Val Piana


Val Piana nei miei schizzi, disegni e pitture varie...


Mi capita sovente, anche se molto meno di un tempo, di salire in Val Piana, poco a monte dell'abitato di Ossana. Vi salgo volentieri perché in questa piccola valle posso ritrovare i segni di un ambiente sostanzialmente integro, posso ritrovare l'impronta di un paesaggio antico nei suoi pascoli, nei suoi boschi e nelle acque libere e limpide che la percorrono.
Solitamente evito di raggiungerla percorrendo in automobile la strada bianca (recentemente sistemata e resa più sicura) che attraversato il nucleo residenziale del Taiadon, alla periferia del paese, si inoltra nel bosco e in breve conduce all'amena località. Preferisco percorrere il Sentiero della Lec che in una quarantina di minuti porta all'imbocco della valle attraversando una zona di notevole pregio paesaggistico e ambientale.

Estate


Ma ecco la “mia” Val Piana!


Val Piana come la vedo io, o meglio come la vidi io, alcuni anni fa, quando la “immortalai" in schizzi, disegni e “pitture” varie...
Quindi nessuna fotografia in questo mio post (fotografie che, del resto, si trovano numerose nel blog, sparse un po' qua e un po' là...) ma solo riproduzioni (in qualche caso rielaborate al computer) di alcuni miei vecchi disegnetti...

Autunno e inverno
Primavera e estate


“Disegnetti” che, almeno nella mia intenzione, ambivano a ritrarre alcuni aspetti della Val Piana colti in diversi periodi dell'anno. Paesaggi invernali, primaverili e autunnali ma soprattutto estivi, quando, durante le ferie, la mia frequentazione di quel piccolo paradiso si faceva più assidua.



Proprio un minuscolo paradiso, la Val Piana, un paradiso che durante la bella stagione è invaso dai turisti e dai valligiani che, volenti o nolenti, inevitabilmente infrangono la immobile tranquillità di cui la Val Piana gode durante gli altri periodi dell'anno. Ma è giusto così: tutti hanno diritto di di ritemprare corpo e spirito respirando la salubre aria dei suoi monti e godendo dei questa integra bellezza che la Val di Sole ancora possiede. E non è l'unica bellezza della valle nonostante le devastazioni, gli sfregi, le deturpazioni che in questi ultimi decenni hanno interessato molti altri siti naturalisticamente e paesaggisticamente pregevoli, in nome di un momentaneo vantaggio economico e di una confusa visione del progresso: icone di regresso e non di avanzamento stabile e duraturo.
C'è da augurarsi che, contrariamente a quanto è accaduto altrove, questa stupenda piccola valle si conservi così come ora la vediamo, intatta, integra nella sua antica sembianza... e c'è pure da augurarsi che tutti la sappiano apprezzare così com'è, usufruendone in modo corretto, comportandosi consapevolmente, da veri amanti e difensori dell'ambiente montano.



Disegni della Val Piana anche in “Google Foto

Bianca neve



E' arrivata.
Finalmente.
Il cielo ha deciso di elargirla e tutti la osservano con benevolenza, alcuni con gratitudine. E' la neve, la bianca neve che nella notte ha sommerso ogni cosa.
Abbondantemente.

Ambiente ripulito e levigato. Immacolato. Rumori limati, paesaggi in chiaroscuro, assenza di colori vivaci e forti.
Una grande quiete è calata sulla valle. Silenzio e immobilità.
Pace.
La bianca neve, con il suo soffice manto che tutto riveste, ha soffocato il guazzabuglio dei suoni e il caotico sovrapporsi delle tinte.
Però la copiosa nevicata, il paesagio totalmente imbiancato (panorama desueto, insolito per non dire raro con l'avanzare della mutazione climatica) non può non richiamare alla mente anche i vecchi ricordi, le immagini d'altri tempi quando la neve non mancava mai. Immagini festose: giochi di bimbi, corse in slitta, capriole nella neve fresca, palle di neve e pupazzi...  E persi nel bianco rumori metallici di lame e badili all'opera… e voli di passeri in stormi numerosi…



Inoltre solo ora, raggiunta la terza età, riesco a scorgere nella neve qualcosa di nuovo, qualcosa che prima mai mi aveva colpito. Solo ora “vedo” la poesia nelle piccole “cose”, nelle minuzie immerse nella neve. Solo ora quando le nevicate stanno diventando eventi quasi straordinari e degni, quindi, di grande attenzione. Solo ora "vedo"... riesco a cogliere a pieno la bellezza di un paesaggio imbiancato ma anche e soprattutto il fascino che emana anche un nonnulla quando è avvolto dalla neve.
La foglia secca, ancora appesa al ramo, baciata da mille minuscoli fiocchi, il piccolo abete che occhieggia sommerso nel morbido manto, le infiorescenze del nocciolo coperte di vitrei cristalli, lo scricciolo che ispeziona la piccola cavità aperta come una ferita nella trapunta immacolata, i traslucidi candelotti di ghiaccio appena velati di bianco, il soffice candore sulle rugose cortecce del vecchio larice, il pettirosso che svolazza qua e là e che infine si posa sui rami della betulla affioranti dalla neve...
E' proprio vero. Solo la straordinarietà di un evento un tempo molto comune qual'era una abbondante nevicata, può fa nascere il piacere della ricerca, l'interesse per i dettagli. Può far crescere il desiderio di scoprire qualche prezioso gioiello ben nascosto tra i fiocchi di neve  accumulati sul terreno gelato o sulla vegetazione rinsecchita.



Il tempo passa, passano i giorni e passano pure le settimane. Più non cade la neve, più non scende altra bianca neve. Il cielo la nega.

Il vento scolpisce il vecchio manto, lo modella increspandone la superficie. Il gelo notturno consolida, indurisce le candide onde. Durante il giorno, il sole di febbraio, basso ma già forte, le accarezza lievemente, le pennella, anche sui pendii più ombrosi.
La neve si compatta sempre più. Il suo spessore diminuisce, la consistenza da soffice e omogenea si fa grumosa. La metamorfosi è continua, legata all'escursione termica giornaliera, al mutare dell'umidità dell'aria e in generale alle condizioni meteorologiche sempre più variabili con il cambiamenti climatico. Talvolta, negli ambienti più freddi la superficie della coltre nevosa si ricopre di un tappeto cristallino: sono scaglie che brillano, che riverberano la luce quando il sole, verso mezzogiorno, riesce ad irraggiarle anche solo per un breve periodo.

Il tempo passa, le giornate si allungano e si fanno più tiepide.

La neve, pian piano, si squaglia. Sui versanti più ripidi e meglio esposti è addirittura scomparsa. Il sole, a poco a poco, raggiunge anche le pendici più fredde e riscalda pure il fondovalle più ombroso dove la neve, accumulata e compressa sul margine delle stradine, lentamente inizia a dissolversi componendo astratte e caduche sculture, qua e là ravvivate dal sole del tramonto.
I raggi bucano le fronde degli abeti: sono schizzi di luce, sono bagliori sulla bianca neve e luccichii sulle creste ghiacciate. E sono ombre profonde dove il sole non impatta...
Contrasti e giochi di luce sull'ultima neve. Neve luminosa, risplendente dove picchia il sole, sole calante ma ancora potente. Al contrario neve opaca, azzurrina e grigiastra nell'ombra, nella semioscurità della sera ormai incipiente.



Tutte le foto in “Google Foto”    


Perché e come due galli forcelli finirono in un fotomontaggio


Una storia d'altri tempi


Grande fu la delusione che mi prese quando dopo una lunga e logorante scarpinata notturna raggiunsi il regno del fagiano di monte, regno che trovai abbandonato e silente. Delusione per certi versi prevista dato l'inevitabile rumoroso crepitio del mio procedere sulla neve ghiacciata… Delusione attesa anche se, lo ricordo bene, in cuor mio, mentre faticosamente salivo avvicinandomi al limite della vegetazione arborea, qualche speranza rimaneva ancora... perché, ben si sa, la speranza è sempre dura a morire.


Quando, superato il bosco fitto, emersi allo scoperto al cospetto delle arene di canto, i già modesti rugolii e i già infrequenti soffi dei bei tetraonidi erano cessati del tutto e, nei dintorni anche meno prossimi,  non si scorgeva nemmeno un esemplare, nemmeno in alto, sulle punte dei larici, intento, come solitamente accade, a pizzicarne le gemme novelle. Il sole non era ancora sorto, l'ora era propizia, ma evidentemente i sempre vigili fagiani di monte, allarmati dal mio rumoroso sopraggiungere, erano volati via eclissandosi nelle macchie di mugo e di ontano verde. Qua e là, sulla coltre bianca che ancora celava gran parte dei cespugli di rododendro restavano le tracce dell'amore, delle “parate” d'amore, delle danze frenetiche e, forse, di qualche combattimento per il dominio dell'arena di canto. Restava qualche minuscola piuma e ben impresse le impronte delle zampe e delle ali premute sulla neve dei forcelli che dopo essersi confrontati avevano lasciato la radura.


Tutto questo accadeva molti anni fa, (trentacinque-quaranta?)... quando ero tenacemente impegnato nell'esplorazione degli angoli più remoti dei miei monti, i monti dell'Alta Valle, alla ricerca di nuovi scorci, di panorami sempre più ampi e diversi, di fiori alpestri e di fauna selvatica da immortalare fotograficamente e, perché no, talvolta pure pittoricamente.
In particolare l'“avventura” di cui racconto accadeva sul crinale tra la Val Piana e la zona di Fazzon e Val Baselga, sulla cresta a monte della cosiddetta Piramide dove i versanti si fanno ripidissimi (a ovest degradano verso i dirupi dei Crozi dei Meoti) e dove ai sentieri si sostituiscono antiche tracce difficilmente individuabili soprattutto con la neve, neve ancora molto presente in quel lontano mese di maggio.


Di quella primaverile impresa oltre al ricordo di una occasione mancata, mi rimanevano alcune diapositive (il digitale era di là da venire). Erano pochissime immagini: le orme della “parata nuziale” e alcune panoramiche tra le quali quella di un sole nascente che accarezzava con i suoi deboli raggi radenti la minuscola arena di canto innevata con le impronte del gallo forcello impresse in primo piano.




Parecchi anni dopo, non so dire quanti, con l'abbandono della fotografia analogica scansionai le mie migliori diapositive (con mio primitivo scanner “casalingo”) inserendole in un archivio digitale nuovo di zecca. Ritrovai così gli scatti di quella lontana escursione e, ricordando l'amara delusione di quella mattinata, pensai di poter supplire, in qualche modo, all'assenza del gallo forcello nella foto del “balz” appena illuminato dal sole.



Sì, ora finalmente potevo depositare nell'immagine panoramica, con un semplice “copia incolla”, i mancati protagonisti, quei fagiani di monte che, nella realtà si erano volatilizzati. Era sufficiente prelevarli da delle fotografie scattate in altre località e depositarli al posto giusto. Con un artificioso giochetto realizzai un fotomontaggio, un falso più o meno riuscito... una "costruzione" fotografica da non spacciare assolutamente come immagine reale…





Ora i due tetraonidi erano lì, nell'arena di canto, due piccole sagome scure nella neve, appena percettibili nel sole nascente. Una magra consolazione che non attenuava la memoria di una bruciante delusione. Una fotografia che descriveva, in qualche modo, quello che poteva essere stato e che non era stato… e che sicuramente non compensava l'amarezza di quella lontana mattinata.






Le foto sono anche in "Google Foto"