Gelide acque invernali











Fine dicembre. Dopo poco meno di due mesi risalgo nuovamente il torrente Vermigliana percorrendo una strada bianca che lo costeggia a lungo sulla sua sponda destra. La stradina si imbocca poco a monte dell'abitato di Fucine, raggiunge lo Spiaz dei Spini (detto anche del Fil) e prosegue poi un poco oltre in un bel bosco di conifere.















Nel post Gelide acque autunnali descrivevo (con l'ausilio di molte fotografie) l'aspetto di questo torrente che con l'avanzare dell'autunno scorreva ormai nell'ombra perpetua, incuneato in uno stretto, scuro e malinconico fondovalle.





Trovavo particolarmente suggestivo il dinamico riflesso ramato sulle acque del torrente. Era il bosco autunnale sul versante solatio della valle che si specchiava negli slarghi a monte delle nuove grandi opere filtranti.





Trovavo pure incantevole l'aprirsi delle acque sul coronamento delle vecchie briglie in muratura e il loro tranquillo precipitare nei bui catini sottostanti.




Così come, nei tratti più ripidi dell'alveo, l'insinuarsi vorticoso della magra portata fra i grossi massi dell'alveo tra salti spumeggianti e gorghi ribollenti... In tutto questo risiedeva il fascino dell'ombroso torrente Vermigliana nello scorso autunno, un autunno armai avanzato.



Ora, a fine dicembre, la portata del torrente è ulteriormente diminuita. La temperatura si è fatta più rigida, il freddo punge ma il vero freddo, il “grande freddo” ancora non è arrivato (arriverà poco dopo, solo pochi giorni dopo...). Ancora non si è vista la neve ( e non la si vedrà ancora a lungo...) e così il paesaggio senza neve è ben poco stimolante, è piatto, incolore, monotono, manca di quel biancore che solitamente, durante il periodo natalizio contribuisce a rischiararlo, illuminando di luce riflessa le brevi giornate di fine anno.






Ma il nostro torrente riesce comunque a mantenere un certo fascino anche in un ambiente spoglio e privo di attrattive... si tratta comunque di un fascino molto particolare, un fascino gelido che induce alla malinconia....




E' la magia del ghiaccio in formazione, del ghiaccio che inizia a condensarsi sulle sponde, tra i massi e le rocce affioranti dove l'acqua schizza abbondante precipitando e rimbalzando tra gli scogli e le pareti sassose dell'alveo sconnesso... Gli spruzzi si consolidano in placche di gelo traslucide, in astratte sculture di cristallo, in candele di gelo immobili o oscillanti sulle acque del torrente che riflettono, scompongono e amplificano la piatta luce invernale. 





Ghiaccio e ancora ghiaccio che regala al torrente e all'ambiente circostante una piccola nota di gelida vivacità, che dona sporadici bagliori, sprazzi di luce che accendono il paesaggio nella piatta, quasi tenebrosa uniformità di un inverno privo non solo di neve ma anche di brina.






L'acqua che si distende nei bacini di deposito a monte delle briglie di trattenuta e che in autunno offriva al passante la vista di magici, dinamici grafismi policromi è ora in gran parte ghiacciata.






Tra le ripide sponde si estende una piatta scurissima distesa di gelo, solcata al centro da una stretta corrente liquida e bordata da un sottile, fragile e irregolare nastro di ghiaccio screziato e biancastro che contorna pure i rari, tondeggianti massi granitici affioranti.





Una sinuosa pittura astratta che, quando il sole bacia per qualche ora il ripido pendio soprastante, si arricchisce di vivaci riflessi, di screziati chiarori aranciati e bruno-dorati che sfumano sciogliendosi nel ghiaccio buio. Come in autunno è ancora il bosco ben illuminato che si specchia sulla superficie del torrente.






Torrente ghiacciato che rimanda immagini statiche ma che può ancora creare, come in passato, anche dinamici balenii, mobili luccichii sull'acqua che scorre libera e fluida al centro dello slargo.






Un merlo acquaiolo (sarà lo stesso di due mesi fa?) sorvola veloce le distese ghiacciate e risale le rapide che succedono al pianoro in cerca di pozze d'acqua non gelata in cui tuffarsi a caccia di larve o di piccoli avanotti di trota.






Più avanti, verso il Fil, si intravedono le due massicce briglie in muratura dove in autunno le acque cadevano calme dal coronamento nel profondo catino sottostante. Qui riposavano, si fermavano per poi riprendere lentamente il cammino verso valle.





Ora la muratura in scuri massi granitici ben squadrati è in parte nascosta da grandi, massicce incrostazioni di ghiaccio. Ruvide enormi, irregolari candele di gelo, crostoni verticali sospesi nel vuoto, colate di ghiaccio accarezzate e talvolta trapassate dai rivoli d'acqua che precipitano dal coronamento della briglia.





Ghiaccio biancastro, dai colori diluiti, stemperati; una punta di azzurro, di bluastro, di verdastro a meglio definire ed arricchire ma con parsimonia un'immagine in bianco e nero, il bianco del ghiaccio e dell'acqua in caduta libera, il nero delle murature, dei massi nell'alveo, dell'acqua nel catino punteggiata dai chiari blocchi di ghiaccio galleggianti..




A monte delle briglie l'acqua scorre quieta nell'alveo regolare e poco pendente ma più avanti, ben oltre il Fil, il torrente bruscamente si impenna, si fa ripido e stretto e le acque riacquistano velocità ed un'energia sorprendente rimbalzando tra i massi e le ripide sponde. Si levano nuovamente nuvole di spruzzi, di gocce scintillanti che bagnano sassi e rocce condensandosi rapidamente in vetrose, iridescenti strutture ghiacciate, in astratte sculture cristalline...





E' questo un triste, malinconico, ombroso inverno senza neve... Un inverno che però lungo il torrente sa offrire qualche scorcio paesaggistico attraente con le sue fredde, fantasiose formazioni di gelo, le murature ghiacciate delle briglie in chiaro scuro, gli slarghi gelati ravvivati dai riflessi dorati...


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Nostalgia della neve


A Natale un tempo c'era sempre la neve. Adesso non c'è quasi mai. Questa è la differenza tra il Natale di “allora” e quello di “oggi”. Oggi la neve a Natale si vede proprio raramente. A Natale la carenza di neve è ormai una costante, è quasi la regola (fatta salva qualche eccezione che sembra messa lì per confermare la regola).




Un tempo la neve durante il periodo natalizio arrivava sempre puntuale. Era la neve che tutto copriva e nascondeva, la neve che puliva, che smorzava voci e rumori, era la neve che incantava e che ora non può più incantare perché non c'è. La sola neve che ora si contempla durante le feste natalizie è quella che adorna con fiocchi di cotone idrofilo o di polistirolo le vetrine dei negozi, è quella di gesso o di farina o chissà di cos'altro che imbianca i presepi in bella mostra lungo le vie del paese, è quella che compare ben pitturata sui calendari dell'avvento con le porticine da aprire di giorno in giorno e sui biglietti benauguranti per il nuovo anno. Questa è la sola neve che ci rimane.



Non è neve vera è solo una sua più o meno realistica rappresentazione. Una raffigurazione... quasi per commemorare il bel paesaggio innevato al tempo in cui gli inverni erano veri inverni, al tempo in cui la neve non mancava mai... Solo magiche immagini di un passato che sembra perso per sempre. Solo rievocazione, solo nostalgia... nostalgia che si materializza nelle descrizioni figurate di un bianco Natale che non esiste più, descrizioni sparse in mille modi  nei paesi della mia valle...
Così scriveva Isabella Bossi Fedrigotti in un suo articolo sul Corriere della Sera riferendosi alla nostalgia della neve nelle città senza neve:
<<Vedremo mai più la neve nelle nostre città? Neve che pulisce, che nasconde, che rasserena anche la più gelida e meno accogliente delle metropoli? Potremo mai più camminare su un tappeto silenzioso, affondando leggermente con i piedi nel bianco scintillante, mentre dal cielo continuano a cadere, in disordine vorticoso, i fiocchi che si posano sugli alberi, sui rami, sulle lanterne, sulle spalle e sui capelli? Torneremo mai più ad ammirare la faccia benigna dell’inverno che ci riversa addosso nevicate vere, anche pungenti, anche sospinte da soffio violento, o ci dovremo per sempre accontentare della finta neve di cotone incollata alle vetrine natalizie, melanconica testimonianza della nostra nostalgia? ... ...





... Adesso, per qualche misterioso castigo di Dio, evidentemente in collera con noi, il massimo che ci viene concesso nelle nostre lugubri città invernali, è una breve nevicata che poco dopo diventa pioggia, e il bianco delle strade subito si trasforma in sporca fanghiglia che i passanti maledicono, e quello dei tetti presto si macchia di fumo nero per precipitare poi a terra in triste massa bagnata... ...>>





Nell'articolo di qualche anno fa si parla della carenza di neve nelle città, nelle metropoli ma ormai la mancanza di neve si fa sentire anche nelle nostre vallate alpine, almeno in autunno e all'inizio dell'inverno.
In Val di Sole durante il periodo natalizio non c'era la minima traccia di neve. Così è stato quest'anno come lo era stato l'anno scorso e come lo fu in molti degli ultimi anni.




Ed eccomi quindi in Val di Sole a vagare solitario sul fondovalle, per stradine e sentieri ancora polverosi tra prati brunastri e boschi lugubri cercando invano di cogliere un panorama o uno scorcio minimamente accattivante. Nulla. La valle, anche a mezzogiorno, quando il sole la illumina per bene, è triste, scialba nei suoi colori opachi e smorti. Manca la neve... quella neve che rischiara il paesaggio invernale, lo ravviva, lo caratterizza rendendolo attraente, unico e speciale.




Cammino, attratto dai pochi, rari pittoreschi dettagli che questa alterata natura riesce, nonostante tutto, ad offrirmi. I rossi frutti del sorbo degli uccellatori e della rosa canina, qualche sparuta foglia secca in bella mostra sui rami nudi dell'ontano bianco, un filo d'erba ancora verde che affiora dal ghiaccio, un masso gelato nel torrente, un lichene e una corteccia coperti di minuscoli cristalli brina... Brina rara, quasi introvabile durante questi giorni di fine anno troppo freddi e secchi...



Manca la neve, e c'è ben poco da contemplare... ma c'è sicuramente molto su cui riflettere...
Ricordo e rivivo i lontani tempi della mia infanzia, della mia giovinezza quando la valle a Natale era sempre bianca, quando le stagioni erano le “stagioni” e l'inverno era un vero ”inverno”, quando il freddo ci accompagnava nella giusta dose e la neve cadeva abbondante dal cielo basso, statico e plumbeo e a fine nevicata il sole squarciava rapido le nubi illuminando uno scenario candido sotto un cielo nuovamente limpido e azzurro.

Altri tempi. Allora non si parlava di cambiamenti climatici. Stagione succedeva a stagione con regolarità e “buon senso” e tolti rari accadimenti meteorologici eccezionali tutto procedeva con una normalità ben stratificata nel tempo.. Ora, trascorsi alcuni decenni, sembra proprio che il clima stia cambiando.... si susseguono a sorpresa bufere di neve e abbondanti nevicate dove e quando non dovrebbero esserci. Scarsità o assenza di neve colpisce località dove da sempre la neve in passato cadeva abbondante. Settimane troppo miti succedono a settimane troppo fredde e venti gelidi e forti spazzano zone fino a ieri quasi mai sfiorate dal vento. Per non parlare della neve fuori stagione, del ritiro dei ghiacciai, delle estati torride, delle piogge brevi e torrenziali... Si parla così di aumento degli eventi meteorologici estremi...




Certo, non è possibile dare risposte sicure al riguardo, non esistono certezze ma la maggioranza degli esperti ritiene che l'aumento degli eventi estremi sia imputabile al riscaldamento globale in atto e molti pensano che una concausa del riscaldamento, se non l'unica causa, sia l'immissione di gas serra in atmosfera da parte dell'uomo. Cose risapute, inutile approfondire.




Quello che è certo e che molto si dice e che ben poco si fa sia pure a titolo precauzionale. Sobrietà e risparmio (senza dire dell'utopica “decrescita felice”) sono concetti che faticano a fare breccia a tutti i livelli e quindi anche nel quotidiano di ognuno di noi... troppo spesso ci basta il lamento e spesso ci accontentiamo di crogiolarci nel nostalgico ricordo del tempo che fu, del tempo in cui, a Natale, la neve era sempre abbondantemente imbandita.


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Pubblico questo post oggi 20 gennaio quando il Centro Italia è soffocato da una eccezionale nevicata ed è pure in piena emergenza terremoto. Una tragedia con vittime, sepolte dalla valanga....
Da noi, in Val di Sole e nell'intero Trentino manca ancora la neve, tanto attesa da tutti e in particolare dagli operatori turistici. La breve nevicata (pochi centimetri) di pochi giorni fa ha imbiancato a malapena montagne e fondovalle. Un vento inconsueto ha in parte disperso il misero candido manto.


Panoramica escursione sui monti di Bolentina






Al “Mas de la Cros”, a “Malga Senage” e più su, verso il “Bivacco Marinelli”

Approfittando della totale assenza di neve sotto i 2000-2300 m di altitudine, decido con il mio amico ad esplorare una zona del tutto sconosciuta, una zona da noi mai calpestata. E' il sito ricco di boschi e di ampie radure a pascolo che si estende lungo il ripido spartiacque alla biforcazione tra la Val di Sole e la Val di Rabbi, sui pendii che ben si possono osservare risalendo in auto la valle dal paese di Caldes verso Malè.
Punto di partenza per la nostra camminata è Bolentina, antico, caratteristico villaggio posto a mezza costa sul versante solatio della valle, frazione spopolata di Malè ma un tempo, non molto lontano, densamente abitata da una numerose famiglie dedite ad una agricoltura povera, una agricoltura di sola sussistenza.
Raggiungiamo quindi Bolentina percorrendo la strada provinciale che sale da Malè e che da tempo ha sostituito la ripida mulattiera che lo collegava al fondovalle.
E' inverno e non c'è nessuno per le strade del paese, non incontriamo anima viva... I residenti sono ormai ben pochi. Solo in estate il paese si rianima. Sono i "forestieri" che, attratti dalle rustiche architetture del minuscolo centro storico, dall'esposizione solatia e dal bel panorama, hanno acquistato e ristrutturato vecchi masi e antiche abitazioni ed eretto seconde case (purtroppo spesso discutibili sotto l'aspetto paesaggistico...). Ma non solo... sono pure gli “oriundi” che volentieri ritornano al paesello d'origine per riscoprire le loro radici e ricordare i tempi lontani della loro infanzia.




Posteggiamo il piccolo suv nel parcheggio posto oltre il centro abitato all'imbocco della strada che conduce alla Chiesa di San Valentino arroccata fuori paese e di cui ho già scritto in un altro post. Potremmo proseguire in auto, ancora per un lungo tratto fino al “Mas de mez” ma per questa prima nostra gita esplorativa preferiamo avviarci a piedi sulla lieve salita asfaltata che sale verso “Piazza Merendaia” tra prati e boschi di conifere.


Siamo in gennaio ma se non fosse per la temperatura alquanto rigida potremmo pensare ad un inizio di primavera... Il prato appena a monte del paese, ben tenuto da alpicoltori di frontiera (gli ultimi ma che evidentemente non intendono “mollare”) è bruciato dal gelo, è nudo, privo di quel manto nevoso che sempre, in passato, lo aveva protetto.
Un sole languido inizia finalmente ad occhieggiare. Spunta dal crinale boscoso delle propaggini settentrionali del gruppo dolomitico del Brenta incuneate tra la Val di Sole e la Val di Non. I suoi deboli raggi iniziano a rischiarare il versante lambendo i tetti rossastri delle casa e dei masi di Bolentina.
Dalla strada si gode un panorama di ampio respiro. La vista si estende sul gruppo del Brenta verso il Passo di Campo Carlo Magno e sui monti del gruppo Presanella che delimitano sulla destra l'alta e la media valle fino all'abitato di Dimaro. Ma non è un paesaggio invernale. Solo le cime più alte sono bianche di neve... L'aspetto quasi estivo dei versanti in ombra, coperti da selve oscure di conifere, è rotto da lingue candide, perfettamente bianche. Sono le piste da sci innevate ad arte dai costosi e inquinanti cannoni “sputaneve”. Il turismo monocoltura, il turismo unidirezionale supplisce così, artificiosamente, alla carenza di precipitazioni che sempre più caratterizza l'autunno e l'inizio d'inverno di questi ultimi anni... Gli esperti ci dicono che la causa va ricercata nel cambiamento climatico in atto, cambiamento ormai irreversibile... ma molti ancora non vogliono crederci. 






Raggiunta la località “Mas de mez” abbandoniamo la strada forestale che prosegue verso “Piazza Merendaia” ed imbocchiamo lo stretto sentiero (109 bis) che si inerpica ripido nel bosco.






Si avanza faticosamente tra larici ed abeti rossi... poi il sentiero si fa meno erto, spiana alquanto, attraversa un pascolo alberato e si apre sulle radure del “Mas de la cros” intersecando la strada sterrata che sale da "Piazza Merendaia".






Il maso o meglio la malga, perchè di questo si tratta, è ora ben visibile al centro del pascolo. E' raggiungibile seguendo la strada che poi prosegue anche oltre, verso la "Malga alta di Bolentina". Noi preferiamo salire direttamente arrancando sul ripido prato.






Abbandonata quindi la strada bianca puntiamo direttamente alla “croce” che spicca accanto ai rustici edifici sullo sfondo giallo dell'erba secca del pascolo.








... ... E raggiungiamo il “Mas de la cros”.





Sono edifici, quelli del maso, in ottime condizioni che sembra siano stati ricostruiti o almeno totalmente recuperati e ristrutturati da pochissimo tempo. Una minuscola vecchia costruzione accanto al maso è aperta e agibile: un sicuro riparo invernale con sedie, tavolo, cucina economica a legna, fornello a gas...






Proseguiamo riprendendo a salite sul prato erto diretti alla “Malga Bolentina alta” che però ancora non riusciamo a scorgere. Evitiamo la strada e quindi avanziamo lentamente e faticosamente ma...







...siamo estasiati dal panorama che si fa sempre più ampio, quasi, quasi sconfinato... panorama sul Brenta, sui monti della val di Rabbi...






...ma soprattutto verso est oltre la Val di Non, al di là del Monte Roen, del Penegal, fino al gruppo Rosengarten-Catinaccio... e chi più ne ha (o ne conosce) più ne metta...







Ora finalmente ci appare la “Malga Bolentina alta”, più correttamente chiamata “Malga Senage”...







...e verso valle il panorama si apre ulteriormente, panorama veramente mozzafiato.







... ... Ma eccoci a “Malga Senace”.







Edifici rustici, più vecchi rispetto a quelli della malga situata più a valle ma in buone condizioni, ben conservati e mantenuti e sicuramente agibili.






Mezzogiorno si avvicina. Decidiamo comunque di proseguire e lasciata la malga alle nostre spalle ci avviamo sul sentiero che porta al “Bivacco D. Marinelli” e quindi in vetta sul “Cimon di Bolentina”






Sentiero ripido, almeno nella sua parte iniziale, e la voglia di salire, considerata anche l'ora, a poco a poco si attenua, scema, scompare... e la voglia di proseguire non c'è proprio più...






Per oggi basta così... ci accontentiamo così... Osserviamo il bivacco in lontananza, riproponendoci di raggiungerlo in primavera quando gli anemoni e i crochi saranno in piena fioritura.







Ci accontentiamo... e ammiriamo la “Cima Camocina” bianca di neve e ormai così vicina... così "a portata di mano" o meglio a portata di piede.







Ci accontentiamo e ammiriamo il panorama che si apre ormai anche verso ovest, verso la “Presanella"... e...







...e poi, riposati e ristorati, iniziamo la discesa, il ritorno verso “Malga Senecia”...







...e quindi veloci verso il “Mas de la cros” e oltre, sempre più giù, sempre più a valle...






Discendiamo percorrendo il pascolo ma inoltrandoci anche nel favoloso rado lariceto che costeggia i prati, nell'affascinante pascolo alberato frutto delle secolari cure dei rustici allevatori di Bolentina e del vicino abitato di Montes.





Giunti a valle del “Mas de la cros” decidiamo di non seguire il percorso del mattino (109bis) ma procediamo sul sentiero (109) che discende lungo l'ampio crinale tra pascoli e boschi radi di conifere. Così arriviamo rapidamente a "Piazza Merendaia" evitando di percorrere la strada bianca, più comoda ma molto più lunga.





A questo punto, dopo una meritata pausa ristoratrice, torniamo a valle seguendo inizialmente il sentiero e poi la strada che  chiude al "Mas de Maz" il nostro percorso ad anello, anello però solo parziale...   Raggiungiamo quindi il parcheggio di Bolentina, sull'asfalto già calpestato al mattino.








Avremmo potuto esplorare ulteriormente questa panoramica zona deviando durante la discesa verso la sconosciuta “Malga di Bolentina Bassa” posta sul versante della val di Rabbi... 
Ma abbiamo ritenuto di riservare questa meta alla prossima primavera-estate... Ci siamo detti: “sarà per la prossima volta...”



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