Maggio tra i prati e i boschi della Val di Sole

“Lascia di quanto in quanto i sentieri battuti e inoltrati per i boschi.
Troverai certo qualcosa che non hai mai visto prima.
Probabilmente si tratterà di una piccola cosa, ma non ignorarla.”
Alexander Graham Bell                        


In maggio una breve, semplice passeggiata nei dintorni del paese può rivelare piacevoli sorprese se si osserva ciò che si incontra con interesse e attenzione, con la mente aperta alla considerazione delle “piccole cose” e l'animo predisposto allo stupore per i mutevoli volti della natura.






Lasciata la stradina che costeggia il torrente Vermigliana oltre lo "Spiaz dei Spini” affronto i ripidi prati coltivati che qualche coraggioso contadino ancora si ostina a falciare durante la bella stagione. Sono prati magri che quest'anno si presentano ancora più miseri con l'erba che solo ora inizia a crescere e ad allungarsi con un certo vigore.





La cotica erbosa ha sofferto di un inverno gelido e senza neve e di una primavera, fino a pochi giorni fa, asciutta e calda. Ora le cose stanno cambiando. Anche questa notte è scesa la pioggia a inzuppare la terra secca ma il sole del mattino, che qui picchia forte, ha già in gran parte asciugato il manto verde.






Solo al margine dei prati, lungo il bosco che li racchiude e li ombreggia, la terra è ancora bagnata e fiori e fili d'erba risplendono ai raggi del sole che penetrano a fatica tra le fronde dei noccioli e dei pioppi tremuli.






Mentre, tra prato e bosco, le minuscole viole sembrano ancora nascondersi negli angoli più oscuri le gialle ombrelle dei fiori della “Primula officinalis” si elevano invece dalle zolle ancora brulle, decise e farsi ammirare nel loro umido scintillio.





Più umili i gialli, ranuncolacei “botton d'oro” iniziano solo ora ad emergere timidamente dal mare verde delle basse erbe del prato. Sono in gran parte immaturi, molti sono ancora boccioli verdastri in lenta crescita che toccati dal sole hanno perso anche il loro umido ornamento, dono inconsistente dell'acquazzone notturno.






La pioggia caduta nel buio della notte ha risvegliato le chiocciole che ora, nella luce del giorno, lentamente si trascinano alla ricerca di un nuovo, scuro rifugio prima che il sole dissecchi completamente il terreno.





Raggiungo la mulattiera che taglia orizzontalmente i prati e si dirige verso il bosco; bosco di abete rosso e larice con cespugli di nocciolo ai loro piedi. La percorro penetrando nel fitto della selva mentre il sole va e viene, coperto a tratti dalle nubi della notte che ancora non si sono completamente dissolte.







Ora la stradina è più larga e inizia a salire nell'ombra scura delle conifere gigantesche. Poi più avanti il percorso si fa ancora più erto, solo qua e là rischiarato dal sole frontale e diretto che penetra a fatica tra le fronde degli abeti.






Fronde basse che mi sovrastano appena quasi a racchiudermi per lunghi tratti in una buia galleria. Più avanti svettano le alte chiome di un verde intenso e scuro a tratti punteggiate da mille stelline brillanti, perle d'acqua raggiunte dal sole che buca le nubi.






Il bosco è umido, ancora intriso d'acqua. Le violette e i bianchi fiori dell'acetosella hanno il capo piegato sotto il peso delle grandi gocce che ancora li coprono. Sembrano in umile attesa, in attesa che i caldi raggi del sole li liberino da un peso insopportabile...





E il sole vince il duello con le nubi e raggiunge finalmente e definitivamente la vegetazione, riscaldandola e creando nuvole di vapore che si sollevano dal suolo e si innalzano lentamente espandendosi e offuscando alla vista non solo gli alberi più lontani e le cime dei monti ma anche i cespugli di nocciolo e i rami dei larici e degli abeti più vicini.




Lievi velature biancastre che appiattiscono i colori, rimescolano le forme, confondono i contorni. Confuse trasparenze e nitidi chiaroscuri, luci marcate dove picchia il sole e ombre nette dove il sole manca. Magici contrasti. Nel bosco aleggia una misteriosa atmosfera che sembra preludere alla comparsa di quella fantastica e mitica creatura, signora delle foreste, di cui da sempre si favoleggia...






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Il risveglio delle marmotte sui monti di Vermiglio


Anche quest'anno le marmotte si sono risvegliate uscendo dal lungo sonno invernale. Risveglio tardivo rispetto a quanto solitamente accadde. Quest'anno l'inverno è stato particolarmente freddo e a lungo privo di neve, la terra si è ghiacciata in profondità e questo ha probabilmente allungato il loro letargo.




Salgo di buon mattino sui monti di Vermiglio, nei pressi di passo Tonale, diretto verso i pascoli della Val di Strino, praterie ancora parzialmente imbiancate dalla neve caduta fuori stagione, alla fine aprile e nei primi giorni di maggio. Supero rapidamente i primi tornanti dell'austroungarica via militare che conduce al Forte Zaccarana, lasciando alle mie spalle un ripido e fitto bosco di conifere e mi inoltro, deviando sulla stradina che conduce alla Malga Strino, nel rado lariceto che precede le nude praterie alpine.



Un tempo, era questa la zona dove a fine inverno si potevano osservare i caprioli... in grande numero, caprioli intenti a brucare i crochi primaverili sbocciati tra bosco e prato. Ora non più. Ora il numero dei caprioli è drasticamente diminuito. I cervi che si sono stabilmente insediati sui monti della valle fanno loro concorrenza; la loro presenza disturba il delicato capriolo così come lo infastidisce quella dei mufloni, animali questi, estranei alla fauna autoctona e insensatamente introdotti in alta Val di Sole per il diletto dei cacciatori.




Avanzo con cautela, attento a non far rumore ma di caprioli riesco solo a intravederne un esemplare nel fitto del lariceto, una femmina... giovane e fragile come fragile ormai lo è l'intera popolazione dei suoi simili, probabilmente, a mio parere, impoverita e debilitata anche da una pratica venatoria che troppo spesso opera una selezione “alla rovescia” alla ricerca del bel “trofeo”, del capo maturo e forte da abbattere anziché dell'animale debole o malaticcio.






Proseguo e... come mi attendevo, ecco i mufloni al pascolo,... un numeroso gregge di femmine con i piccoli nati da poco che subito fuggono nascondendosi nel folto del lariceto. Belli i mufloni ma decisamente fuori luogo...




Stupendo anche il raro rampichino alpestre che osservo mentre a piccoli balzelli risale il grosso tronco di un larice utilizzando a tratti anche la coda come punto di appoggio. Fruga con il lungo e sottile becco nelle screpolatura della corteccia e poi scompare dietro il tronco per non più riapparire... purtroppo si è lasciato ammirare solo per pochi istanti.

Lascio il lariceto alle mie spalle e proseguo sulla mulattiera che si fa sempre più ripida. D'un tratto, sbucando da una curva, un fischio mi fa sobbalzare. Un fischio acuto che lacera il silenzio. Ci siamo... finalmente le marmotte ! Nel fuggi fuggi generale non riesco a vedere l'esemplare che lancia i suoi striduli gridi d'allarme. Poi... eccola lassù, la marmotta, dritta sulle zampe posteriori. E' un giovane, forse di un solo anno, dalla pelliccia particolarmente chiara. Mi avvicino lentamente. Ad ogni fischio il suo corpo è scosso da uno spasmo, gola e petto fremono, la bocca si apre, il dorso s'incurva. Si impegna a lungo ma infine, spossato, è costretto a terminare in decrescendo i suoi gridi disperati ed esausto si abbassa e si accovaccia. Allora, in lontananza, altre marmotte più mature e autorevoli gli danno il cambio.





In estate questi pascoli sono molto frequentati da valligiani, dai turisti e dagli escursionisti diretti alla Città Morta, ai Laghetti di Strino, alla Cima Redival, al Torrione di Albiolo. Quassù pascolano numerosissimi bovini e anche qualche cavallo. Nella malga si lavora il latte e si producono ottimi formaggi.




Le marmotte che colonizzano la zona si sono adattate alla numerosa presenza umana ma si dimostrano sempre molto prudenti. Chissà, forse hanno interiorizzato il terrore delle loro antenate che quassù, sicuramente, in tempi ormai lontani, venivano cacciate e perseguitate dall'uomo.. Restano diffidenti, circospette, esemplarmente prudenti... anche nei miei confronti.



Mi apposto in prossimità di due tane e non devo attendere molto per veder apparire le marmotte che vi si sono imbucate. E' buffo vederle emergere lentamente, sporgere prudentemente il musetto dal foro terroso, fiutare l'aria, allungare la testa, restare immobili esaminando i dintorni con l'occhio scuro che brilla al sole e infine, rassicurate, uscire definitivamente dal terreno, il corpo sollevato a metà con le “manine” completamente protese e i “piedi” ripiegati sotto il posteriore.




A poco a poco, vincendo il timore, muovono qualche passo, brucano qualche filo d'erba, si distendono per un attimo al pallido sole allontanandosi appena dalla tana per rientrarvi precipitosamente ad ogni un mio brusco movimento. Riemergono più volte diventando sempre più curiose e confidenti, pur non cessando di sorvegliarmi con il loro sguardo furbetto e simpatico.


Ben diverso il comportamento nei riguardi dei loro naturali predatori, l'aquila e la volpe. Il grido d'allarme è modulato con tonalità e ritmi diversi a seconda di chi si sta avvicinando e certamente è ben differente da quello lanciato nei confronti dell'uomo. L'aquila avvista la preda a grande distanza, la coglie di sorpresa passando da un versante all'altro della valle, l'arpiona con gli artigli e spesso la strappa dal suolo senza nemmeno posarvisi. La volpe caccia soprattutto in primavera, attende la sua preda sul bordo della tana ancora ricoperta dalla neve. Comunque io l'ho sorpresa anche in piena estate mentre si aggirava in mezzo alle colonie cercando di inseguire e catturare i piccoli, nati da poco e totalmente privi di esperienza.

Fa freddo. Scure nubi temporalesche iniziano ad oscurare il sole e nell'ombra che avanza si alza un vento forte e gelido. Meglio rientrare, discendere a valle e abbandonando rapidamente il campo... Del resto nei dintorni c'è ben poco da osservare. Oggi le marmotte devono essere in gran parte sprofondate nelle loro gallerie sotterranee e questo, vista la stagione, mi sorprende alquanto. Solitamente in questo periodo c'è grande vivacità, grande movimento sulle praterie alpine colonizzate da questo sciuride. Si avvicina infatti il periodo degli amori e i maschi si danno battaglia per il possesso delle femmine mentre i marmottini si danno alla pazza gioia cimentandosi in frenetici inseguimenti e capriole collettive. Ma oggi nulla si vede, la colonia è stranamente tranquilla.


Colpa del tempo, del freddo, del vento, delle nubi che a tratti coprono quel sole che le marmotte tanto amano.... Ma forse la colpa è dell'inverno appena terminato, gelido e senza neve che potrebbe aver fatto le sue vittime e la popolazione potrebbe essere stata decimata. E' infatti risaputo che un inverno particolarmente freddo può causare durante il letargo numerosi decessi per ipotermia soprattutto tra i giovani dell'anno. Che sia questa la causa di questa inconsueta calma piatta su tutti i pascoli della Val di Strino? Improbabile ma non da escludere totalmente. Comunque avrò certamente occasione di sciogliere questo mio dubbio in una prossima, ulteriore escursione da queste parti.



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I "Masi da Mont" di Deggiano








Dopo quasi due anni ritorno ai “Masi da Mont” sopra Deggiano, un piccolo nucleo di vecchi fienili posti dove le ripide pendici del versante solatio della valle spianano leggermente, aprendosi in slarghi di pendenza relativamente dolce.





Sono dei pittoreschi, rustici masi, alcuni ancora ben conservati, altri cadenti, dove un tempo si stoccava il fieno raccolto nei prati circostanti ma anche nelle lontane, magre praterie al di sopra del limite della vegetazione arborea.


Fieno con cui si alimentavano le vacche che quassù, nei ricoveri al piano terreno dei masi, venivano stallate in autunno fino all'esaurimento del foraggio. Qui solitamente rimanevano da ottobre a dicembre, poi discendevano a valle rientrando nelle piccole stalle del paese. I contadini ogni giorno da Deggiano,  a 930 m slm, salivano fin quassù a 1250 m, percorrendo una ripida mulattiera spesso innevata, per alimentare il bestiame, pulire le stalle, cambiare lo strame, mungere le mucche, per poi ridiscendere portando sulle spalle i "congiai", i contenitori metallici colmi di latte. Talvolta erano costretti a fermarsi la notte per aiutare le mucche a partorire.


Attorno ai masi si estendevano gli spazi fertili, un tempo falciati o intensamente coltivati, come del resto intensamente lavorato era l'intero versante, anche nelle sue zone molto più erte, tutte terrazzate, scolpite dai muretti a secco che sostenevano minuscoli campetti coltivati a frumento, grano saraceno, segale, orzo, patate ma anche lino e canapa. Prati e campi che si susseguivano ai campi e più in alto, a monte dei masi, ripidissimi pascoli alberati fino a raggiungere le rocce e le ultime praterie oltre il limite della vegetazione, praterie d'altura che pure venivano falciate almeno una volta l'anno per sfruttare anche il loro profumatissimo ma magro e spesso coriaceo foraggio (erba visega).




Territori diversamente lavorati ma tutti sempre intensamente utilizzati. Territori che oggi sono abbandonati. Oggi le coltivazioni si limitano a poche comode superfici facilmente lavorabili con i moderni macchinari agricoli, piccole estensioni di prati falciabili raccolti attorno all'abitato. Tutto il resto è stato abbandonato... e così il bosco negli ultimissimi decenni ha avuto il sopravvento e ha riconquistato dopo secoli, forse millenni, i terreni che l'uomo, con immense fatiche gli aveva sottratto.



In poco tempo, mutata l'economia della valle il paesaggio è conseguentemente mutato. I ripidi, vasti pascoli del tempo passato, solo leggermente ombreggiati dai larici, si sono fittamente rimboschiti trasformandosi in dense abetaie. Alberi di latifoglie, ormai maturi, sono cresciuti nei terreni abbandonati da tempo, erbacce, rovi cespugli hanno invaso i prati e i campi dismessi da poco e questo in tutta la valle, non solo a monte di Deggiano... Il versante soleggiato della val di Sole ha cambiato rapidamente il suo volto.



Non più agricoltura di sussistenza, estesa sull’intero territorio a sfruttare anche gli appezzamenti più piccoli, erti, magri e lontani ma poche aziende zootecniche grandi e ben organizzate. Poi il turismo e molte altre nuove attività… e l'abbandono dei paesi aggrappati alla montagna, belli, solatii ma tanto distanti dai servizi e dal lavoro. Belli e solatii, dai panorami mozzafiato, che tanto piacciono ai turisti per trascorrevi qualche settimana nelle case e nei masi, acquistati e ben ristrutturati.


Un cambiamento radicale che in pochissimo tempo ha rotto un equilibrio, ha rivoluzionato un modo di vivere fermo, sostanzialmente immobile da tempi immemorabili trasformando conseguentemente il paesaggio montano… Per molti versi quasi un ritorno alle origini, un ritorno all'aspetto selvaggio che la valle doveva avere dopo l'ultima glaciazione allora presumibilmente coperta interamente dalle selve. Un cambiamento inarrestabile non sempre negativo per i benefici effetti del bosco sulla protezione del suolo e sulla riduzione dell’effetto serra attraverso l'assorbimento di anidride carbonica da parte delle essenze forestali.



Ma il mutamento in atto con la semplificazione del paesaggio e la scomparsa di ambienti antichi e ben curati è comunque una perdita e comporta inevitabilmente anche un certo sentimentale rimpianto per un rustico e solidale anche se misero e faticoso, modo di vivere, di interpretare la vita. 
Un mutamento ambientale che va talvolta limitato ma soprattutto, per quanto possibile, controllato e guidato... ed è quello che il “Servizio foreste e fauna”della Provincia ha iniziato a fare con i suoi “cantieri” in alcune zone della valle e tra queste anche la nostra zona, la zona dei Masi da Mont.


Sono cantieri di lavoro, quelli del Servizio forestale, descritti come “Interventi di conservazione, sistemazione e ripristino del paesaggio rurale” che sostanzialmente prevedono, dopo i necessari accordi con i proprietari, il recupero agricolo dei fondi che si sono naturalmente trasformati in bosco. Le piante vengono abbattute e il terreno viene sistemato e inerbito rendendolo agibile alle moderne macchine agricole. Sono interventi che se effettuati scegliendo con oculatezza le zone da “trattare” hanno certamente una notevole valenza soprattutto paesaggistica restituendo, almeno localmente, quell'alternarsi pittoresco di prati, pascoli, frutteti, campi, boschi, radure e incolti che un tempo caratterizzava l'intera valle.

Nella località “Masi da Mont”, dove i lavori stanno volgendo alla fine, mi sembra che il risultato sia positivo e la zona ha ora un aspetto ben diverso, molto più aperto e attraente, rispetto a quello che osservai durante la mia lunga passeggiata di due anni fa, un aspetto che dovrebbe avvicinarsi a quello del tempo che fu... Allora il bosco comprometteva la vista che ora può spaziare dal fondovalle alle cime del gruppo dolomitico del Brenta e del gruppo granitico della Presanella. Inoltre mi dicono, che per il futuro mantenimento degli prati ricavati disboscando e decespugliando i dintorni dei masi non ci saranno problemi: un allevatore del posto se ne occuperà provvedendo al loro sfalcio, reso semplice e vantaggioso dai terreni ora ben sistemati, puliti e livellati.




Ma sarà così ovunque? Non è detto che ogni restituzione di terreni che si sono naturalmente rimboschiti alla loro passata destinazione, cioè a prato, a seminativo o a pascolo, migliori necessariamente la loro valenza paesaggistica. Molto dipende dalla situazione ambientale locale e quindi a mio parere è determinante scegliere con oculatezza le zone da “trattare”. Inoltre oggi di “rurale” in valle ne resta ben poco e prima di ripristinare il paesaggio rurale bisognerà essere certi di poterlo poi realmente destinare all'agricoltura per un periodo molto ma molto lungo, considerando anche il non indifferente impegno economico che l'operazione comporta.

In alcune realtà potrebbe, dopo dochi anni, verificarsi un nuovo ritorno del bosco sui terreni recuperati al “paesaggio rurale” magari per le inadempienze di qualcuno dei proprietari o semplicemente per il trascorrere degli anni, i passaggio dei terreni agli eredi o altro, con costi di conservazione che inevitabilmente potrebbero ricadere sulla collettività anziché sui privati.
Sicuramente queste mie considerazioni sono del tutto superflue, forse inopportune, perché ogni intervento sarà certamente stato programmato e lo sarà anche in futuro con la dovuta attenzione. Quanto è stato fatto ai Masi da Mont sembra confermarlo: ai masi da Mont l'operazione sembra riuscita e sono certo che così sarà anche in altre zone, dove si inizia a intervenire e dove si interverrà più avanti.

I "Masi da Mont" sono raggiungibili da Deggiano in poco meno di un'ora di cammino a piedi. E' possibile ma sconsigliabile, salirvi anche con
un'automoble a quattro ruote motrici per la stradina bianca alquanto dissestata in alcuni tratti e con un imbocco particolarmente ripido. 

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Il monolite ora custodito in un robusta teca appositamente
realizzata.
Non ancora predisposta la didascalia.




Un monolite è stato rinvenuto in loc. Masi da Mont, presso Deggiano, da Luca Webber, durante una gita sul territorio dell’Associazione Val di Sole Antica e rappresenta un importante documento per la conoscenza della storia locale compresa tra la prima età del bronzo e quella del ferro. Quasi sicuramente si può supporre che sia stato utilizzato a scopo di culto e che le incisioni furono effettuate sul masso in due differenti periodi, il primo periodo è riferibile ai culti pagani, coppelle, il secondo aveva l’intento evidente di cristianizzazione degli antichi culti locali, il simbolo a croce latina. Un incavo artificiale sul masso fa supporre che sia stato modificato artificialmente dall’uomo con l’intento di integrarla in una costruzione più complessa.
Il centro rurale dei Masi da Mont non finisce di stupirci, affermando l’importanza del luogo regalandoci altre sorprese.
Nelle sue vicinanze abbiamo rinvenuto una pietra appena affiorante dal terreno di forma zoomorfa recante coppelle sulla sua sommità. Altre coppelle, di fattura più recente, sono state trovate sulle soglie dei masi confinanti.

I volti di un inquieto inizio di primavera




Idilliaca primavera




Era iniziata bene la primavera. Dopo un lungo, freddo inverno si respirava finalmente l'aria nuova di una soave primavera.




Negli scorsi mesi la neve era mancata. Il terreno sgelato si presentava compatto e arido ma ora, finalmente, qualche leggera pioggerella faceva ben sperare e il primaverile profumo di terra bagnata iniziava anche quest'anno a diffondersi nel fondovalle. Negli angoli più caldi e protetti dal vento spuntavano i primi fiori.


Il salicone era fiorito da tempo e ora sui pendii ben esposti i suoi amenti viravano rapidamente dal grigio al giallo attirando nugoli d'api intente a raccogliere il primo nettare della stagione. Chiazze violette di anemoni trilobapunteggiavano all'improvviso il margine del bosco e il bianco dei crochi a poco a poco inondava i prati e i pascoli.
Era proprio primavera... ed era bello camminare per le stradine nei dintorni del paese, procedere nel vento immersi nelle nuvole di polline degli alberi in amore.


Primavera in progressione



I giorni passavano, era arrivato aprile, le giornate erano calde e serene, erano giornate primaverili stupende ma... più non pioveva.




Altri fiori erano comparsi, acetosella, farfaraccio, tossilaggine, violette, primule, dente di leone... Era fiorito anche il biancospino e i ciliegi selvatici si preparavano a fiorire. Sui larici erano comparsi i primi ciuffetti di aghi verdi e sui cespugli del bosco, sul nocciolo, sul sambuco, sull'acero, sulle betulle e sugli ontani... si aprivano le gemme e spuntavano le prime tenere foglie.



Ed era bello immergersi nella natura che riprendeva vigore dopo il gelo invernale. Camminare e poi sedersi ed ascoltare il canto degli uccelli ed osservare i loro acrobatici inseguimenti... Si, era proprio bello muoversi tra prati e boschi immersi in una limpida primavera che ormai aveva preso vigore... ma non pioveva più e purtroppo nulla faceva presagire l'arrivo della pioggia.


Siccitosa primavera


Non pioveva e la portata del torrente diminuiva di giorno in giorno anche con il venir meno dell'apporto dello scioglimento della neve ormai visibile solo alle quote più elevate.




Le sorgenti sui versanti della valle buttavano sempre meno acqua. La terra era sempre più arida, i prati faticavano a rinverdire, l'erba cresceva a chiazze stentate. La temperatura, sempre molto alta, induceva le piante da frutto del mio giardino ad una fioritura troppo precoce e chi viveva di agricoltura iniziava ad essere giustamente preoccupato per la carenza d'acqua..



Era bella la primavera! Fin troppo bella... Era una primavera sempre serena e calda... fin troppo calda e insolitamente secca. Del resto anche l'inverno era stato un inverno insolito: freddo ma siccitoso, troppo secco... Forse queste anomalie meteorologiche erano omaggi, regali del cambiamento climatico di cui tanto si parlava. Forse... non c'era la certezza ma lo si poteva comunque sospettare.




La fioritura iniziale svaniva e la siccità crescente rallentava la comparsa di altri fiori. Così la fin troppo bella primavera perdeva colore, perdeva profumo e si inaridiva sempre più. Il cielo quasi sempre azzurro si stava pian piano trasformando in una cappa opprimente, quasi angosciante. Ormai si iniziava a desiderare solo la pioggia.


Primavera rivelatrice


La poca neve caduta durante l'inverno rivestiva ormai solo i pendii più elevati e dalle distese ancora candide cominciavano ad emergere massi e rocce scure e tutto faceva presumere che ben presto sarebbe stato possibile organizzare qualche escursione anche lassù, in quota.


Più in basso, tra pascoli e boschi che stavano ormai rinverdendo, sulle pendici che fanno da sfondo alla “Valeta”, la Val di Pejo, ai piedi della mastodontica vetta del Vioz, nel Parco dello Stelvio, risaltavano nettamente le bianche piste “firmate” di neve artificiale a lungo sparata dai cannoni durante l'inverno. Lunghe, isolate, assurde serpentine immacolate. Un incredibile quadro rivelatore ad opera della primavera, uno stupendo biglietto da visita per chi ama il luna park dello sci ma certamente non per chi si appresta a visitare quello che presume essere un Parco all'insegna di una natura rispettata e protetta. Questo presentava la zona più in vista del Parco dello Stelvio a metà aprile, questo mostrava al valligiano e al forestiero...




Senza vergogna metteva in prima pagina gli aspetti più deteriori dell'area trentina del Parco dello Stelvio peraltro molto più vasta e finora altrove ancora ben salvaguardata... mostrava la triste realtà di ciò che spesso si spaccia per sostenibilità ambientale in un contesto naturalisticamente protetto, mostrava le incongruenze tra il dire e il fare, in definitiva divulgava apertamente le contraddizioni di una gestione che nella migliore delle ipotesi è costretta a mediare dovendosi rapportare costantemente con gli interessi economici legati al turismo stagionale, il turismo delle settimane bianche dei nuovi ricchi.

Un turismo questo, poco lungimirante, che sottovaluta i futuri e sicuri cambiamenti climatici, legato alle mode del momento, che ben poco considera le opportunità offerte da una corretta valorizzazione di un territorio unico, di enorme pregio paesaggistico e naturalistico. Un territorio quello del Parco Nazionale dello Stelvio (o Provinciale?) che se ben gestito potrebbe consentire il viraggio progressivo verso un turismo di qualità, responsabile, meno impattante e distruttivo e quindi più duraturo. Un turismo che non utilizzi solo strumentalmente, come oggi spesso accade, solo la bella, ma in parte vuota etichetta del Parco per i suoi dépliants pubblicitari.


Gelida primavera 


E dopo il caldo il freddo. Il gelo giunse improvvisamente, dopo Pasqua, con il forte, asciutto e gelido vento del nord.



Giorni limpidi e sereni ma con temperature molto al di sotto della media stagionale, con forti escursioni termiche e valori abbondantemente sotto lo zero per l'intera notte. Non si trattava di un fatto eccezionale. Le giornate gelide non sono mai state rare in aprile, talvolta arrivano anche in maggio. Non si possono escludere anche le nevicate. Ma l'attuale straordinarietà climatica, che lentamente, di anno in anno, si sta trasformando in consuetudine, è il sopraggiungere del caldo primaverile anzitempo.



Caldo che risveglia la natura sottoponendola, del tutto indifesa, alle gelate tardive. Un tempo ormai lontano la fioritura dei fruttiferi nei nostri giardini e nei nostri “bròli” non avveniva mai prima della fine di aprile. Quest'anno a metà aprile il mio albicocco era già sfiorito, ciliegi, maraschi, susini, peri e noci... erano in piena fioritura come quasi tutti i miei meli di antica varietà.



E così, come già in parte accade lo scorso anno, il gelo li ha colpiti annullando il futuro raccolto. Pazienza... In realtà quello che mi preoccupa veramente è questo clima che sembra cambiare sempre più rapidamente mentre ben pochi se ne interessano... e ben poco si fa contro l'effetto serra che secondo la gran parte degli studiosi è la vera causa di questi mutamenti...


Questa la narrazione dell'inquieto inizio di primavera del 2017, come io l'ho vissuto.
Ora, a fine aprile, è finalmente arrivata la pioggia e sui versanti della valle è ricomparsa anche la neve il che fa ben sperare.


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