Si tratta di una piccola cascata che si trova sul versante sinistro
della Val Piana. La si raggiunge salendo a piedi, fino alla Val Piana, dal
paese di Ossana, per il “sinter dela lec”, un sentiero che, inizialmente,
accompagna parallelamente una canaletta di irrigazione nel folto di un bosco di abeti e, più avanti, segue il ripido percorso del torrente che scende vorticoso
dalla valle. Comunque, i più pigri o affaticati, possono portarsi in Val Piana anche in
macchina ma è sicuramente preferibile godere del paesaggio particolare che offre
il tragitto a piedi per il "sinter dela lec". Giunti nella valle si cammina per circa mezz’ora fino
alla malga per l’ampia e comoda strada forestale e da qui in breve si raggiunge
la cascata per una stradina pianeggiante che taglia il versante. Per il ritorno conviene
proseguire per il sentiero che discende sul fondovalle e si collega, più avanti, alla
strada precedentemente percorsa nei pressi della malga, completando così un
percorso ad anello.
E’ questa del “sas pisador” una gita, o meglio una lunga
passeggiata, semplice ma che offre molto a chi ama la montagna: suggestiva la salita per il “sinter dela lec”, ampio e inaspettato il panorama
che si apre giunti in Val Piana, dirimpetto alle creste del Giner, interessante
e varia la flora dei pascoli e dei boschi che via, via si attraversano, e
infine molto bella la piccola cascata d’acqua che
appare all’improvviso tra la fitta vegetazione. Giunti alla cascata, se si osserva con attenzione, si notano, in alto, delle stelle alpine, che
fanno capolino nelle fessure della roccia tra gli schizzi dell'acqua che precipita a valle... Non sempre la
portata d'acqua è consistente, dipende dalle
stagioni e dalla piovosità del periodo ma è comunque sempre sufficiente per
permettere un doccia rinfrescante nei mesi estivi o la scalata della colata di
ghiaccio in inverno. In ogni caso, per coloro che amano arrampicare anche in estate, accanto
alla cascata è stata attrezzata una piccola palestra di roccia…
Ho postato le fotografie scattate in “Val dei Orsi” e lungo
un tratto del “senter dei todeschi”. Due, tre, sono diapositive da me digitalizzate,
scattate molti anni fa. Tutte le altre sono state riprese con apparecchi fotografici
digitali, per la maggior parte con la mia prima reflex munita però, dei i miei vecchi
obiettivi analogici. Tra questi, per le immagini della fauna, ho impiegato il
mio teleobiettivo Sigma 400 mm che dava buoni risultati in analogico ma
che si è rivelato poco adatto nel digitale. Le fotografie risultavano poco
incise e definite, spesso con qualche dominante di colore. Le ho quindi sottoposte ad
un veloce fotoritocco, per migliorane, per quanto possibile, la qualità e le ho
inserite nel post, essendo comunque un piacevole ricordo da condividere e una
testimonianza di ciò che è possibile osservare nella zona in questione.
Il “senter dei todeschi” è uno dei sentieri più belli della Val
di Peio nel Parco Nazionale dello Stelvio. E’ un tracciato che si snoda tra
quota 2300 e quota 2500 m ricalcando la pista militare realizzata dalle truppe
austroungariche durante il primo conflitto mondiale. Il panorama spazia dalla
Cime Forzellina, alle cime Palù, Redival, Boai…. Il percorso si imbocca al Dos
dei Cembri, raggiungibile con gli impianti di risalita da Peio Fonti e taglia a
mezzacosta, in successione, i versanti meridionali dei Crozi Taviela, della Cima
Taviela, della Cima Cadini e della Cima Fratasecca, in un continuo sali e
scendi, per approdare infine in val dei Orsi e quindi portarsi, dapprima su sentiero e poi su strada militare della prima guerra mondiale, a Malga
Termenago, prossima al punto di partenza a Peio Fonti.
Di solito io preferisco affrontare solo una parte di questo
tracciato, in autunno, salendo dal Fontanino di Peio. Raggiunta la val dei Orsi, come già descritto in altro post, mi apposto per osservate e fotografare le
parate dei cervi in amore. A volte proseguo, per la vecchia strada militare, fino a Pian Vegaia, dove, poco oltre,inizia
il sentiero che conduce al bivacco Meneghello ai piedi della cima S. Matteo. Salgo e sbucato in una grande radura, seguendo
la segnaletica del Parco, lascio il percorso principale e imbocco un sentierino
poco frequentato che conduce in val Cadini.
E’ questo il punto terminale della mia escursione dal quale inizio il
rientro, piuttosto faticoso nel primo tratto che prevede una salitella, lungo
il sentiero dei todeschi, proveniente dal Dos dei Cembri, fino al piccolo
spiazzo panoramico, con i resti di trincee e fortificazioni, ai piedi della
cima Frattasecca. E’ questa la zona in cui, di solito, osservo i camosci. Poi
la discesa, fino alla bella cascata in canyon in Val dei Orsi alta e quindi sul
sentiero del bivacco Meneghello fino alla grande radura dove volendo chiudo il mio
percorso ad anello. Qui infatti posso scegliere se proseguire verso Pian Vegaia
a ritroso sul percorso dell’andata, o preferire la scorciatoia che mi porta
direttamente al ponte sul rio della Val dei Orsi, presso la mia zona di
osservazione mattutina dei cervi, per chiudere lì l’anello. Infine giù fino al
Fontanino di Peio dove è parcheggiata l’auto, passando per Malga Giumela e nei
pressi della diga del Palù.
Bella escursione anche se alquanto lunga e faticosa.
Bellissimo panorama e probabile osservazione della fauna del parco, scoiattoli,
caprioli, cervi, camosci, aquila… soprattutto in autunno quando la zona è poco
frequentata.
Incantevole la Val Piana anche in inverno. Muta, tranquilla,
finalmente libera dalla confusione estiva… Immacolata per la neve fresca che
veste delicatamente pascoli ed abeti o ammantata di gelidi cristalli che brillano
al sole del tardo mattino. Qua e là le impronte di un cervo, di un capriolo, di
una volpe a caccia della lepre bianca. Silenzio. Silenzio rotto di tanto
in tanto dal rombo di una slavina che precipita sul fondovalle dai Crozi dei
Meoti, su verso Bon.
Dal capitello di Sant’Antonio mi muovo zigzagando con le
ciaspole ai piedi, dapprima sulla stradina, poi nel bosco, infine sui prati pianeggianti.
Avanti e ancora avanti lungo il rio, fino in fondo ai pascoli e poi su verso la
Malga… Ridiscendo sul fondovalle per risalire sul versante opposto, sui pradi alti, per ammirare, in tutto il loro candido splendore, le cime
del Giner e del Coren de Bon. Faccio lentamente ritorno. Dispiace tornare a
valle abbandonando il paesaggio incantato della Val Piana. Porto
comunque con me le immagini della valle bianca di neve. Ricordi che condividerò con
famigliari ed amici.
"Chi dice all'albero che è arrivata la primavera?"
P. Neruda
In Val Piana si sale dall’abitato di Ossana per la strada
sterrata o per le scorciatoie (Sinter dela Lec) che però nella stagione
invernale non sono generalmente praticabili. I tempi di percorrenza anche in
inverno sono generalmente brevi ma molto dipende dalle condizioni del percorso,
reso talvolta più difficoltoso per la presenza di ghiaccio o di neve fresca e
non battuta. Giunti all’imbocco della valle è spesso indispensabile procedere
con gli sci da fondo o con le racchette da neve ai piedi.
Il “percorso della fauna” è uno dei percorsi che vengono proposti dagli operatori del Parco Nazionale dello Stelvio agli escursionisti e in particolare agli amanti della natura. E’ un tracciato
ad anello che si snoda in Val del Monte nella zona di Peio. Sul sito del parco si trovano informazioni puntuali su
questo percorso.
Visito i “luoghi”del “percorso della fauna” quasi tutti gli
anni, soprattutto in autunno quando è più facile avvistare e fotografare cervi
e camosci e osservare anche qualche capriolo o uno scoiattolo. Più difficile incontrare un ermellino, ma può capitare... Le marmotte, abbastanza
numerose in zona, sono visibili in Valpiana ma anche nei dintorni del lago, fino a metà ottobre prima del loro letargo, .
In estate la zona è molto frequentata e, a causa del disturbo, gli
avvistamenti si fanno più difficoltosi. Però, basta lasciare il tracciato
canonico allontanandosi anche di poco dai sentieri più battuti per aumentare le
probabilità di qualche interessante incontro. Naturalmente è indispensabile
trovarsi in zona all’alba o eventualmente dopo il tramonto, quando gli animali
sono più attivi e abbandonano il folto del bosco o i ripari sui dirupi o all’ombra
delle rocce. Ci si può comunque anche accontentare dell’osservazione delle
belle fotografie con relative didascalie poste sulle numerose bacheche in legno
che ritraggono gli animali che popolano i diversi ambienti che via, via, si
incontrano lungo il “percorso della
fauna”.
"Troverai più nei boschi che nei libri - Gli alberi e le rocce ti insegneranno
cose che nessun maestro di dirà" (Bernardo di Clairvaux)
Il Lagostel è il piccolo laghetto (come dice il suo nome
nel dialetto locale) posto alla testata del percorso, alla quota più elevata.
La zona del lago non offre un ambiente particolarmente spettacolare dal punto
di vista paesaggistico; diventa più pittoresca quando in autunno la prima neve
ricopre i monti circostanti.
Sicuramente è più stimolante il panorama che
si gode durante la salita al lago o la discesa dal lago, soprattutto quando ci si muove
sui sentieri in senso inverso a quanto previsto dal verso di percorrenza usuale. Così facendo è anche più facile avvistare la
fauna che popola la zona in quanto, durante le ore più favorevoli del mattino,
ci si viene a trovare in un ambiente più vario e meno aperto e si è più nascosti
alla vista degli animali.
Poco più a monte del Lagostel si trova un secondo
piccolissimo laghetto che pochi conoscono. Si può raggiungere in circa mezz’ora di
cammino ma non esiste sentiero. Come si vede dalle fotografie che ho postato
(scattate in estate) questo secondo lago offre un ambiente e un panorama singolari
e interessanti che certamente compensano l’ulteriore sgobbata della salita.
"Vecchie dia" perché risalgono al periodo 1985-2002. "Qua e là" perche scattate in vari “luoghi” della valle. “Luoghi” che non sto qui a descrivere
ma di cui parlo in altri post.
Sono fotografie di panorami e scorci ma soprattutto di fauna e flora locali, che avevo a
suo tempo inserito in una presentazione realizzata con PowerPoint, raccogliendole
in alcune slide ognuna riservata ad un solo luogo o a più luoghi attigui. Le
fotografie sono tutte mie, tranne tre o quattro, scattate da mio fratello.
Da ragazzino, si parla degli ultimi anni ‘50 e dei primi
anni ‘60, mi univo alle comitive che talvolta salivano al Lago di Barco. Erano
gruppi eterogenei, maschi e femmine, giovani, meno giovani, adulti e qualche anziano.
C’erano i miei amici, le loro sorelle, accompagnati dal papà o dal nonno. Altri
ragazzi, più vecchi di noi, si univano alla compagnia. Si saliva a “Malga Dos”,
dove si pranzava al sacco e si proseguiva lentamente nel pomeriggio verso i
“Lagheti” cercando nel bosco i vecchi tronchi abbattuti dal vento, che venivano
scortecciati con un piccolo “manarot” (acetta) o una “podeta” (roncola) per individuare
e raccogliere le larve e le pupe del bostrico, che sarebbero servite più
tardi come esca ben visibile, bianche com'erano, nelle
scure acque del lago, per la cattura dei salmerini. Si perché ci si recava al
lago per pescare di notte, alla luce delle lampade a carburo, i piccoli
salmerini che da sempre lo popolavano numerosi. Piccoli pesci che si accostavano alla
riva solo verso il crepuscolo, per inabissarsi nuovamente all’alba. Era questa,
della pesca al lago di Barco, una delle consuetudini del paese. Tutti
conoscevano i pescatori più esperti e noi ragazzini gli ammiravamo molto e
cercavamo di carpirne i segreti.
Giunti al lago veniva acceso un grande fuoco e
mentre noi piccoli raccoglievamo la legna per alimentarlo durante l’intera notte
ed esploravamo i dintorni, mettendo in fuga nidiate di galli forcelli e cedroni, gli adulti
impazienti, scendevano sulle rive del lago e, predisposta la rudimentale
attrezzatura, iniziavano a tuffare l’amo nelle acque. Scendeva la notte ed era
affascinante osservare, dal nostro accampamento sul rilievo che domina il lago,
le luci delle lampade a carburo muoversi lentamente lungo le rive. Puntini
luminosi che si riflettevano nelle acque buie, lontani, là dove i due rivi si
immettono nel lago sulla sponda opposta, o più prossimi, lungo gli argini ripidi e
sassosi. Di tanto in tanto un pescatore risaliva fino a noi, per riscaldarsi e
rifocillarsi vicino al fuoco. Depositava il pescato e ridiscendeva con la lampada al lago
sottostante, scomparendo momentaneamente alla vista. Gli anziani davanti al
fuoco, incantavano noi ragazzi con racconti di montagna, di caccia e pesca,
ripetuti mille volte, sempre gli stessi, vecchi ma sempre nuovi. Poi il sonno
aveva la meglio e ci si appisolava sul prato, avvolti nella coperta portata da casa fin lassù. Alle
prime luci dell’alba nonno Ergisto ci risvegliava con il caffè d’orzo,
preparato gettando il surrogato direttamente nell’acqua bollente e versato nei bicchieri senza setacciarlo. Quell’intruglio doveva riscaldarci, diceva lui, e riportarci in vita…
Più tardi, dopo aver ascoltato le discussioni e le recriminazioni dei pescatori
sull’andamento della notte di pesca, si scendeva stanchi e in silenzio a valle per
sentieri e scorciatoie, scegliendo la via del “Bait del Batisti”, morti di
sonno per la notte trascorsa quasi in bianco, ma felici per l’avventura
vissuta.
Cresciuti alquanto, non più ragazzini ma ormai ragazzotti,
nei lunghi pomeriggi estivi, sopraffatti dalla noia si esplodeva: “nente al lac
de Barc?” (“andiamo al lago di Barco?”). Detto fatto, pronti in pochissimo
tempo, si partiva con la vecchia Ape Piaggio del Gianni adattata a fuoristrada, un rudimentale “quattro posti” ricavato sostituendo il cassonetto con il sedile posteriore di una Balilla rottamata. Su, fino alla
Malga Dos, per la mulattiera ripida e stretta. Poi, speditamente al lago dove si
arrivava dopo il tramonto… E si pescava…
ma talvolta, con decisione improvvisa, si rientrava dopo poche ore ripercorrendo
di corsa il sentiero fino al Dos alla luce delle lampade a carburo. Io a
malapena riuscivo a catturare due o tre esemplari, c’era da vergognarsi di
fronte al bottino degli amici… Mi piace ancora oggi ricordare e raccontare l’avventura
di quella notte in cui precipitai a piombo dal piccolo masso sul quale mi
trovavo, nel lago gelido inzuppandomi fin oltre la cintola. Stretto com’ero tra
due compagni, con la lampada nella mano sinistra, mi sbilanciai a causa del brusco strattoneper
portare a riva il salmerino che aveva abboccato e il movimento eccessivo fu fatale… Su il pesce e giù l’Umberto. Poi
accanto al falò per riscadermi ed asciugarmi riuscii anche a bruciacchiare uno
scarpone… In un’altra occasione, in compagnia di due amici, fummo colto all’improvviso
da un terribile temporale. Distesi al buio si stava filosofeggiando, guardando
le stelle, sulla bellezza di quella vita a contatto con la natura, di quella
notte limpida, silenziosa e buia nel bosco, in riva al lago e di ciò che ci
attendeva a breve in città per completare gli studi, la noia della scuola, la
confusione e il puzzo del traffico… Poi il primo tuono e subito un vento
fortissimo e la pioggia violenta ruppero l'incanto... Fulmini vicinissimi. Costruimmo in poco tempo un’intelaiatura di
grossi rami e vi legammo le nostre coperte e mo’ di tenda canadese e lì sotto
ci riparammo. Ma il fumo del grande fuoco, che sfrigolava per la pioggia
davanti a noi, entrava, sospinto dal vento, nel riparo e ci faceva lacrimare
abbondantemente. Tuoni, lampi, vento, pioggia, fuoco, fumo e lacrime… e risate
a non finire, e uno spuntino a base di pane e salsiccia, al sapore del carburo, il combustibile delle lampade, finito nel posto sbagliato per la confusione e la fretta di crearci un rifugio.
Ricordi. Ricordi di un periodo in cui, al paese, le regole
erano poche e le eventuali mancanze erano tollerate… La pesca al
salmerino praticata di notte e senza permessi rientrava in una tradizione secolare e non solo sul nostro
lago. Mio nonno ne parla nella sue “Memorie” raccontando una spedizione al lago di Nambrone negli ultimi anni dell'ottocento.
Nessuno si chiedeva se quella attività fosse lecita o meno. Nessuno aveva mai
avuto una regolare licenza di pesca. Non esistevano controlli al lago di Barco:
era zona franca. Era così da sempre e di pesci ce n’erano sempre per tutti.
Poi un giorno, alcuni anni dopo (ero “cresciuto” e da tempo avevo messo la
testa a posto), vidi inchiodati sui larici in riva al lago dei cartelli in
lamierino: “Divieto di pesca”, “Riserva di pesca”. Giusto mi dissi, dimenticando
le mie scorribande e mettendo alle spalle i peccati di un tempo. Nel lago erano
state introdotti pesci non autoctoni, delle trote, per il diletto dei pescatori lecitamente
ammessi alla pesca. Dopo qualche tempo i salmerini che da sempre popolavano il lago erano
scomparsi. Poi scomparvero anche le trote, probabilmente morte di fame. Il lago
era itticamente morto… Ora è stato ripopolato, ancora con i salmerini che non sono
però quelli autoctoni, sono più grandi e si possono pescare di giorno…
Oggi, raggiunta la terza età (mi piace più pensare ad una
seconda età avanzata…) cerco di recarmi almeno una volta all’anno al lago di
Barco. E’ un pellegrinaggio sui luoghi della mia giovinezza… e annoio le figlie o gli amici che mi accompagnano con le storie di un tempo lontano.
"Vedo ovunque nella natura, ad esempio negli alberi, capacità d'espressione e, per così dire, un'anima"
Vincent van Gohg
Il Lago di Barco si può raggiungere da Val Piana di Ossana,
salendo per la strada forestale fin oltre la Malga Dos e proseguendo poi per un
sentiero alquanto sconnesso e ripido nel suo tratto finale, dopo i “Lagheti”. In alternativa si può salire dalla località Volpaia di
Vermiglio per una ripida e monotona strada forestale fino al “Bait del Batisti” e percorrere
poi l'ltimo tratto su di un sentiero ben tenuto ma erto. Volendo si può
raggiungere un secondo laghetto, il “Lago Piccolo” detto anche “Lago della Ste”
che si trova a monte del lago di Barco. Un clic su "Raccolta foto di Google+" per guardare tutte le fotografie.
“Il fiume Noce nasce al Corno Dei Tre Signori” ci insegnava
il maestro Aniceto alle elementari… Ma dove si trova questo posto? Perché si chiama così? Ci chiedevamo
noi piccoli alunni…
Oggi, trascorsi moltissimi anni, mi reco, di tanto in tanto,
zaino in spalla e macchina fotografica a portata di mano, alla testata della val del Monte dove posso ammirare la cima
del Corno Dei Tre Signori, E' un luogo poco frequentato, dove in
un contesto paesaggistico imponente e selvaggio si possono fare interessanti incontri, marmotte, camosci, cervi,
l’aquila… e qualche vipera.
Peccato che, da almeno due anni, il sentiero canonico che
si inoltra da Malga Paludei non sia praticabile; la passerella
sul Rio Valpiana che scende vorticoso dal San Matteo, divelta da una piena, non
è più stata ricostruita (almeno fino allo scorso mese di settembre). Si potrebbe forse tentare di salire da Malga Palù, in fondo all’omonimo
lago, seguendo tracce non
segnate e pochissimo praticate, sulla sponda destra del Noce. Sentieri di pastori e cacciatori che in zona hanno le loro altane e postazioni.
Comunque
prima o poi il ponte verrà riposizionato e si potrà procedere... e procedendo appunto
sul sentiero, oltre la valletta che ho ritratto nelle fotografie, si giunge al
Passo della Sforzellina che mette in comunicazione la Val di Peio con la zona
del Gavia. Riposando, per il momento... nella valletta, sulle rive del fiume, limpido e sinuoso, si osservano incombenti, sulla destra orografica, le ripidissime pareti della
Montagna di Ercavallo sulle cui creste erano attestate le truppe italiane
durante la grande guerra. A questo proposito si racconta che una pattuglia di coraggiosi tentò una sortita contro il presidio austoungarico di Malga Paludei. Ma torniamo a noi. Sulla sinistra orografica si può salire in Vallombrina, con la sua cascata e il bel laghetto e
proseguire eventualmente fino al bivacco Battaglione Ortles posto sul versante
opposto, sul versante che sovrasta il Gavia. Quest'ultima parte dell'escursione però non mi sono mai sentito di portarla a termine per la
difficoltà del percorso.
E' curioso notare come, in questa zona così ecologicamente uniforme, il confine del Parco Nazionale dello Stelvio assuma una strana configurazione: segue infatti l'alveo del Noce spaccando in due la testata della val del Monte. Solo il territorio in sponda sinistra fa parte del parco. Sarebbe interessante conoscere i
motivi di questa scelta, visto che poco più a valle, al contrario, la zona del Montozzo è stata interamente inclusa nel parco pur trovandosi in sponda destra Noce. Inoltre la zona a parco in val Montozzo è molto estesa e raggiunge il crinale dell'Ercavallo, immediatamente sovrastante il nostro sito ed è quindi prossima al fiume Noce nella nostra Val del Monte. Si viene così a creare un sottilissima striscia di territorio non protetto ed aperto alla caccia, tra le creste dell'Ercavallo e il Noce, zona che si incunea nel parco e che sarebbe, a mio avviso, di buon senso eliminare unificando confini così prossimi. Ma probabilmente così non è.
P.S. Nella pagina Facebook della SAT di Peio trovo che è stato riattivato nell'estate del 2013 il vecchio percorso (110 ?) che dalla Malga Palù sale in sponda destra Noce fino al pianoro in val del Monte congiungendosi al sentiero proveniente dalla malga Paludei non praticabile per l'assenza della passerelle sul rio Valpiana... E' bene informarsi...
Il lago non esiste più, a memoria d’uomo mi dicono. E’
ridotto a una pozza palustre che si riempie d’acqua per un breve periodo allo squagliarsi della
neve invernale. Ma il luogo è bellissimo. Un piccolo pianoro, al limite della
vegetazione, che si protende quasi come un minuscolo promontorio sulla valle, tra pascoli d’altura e rade macchie di larici e abeti. Ampio e spettacolare panorama, dalle Dolomiti di Brenta, al
gruppo Presanella, al Boai, al Taviela e al Vioz. Più in basso, a scendere, roccette
scoscese che si perdono in fitte fustaie di aghifoglie. In gioventù era questa la via che seguivo,
salendo da Celentino, per raggiungere il lago in tempi brevi: scorciatoia
praticabile ma erta e dura. Eppure si saliva con i fratelli anche in piena
notte, in maggio, con la neve qua e là ancora alta, per assistere alle parate dei galli forcelli
in amore. Oggi seguo il percorso normale (che qui sotto ho indicato in rosso) che porta dal paese a
Malga Campo per la strada forestale e quindi su un bel sentiero non troppo ripido al lago. E’ un
tragitto lungo ma abbordabile da tutti con la massima tranquillità. Tutt’al più
tra il parcheggio e Malga Campo seguo la scorciatoia, bella e ben segnata che segue la secolare mulattiera. In verità esiste anche un altro possibile percorso: un sentiero che porta direttamente al lago distaccandosi dalla strada forestale in corrispondenza ad uno dei suoi tornanti.
Malga Campo è stata da poco ristrutturata ma le fotografie
che ho postato ritraggono ancora i vecchi edifici. Il “baito” della malga, è stato
adibito a “Museo della Malga” mantenendo inalterati i locali e il focolare
aperto ed esponendo oggetti e attrezzi del passato per la curiosità e il piacere di valligiani e turisti.
Parecchie le belle escursioni da praticare in questa zona. In primis l'ascesa in Val Cadinel (vi si trova un bivacco: ristrutturazione di un antico baito da parte dei cacciatori locali) da Malga Campo, per raggiungere eventualmente, l’omonimo passo e scendere in
Val di Rabbi. In questa valleta, allo scioglimento delle nevi, si forma
un laghetto piuttosto esteso, che si prosciuga con il sopraggiungere delle settimane più calde. Vi si riflette stupendamente la lontana cima
della Presanella.
Sempre da Malga Campo un ripido sentierino conduce attraverso
il bosco ai suoi pascoli alti. Da questi si può proseguire a intuito per prati d’altura e facili sfasciumi fino a
spingersi sulle creste che sovrastano la Val Cadinel (percorso giallo e
fotografie). Con un minimo di attenzione si possono individuare e seguire con
prudenza delle tracce che scendono sul fondo della valletta. Anni fa su queste
cime nidificava l’aquila; ora non so. Qui ho fotografato il raro picchio muraiolo.
"Gli alberi sono poesie che la terra scrive in cielo"
K. Gibran
Un sentiero
pianeggiante conduce dal lago a Malga Pozze (una strada forestale collega la malga Pozze al paesino
di Ortisè). Percorso questo, panoramico e interessantissimo soprattutto in primavera, inizio estate
per la stupenda fioritura e per la possibilità, nel giusto periodo, di scorgere caprioli, cervi, marmotte e con un po' di fortuna i rari galli forcelli e cedroni. A metà
percorso si trova il sito di “Malga Monte". Fino a pochi anni fa erano solo dei ruderi ma l'edificio della malga è stato ricostruito adibendolo a bivacco, museo, ricovero dei pastori delle greggi che stazionano quassù nella bella stagione.
"Mentre spira la brezza e le ombre si allungano, io me ne andrò sui monti profumati..."
La Malga Paludei è la
meta di questa escursione nel ParcoNazionale dello Stelvio, Val di Peio, che prevede il giro completo del grande
bacino idroelettrico di Pian Palù. Si tratta di un’escursione da compiere
comodamente in una giornata con al seguito anche i bimbi più piccoli, diciamo
in età scolare.
Lasciata l’auto al Fontanino di Peio si sale al lago per la
comoda strada in sponda sinistra; si prosegue poi fino a Malga Giumela e quindi sulla sinistra per una mulattiera
fino a Malga Paludei. Il percorso si snoda tra i boschi di larice e abete
rosso, a mezzacosta, cento, duecento di
metri più in quota rispetto al lago. Meno di due ore, forse tre con i
bambini. Al ritorno si scende per un
sentiero piuttosto ripido ma ben segnato fino a malga Palù e si costeggia poi
il Lago, sulla sponda opposta, fino allo diga. Da qui per portarsi al Fontanino si può scegliere se
attraversare lo sbarramento e riprendere la strada da dove si è saliti o se
imboccare, partendo poco più in alto, dalla Malga di Celentino, il sentiero in
sponda destra.
Questa è zona frequentatissima durante la stagione estiva.
Se si ama la tranquillità, se si amano osservare fiori ed animali del bosco
conviene scegliere il periodo primaverile o autunnale. Allora è più facile
avvistare, anche rimanendo sul sentiero qualche scoiattolo, nocciolaie, un
picchio, cince, rampichini, scriccioli, pettirossi e altri piccoli uccelli, e
magari con un po’ di fortuna un capriolo, un cervo o una volpe. Se si abbandona,
per un’oretta, il sentiero tra la Giumela e i Paludei, e ci si porta in quota,
dove il bosco si dirada e lascia spazio ai pascoli alti si possono facilmente vedere,
di buon mattino, branchi di cerve con i piccoli
al pascolo e a fine settembre udire il
bramito del cervo maschio e osservarlo intento a difendere la supremazia sul
proprio harem.
Una piccola zona della Malga Paludei è stata adibita a
bivacco dove, adattandosi, si può pernottare. Al mattino ci si può addentrare
nella parte terminale della Val del Monte verso la Sforzellina e il Passo Gavia,
o salire in Val Umbrina con la cascata e il bellissimo laghetto, o portarsi in
Val Piana ai piedi della cima S. Matteo, deviando poi al Lagostel e discendere
per il “percorso della Fauna”. Molti
anni fa raggiunsi dalla Val Piana, per pascoli e ripidissimi sfasciumi, la
Vedretta di Villacorna con, nei pressi, lo stupendo omonimo laghetto. Lì erano
ancora rintracciabili i resti degli scontri che tra agosto e settembre del 1918
impegnarono le forze contrapposte di quella che fu la più alta battaglia della
prima guerra mondiale (Consiglio la lettura di: “La battaglia più alta della storia” di Giuseppe Magrin – Rossato editore).
Sognavo un tramonto dorato sulle Dolomiti del Brenta da
riprendere dal crinale tra i monti Vigo e Spolverino. In realtà di fotografie
ne ho fatte molte, anche belle, ma che non collimano con quelle che avevo
immaginato.
Sono salito lassù, un pomeriggio di fine ottobre, con
il mio amico. Abbiamo lasciato il piccolo SUV alla Malga di Mestriago e
attraverso un sentiero non segnato e poco visibile ci siamo portati a Malga
Panciana, dove fervevano lavori di ampliamento e ammodernamento. Saliti al
Rifugio Orso Bruno, ci siamo in seguito portati al Rifugio Solander, seguendo il crinale,
per scendere infine sulla pista da sci Mastellina fino alla malga dove era posteggiata l’auto. L’intera zona era un cantiere aperto: operai all’opera sugli edifici e
sugli impianti a fune in previsione della stagione turistica invernale ormai
alle porte.
"Custodire la terra con bontà e tenerezza"
Papa Francesco
Che dire? Bella escursione. Panorama stupendo sul Brenta e
sull’ Ortles Cevedale. Ma difficile scattare una fotografia senza includervi
elementi estranei al paesaggio naturale: edifici con le più varie destinazioni
d’uso, stazioni motrici e di rinvio degli impianti a fune, sostegni di linea,
impianti di innevamento, strade di servizio, piste da sci, inerbimenti artificiali… Antropizzazione totale di un
territorio un tempo intatto, utilizzato da sempre in modo sostenibile e in
equilibrio con l'ecosistema montano. E’ questo lo scotto da pagare per lo “sviluppo turistico” della valle,
per un maggior benessere delle popolazioni locali, per una maggiore occupazione
dopo secoli di emigrazione. Ciò che non mi torna, discutendo con l’amico, non è tanto la presenza sui nostri monti di tutti questi impianti a
fune, delle piste e tutto il resto, (siamo costretti ad accettarli ma incominciano ad essere un po’ troppi),
quanto i criteri che negli anni 70 la
politica, forse condizionata da grandi interessi, scelse per lanciare la valle
sul mercato turistico: la creazione di stazioni turistiche ex novo in quota sul
modello francese allora in voga, anziché pensare di sviluppare gli insediamenti
preesistenti di fondovalle. Scelte che, oggi dopo quarant’anni, dimostrano tutta la loro criticità e mancanza di
lungimiranza. "Il peccato originale". I nodi vengono al pettine: realtà slegate
dal territorio, frammentazione proprietaria, grande presenza di manodopera
esternalizzata, degrado ambientale, paesaggistico e architettonico… Oggi tutti
concordano (la politica in primis) sul fatto che “…il modello di sviluppo
dell'epoca, con insediamenti in quota si riveli oggi un problema a cui è
necessario mettere rimedio…” Ma la responsabilità di quelle scelte? Nessuno ne
parla o cerca di giustificare: "facile parlare ora... altri tempi… altra visione…" Qualcuno però nei lontani anni
70 aveva visto giusto, quando mettendo pubblicamente in discussione le scelte
urbanistiche del nascente Piano Comprensoriale che prevedeva le stazioni in quota,
proponeva un diverso modello di sviluppo turistico per la valle… Manifesti e assemblee... Nessuno ricorda?
Sette ottobre. La luna è tramontata e nel fitto del bosco è buio
pesto. Cerco con la pila la traccia quasi invisibile del sentiero che porta in
Val dei Orsi. Ho lasciato l’auto al Fontanino di Pejo e ho proseguito a piedi per
la comoda strada che porta al Lago del Palù. All’altezza dei Masi di Palù ho
deciso di seguire quella che chiamo la “direttissima”, la scorciatoia erta che
conduce direttamente ai bordi del grande spiazzo paludoso ai piedi del versante
dove solitamente si concentrano i cervi nel periodo degli amori. Il percorso abituale
segue la strada forestale fino a Malga Giumela e prosegue poi in direzione di Pian di Vegaia tagliando di
netto il grande prato paludoso, in posizione troppo esposta perchè i selvatici
non notino una presenza estranea. Fa
freddo; l’erba nelle piccole radure del bosco è rivestita di brina. Sono solo: Germano, il
compagno di tante escursioni, non è potuto venire.
La ripida e faticosa salita al
buio nel fitto del bosco si è finalmente conclusa. Nascosto dietro il tronco di
un larice ascolto il bramito dei cervi: sembrano numerosi ma si trovano sulla
sponda opposta della valle, nel bosco. Il profilo dei monti è si è fatto più netto e
si iniziano a riconoscere anche gli alberi, le macchie cespugliose, i prati in
quota, le rocce, sul versante di fronte. Ma da lì sembra provenire solo
qualche sporadico bramito. Un tempo era questo il luogo privilegiato dai cervi
per le loro contese amorose. La grande nevicata di qualche inverno fa li ha
decimati: sono meno numerosi e inoltre sembra abbiano scelto altre arene per disputarsi il controllo dell’harem.
Nascosto dai cespugli di ontano verde mi sposto
lateralmente seguendo l’orlo della grande radura e poi risalgo nel lariceto,
lungo il rio che copre il rumore del mio procedere. Non posso avanzare oltre,
non ci sono cespugli o alberi che possano occultarmi nella tenue luce del giorno.
Fa molto freddo e il terreno
è ghiacciato e bianco di brina. Dalla sponda opposto mi giungono i duelli vocali dei
cervi. Sono vicini ma non riesco a vederli rintanati come sono nel fitto della foresta. Al riparo di un grosso larice individuo e osservo con il binocolo l’unico cervo maschio presente sul mio versante. E’ poco più a monte e controlla
il suo piccolissimo gruppo di femmine. Le raggruppa, le insegue e raduna le più
riottose, segnala la propria presenza bramendo, talvolta disponendosi in punti
rialzati e dominanti. Uno spettacolo coinvolgente, affascinante.
La luce scarseggia. I primi raggi del sole non filtrano tra le
nuvole e non indorano come altre volte le creste che mi sovrastano. Non ci sono le
condizioni per fotografare ma la scena è emozionante e decido di tentare
comunque. Valori “Iso” altissimi mi segnala la reflex, sicuramente causa di
“disturbo” notevole nelle immagini.
"C'è una emozione più forte di uccidere: lasciare in vita!"
J. O. Curwood
Non ho il cavalletto, ho solo il monopiede, quindi
impossibile usate tempi di otturazione lunghi. Scatto, poi si vedrà… Si fa giorno, ma la luce è sempre carente, a
poco a poco i cervi si allontanano, tagliano il versante tra cespuglieti e
radure erbose e si inoltrano nel fitto del lariceto.
Attendo a lungo la comparsa di qualche altro esemplare. Nulla,
solo qualche sporadico bramito in lontananza.
E’ giorno pieno. Il sole inonda la zona. Mentre mi dispongo a scendere verso il grande pascolo
paludoso, poco più in alto sbuca dai cespugli di ontano verde un piccolo
maschio con due femmine. Mi hanno individuato. Riesco a fotografarli prima che
fuggano velocemente. Rientro. Non sono
del tutto soddisfatto. Una levataccia così meritava qualcosa di meglio. Penso alle
fotografie che ho scattato. Non saranno certo dei capolavori ma mi consolo: serviranno
comunque a ricordarmi le emozioni di questa breve escursione nel Parco Nazionale dello Stelvio nel periodo del bramito del cervo.
Si racconta che, molto indietro nel tempo, una contadina, di Vermiglio, intenta a mietere
la segale, aveva lasciato il piccolo figlioletto al margine del campo nei
pressi della stradina delle Pendege. Lo controllava di tanto in tanto. Girato lo sguardo si accorse con terrore che
stava giocando con una velenosissima vipera. Implorò i Santi ma ebbe anche
l’intuizione e la freddezza di depositare accanto al bimbo una ciotola di latte
che aveva portato con sé. L’aspide attratto dall’odore si allontanò e la madre
poté trarre in salvo il piccolo.
Un capitello ricorda questo episodio. Non è dato sapere se realmente accaduto o leggendario.
Il capitello si trova a metà strada tra Cortina di Vermiglio
e Fucine, lungo la stradina di mezzacosta delle Pendege. Fu eretto dalla devozione
popolare per ricordare questo miracolo attribuito a San Giorgio, o forse come
ex voto per la grazia ricevuta. Un piccolo quadretto naìf, posto sul fondo del
capitello, raffigura San Giorgio che uccide il Drago,
simboleggiando l’eterna lotta del bene contro il male. Si può raggiungere il capitello partendo sia da Fucine che
da Vermiglio: si tratta di una bel percorso che ho già descritto in un altropost. Lungo questa stradina si trova il “posto delle farfalle” dove si possono
ottenere belle immagini di macrofotografia. Con un pizzico di fortuna. in inverno
e primavera si osservano mufloni e caprioli e, all’alba o al crepuscolo, anche
qualche cervo o qualche lepre. Ma ci possiamo anche ritenere soddisfatti godendo
del solo paesaggio che muta, di giorno in giorno, con le diverse condizioni
meteorologiche e con il variare delle stagioni.
"Per quanto bella architettura facciamo, gli uomini non riusciranno mai a fare una cosa bella come un albero"
P.L. Nervi
Breve escursione, nella zona di passo Tonale, che si può comodamente effettuare in mezza giornata.
Poco oltre la Cantoniera del Tonale si lascia la statale e si scende sulla sinistra, per poche centinaia di metri, fino al depuratore dove conviene parcheggiare. Si prosegue seguendo una strada ampia e comoda ma dal fondo malridotto, che porta al “Cantiere” ai piedi della Cima Busazza. Questa la meta della nostra breve scarpinata ma volendo si può proseguire per altro sentiero fino al Passo Paradiso.
Il “Cantiere” prende il nome dai lavori, mai effettuati, se non per l’apertura della strada, che avrebbero dovuto consentire l’utilizzo delle acque del Torrente Presena per scopi idroelettrici.
La località è piuttosto frequentata sia in estate che in inverno costituendo tra l’altro punto di passaggio per la pratica dello sci fuori pista e dello sci alpinismo. Le immagini che ho postato mostrano come la zona sia suggestiva e molto particolare per la ricchezza d’acqua, con il piccolo laghetto, e i torrentelli che si distendono sinuosi nelle ampie zone pianeggianti, ricche di fiori, rododendri, genziane, eriofori… Il luogo si presta per una sosta prolungata o per un pranzo al sacco domenicale con la famiglia. I bimbi possono giocare con la sabbia e l’acqua, mentre i genitori possono raccogliere, nei dintorni, qualche giovane pigna, o qualche germoglio di pino mugo, ottimi per preparare in casa lo sciroppo per la tosse o per aromatizzare la grappa.
Circa a metà della salita, poco prima di una galleria, sulla destra si trova un piccolo spiazzo pianeggiante, alquanto paludoso e nascosto alla vista dai cespugli di ontano verde e dai mughi. Qui in primavera si possono osservare i galli di monte in amore.
Un tempo, con il fratello, raggiungevo questo balz in piena notte con le ciaspole ai piedi. Attendevamo, ben nascosti, il planare dei forcelli, preceduti, nel silenzio della montagna, dal rugolio e dai primi potenti fischi che annunciavano il sopraggiungere dell’alba. Di tanto in tanto sfrecciavano nella radura, ancora coperta di neve, le lepri ancora bianche, appena riconoscibili alle prime luci del giorno. Il cuculo lanciava il suo richiamo dalla cima di un larice. Due, tre galli si esibivano nella loro danze d’amore ma, come d’incanto, al sorgere del sole tornava la quiete, era tutto silenzio, rotto solo dal cinguettio di qualche cincia. Si scendeva a valle e, durante il cammino poteva accadere di osservare qualche capriolo o una volpe sulle tracce della lepre. Bei ricordi. Clicca su "Raccolta Foto di Google+" per vedere tutte le fotografie Altre fotografie HDR sempre nella "Raccolta Foto di Google+"