Un picchio rosso nel giardino di casa

ma non solo… anche cince, fringuelli, organetti, ciuffolotti…





Con il sopraggiungere del freddo alcuni piccoli uccelli che durante la bella stagione visitano il giardino non si vedono più. Il raro torcicollo se ne è andato da tempo ma anche i cardellini sono migrati a quote inferiori e le ballerine bianche hanno scelto altre località più ricche di cibo… molti pettirossi hanno abbandonato il giardino così come la maggior parte dei fringuelli e dei merli. Non vedo più la capinera sulle piante da frutto e i codirosso con la coppia che aveva nidificano in un angolo appartato del giardino. Scomparsi pure i codirosso spazzacamino e i numerosi luì piccolo che colonizzavano il grande acero come pure l’averla piccola e lo storno che in verità non osservo più da alcuni anni…


In autunno fanno la loro comparsa le ghiandaie alla ricerca di noci e nocciole nel prato non ancora coperto dalla neve. I pomi del sorbo degli uccellatori attirano merli e tordele e con l’avvicinarsi dell’inverno nugoli di ciuffolotti. Sulle betulle svolazzano e si avvinghiano ai rametti penduli i lucherini e gli organetti per estrarre e becchettare i piccoli semi dalle infruttescenze. Cinciallegre, cinciarelle, cince more visitano frequentemente il giardino soprattutto nella stagione fredda e talvolta a loro si uniscono i codibugnoli. Succede, seppure raramente, di osservare il rampichino che zampetta rapido salendo sul tronco rugoso del vecchio larice. 


Quest’anno, all’inizio di gennaio, quando la neve aveva da poco imbiancato il fondovalle, ha fatta la sua sorprendente comparsa anche un picchio rosso maggiore accompagnato da uno stuolo di cince. L’ho spiato a lungo dalle finestre di casa intento raccogliere le noci tra la neve. Le trasportava sull'amareno e le incastrava in una piccola nicchia nel tronco. Con veloci colpi di becco rompeva il guscio e piluccava il gheriglio… e le cince attendevano svolazzando impazienti di poter recuperare i resti del suo pasto.
Interessante, emozionante visione che si è più volte ripetuta prima del mio rientro in città.




Mano libera con Pentax K5 - obiettivo Pentax 300 mm f 4.0 - Immagini ritagliate per ingrandire soggetti troppo lontani.


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Gelido inverno lungo il torrente.

Fine dicembre. La neve, tanto invocata, non era ancora arrivata. Non era un fatto eccezionale. Anche in passato Natale non era sempre stato un “bianco Natale”. L’assenza di precipitazioni perdurava però da più di due mesi ed era accompagnata da temperature particolarmente miti soprattutto in quota. La prima misera, ma veramente misera nevicata sulla valle si sarebbe vista solo con l’inizio del nuovo anno.

Tutto era gelato, anche il rumore
(Jules Verne)
La totale assenza di neve mi consentiva di scarpinare come durante la bella stagione per stradine e sentieri nei dintorno del paese alla ricerca di scorci in grado di rompere la monotonia dello squallido, opaco, bruno e brullo paesaggio tardo autunnale.







Tra la Poia e il Fil, lungo il canalone selvoso del torrente Vermigliana, in inverno non si vede quasi mai il sole e la temperatura sale raramente sopra lo zero. L’aerosol e l’umidità dell’aria si condensano rapidamente in minuscole formazioni di ghiaccio donando al paesaggio un incantevole aspetto.




I massi nel letto del torrente sono ricoperti da un sottile velo bianco così come la sabbia e i ciottoli sulla riva. Sugli argini le erbe secche, i lunghi steli rigidi, i fitti cespugli sono interamente avvolti da acuminati cristalli di ghiaccio creando un fantastico, gelido fondale al freddo fluire delle acque. Brina e galaverna ammantano magicamente l’intero fondovalle lungo il torrente Vermigliana parzialmente ghiacciato.




Il sole emerge per pochi istanti dalle creste dei monti e si affaccia sulla piccola radura tra gli abeti nei pressi del torrente. Magici raggi luminosi che donano vita, per pochi istanti, alle spente trasparenze dei cristalli di ghiaccio sbocciati sulle erbe e sugli steli rinsecchiti. A poco a poco mille minuscole luci colorate si accendono e brillano nella radura… Poi tutto lentamente si spegne, i bagliori svaniscono, il sole scompare dietro gli alberi e calano le ombre di sempre.




Tutto è silenzio, tutto è immobile nel gelo di questo interminabile autunno. Nella penombra si ode solo il lieve brusio dello scorrere dell’acqua tra i ghiacci e le rocce. Non spira un alito di vento. I salici con i lunghi sottili rami di cristallo rivolti al cielo sembrano invocare la neve. Solo con la neve, coperti dal suo bianco mantello, potranno finalmente abbandonarsi al lungo sonno invernale. 
Il colore della primavera è nei fiori; il colore dell’inverno è nella fantasia



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Pentax K5 - obiettivo Pentax 100 mm f 2.8 macro


Larici secolari sul monte Boai

Sui versanti soleggiati del monte Boai, al limite della vegetazione arborea dove sopravvivono alcuni contorti larici monumentali.

Lunga scarpinata invernale, senza calpestare la neve, nell'habitat del fagiano di monte...





Giornata limpida e serena. La temperatura in quota è primaverile, quasi estiva nonostante il sole smorto, pallido e così basso da sfiorare la cima della Presanella. Superflui i guanti, il berretto, la giacca a vento, le felpe che io e il mio amico ci siamo portati ("perché in montagna specialmente in questa stagione non si sa mai…”) appesantendo e gonfiando inutilmente lo zaino. E’ davvero uno strano autunno quello che si prolunga ormai da più di due mesi. Un autunno mite e asciutto che non vuol cedere il passo all’inverno. Non c’è la minima traccia di neve. Quella, abbondante, caduta sui monti in ottobre si è squagliata da tempo anche sulle creste più elevate. Ne rimane un misero souvenir solo sulle ripide pendici permanentemente in ombra di qualche alta cima. Giù, nella valle fa più freddo. I terreni ombrosi e le sponde dei torrenti appaiono chiari, azzurrognoli per la brina e la galaverna che si è abbondantemente depositata su pietre, erbe, steli e cespugli. E’ l’effetto delle masse d’aria fredda che stazionano sul fondovalle nella totale assenza di vento, di qualsiasi corrente d’aria che le smuova.
Non posso non pensare che questo autunno così particolare, così anomalo potrebbe essere causato dal cambiamento climatico dovuto all'aumento delle temperature. Difficile stabilirlo… impossibile esserne certi… Però...




Lasciata l’automobile a Dasarè, poco a monte di Cortina di Vermiglio, saliamo per la comoda strada forestale fino a raggiungere le casette rustiche (ma fin troppo eleganti, quasi fuori luogo…) edificate sulle rovine di antichi masi ai piedi di una ripida e vastissima radura che si apre tra i fitti boschi di conifere.



Abbandonata la strada, tagliamo per il viottolo che sale ripido costeggiando i prati e toccando via, via altri fabbricati ricavati ricostruendo o ristrutturando baite abbandonate e cadenti.  Raggiunta nuovamente la strada forestale arriviamo in breve ai due edifici di Malga Boai, la vecchia grande stalla dal tetto di scandole quasi interamente sprofondato sotto il peso della neve di qualche anno fa e il nuovo edificio, ricostruito, non comprendiamo a quale scopo, sulle rovine del vecchio casolare dei malgari.



Bello quassù alla vecchia Malga Boai, tanto sole e uno stupendo panorama sulla Presanella e sulla bassa valle dominata dal sasso Rosso e dal monte Peller. Ma proseguiamo, avanzando sulla comoda pista che conduce in Val Saviana per abbandonarla poco dopo e salire per la ripida stradina fino al “Bait del Caciol”. E’ questa una piccola, strana costruzione che sorge al centro di un prato-giardino delimitato da  una robusta staccionata.


Non è un rustico maso, non è un riparo per pastori o cacciatori, non sembra una ristrutturazione più o meno riuscita di una vecchia baita… richiama piuttosto, così, alta e stretta, tutta in legno e con il grande camino metallico, lucido e sporgente, il ricovero di un solitario cercatore d’oro sulle Montagne Rocciose già visto in qualche vecchio film western… Superato rapidamente un erto prato proseguiamo per il lungo e stretto sentiero quasi pianeggiante che tagliando l’intero versante a mezzogiorno tra radi boschi d’altura e pascoli non più pascolati conduce al crinale che precipita ripido verso la Val di Pejo.


E’ questa la zona degli spettacolari larici secolari che fitti e contorti coprono la visuale lasciando appena intravedere le cime del Gruppo Ortles Cevedale. Siamo a limite della vegetazione arborea e qui riposiamo e ci rifocilliamo prima di scendere a valle seguendo un percorso in parte diverso. Pochi minuti di cammino nel bosco, sul percorso dell’andata e dove si apre il pascolo imbocchiamo il sentiero che scende ripido ai due “Masi de Casse”. No, non sono più i vecchi, piccoli e cadenti masi di un tempo ma due nuovissimi edifici per il tempo libero a quota 1990 forniti di ogni confort e che nulla hanno a che vedere con le vecchie costruzioni…



Anche la mulattiera che li raggiunge salendo dal basso non è più la stessa, è stata molto allargata pur mantenendo lo stesso ripidissimo tracciato. Per questa via raggiungiamo la strada forestale poco a valle di Malga Boai e la seguiamo per un lunghissimo tratto per distaccarcene solo in prossimità di Dasarè. Scegliamo infatti la scorciatoia che toccando un ultimo maso abbandonato prosegue tra bosco e prato fin quasi alla nostra meta finale dove ci attende la macchina.



Davvero una bella escursione, quasi un pellegrinaggio sui monti della mia giovinezza quando salire lassù, verso cima Boai, era una consuetudine che si ripeteva regolarmente anche più volte ogni anno, soprattutto a primavera… Si, perché a maggio con il ritorno del cuculo, proprio lassù, poco a monte dei larici secolari, dove il bosco iniziava a cedere il passo ai pascoli alti si poteva assistere alle parate d’amore del gallo forcello… Era uno spettacolo emozionante che mi lasciava ogni volta senza fiato. A volte salivo anche più su, se la neve lo permetteva, verso la cima per osservare le pernici bianche all’inizio della loro muta estiva.
L’ambiente del monte Boai, trenta, quaranta anni fa era alquanto diverso… Il limite della vegetazione arborea si è molto elevato, il bosco d’altura si è infittito e si è estenso a spese dei pascoli non più pascolati. Anche più in basso, a Malga Boai, i prati ormai abbandonati iniziano a rimboschirsi. Le baite, i vecchi masi sono stati quasi tutti ricostruiti (anche se alcuni ben poco integrati nel contesto circostante) con un totale stravolgimento della loro destinazione d'uso. Non più fienili, ricoveri per la fienagione, stalle per mucche, capre e pecore ma nuovi edifici per vacanze rilassanti a contatto con la natura o per fine settimana in rumorosa compagnia…
Che dire di tutto ciò? Semplicemente e con un filo di nostalgia che i tempi anche quassù sono davvero cambiati…




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Prima neve sulla valle






Ecco la prima neve!
Tanto invocata! Tanto supplicata! Tanto attesa…
Finalmente con il nuovo anno è apparso l’inverno e, arrancando pian pianino, ha portato la prima nevicata, i primi fiocchi bianchi… Una breve, misera nevicata di poche ore ma sufficiente per ripulire l’aria e donare alla valle, seppure in ritardo la tanto sospirata atmosfera natalizia.






Sui versanti della valle non si notano più le assurde, bizzarre serpentine bianche di neve artificiale incollate al giallo spento dei prati e dei pascoli alti o ritagliate nel verde dei boschi per il diletto degli “sportivi” con gli sci ai piedi ad ogni costo.




Sembra che nessuno, men che meno gli operatori turistici,  si preoccupino più di tanto per i cambiamenti climatici in atto. Ben pochi si chiedono se questo “autunno primaverile”, questo  autunno 2015, sostanzialmente azzerato da un clima secco e mite, sia un’anomalia, un evento accidentale o sia invece un ulteriore segno del "clima impazzito", del tempo che sta rapidamente mutando. Solo qualcuno in valle va timidamente sostenendo che anche lo sfasamento stagionale come le precipitazioni brevi ma intense, i nubifragi, le “bombe” d’acqua… potrebbe essere dovuto all'aumento della temperatura a livello globale a causa dall'effetto serra.


Ma non pensiamoci troppo, adattiamoci e non preoccupiamoci… godiamoci lo stupendo paesaggio, minimamente innevato, che ancora una volta l'inverno è riuscito, anche se in ritardo e nonostante tutto, a regalarci e andiamo avanti imperterriti… anche con la nostra attività turistica tradizionale, sempre meno sostenibile, con altri impianti e altre piste da sci e i nostri bei cannoni per la neve artificiale nella ottimistica convinzione che nel frattempo le cose si aggiusteranno da sole… e che in futuro riavremo i nostri stupendi inverni con le rigide temperature del passato e con tanta neve per tutti,... neve sempre e in abbondanza... Cerchiamo di illuderci...



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Fotografie scattate il 2 e il 3 gennaio, lungo stradina del Fil (Poia o Spiaz dei Spini) che costeggia il Torrente Vermigliana.

Novaia

"El Gioanin de Novaia"


Novaia, nel comune di Commezzadura, è una località posta a monte della frazione di Mastellina sul ripido versante a mezzogiorno della vallata. E’ ben visibile dal basso con il grande edificio che spunta, lassù, poco a monte dell’abitato, dove il bosco scosceso spiana cedendo il posto ad un grande prato per riconquistare poi le erte e a volte rocciose scarpate, su, su, fino ai pascoli alti.

Ho visitato Novaia in compagnia del mio amico giungendovi da uno stretto sentierino che si diparte da Deggiano. Novaia è comunque raggiungibile anche salendo per una mulattiera direttamente da Mastellina o più comodamente per la strada forestale che si imbocca in corrispondenza al secondo tornante della “comunale” che porta a Deggiano. Proprio disquisendo sulla realizzazione di questa  strada forestale, avvenuta all’incirca una quindicina di anni fa, il mio amico mi ha parlato del “Gioanin” che abitava nella casa di Novaia e che a lungo si era opposto alla costruzione di questa nuova via di accesso alla sua tenuta. Gioanin (o Giovanin?) temeva che la strada portasse chissà quali sconvolgimenti nella sua isolata realtà. Singolare personaggio “el Gioanin”, secondo quanto mi racconta il mio amico… Molti gli aneddoti ma anche i “si dice” intorno alla figura di questo uomo “antico”, purtroppo scomparso già da alcuni anni…

Se ho ben compreso Gioanin fu l’incarnazione della resistenza alla modernità, ai "tempi nuovi", a molti aspetti del cosiddetto progresso... Fu la personificazione, quasi l’emblema di un modo di vivere lontano, superato... e il Gioanin lo fu soprattutto durante l’ultimo periodo della sua vita quando in valle tutto stava vertiginosamente e radicalmente cambiando... “El Gioanin” con il suo perseverare nel condurre un’esistenza isolata impersonò la sopravvivenza di un’epoca in cui abitare nei masi sulla montagna distanti dagli abitati non era certo un fatto inconsueto. Con il suo modo di vivere così fuori dal tempo incarnò il ricordo di un’era in cui l’agricoltura di sussistenza, l’autosufficienza alimentare, erano essenziali per la sopravvivenza della famiglia... fondamentali per campare, per tirare avanti...  In definitiva Giovanin rappresentò la memoria del vecchio mondo contadino che stava scomparendo.

“El Gioanin”, mi racconta l’amico, ha trascorso tutta la vita isolato a Novaia, nella sua estesa proprietà, in compagnia prima della famiglia di origine (genitori e quattro figli) poi della sola sorella. L’edificio, ora abbandonato, era l’abitazione di Gioanin, ma anche fienile e stalla per il suo bestiame. Allevava mucche, capre, conigli, galline… teneva le api… coltivava campi di patate, segale, orzo, mais, frumento… e macinava i cereali con il suo piccolo mulino elettrico, unica concessione alla moderna tecnologia. Coltivava l’orto con sementi antiche che riproduceva di anno in anno conservando varietà di ortaggi rari o ormai scomparsi… Coltivava erbe officinali e raccoglieva erbe medicinali con cui si curava… Portava il latte, giù al caseificio di Mastellina dove volentieri si fermava a  chiacchierare.
Si perché era un uomo aperto, molto socievole e pur vivendo isolato nel suo dominio, nel suo rifugio sopra il paese era loquace e incantava chiunque con “detti” antichi, proverbi per ogni occasione, filastrocche e canzoncine che cercava di tramandare oralmente ma che ormai ben pochi ricordano. Quassù vennero (così si dice) personaggi molto noti dell’intrattenimento televisivo e politici nazionali di primo piano per conoscerlo e per strappargli qualche segreto.
E ora di tutto ciò cosa rimane… Il bosco ha conquistato la maggior parte del terreno che il Giovanin coltivava… L’appezzamento a prato che circonda la casa e che originariamente doveva essere terreno arativo, sembra venga ancora falciato… chissà da chi. Nel piccolo orto recintato e addossato all’edificio crescono le infestanti ma si distinguono ancora una grande pianta di rabarbaro, delle tagete e un enorme cespuglio di alloro che si riscalda sulla calda facciata a mezzogiorno.

Solo il Gioanin poteva riuscire ad allevare un alloro così vigoroso a queste quote! Nel prato sono ancora numerosi i vecchi alberi da frutta abbandonati, inselvatichiti e in parte rinsecchiti, sono preziose, antiche varietà di ciliegio, melo e pero.
Una incantevole desolazione… e quanto sole, quassù a Novaia… e un panorama stupendo sulla valle che fa sognare e che invoglia a fermarsi qui per sempre... e così ben si comprende come “el Gioanin” sia voluto restarsene quassù fino alla fine dei suoi giorni.



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