…...Chi era costui ?








     Un irredentista poco conosciuto. 

              Il suo nome è Mario Polisseni






Confesso la mia ignoranza... Quando la scorsa estate mi capitò tra le mani il libro, fresco di stampa, “Scandiano e la grande guerra” di Marco Montipò in cui si ricorda Mario Polisseni, giovane irredentista e volontario solandro, rimasi alquanto sorpreso, stupito. Ma chi era costui? Poi, pensandoci bene, mi rammentai di una conversazione tra un mio parente ed un amministratore comunale di Ossana, alla quale, casualmente, ebbi modo di assistere molti anni fa. I due parlarono della possibilità o meglio, se ben ricordo, dell'opportunità di rievocare la figura di un irredentista, (evidentemente Mario Polisseni), deceduto nelle file dell'esercito italiano, ponendo una semplice targa su quella che fu la sua casa natale, nella frazione di Cusiano (che, va ricordato, fu pure il paese d'origine di Ergisto Bezzi, personaggio di primo piano del Risorgimento italiano, garibaldino, volontario nell'impresa dei Mille). Poi più nulla. Di Mario Polisseni non sentii più parlare...
Oggi, a più di cento anni dalla scomparsa, la figura di questo sfortunato giovane viene “riesumata” ma (e mi viene da aggiungere un purtroppo) non da uno studioso di storia locale, solandro o trentino che sia, ma da un appassionato cultore della storia di Scandiano e dintorni in quel di Reggio Emilia: Marco Montipò. Nel suo libro racconta come, ai primi del novecento, sia stato il “destino” a condurre Domenico, padre di Mario, nella sua terra, a Scandiano, dove, superate le iniziali difficoltà, riuscì a stabilirsi definitivamente facendosi raggiungere dai figli Battista, Aurelio e Bortolo. Ma più che il “destino” fu la povertà, il bisogno, a spingere i maschi di quella, come di molte altre famiglie della valle, a cercare fortuna in pianura trasformandoli da contadini e piccoli allevatori a paroloti stagionali ed itineranti (ramai – calderai ambulanti invernali).

Alcuni di loro, e tra questi i Polisseni, si integrarono talmente bene nel nuovo ambiente da diventare, in poco tempo, immigrati stanziali. E fu così, che il giovane Mario, allo scoppio della guerra, trovò il modo lasciare la Val di Sole per trasferirsi a Scandiano accanto al padre e ai fratelli.
Alcuni mesi dopo l'entrata in guerra dell'Italia Mario, secondo quanto racconta il nostro autore, si presentò volontariamente al Comando militare per arruolarsi dando così concretezza al suo ideale di irredentista. A novembre, ad addestramento concluso, Mario fu inviato al fronte. La Strafeexpedition (spedizione punitiva) della tarda primavera del 1916 lo trovò a Cogni Zugna e a Passo Buole impegnato nei feroci combattimenti che bloccarono gli austriaci impedendo loro di sfondare il fronte e di dilagare in Pianura Padana.








Purtroppo però il sogno di Mario e la conseguente avventura irredentista terminò qui. Sul campo di battaglia fu colpito, non da una pallottola nemica o da una scheggia di granata ma da una grave malattia che lo condusse alla morte. A nulla valsero le cure e il lungo ricovero nell'Infermeria militare. Mario Polisseni venne sepolto nel cimitero militare di Ala accanto ai numerosi caduti negli aspri scontri di Passo Buole.
Questo in sintesi di quanto scrive il Montipò che, va detto, alla fine del corposo capitolo dedicato all'irredentista solandro, elenca pure le numerose targhe commemorative che riportano il suo nome. Si trovano in diverse località: più d'una si trova a Scandiano, altre a Reggio Emilia e nel suo Trentino, a Rovereto e a Trento...







A parer mio va soprattutto ricordata la lapide murata sul monumento ai caduti di Ossana. Su quella lapide il nome del giovane irredentista Mario Polisseni è accomunato, in ordine alfabetico, al nome di tutti quei suoi compaesani che arruolati, volenti o nolenti, nell'esercito austroungarico, persero la vita, nelle lontane terre della Galizia, combattendo sul fronte opposto o che perirono di malattia, di stenti o di prigionia.
Storie, molto diverse tra di loro ma che uniscono in un unico tragico finale i figli di un pacifico e in buona parte inconsapevole popolo di montagna. Vicende legate ad una guerra sanguinosissima, che pochi anni più tardi non mancò, come spesso accade, di innescarne una seconda... altrettanto cruenta.




Le pagine del libro “Scandiano e la grande guerra” che parlano di Mario Polisseni sono in “GoogleFoto

(Per gentile concessione dell'Autore)


Una stradina poco frequentata, tra il fondovalle di Ossana e i pendii di Strombiano




Metà ottobre. Mattinata fresca ma limpida e serena, mattinata che non è il caso di sprecare rimanendo chiusi tra le 4 mura di casa. Decido di occuparla con una camminata, una lunga passeggiata, 4 passi su di una stradina che ben conosco ma che da parecchio tempo non ho più avuto l'opportunità di calpestare. E' una stradina, una mulattiera che si imbocca lasciando alle spalle le strade asfaltate, in particolare e per ultima la strada provinciale della Val di Pejo, proprio dove questa ha inizio, dove si distacca dalla Statale del Tonale, nei pressi di un ponte sul fiume Noce alla periferia del paese di Fucine. Questa stradina, dalle origini incerte che si perdono nel tempo, collega il fondovalle con il piccolo, soleggiato abitato di Strombiano sul versante sinistro della “Valeta”. Il suo primo tratto percorre la zona di “Corina”, toponimo locale con cui viene indicato pure la piccola edicola votiva (Capitel de Corina) dedicato alla Madonna che fa bella mostra di sè proprio all'inizio dell'itinerario... Uno dei molti segni del sacro chi costellano la valle intera.


...Itinerario poco frequentato... ed è un vero peccato perché si tratta di un percorso su di un viottolo che, nonostante non si sviluppi in una zona paesaggisticamente particolarmente attraente, offre comunque (oltre alla vista di qualche, seppur raro, meritevole scorcio panoramico) la possibilità di attraversare delle macchie selvose botanicamente interessanti. Macchie che sono il risultato di lontane attività di rimboschimento (formazioni di pino nero) ma che sono soprattutto la naturale evoluzione floristica dei terreni abbandonati dall'agricoltura, dei piccoli e piccolissimi appezzamenti di terreno rubati alla montagna terrazzando anche i pendii più ripidi per seminarvi, fino a non moltissimi anni fa, cereali e patate. Nell'intrico degli alberi e dei dei cespugli che hanno riconquistato i campi e i prati dismessi si intravedono ancora i resti dei muri a secco che sostenevano i fazzoletti di terra coltivata da cui dipendeva il sostentamento della popolazione locale.
Ma lungo questo percorso si incontra anche un altro segno del trascorrere del tempo, un importante testimonianza della storia locale, una testimonianza che si perde nei secoli. E' una torre di guardia, o meglio i ruderi di una antica torre di guardia probabilmente risalente al duecento o al trecento. I possenti resti della struttura, localmente chiamata la “Casàcia”, emergono scuri e ben visibili a monte del nostro sentiero, emergono dalla folta vegetazione di latifoglie che ottobre ha colorato con le sue calde tonalità autunnali.


Ed è proprio in questo tratto del percorso, quando la mulattiera inizia a salire con una più accentuata ma sempre contenuta pendenza, che la vista si apre su di una splendida tavolozza autunnale, si dischiude sulle fiammate giallo oro, arancioni e rossastre della vegetazione ottobrina. Uno spettacolo! Un'esplosione di colori, un incantesimo che si accende nell'aria frizzane e nel silenzio di questo versante così poco trafficato non solo ora ma anche durante l'estate, durante la stagione turistica estiva. E a questo proposito va detto che il periodo più adatto per percorrere questa zona non è certamente quello estivo quando il sole, in questa zona, picchia forte durante l'intera giornata, ma è il periodo primaverile e quello autunnale che sono più freschi e paesaggisticamente molto più coinvolgenti.


Proseguendo la salita si rinvengono, di tanto in tanto, delle panchine, pochissime in verità... si incontra pure una fontana ricavata da un grosso tronco e.... inaspettata una biforcazione del sentiero dal quale si diparte una ripidissima pista che scende, attraversando la strada provinciale della Val di Pejo, fino al Forno di Novale. Una interessante alternativa per il ritorno che può consentire di raggiungere l'abitato di Fucine per altre vie, vie diverse e pure interessanti.
Più in alto, ormai prossimi al paesino di Strombiano, il panorama si apre sulle cime che chiudono la “Valeta”: Cima Vioz e Cima Taviela. Monti bellissimi ma quasi totalmente primi di neve, rocce nude, rossastre, prive di quei ghiacciai e nevai che un tempo le rivestivano anche a fine estate. Sono i ghiacciai e i nevai della mia giovinezza, scomparsi per sempre a causa di un mutamento climatico sempre più evidente, un cambiamento che non lascia alcun margine di dubbio. Ghiacciai e nevai destinati a vivere solo nel mio ricordo... a causa di politiche ambientali fallimentari... a causa dell'umana insipienza...


Ora ai bordi dell'ultimo tratto della stradina si aprono dei prati ben rasati. Sono prati che occupano i pendii non ripidissimi più prossimi all'abitato. Evidentemente qui esistono ancora dei contadini ancora attivi nonostante il radicale mutamento dell'economia locale... sono contadini che si ostinano a sfruttare almeno i terreni meno erti per ricavarvi il foraggio necessario all'allevamento del bestiame...
Sul versante opposto anche il paese di Comasine con, poco più in alto la sua isolata chiesetta di Santa Lucia e ancora più su l'antica zona mineraria da tempo abbandonata, appaiono attorniati dagli appezzamenti di prati falciabili. A conferma che in Val di Pejo, qualche cosa dell'antica attività agricola, seppure rivisitata e modernizzata, riesce ancora a sopravvivere...
Ma ormai siamo arrivati... e il viottolo sta per innestarsi su di una delle strade asfaltate del paese. Ai suoi lati sorgono i primi masi e le prime case abitate di Strombiano. Qui ha termine la salita che dal fondovalle mi ha condotto più in alto, alla periferia di questa frazioni del comune di Pejo. Frazione che, se si ha tempo, conviene visitare scoprendo le rustiche particolarità architettoniche dei suoi edifici ma soprattutto i suoi preziosi gioielli: la cappella settecentesca dedicata a Sant'Antonio da Padova e, se aperta al pubblico, la Casa Grazioli (o casa “de la Bega”), una antica casa contadina che conserva in ogni suo ambiente le testimonianze del modo di vivere di tempi ormai molto lontani... tempi dimenticati...



Tutte le fotografie in “Google Foto


Malinconiche camminate tardo autunnali


Ultime brevi uscite della stagine...




























Quanta malinconia... Mi attendevano i lunghi mesi freddi da trascorrere lontano dai miei monti. Il ritorno della bella stagione sembrava lontanissimo, quasi irraggiungibile. L'atmosfera tardo autunnale, umida e nebbiosa accentuava la tristezza del distacco imminente.




























Camminavo lungo le stradine e i sentieri deserti del versante che sovrasta il paese accompagnato dal leggero borbottio delle magre acque del torrente Vermigliana serpeggiante sul fondovalle. Non un cinguettio di uccello, non uno scampanio di mucca al pascolo...




























L'estate era ormai lontana. Tutto era silente. L'autunno aveva vestito di ruggine il larice e il faggio, aveva punteggiato di bacche rosso e lucenti il sorbo, la rosa canina, il berberis e aveva dipinto d'oro l'acero, la betulla e il pioppo tremulo... poi le folate di vento avevano rubato molte foglie soffiandole via, trascinandole in vortici giocosi per depositarle infine a terra nell'attesa della neve che le seppellirà per sempre...




























Le foglie cadute rivestivano lunghi tratti del sentiero. Era un manto fradicio seppure non ancora marcescente ed odoroso. Nei dintorni gli aghi dei larici, ad ogni minimo alito di vento, si staccavano, si libravano nell'aria, si disperdevano e planati nel sottobosco si accumulavano qua e là in sottili cuscini brunastri...




























Arrancavo... arrancavo tra gli alberi sul ripido viottolo coperto dal tappeto di foglie inzuppate dalla pioggia dei giorni passati. Poi, più in alto, seguivo le piste che tagliano il pendio, che si snodano sinuose e quasi pianeggianti tra muschi umidi e ancora verdi, felci brune e appassite, cespugli spogli e inquietanti e sporadici larici rugginosi... E sempre ero immerso nei vapori biancastri che si levavano dalla terra umida...




























Non c'era più il sole abbagliante che solo qualche settimana prima ravvivava i ricchi colori d'inizio autunno. Le belle, vivaci tinte autunnali erano ormai in gran parte spente. Resisteva a fatica solo il giallo delle foglie su qualche pioppo tremulo ben riparato dalle folate di vento e il rosso delle bacche dei cespugli di rosa canina e del crespino ma era un rosso smorto, un rosso opaco.




























Sul versante opposto la nebbia si insinuava tra le conifere dei ripidi boschi d'alta quota, si posava morbida sui pendii rocciosi, saliva e avvolgeva i monti penetrando in ogni anfratto. Poi lentamente scompariva aprendo per qualche istante dei minuscoli e nitidi scenari fatti di di selve e cime ombrose. Quindi si materializzava nuovamente, vagabondava, mimetizzava i versanti restituendo al paesaggio il suo indefinito aspetto ovattato.




























I rami spogli che, nel silenzio, nell'umidità, nella foschia, si ergevano verso il cielo grigio sembravano invocare la neve. Un soffice manto di neve... a coprirli e proteggerli delicatamente. Triste avvisaglia dell'inverno ormai prossimo.




























“E' tempo di migrare”, pensai... Era giunta l'ora del distacco, era veramente giunto il momento dell'abbandono, l'ora del rientro definitivo in città dove avrei trascorso i mesi più freddi nel ricordo del lungo periodo tiepido gioiosamente vissuto nella “mia” valle.




























Sì, era ora di migrare e, fatti salvi alcuni brevi rientri invernali al paesello (speravo ben innevato), era proprio giunta l'ora di trascorrere la brutta stagione nel caos della città...




























Sì, era ora di migrare... Ma, camminando immerso nella nebbia del mio rientro, già mi vedevo ripercorrere questi stessi sentieri durante la prossima primavera. Sì, erano questi stessi sentieri però ridipinti a nuovo dal sole d'aprile. Mi vedevo quassù a camminare tra questi alberi... alberi ora spogli ma che con i primi tepori sarebbero rinati a nuova vita, rivestendosi di tenere foglie leggermente pigmentate di delicati verdi pastello.




























Mi vedevo girovagare al margine di questi boschi, di questi ripidi pascoli nuovamente vivi, mi vedevo girovagare sul fondovalle tra i prati punteggiati di bianco, di giallo e di viola... punteggiati... al festoso fiorire dei crochi, delle primule e degli anemoni...




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