Luci e ombre nel bosco di fine estate



L'autunno è ormai alle porte... Tutto è silenzio. Il caos di ferragosto è solo un ricordo.
Camminare nell'aria frizzante dei miei boschi, totalmente liberi dalla confusione estiva, riempie l'animo di tranquillità e permette di accogliere con serenità, appena venata di malinconia, la nuova stagione che è alle porte.
Così vincendo la pigrizia, mi allontano più volte dal paese e mi inoltro sui vicini sentieri che tagliano i pendii della valle ed ogni volta……  il mutare della luce, dei colori, degli odor,i nonché delle situazioni meteorologiche mi regala una ricchezza ed una particolarità ambientale difficilmente riscontrabile in altri periodi dell'anno.







Accade spesso che al primo mattino le nubi accarezzino il fondovalle per levarsi lentamente fino a diradarsi e a dissolversi del tutto durante le ore più calde svelando, inaspettatamente, un cielo limpido e ancora molto luminoso. Ma è solo nel folto del la selva, nel buio della foresta dove il cielo scompare, che è possibile assistere ad un incantesimo, ad una magia di fine estate, all'improvviso apparire della luce nell'oscurità più impenetrabile. Il sole che di giorno in giorno si fa sempre più basso, riesce a bucare, con i suoi raggi radenti, le fronde degli abeti proiettando isole risplendenti, sulla lettiera, sui muschi, sulle felci, sulle foglie dei noccioli, degli aceri e dei giovani faggi e al limitare bosco sulle erbe inzuppate di rugiada. Qua e là delle sottili lame di luce creano incredibili artifici fatti di intensi chiarori, di sfolgorii improvvisi, di umide lucentezze, nell'ombra profonda e uniforme che un impenetrabile tetto di chiome scure e compatte ha disteso ovunque. 



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Funghi di fine stagione




Stagione, questa del 2019, nel complesso, avara di funghi... Per lunghi periodi è mancata la pioggia (non certo il caldo) e si è dovuta attendere la seconda metà di agosto perché le condizioni meteorologiche mutassero favorendo lo sviluppo dei miceti.
Sì, perché da noi, alle nostre latitudini e alle nostre quote, la stagione dei funghi e di chi li raccoglie inizia generalmente verso la seconda decade di giugno (quando appaiono i primi, sporadici porcini (Boletus edulis subsp. pinicola ?) e qualche “finferlo” o galletto che dir si voglia (Cantharellus cibarius)) e si protrae con alterne vicende solo fino alla fine di settembre quando solitamente i porcini si fanno rarissimi e nei boschi e nei prati spuntano i miceti autunnali che ben pochi cercano nonostante la buona commestibilità di alcuni di loro.



Ma quale la causa o le cause della scarsità di funghi che ha caratterizzato i primi mesi di questa stagione ma anche molte delle stagioni degli ultimi anni? Come dicevo, senza dubbio, le condizioni meteorologiche poco favorevoli ma probabilmente le ragioni sono molteplici e difficili da individuare con sicurezza se non si è davvero esperti.

C'è chi parla di cambiamenti climatici, di autunni e inverni senza neve per lunghi periodi e conseguentemente di terreni gelati in profondità e troppo asciutti al disgelo... C'è pure chi pensa, a mio avviso non senza buone ragioni, che in questi ultimi decenni i boschi sono stati troppo frequentati, il terreno troppo calpestato e si sono raccolti troppi funghi impedendone così la normale “disseminazione”. Probabilmente le cause sono anche altre, molto più articolate e complesse, cause che solo il nostro conterraneo, il grande micologo “solandro” Giacomo Bresadola, avrebbe forse potuto individuare.

Così i funghi si stanno facendo sempre più rari e preziosi ed è inevitabile che questo dispiaccia, egoisticamente, anche alla mia “tavola”. Dispiace di doversi accontentare per quasi l'intera estate di qualche sporadico assaggio di “finferli”(Cantharellus cibarius) o di un misero e incompleto “misto” di pochi e mal dosati funghi (Russola cyanoxantha, virescens, aurata... Boletus Erythropus, Boletus elegans e tridentinus, Cantharellus cibarius e cornucopioides, Lactarius.......) o di una porzione di “ombrelle”, le vistose mazze di tamburo (Lepiota procera ) ben impanate. Solo alla fine di agosto e all'inizio di settembre ho potuto raccogliere una piccola quantità di “brise”(Boletus edulis), una quantità di porcini sufficiente per insaporire, ben essiccati, qualche risotto invernale.


Poi verso la fine della stagione (a metà ottobre), nel mio giardino, come quasi sempre accade, sono improvvisamente sbucati in grande quantità i chiodini (l'Armillaria mellea…..non manca mai) e anche di questi ne ho cucinato un piccolo assaggio come del resto ho fatto con altri funghi autunnali che si rinvengono abbastanza numerosi a fine settembre nei prati e nei boschi nei dintorni del paese (Tricholoma nudum, Coprinus comatus, Lactarius deliciosus...) e che quasi nessuno (terminata la stagione turistica) raccoglie 


Parlavo di “dispiacere” per la scarsità di funghi che sembra caratterizzare ormai molte delle estati che, via via, si susseguono.... (alla mia età sempre più rapidamente). La “sofferenza” va però ben al di là dell'aspetto culinario. Ciò che più mi dispiace, durante queste ultime stagioni avare di funghi, è il girovagare nelle selve senza poter ammirare la stupenda varietà di funghi vistosi e di timidi funghetti, multiformi e multicolori, che solitamente in passato impreziosivano il sottobosco durante l'intera estate.


Perché se ancora mi appassiona percorrere in lungo e in largo il bosco alla ricerca del porcino più grande, sano e bello, da mostrare agli amici e da essiccare per l'inverno... trovo sicuramente più emozionante camminare lentamente nel bosco, tra muschi, acetoselle, felci e mirtilli, e osservare con tranquillità e attenzione ogni minima cosa che arricchisce il terreno, che abbellisce il sottobosco. Ed è questo quello che quest'anno sono riuscito a fare solo a fine stagione, quando il clima si è fatto più fresco e umido e conseguentemente il sottobosco si è finalmente rivitalizzato ed ha sfoggiato una buona varietà di miceti.


Tra settembre ed ottobre, ho potuto ammirare ciò che di bello il bosco offre in questo periodo d'inizio autunno: i muschi, i licheni, le erbe e i cespugli che iniziavano ad ingiallire ma soprattutto i funghi nella loro incredibile varietà di dimensioni, forme, colori... Li ho ammirati nell'ombra scura e compatta della selva più fitta ma anche nella luce, nella luce intensa del primo pomeriggio e nella luce calda ma tenue dell'alba o del tramonto...

Un popolo misterioso di funghi minuscoli, appena visibili e di funghi giganteschi spesso coriacei, legnosi... funghi morbidi, vellutati, lisci o ruvidi, rugosi, squamosi ma soprattutto funghi arricchiti dalle gocce di rugiada o inzuppati dalla pioggia caduta nella notte... che luccicavano sfiorati dai raggi radenti del primo mattino o del tramonto che penetravano, qua e là, tra i rami degli abeti creando incredibili giochi di luci e di ombre. E mi è pure capitato di osservarli sbucare infreddoliti dal sottile manto di neve posatosi durante una notte d'inizio settembre tra gli alberi delle quote più elevate. Uno spettacolo che la natura inaspettatamente mi ha donato.



E come al solito non mi sono scordato di raccogliere qualche esemplare di fungo che mi ha particolarmente incuriosito per cercare di classificarlo, al mio ritorno, individuandone “nome e cognome”, commestibilità o tossicità, luoghi di crescita, ecc. ecc. (sulle orme del grande Bresadola), utilizzando dei semplici manuali di micologia o per maggior sicurezza consultando il mio giovane nipote sicuramente molto più esperto di me




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Tra storia e natura: dal Tonale al Villaggio austroungarico dei Monticelli


Con una digressione alla base della conca di Presena, nella zona dell'Alveo Presena.




Bella escursione sui monti del Tonale in un scenografico ambiente di media e alta montagna dominato dalla imponente mole della Cima Busazza e caratterizzato dalla curiosa e appuntita piramide del Cornicciolo di Presena nonché, più in alto, dalla Cima Presena. Un ambiente rupestre fortemente contrassegnato anche dallo scosceso, affusolato e frastagliato complesso roccioso dei Monticelli, Monticello Inferiore, Medio e Superiore.
Fu in questo scenario, grandioso e selvaggio, che si combatté una buona parte della cosiddetta “guerra bianca” con le truppe che, attestate sul confine tra il Regno d'Italia e l'Impero Austro-ungarico, si trovarono costrette ad operare e combattere in condizioni climatiche e non solo, del tutto proibitive.
I “segni” di quel lontano e tragico conflitto che ancora si possono rinvenire in questa zona sono ormai ben pochi. I recuperanti e il tempo hanno lavorato bene e a lungo. Solo rovistando parecchio tra gli sfasciumi rocciosi si può trovare qualche residuo arrugginito di reticolato, qualche pezzo accartocciato di lamiera, qualche piccola scheggia di bomba. Ciò che invece non è scomparso, ciò che rimane e che, quasi inalterato, sempre si usa senza pensare alla sua origine è il largo sentiero (la parte terminale della mulattiera “arciduca Eugenio”) che si percorre per raggiunge il Villaggio dei Monticelli, meta finale di questa escursione. Questo sentiero, che durante il conflitto mondiale era ben defilato alla vista delle postazioni italiane, sale al margine dell'ampio vallone che si apre al piede dei Monticelli arrivando a ridosso di quella che fu la prima linea austroungarica posta poco più in alto del villaggio militare. Villaggio che altro non era se non un agglomerato di piccole costruzioni realizzate quasi interamente in legno, sostanzialmente una “baraccopoli” di legno, di cui oggi rimangono solamente i basamenti in pietra, distribuiti a gradoni sulle erte pendici del Monticello Superiore. La loro collocazione complessiva evidenzia come l'installazione sia stata accortamente posizionata, nascosta e ben riparata dai proiettili dell'artiglieria nemica ma non altrettanto dalla valanga che, nella notte di santa Lucia del 1916 (ricordata come S. Lucia nera), la travolse con disastrose e luttuose conseguenze. I ruderi del villaggio, bene individuabili anche da lontano, sono, per quanto riguarda la zona del Tonale, una delle più accessibili “testimonianze materiali” di quello che fu la grande guerra sulle nostre montagne; una "testimonianza" che ci dovrebbe far intuire cosa comportò combattere in quota nel gelo, tra dirupi e rocce scoscese. Sì, e proprio vero: i resti del Villaggio dei Monticelli sono veramente una concreta "testimonianza" dell'assurdità di quella guerra.... una volta raggiunti, è impossibile non sostarvi per meditare, per riflettere....
Meditazioni... che inevitabilmente ci riportano indietro nel tempo, che ci riportano ad un periodo che fu durissimo, per non dire tragico, non solo per i belligeranti ma anche per le popolazioni dell'intera valle.
Riflessioni... sull'insensatezza di quel conflitto che pochi anni dopo, ne innescò un secondo altrettanto cruento come quasi sempre accade...

Ma accanto a questo cammino a ritroso nel tempo, a questo "pellegrinaggio" sul fronte della grande guerra, il nostro itinerario, come del resto tanti altri simili percorsi di ricognizione, ci consente anche di immergerci in ampi paesaggi alpestri di grande bellezza in grado di distoglierci, almeno momentaneamente, dalle nostre tristi meditazioni.
A questo proposito, a metà percorso, raggiunta la zona dell'Alveo del Presena (detta del “Cantiere”) prima di affrontare il sentiero che sale al villaggio dei Monticelli, è bene sostare, conviene riposare, contemplare e quindi esplorare i dintorni... Sì, conviene veramente esplorare i dintorni che qui sono particolarmente suggestivi, sono ricchi di vegetazione, varia e lussureggiante, ma soprattutto sono ricchi d'acqua, di piccoli stagni e di torrentelli che si distendono sinuosi su delle ampie superfici pianeggianti, su ciò che resta di due laghi glaciali da tempo insabbiati e quindi scomparsi. Ma... scomparsi non del tutto e non sempre... se si raggiunge questa località a fine inverno, durante il disgelo, questi laghi, per un periodo più o meno lungo, ricompaiono e sulla superficie delle loro gelide acque si possono ammirare, tra il rosseggiare dei rododendri, i monti che vi si specchiano, “la Sgualdrina”, la cima Presena e la Busazza, ancora carichi di candida neve. Ne vale la pena.


Salita all'Alveo del Presena



Alveo del Presena



Salita al Villaggio dei Monticelli



Ai piedi del Villaggio dei Monticelli



Rientro per la stessa via



L'itinerario

Poco oltre la cantoniera del Tonale, a circa due chilometri dal Passo, si lascia l'auto in un piccolo parcheggio sulla sinistra della statale e si scende per poche centinaia di metri raggiungendo la torbiera, un biotopo protetto al cui margine sorge il depuratore delle acque nere qui convogliate dalla stazione turistica. Attraversato un torrente si prosegue in salita su di una strada sterrata, ampia e comoda, che porta all'Alveo del Presena (strada realizzata negli anni '50, nell'intento di servire un cantiere idroelettrico mai insediato e tracciata ricalcando il percorso della mulattiera “arciduca Eugenio” che collegava l'Alpe Presena con la linea del fronte sui Monticelli e sull'alta Val Presena). Dopo tre quarti d'ora di cammino si incontra una galleria percorribile senza torcia (attenzione al ghiaccio quand'è stagione...) e proseguendo per altri quarantacinque minuti all'incirca si giunge all'Alveo del Presena (località altrimenti indicata come “il Cantiere” situata a a 2150 m, al limite inferire della conca Presena). Da questa zona si diramavano le mulattiere per la prima linea del fronte compresa quella che tuttora si può e si deve imboccare per raggiungere in meno di un'ora e mezza il villaggio dei Monticelli meta ultima dell'escursione. Volendo proseguire si può arrivare rapidamente al Passo Paradiso (originariamente Passo del Monticello) subito in vista e raggiungibile con una breve discesa. Per il ritorno si può rifare il percorso dell'andata (scelta vivamente consigliata), o si può scendere in telecabina dal Passo Paradiso al Tonale o infine scegliere il ripido e poco agevole sentiero che corre vicino alla linea del suddetto impianto a fune.



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Il percorso di questa escursione è dettagliatamente descritto nel bel libro di Daniele Bertolini “LA PRIMA GUERRA MONDIALE sui monti del Tonale ---- Storia-luoghi-itinerari” (Itinerario N° 7 – “Dal passo del Tonale al Passo Paradiso”).



Al levar del sole


Si sa che ad una certa età si dorme poco, sempre meno e che una volta svegli si fatica a riaddormentarsi anche perché si viene sopraffatti da “pensieri” non sempre piacevoli che talvolta riescono pure a condizionare la eventuale ripresa del sonno inquinandola di sogni ripetitivi e martellanti per non dire ossessivi. Sono i guai che caratterizzano la terza età almeno la mia terza età. Così, per quanto mi riguarda, conviene abbandonare coperte e lenzuola, conviene rimettersi in piedi e dedicarsi a qualcosa di bello come la lettura, l'attività al computer o, se il tempo meteorologico lo consente, i lavori nell'orto o nel giardino... ma vale pure la pena di mettersi in cammino sulle stradine e sui sentierini che si diramano dal paese.
Ed è quello che ho fatto, più volte anche ultimamente, tra agosto e settembre, camminando a lungo, di buon mattino, nei pressi del paese .
Ed è così che un bel giorno, appena superato l'uscio di casa, rimango sorpreso dalla totale inattività del borgo. Dopo il caos di ferragosto, questa improvvisa immobilità, questo silenzio sono sconcertanti. Non si incontra anima viva... e questa novità, questa inaspettata solitudine mi turba per cui subito abbandono le vie deserte del villaggio e, nella tenue luce del primo mattino, mi avvio, senza una meta precisa, sulle stradine e sui sentieri (questi sì sempre deserti durante l'intero anno) che, nei pressi del paese, tagliano prati e boschi ancora insonnoliti, ancora scoloriti e spenti nell'ombra del primissimo mattino. Vago a lungo... pian, piano, nell'attesa che il sole inizi a rischiarare il paesaggio ravvivandolo, riportandolo in vita.




Percorrendo la stradina del Sant ( loc. Bacheta), assisto al levar del sole. Ho con me la macchina fotografica (perché non si sa mai e non è da escludere l'incontro con qualche selvatico da immortalare) e tento alcuni scatti al castello di San Michele di Ossana con, alle sue spalle, il sole che nasce. Scatti difficili se non impossibili che richiedono un lungo lavoro di post-produzione per recuperare ciò che nascondono. Poi, quando il sole si innalza luminosissimo e distaccandosi definitivamente dai profili dolomitici che delimitano la bassa valle rende impraticabile ogni ulteriore tentativo di immortalarlo fotograficamente, bene, solo allora, cerco altri soggetti degni d'essere ripresi. Esploro ogni angolo dei dintorni muovendomi avanti e indietro sul viottolo del Sant, un viottolo delimitato da un bel muro a secco in gran parte coperto da un vivido tappeto di muschio. Avanti e indietro, alla ricercare della inquadratura migliore, a caccia di quei dettagli, di quelle forme, di quei colori che arricchiti dalla pioggia della notte risplendono alla luce radente del primo mattino. Ai piedi del muretto riprendo felci e ortiche nel sole sempre più alto e potente. E' un sole che impatta sfavillante anche sulle erbe del prato, sul trifoglio, sulle achilee, sulle infiorescenze delle ombrellifere, sulle ultime campanule... e sui rari ranuncoli che, mossi dal vento, sembrano attendere paurosi e tremanti il vicino e definitivo sfalcio. Fotografo così, in tutta tranquillità ma con un pizzico di malinconia nel cuore, le ultimissime e ormai sporadiche note variopinte di un'estate che sta morendo... 



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Due, tre anni fa, lungo la stradina del Sant in località Bacheta, nei pressi del Castello di San Michele di Ossana, si è ripristinato il “paesaggio rurale”. Si è fatta pulizia. Tecnici e operai del Servio Forestale della Provincia, ben forniti di motoseghe, trattori, autocarri e macchine operatrici hanno lavorato lungamente ed alacremente, per ripulire da alberi e cespugli quelli che un tempo erano prati e campi coltivati e che, abbandonati, si erano rinselvatichiti. Un lungo e costoso lavoro... di eliminazione del bosco, di ripristino di sentieri e di muretti a secco nonché di sistemazione, livellamento e semina del terreno. Ne è valsa la pena? Non è detto... per più motivi.
Se è vero che il taglio del bosco ha dischiuso il panorama sulla valle (aprendo la vista anche sul bel Castello prima celato dalla fitta vegetazione), è pure vero che percorrere la stradina del Sant, prima dell'eliminazione della vegetazione arborea ed arbustiva, era un piacevole, salutare e interessante diversivo, una bella passeggiata per turisti e residenti che ora non è più fattibile perlomeno alle stesse condizioni essendo del tutto cambiata la fisionomia del percorso. Prima si procedeva al fresco, nell'ombra scura di giganteschi abeti o, in altri tratti, immersi in un tunnel di fronde, luccicanti nella luce radente del tramonto. Si camminava tra pioppi tremuli, betulle e noccioli dove, a fine estate, scoiattoli e ghiandaie erano di casa... Ora invece, dalla primavera all'autunno, si avanza tra terre inerbite ma prive d'alberi e sempre sotto un sole cocente. E poi per quale ragione abbattere un bosco? Un bosco distante dalle case e che, quindi, non dava alcun fastidio? Per recuperare alla coltivazione delle superfici produttive abbandonate da decenni? Ma quali superfici produttive.... solo dei magri prati e dei pascoli in buona parte ripidi e di limitata estensione. Solo per questo si è distrutto un bosco in formazione, un seppure minuscolo “polmone verde”? Per questo si è eliminato un bosco in grado di incamerare CO2, di catturare una, se pur limitatissima, quota di gas serra?
Non c'è dubbio che l'apporto alla mitigazione del cambiamento climatico di quel minuscolo bosco, ora scomparso, era sostanzialmente nullo ma se, sul piano della qualità e della quantità, questo suo apporto era obiettivamente insignificante non lo era altrettanto sul piano simbolico (o, se vogliamo, educativo). Non è infatti da sottovalutare il discutibile esempio che, sopprimendo un bosco, si è dato nel contesto della lotta al riscaldamento globale. A distruggere i nostri boschi già ci pensano le tempeste di vento come la tempesta Vaia (figlie del clima che muta per cause antropiche?) e non è il caso di aggiungervi anche distruzione operata direttamente dall'uomo..
Di fronte a questo intervento di ripristino del paesaggio rurale (che effettuato in altri ambiti e in altre situazioni potrebbe anche rivelarsi positivo) non si può che restare perplessi, disorientati come lo è stata una buona parte della popolazione (locale e non) che non ha compreso le ragioni di un “operazione” costosa e per certi versi paesaggisticamente e ambientalmente contraddittoria.