Ma che bel castello...


<< Ma che bel castello ! >> Veramente un bel castello il castello di San Michele che con il suo mastio, alto e severo domina dall'alto d'una balza dirupata la plaga di Ossana in Alta Val di Sole, dove la vista si apre verso la Val di Pejo e le cime dell'Ortles-Cevedale. Un bel castello, un castello da contemplare, da ammirare da vicino come da lontano, da ammirare sia da oriente che da occidente, sia da sud che da nord... Un castello bello anche da immortalare fotograficamente, sia con il sole nascente, che con la luna, sia con la nebbia che con la neve, sia con il temporale che con l'arcobaleno.. Un castello bello, un castello che emoziona, che “parla" all'anima e all'immaginazione. Un castello che “parla”... che “parla”, sia a di chi lo guarda dai suoi dintorni sia, soprattutto, a chi vi entra oltrepassando il suo ponte levatoio. Un castello che, stando al suo interno, sbigottisce davanti all'imponenza della suo mastio, sorprende per l'estensione dei resti del suo palazzo, incanta per l'ampio panorama che offre dalla sommità del suo torrione come dal bordo della sua cinta muraria.



Il castello di San Michele è veramente un bel castello, un castello che “parla” a tutti, “parla” al “cuore” della gente del posto come ai “cuori” del turista affezionato e del visitatore curioso. Ma il castello di Ossana non “parla” solo al “cuore”... solitamente il castello è in grado di parlare pure alla “testa”, alla “mente” di chi lo visita. E “parla” spesso. “Parla” alla “testa” con la voce narrante dell'accompagnatore turistico, ma solo a chi vuole conoscerne le origini, la storia, le leggende. “Parla” alla “testa” con le mostre e le illustrazioni multimediali allestite nei suoi piccoli padiglioni. “Parla” alla “testa” e all'”anima” con i concerti e gli spettacoli teatrali che, di tanto in tanto, si tengono nei suoi scenografici cortili.
“Cuore” e “mente” non possono che essere grati a chi ha provveduto a riportare in vita il bel castello, consolidandolo e restaurandolo, rendendolo visitabile, eliminando ingombranti intralci alla sua vista, valorizzandone la veduta anche di notte con una ben ponderata illuminazione. Come devono essere grati a chi lo anima e valorizza con eventi (culturali) di qualità degni di essere ospitati in un sito così bello e importante.



<< Ma che bel castello... marcondiro ndiro ndello...>> Purtroppo però, c'è anche un castello che, ai miei occhi, appare un po' meno bello... Un castello che mi costringe a togliere il punto esclamativo (noto in passato come punto ammirativo) dal mio entusiastico “ma che bel castello ! ” per sostituirlo con l'irriverente “marcondirodirondello” della arcinota infantile filastrocca, della nenia che, inevitabilmente, mi viene di canticchiare in continuazione quando visito il castello o transito nei suoi pressi durante i periodo natalizio ma non solo... Un tormentone che canterello sottovoce, con leggerezza, con un ironico provocatorio sorriso, vedendo come il bel castello venga talvolta indotto a “parlare” non più al “cuore” e alla “testa” delle persone ma alla loro “pancia”... venga banalizzato, costretto ad adattarsi ad un ruolo che, secondo me, non gli si confà (mi vien da dire ad un ruolo che non è dignitoso...).
Ma quando accade tutto ciò? Il bel castello è costretto a parlare alla “pancia” della gente (in senso figurato ma spesso anche in modo molto concreto) "quando", al suo interno, vengono allestiti eventi di grande richiamo, eventi “consumistici” seguendo la moda del momento o promozionali di varia natura, al fine di attrarre un numero sempre maggiore di visitatori entro le sua mura (ospiti probabilmente ben poco interessati al sito che li accoglie) o, al contrario, "quando" il bel castello è costretto a prestarsi come scenografica sede per il buon esito commerciale di tali mercantili avvenimenti, che, pur interessanti e importati, dovrebbero però avere un'altra collocazione... E i due “quando” si integrano perfettamente in una deprecabile sinergia... in confusa contrapposizione con attività ed eventi senza alcun dubbio molto più qualificanti. Ma di questo ho già detto più volte in altri miei post...


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Brina



Quando nel mio giardino le foglie delle betulla, del pioppo tremulo, del sorbo, di ciliegi selvatici, dei nocciolo e dell'acero, perdono la loro estiva freschezza, la loro verde brillantezza ed iniziano lentamente ad ingiallire mi si stringe il cuore. Quando poi, al levarsi del vento, si staccano dai rami e si depositano tutte al suolo, mi avvolge un velo di malinconia, un velo che non mi abbandona più. Quando infine il letto di foglie brune e marcescenti, si adorna di gelidi ricami, di candidi merletti, per me arriva il tempo della rassegnazione, della triste rassegnazione che mi accompagna durante i giorni del distacco dalla “mia” valle, durante i giorni della mia consueta “migrazione” autunnale...


Per la prima volta, all'inizio di novembre, la temperatura, durante la notte, è scesa sotto lo zero. L'umidore si è congelato ed è comparsa la brina. Brutta avvisaglia dopo le tiepide giornate d'ottobre. Un accadimento che, comunque, era atteso da tempo, del tutto coerente con l'inevitabile avvicinarsi dell'inverno. Non mi resta che prendere atto che, con il freddo ormai alle porte, è giunta l'ora di lasciare, almeno temporaneamente, la valle. Sì, è proprio giunta l'ora, volenti o nolenti, di traslocare in siti climaticamente più miti... Ma non immediatamente... Non prima di aver completato i lavori autunnali nel mio orto e nel giardino di casa.


All'aperto, di buon mattino, il freddo scorre sulla pelle, punge viso e mani, rallenta i movimenti ritardando l'opera di sfoltimento dei piccoli cespugli del mio giardino e di potatura dei tre noccioli cresciuti smisuratamente. Mi trovo sul prato di casa, tutto gelato. Cammino su di un manto di foglie scure e marcescenti che irrigidite dal freddo scoppiettano spezzandosi sotto le suole. Mi muovo a lungo, qua e là, vagando da una pianta all'altra, armato di cesoie, di troncarami, perfino di motosega... Mi sposto intirizzito nella gelida ombra di una mattinata serena ma ancora senza sole. Sì, senza sole, perché il sole, nel mio giardino, in autunno e ancora di più in inverno, si vede ben poco. Con l'avanzare della stagione fredda compare sempre più tardi e scompare sempre più presto fino a farsi vedere solamente per pochi minuti verso la fine di dicembre.


Solo chiari e scuri nel mio prato durante questa rigida mattinata priva di sole. Ma ecco che, quando meno me lo aspetto, un nuovo tepore invade il giardino: è il tiepido calore dei raggi del sole autunnale che lentamente è emerso dai monti affacciandosi sulla valle e anche sul mio viso. Magici raggi che, seppure deboli e radenti, rianimano il paesaggio, ridonano la vita al mio smorto terreno. Donano colore, donano luce, donano luminosità alle spente trasparenze dei cristalli di ghiaccio che sono sbocciati, durante la notte, sulle foglie rinsecchite. E allora, davanti a questo inatteso spettacolo, conviene disfarsi del senso del dovere, interrompere il lavoro, lasciare a terra cesoie e troncarami e accogliere il dolce piacere di passeggiare sul manto di foglie fruscianti osservando, ammirando e, perché no, fotografando...


A poco a poco la luce nuova raggiunge anche gli angoli più bui sfiorando dolcemente ogni piccolo cespuglio, ogni rigido stelo o ruvido cespo erboso emergente dall'uniforme tappeto scuro. Così come raggiunge e accarezza pure quelle foglie che, posatesi in ritardo sul letto compatto e brunastro che riveste il prato, ancora mantengono la loro vivace colorazione d'inizio autunno. Lamine sottili e sontuose dai bordi nettamente delineati da scintillanti e aguzzi cristalli di brina. Foglie sparse dai contorni che si accendono e brillano ai delicati raggi radenti del sole di novembre.


L'ombra delle conifere sempreverdi e dei tronchi, dei rami, dei polloni delle latifoglie si distendono sul prato difendendo dal tepore del sole la bianca brinata, la fioritura di gelo notturno. Ma le ombre si spostano, si accorciano, si ritirano. E' il gioco del sole che, seppur lentamente, si innalza, si muove... Le aree illuminate, intiepidite dal sole, si spostano ovunque e la brina inizia a dissolversi anche negli cantucci più protetti e nascosti. La bianca coperta si squaglia, rapidamente. I luccichii svaniscono. Il sole è più alto, i suoi raggi, sempre più caldi e penetranti, trapassano il liso e bruno tessuto autunnale. Cesoie e troncarami ora sembrano galleggiare. Posati a terra sembrano nuotare in un mare di foglie bagnate, quasi fradice La brina si è sciolta. Tutta.
Riposta la reflex, raccolgo i miei attrezzi, li asciugo e riprendo il lavoro.




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A Malga Strino con la prima neve di novembre


Neve. Molta neve. Molta neve come a novembre non si vedeva da tempi “immemorabili”. Molta neve in quota ma anche sul fondovalle. Neve leggera, soffice e asciutta ma anche neve pesante e bagnata, talvolta neve frammista alla pioggia o alternata alla pioggia Abbondanti precipitazioni nevose sulle piste da sci in quota durante l'intero mese di novembre per la gioia degli “sportivi” e soprattutto degli “impiantisti e affini” che, dopo anni di “magra”, di neve solo artificiale per buona parte della stagione turistica, possono nuovamente sperare (o illudersi) che il cambiamento climatico non sia così drastico e definitivo come si sostiene. Ma... chissà... si usa dire che “una rondine non fa primavera”... Non sarà magari che queste anomale intense nevicate autunnali siano un'ulteriore allarmante effetto della mutazione climatica in atto?
E' sotto gli occhi di tutti che gli eventi meteorologici estremi di varia natura si stiano facendo sempre più frequenti. La scienza è ormai certa che l'andamento climatico cui siamo abituati si stia guastando, si stia rapidamente modificando. A queste mutazioni ci dobbiamo adattare (e soprattutto dobbiamo evitare di incentivarle ulteriormente immettendo nell'atmosfera altro gas serra). Resilienza quindi e, conseguentemente, tra le molte altre cose da fare, anche iniziare a promuovere un turismo diverso con uno sguardo non esclusivamente all'oggi e al domani ma anche al dopodomani, rivolto a quel futuro che inevitabilmente ci attende.

Ma sto divagando: non è di questo che intendevo scrivere... Quindi accantoniamo subito il “cambiamento climatico” e senza tergiversare “ritorniamo al dunque”, a parlare della mia breve escursione autunnale sui pascoli della Val di Strino ammantati di bianco, coperti dalla prima neve di novembre.

La neve scesa durante i primi giorni di novembre ha imbiancato la montagna fino a 1500-1600 metri di quota stravolgendo improvvisamente il paesaggio dopo le splendide e sempre soleggiate giornate d'ottobre. Un irresistibile invito ad una “uscita” diversa, un'ultima uscita, un'ultima escursione sui “miei”monti prima di abbandonarli, prima di “migrare”, almeno temporaneamente, verso climi più miti...



Ieri nevicava ma questa mattina splende il sole. Parcheggiata l'auto lungo la statale del Tonale, a metà strada tra Vermiglio e il Passo, imbocco la strada sterrata che porta al forti austroungarici Mero e Zaccarana. Mezz'ora di cammino o poco più e, dove si apre la valle di Strino, abbandono la strada militare e mi inoltro sui pascoli. Pascoli immacolati. Il verde dell'erba è ben celato da un sottile strato di neve fresca. Una brevissima salita e il panorama che mi si presenta è un “panorama mozzafiato”... come si suol dire. Un panorama veramente mozzafiato, un panorama stupendo.... Immerso nel sole del mattino mi godo la candida vista della Presanella e delle vette circostanti e, quasi in primo piano, il festoso paesaggio dei versanti boscosi. Boschi di resinose, boschi di abeti sempreverdi e di larici rugginosi. Boschi brillanti, spruzzati di neve luminosa che dona profondità all'insieme sottolineando il disegno di ogni singola pianta.



Proseguo. Percorro la stradina che scorre pianeggiante al bordo dei prati, alla base del ripido versante boscoso sulla sinistra idrografica della valle. Poi mi immetto sul viottolo principale che sale ripido nei pressi del rio fino alla malga. Mi fermo spesso per guardarmi attorno. Ne vale veramente la pena. Sosto per fotografare il paesaggio e per “sbinocolare” alla ricerca di qualche ungulato, capriolo, cervo, muflone, camoscio o stambecco che sia... Esploro il bosco di conifere, il folto dell'ontaneto, le alte e brulle praterie ai piedi delle creste e della cime del Redival. Nulla. Ma le tracce dei selvatici ci sono, orme sulla neve, sporadiche in verità, a testimoniare il passaggio notturno dei cervi che, nottetempo, hanno attraversato la valle spostandosi da un versante all'altro.




Sono arrivato, sono nei pressi della Malga Strino. La neve che copriva l'ultimo tratto di strada non era molto alta, solo una quindicina di centimetri, sufficiente comunque, a rendere la mia salita alquanto gravosa. Sono stanco ma molto soddisfatto. Il paesaggio è attraente, particolare ai miei occhi, per non dire unico. Vedere gli edifici della malga coperti di neve fresca fa un certo effetto considerando che il contesto paesaggistico che li circonda non è invernale ma ancora decisamente autunnale, luminosissimo e ricco di colori intensi e vivaci ben diversi dalle smorte tonalità della stagione più fredda..
Supero la malga e, incoraggiato dalla modesta quantità di neve, mi avvio sul sentiero che porta a i Laghetti di Strino e al Redival o, a scelta, alla Città Morta. Non è certamente mia intenzione raggiungere quelle lontane mete, mi basterebbe salire ancora un poco, un'oretta, forse meno, ma, purtroppo, devo, quasi subito, riconsiderare il mio proposito. La neve subito più alta e soprattutto un vento fortissimo che scende gelido dalle cime mi inducono a rinunciare ad ogni ulteriore salita. Strano, perché poco più a valle, nei dintorni della malga, non spirava un alito di vento. Lascio la zona e inizio la discesa immerso nella neve e in un silenzio che impressiona: penso all'estate, alle lunghe giornate estive quando quassù fischiano numerosissime le marmotte, risuonano i campanacci delle mucche al pascolo, abbaiano i cani dei malgari e talvolta schiamazzano, fin troppo, torme di ragazzini.



Scendo a valle seguendo il medesimo percorso della salita. Mi arresto di tanto in tanto, attratto dai giochi di luce che il sole basso d'inizio novembre crea filtrando con i suoi raggi radenti tra i rami giallo-rossastri dei larici in veste autunnale o tra i bassi cespugli innevati e ghiacciati di ontano verde.
Ben presto la ripida discesa ha termine e mi ritrovo sulla pianeggiante stradina che costeggia i pascoli più bassi, pascoli che, suppongo, un tempo non lontanissimo, venissero falciati, venissero intensamente sfruttati. Ora sono bianchi di neve ma in primavera su questi prati pascolano i cervi, i caprioli e soprattutto i mufloni. Poi, più tardi, in estate, vi pascolano le mucche della malga in compagnia delle marmotte che qui hanno le loro tane.



Rieccomi nuovamente in fondo ai pascoli, nei pressi della strada militare che mi riporterà a valle. Prima di imboccarla, prima di infilarmi nel bosco fitto non posso non sostare ancora una volta conquistato dalla vista delle cime che mi si stagliano di fronte. E' una vista ben diversa da quella di due ore fa, quando stavo salendo alla malga. Ora su quelle vette imperversa una vera tormenta, una bufera che solleva turbini di neve incoerente, intense velature bianche volteggianti nell'azzurro del cielo. Uno spettacolo unico, da non perdere, da fotografare ripetutamente. Comunque un evento per certi versi atteso: le sue prime avvisaglie, mi avevano già colto, poco prima, a monte della Malga di Strino facendomi rinunciare ad ogni ulteriore salita.



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