Da ragazzino, si parla degli ultimi anni ‘50 e dei primi
anni ‘60, mi univo alle comitive che talvolta salivano al Lago di Barco. Erano
gruppi eterogenei, maschi e femmine, giovani, meno giovani, adulti e qualche anziano.
C’erano i miei amici, le loro sorelle, accompagnati dal papà o dal nonno. Altri
ragazzi, più vecchi di noi, si univano alla compagnia. Si saliva a “Malga Dos”,
dove si pranzava al sacco e si proseguiva lentamente nel pomeriggio verso i
“Lagheti” cercando nel bosco i vecchi tronchi abbattuti dal vento, che venivano
scortecciati con un piccolo “manarot” (acetta) o una “podeta” (roncola) per individuare
e raccogliere le larve e le pupe del bostrico, che sarebbero servite più
tardi come esca ben visibile, bianche com'erano, nelle
scure acque del lago, per la cattura dei salmerini. Si perché ci si recava al
lago per pescare di notte, alla luce delle lampade a carburo, i piccoli
salmerini che da sempre lo popolavano numerosi. Piccoli pesci che si accostavano alla
riva solo verso il crepuscolo, per inabissarsi nuovamente all’alba. Era questa,
della pesca al lago di Barco, una delle consuetudini del paese. Tutti
conoscevano i pescatori più esperti e noi ragazzini gli ammiravamo molto e
cercavamo di carpirne i segreti.
Giunti al lago veniva acceso un grande fuoco e mentre noi piccoli raccoglievamo la legna per alimentarlo durante l’intera notte ed esploravamo i dintorni, mettendo in fuga nidiate di galli forcelli e cedroni, gli adulti impazienti, scendevano sulle rive del lago e, predisposta la rudimentale attrezzatura, iniziavano a tuffare l’amo nelle acque. Scendeva la notte ed era affascinante osservare, dal nostro accampamento sul rilievo che domina il lago, le luci delle lampade a carburo muoversi lentamente lungo le rive. Puntini luminosi che si riflettevano nelle acque buie, lontani, là dove i due rivi si immettono nel lago sulla sponda opposta, o più prossimi, lungo gli argini ripidi e sassosi. Di tanto in tanto un pescatore risaliva fino a noi, per riscaldarsi e rifocillarsi vicino al fuoco. Depositava il pescato e ridiscendeva con la lampada al lago sottostante, scomparendo momentaneamente alla vista. Gli anziani davanti al fuoco, incantavano noi ragazzi con racconti di montagna, di caccia e pesca, ripetuti mille volte, sempre gli stessi, vecchi ma sempre nuovi. Poi il sonno aveva la meglio e ci si appisolava sul prato, avvolti nella coperta portata da casa fin lassù. Alle prime luci dell’alba nonno Ergisto ci risvegliava con il caffè d’orzo, preparato gettando il surrogato direttamente nell’acqua bollente e versato nei bicchieri senza setacciarlo. Quell’intruglio doveva riscaldarci, diceva lui, e riportarci in vita… Più tardi, dopo aver ascoltato le discussioni e le recriminazioni dei pescatori sull’andamento della notte di pesca, si scendeva stanchi e in silenzio a valle per sentieri e scorciatoie, scegliendo la via del “Bait del Batisti”, morti di sonno per la notte trascorsa quasi in bianco, ma felici per l’avventura vissuta.
Giunti al lago veniva acceso un grande fuoco e mentre noi piccoli raccoglievamo la legna per alimentarlo durante l’intera notte ed esploravamo i dintorni, mettendo in fuga nidiate di galli forcelli e cedroni, gli adulti impazienti, scendevano sulle rive del lago e, predisposta la rudimentale attrezzatura, iniziavano a tuffare l’amo nelle acque. Scendeva la notte ed era affascinante osservare, dal nostro accampamento sul rilievo che domina il lago, le luci delle lampade a carburo muoversi lentamente lungo le rive. Puntini luminosi che si riflettevano nelle acque buie, lontani, là dove i due rivi si immettono nel lago sulla sponda opposta, o più prossimi, lungo gli argini ripidi e sassosi. Di tanto in tanto un pescatore risaliva fino a noi, per riscaldarsi e rifocillarsi vicino al fuoco. Depositava il pescato e ridiscendeva con la lampada al lago sottostante, scomparendo momentaneamente alla vista. Gli anziani davanti al fuoco, incantavano noi ragazzi con racconti di montagna, di caccia e pesca, ripetuti mille volte, sempre gli stessi, vecchi ma sempre nuovi. Poi il sonno aveva la meglio e ci si appisolava sul prato, avvolti nella coperta portata da casa fin lassù. Alle prime luci dell’alba nonno Ergisto ci risvegliava con il caffè d’orzo, preparato gettando il surrogato direttamente nell’acqua bollente e versato nei bicchieri senza setacciarlo. Quell’intruglio doveva riscaldarci, diceva lui, e riportarci in vita… Più tardi, dopo aver ascoltato le discussioni e le recriminazioni dei pescatori sull’andamento della notte di pesca, si scendeva stanchi e in silenzio a valle per sentieri e scorciatoie, scegliendo la via del “Bait del Batisti”, morti di sonno per la notte trascorsa quasi in bianco, ma felici per l’avventura vissuta.
Cresciuti alquanto, non più ragazzini ma ormai ragazzotti, nei lunghi pomeriggi estivi, sopraffatti dalla noia si esplodeva: “nente al lac de Barc?” (“andiamo al lago di Barco?”). Detto fatto, pronti in pochissimo tempo, si partiva con la vecchia Ape Piaggio del Gianni adattata a fuoristrada, un rudimentale “quattro posti” ricavato sostituendo il cassonetto con il sedile posteriore di una Balilla rottamata. Su, fino alla Malga Dos, per la mulattiera ripida e stretta. Poi, speditamente al lago dove si arrivava dopo il tramonto… E si pescava… ma talvolta, con decisione improvvisa, si rientrava dopo poche ore ripercorrendo di corsa il sentiero fino al Dos alla luce delle lampade a carburo. Io a malapena riuscivo a catturare due o tre esemplari, c’era da vergognarsi di fronte al bottino degli amici… Mi piace ancora oggi ricordare e raccontare l’avventura di quella notte in cui precipitai a piombo dal piccolo masso sul quale mi trovavo, nel lago gelido inzuppandomi fin oltre la cintola. Stretto com’ero tra due compagni, con la lampada nella mano sinistra, mi sbilanciai a causa del brusco strattone per portare a riva il salmerino che aveva abboccato e il movimento eccessivo fu fatale… Su il pesce e giù l’Umberto. Poi accanto al falò per riscadermi ed asciugarmi riuscii anche a bruciacchiare uno scarpone… In un’altra occasione, in compagnia di due amici, fummo colto all’improvviso da un terribile temporale. Distesi al buio si stava filosofeggiando, guardando le stelle, sulla bellezza di quella vita a contatto con la natura, di quella notte limpida, silenziosa e buia nel bosco, in riva al lago e di ciò che ci attendeva a breve in città per completare gli studi, la noia della scuola, la confusione e il puzzo del traffico… Poi il primo tuono e subito un vento fortissimo e la pioggia violenta ruppero l'incanto... Fulmini vicinissimi. Costruimmo in poco tempo un’intelaiatura di grossi rami e vi legammo le nostre coperte e mo’ di tenda canadese e lì sotto ci riparammo. Ma il fumo del grande fuoco, che sfrigolava per la pioggia davanti a noi, entrava, sospinto dal vento, nel riparo e ci faceva lacrimare abbondantemente. Tuoni, lampi, vento, pioggia, fuoco, fumo e lacrime… e risate a non finire, e uno spuntino a base di pane e salsiccia, al sapore del carburo, il combustibile delle lampade, finito nel posto sbagliato per la confusione e la fretta di crearci un rifugio.
Ricordi. Ricordi di un periodo in cui, al paese, le regole erano poche e le eventuali mancanze erano tollerate… La pesca al salmerino praticata di notte e senza permessi rientrava in una tradizione secolare e non solo sul nostro lago. Mio nonno ne parla nella sue “Memorie” raccontando una spedizione al lago di Nambrone negli ultimi anni dell'ottocento. Nessuno si chiedeva se quella attività fosse lecita o meno. Nessuno aveva mai avuto una regolare licenza di pesca. Non esistevano controlli al lago di Barco: era zona franca. Era così da sempre e di pesci ce n’erano sempre per tutti.
Poi un giorno, alcuni anni dopo (ero “cresciuto” e da tempo avevo messo la testa a posto), vidi inchiodati sui larici in riva al lago dei cartelli in lamierino: “Divieto di pesca”, “Riserva di pesca”. Giusto mi dissi, dimenticando le mie scorribande e mettendo alle spalle i peccati di un tempo. Nel lago erano state introdotti pesci non autoctoni, delle trote, per il diletto dei pescatori lecitamente ammessi alla pesca. Dopo qualche tempo i salmerini che da sempre popolavano il lago erano scomparsi. Poi scomparvero anche le trote, probabilmente morte di fame. Il lago era itticamente morto… Ora è stato ripopolato, ancora con i salmerini che non sono però quelli autoctoni, sono più grandi e si possono pescare di giorno…
Oggi, raggiunta la terza età (mi piace più pensare ad una
seconda età avanzata…) cerco di recarmi almeno una volta all’anno al lago di
Barco. E’ un pellegrinaggio sui luoghi della mia giovinezza… e annoio le figlie o gli amici che mi accompagnano con le storie di un tempo lontano.
"Vedo ovunque nella natura, ad esempio negli alberi, capacità d'espressione e, per così dire, un'anima" Vincent van Gohg |
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1 commento:
Quanti ricordi !anch'io da bambina più di una volta sono andata al lago di Barco da Cusiano con mio zio Ettore Bezzi,l'Ergisto, el Vico .....come dimenticarlo......
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