole. Ed ecco anche la mia cascata...
Eccola la cascata di Valorz, sulla sponda opposta del torrente Rabbies, di fronte al paese, all'apice dell'ampio, regolare conoide di deiezione costellato di rustici, scuri fabbricati nel verde freddo del prato. Il conoide è lateralmente delimitato da ripidi versanti fitti di conifere ed il bosco estendendosi anche verso l'alto, verso la sommità del monte, racchiude il lungo, sottile, filo biancastro della cascata appena orlato di rocce scure.




Questo ciò che mi appare scendendo dall'auto, un paesaggio magico nella tenue luce dell'alba, un paesaggio che subito mi incanta, che mi ricorda il presepe della mia infanzia, il presepe natalizio che si era perso nei meandri della memoria... E' un paesaggio perfetto quello che ammiro, tanto perfetto da non apparire naturale e non posso non immaginarlo, fantasticarlo, in abito invernale, immerso nel crepuscolo, con la cascata appena percepibile nel buio del bosco e con le luci dei masi e delle abitazioni sparse a rischiarare appena appena il bianco manto nevoso.
Ma bando alle fantasticherie, è ora di procedere. Mi avvio, discendo, raggiungo e attraverso il torrente e seguendo la segnaletica inizio la salita. Imbocco il sentiero per il Soprasasso, sentiero questo che, arrivato alla cascata, è poi destinato a proseguire fino al Passo Valletta toccando appunto i lago di Soprasasso, il grande Lago Rotondo e il Lago Alto, per poi discendere a malga Bronzolo, a malga Stabli e giù fino a Ortisè e ancora giù fino al fondovalle. Impensabile... Già fatico arrancando su queste iniziali, brevissime salitine e per me è quindi impensabile affrontare l'intera traversata... peccato... ma ormai devo lasciare ai più giovani la gioia e la gloria di questa impresa.





Questa che sto intraprendendo è solo una lunga passeggiata, a mia misura, (un'ora di salita ed altrettanto, o poco meno di discesa) ma esiste la possibilità di arrivare alla cascata seguendo un percorso ancora più agevole, adatto anche ai bimbi, anche se meno diretto. Basta seguire la strada bianca che sale sulla destra del conoide (con lo sguardo rivolto alla cascata). Ed è appunto su questa comoda via che il mio sentierino, superato il pendio a prato e raggiunto il bosco, si immette quasi all'improvviso.
Nel frattempo il sole si è alzato ed è l'ora più bella... quando le prime luci sfiorano il bosco, quando i raggi radenti raggiungono le chiome dei larici e i primi bagliori le fanno risplendere tra le sagome scure degli abeti ancora in ombra. Ed è proprio la luce calda del primo mattino che mi accompagna lungo l'ultimo tratto del mio cammino, la luce che indora il sottobosco, le erbe umide di rugiada, le piccole felci gocciolanti e i licheni fradici sulle radici nude al bordo della strada.




Sono arrivato, eccomi di fronte alla cascata di Valorz che precipita maestosa al centro di un ampio anfiteatro roccioso. Una seconda colata d'acqua scende alla sua destra: è una seconda sottile ma pure spettacolare cascatella. Sulle scoscese pareti, approfittando di ogni sporgenza, di ogni più piccola cengia, si aggrappano e si allungano i larici pionieri, coraggiosamente solitari o in piccoli gruppi contornati da erbe e cespugli in quantità. Il ripidissimo salto roccioso è uno scenario verde e vivo che solo qua e là è inframmezzato dalla nuda pietra, scura e fredda nell'ombra persistente ma anche calda e luminosa dove batte il primo sole.
Osservo, respiro la fresca brezza del mattino e mi riposo seduto ad uno dei tavoli dell'area di sosta predisposta ai piedi della cascata. Poi, dopo essermi dissetato alla fontanella scavata in un tronco, riprendo il cammino sempre sul mio sentiero avvicinandomi alla base del salto roccioso. Quanto mi piacerebbe proseguire per questo impegnativo sentiero che si inerpica sulle rocce e raggiungere i laghi sospesi in gradinata sulla montagna sovrastante... Ma qui mi devo fermare, questa è la mia meta e mi devo accontentare, si fa per dire, godendo della vista delle acque che spumeggianti rotolano a valle.


Poi rientro in paese, discendo a San Bernardo seguendo inizialmente la strada percorsa salendo. Ben presto però devio sulla destra per una seconda strada bianca un po' più ripida e più avanti, imbocco ancora sulla destra il Sentiero Valorz. Favoloso sentiero questo, ad ogni angolo una sorpresa: o un semplice fiore, stupendo nel sole del mattino, o una panchina istoriata, scolpita con versi della “poetessa”, o un maestoso animale selvatico riprodotto dallo “scultore” con i sottili polloni del nocciolo, perfetto, quasi fosse vivo... Un sentiero facile che scorre nel bosco, che attraversa il rio su di un rustico ponticello e poi discende sulla destra orografica verso il fondovalle, costeggiando a lungo i prati... Io, curioso come sempre, lo lascio e completo la mia discesa sulla strada al servizio dei fabbricati sparsi sul grande conoide terminale.
E sono quindi i “masi di Rabbi” che mi accompagnano nell'ultimo tratto della mia discesa. Sono le architetture di questa zona in gran parte rimesse a nuovo, ristrutturate, ricostruite con cura dai valligiani e dai forestieri, che mi attirano alla fine della mia passeggiata. Riadattando intelligentemente i vecchi edifici abbandonati e ormai inservibili si è evitato il loro totale degrado e la loro definitiva scomparsa. Si è contribuito a conservare il tradizionale, tipico paesaggio della valle promuovendo nel contempo un turismo responsabile, non invadente, promuovendo quel turismo ambientalmente sostenibile che caratterizza Rabbi e che auspico possa caratterizzare questa valle anche in futuro... per sempre.
Così, tra gli antichi masi di San Bernardo (che, come ho detto, in gran parte “masi” più non sono, perché anche nella sperduta Val di Rabbi la vita è cambiata) concludo il mio percorso ad anello, la mia lunga bella passeggiata alla scoperta delle magiche cascate di Valorz ripromettendomi di ritornare quassù in inverno quando le cascate si trasformeranno in lunghe colate di ghiaccio immerse in quel magico paesaggio che spero possa richiamare ancora alla mia mente il bel presepe dell'infanzia.

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