100 e più mufloni in Val di Strino


Approfittando di una delle rarissime giornate di bel tempo di questo freddo e insistentemente piovoso maggio 2019, salgo in Val di Strino sicuro di poter osservare, oltre alle immancabili marmotte, anche qualche capriolo intento a brucare i primi crochi sulle praterie che suppongo ormai prive di neve.


Supero rapidamente il tratto di strada iniziale nel bosco fitto (strada militare risalente alla Grande Guerra che, partendo dalla statale del Tonale, porta a Forte Zaccarana), i suoi primi quattro tornanti e mi ritrovo all'imbocco della valle, in vista dei pianeggianti pascoli più bassi. Ora la strada prosegue alla base del versante ombroso ed è ancora piena di neve. Decido quindi di abbandonarla e di raggiungere, attraversando il pascolo, un'altra stradina, la stradina che scorre lungo il lato opposto della valle, al sole, al confine tra il lariceto e il prato. Su quest'ultima stradina proseguo più lentamente, con circospezione, senza far rumore perché, in cuor mio, confido di sorprendere, al margine del bosco, uno o più caprioli o forse un possente cervo assorti a cibarsi d'erba novella. Questo accadeva sempre, un tempo, durante le mie escursioni primaverili in questa zona ma oggi evidentemente “non è giornata”. Nulla, nessun selvatico. Oggi mi devo accontentare, si fa per dire, dello stupendo panorama sui monti ancora abbondantemente innevati che mi circondano.


Lasciati alle spalle i primi pascoli, i pascoli più bassi e pianeggianti, riprendo la salita imboccando il viottolo sterrato che porta alla malga e, di lì a poco, alzando lo sguardo, mi sembra di scorgere, in lontananza, dei selvatici che si inerpicano in fila indiana sui pendii di un grande conoide erboso che degrada verso il fondovalle nei pressi della malga. Il binocolo mi dice che non ho torto, che non ho visto male... sono mufloni e sono moltissimi. Un gregge enorme. Non finiscono più di sfilare... in fila indiana... un muflone dopo l'altro, maschi, femmine e agnellini. Il primo sole li illumina, di tanto in tanto, rischiarandoli sul tetro sfondo di un lariceto ancora in ombra. Devono avermi individuato già da qualche minuto e, impauriti, si stanno allontanando. Procedono con calma, lentamente... l'intruso è ancora molto distante, ma la prudenza non è mai troppa, ed è bene ritirarsi nel bosco, nascondersi alla vista...
Li osservo mentre si allontanano. Sono tantissimi, sicuramente più di 100, probabilmente molti di più... Sono troppi. Sono decisamente troppi...
Cerco di avvicinarmi, a grandi passi e, quando la maggior parte dei selvatici si è dileguata, riesco a cogliere alcuni immagini dei ritardatari, pur rimanendo molto distante. Immagini degli ultimi mufloni, i più tranquilli, i meno timorosi, la coda del gregge. Fuggono solamente quando, abbandonando la strada e risalendo il pendio, tento un ulteriore avvicinamento.


I mufloni sono scomparsi, hanno risalito il versante boscoso che un tempo era regno esclusivo dei caprioli e si sono nascosti nel folto del lariceto. Non mi resta che riprendere il cammino...
Raggiungo la malga e la supero imboccando sentiero che porta sia alla Città Morta che ai Laghetti di Strino, alla Bocchetta di Strino e, per chi se la sente, alla Cima Redival. Avanzo ma ben presto sono costretto a fermarmi. Negli avvallamenti che via via si susseguono lungo il sentiero il vento ha accumulato molta neve e il candido manto in cui si sprofondo inaspettatamente mi impedisce di proseguire in sicurezza. Ritorno sui miei passi e mi limito a risalire le piccole balze ben soleggiate che sovrastano la malga dove so che solitamente, allo squagliarsi della neve, sbocciano i primi fiori dell'anno, gli anemoni primaverili.


Ed eccoli infatti gli anemoni primaverili (Anemone vernalis)... i fiori più belli, i miei fiori preferiti, i fiori che quassù annunciano l'arrivo della primavera...
Però sono pochissimi e sono comparsi molto in ritardo. Di solito, su questi pendii assolati, l'anemone fiorisce ad aprile, tutt'al più all'inizio di maggio, quando la neve si ritira lasciando ampie aree di pascolo scoperte. Ora, alla fine maggio, le praterie a monte della malga sono ancora bianche a causa delle persistente nevicate tardive e i “miei” anemoni sono cresciuti radi, solo qua e là, sulle poche isole prive di neve.


Dai bianchi fiori alle bianche cime... ora il mio sguardo è attratto dalle cime che si stagliano nel cielo sereno sull'altro versante della valle, il versante del gruppo montuoso dell'Adamemllo-Presanella... e sono vette cariche di neve come non mai, sono creste e picchi scolpiti dai raggi del sole, candidi pendii mozzafiato disegnati da luci e da ombre in ogni loro minima irregolarità, in ogni protuberanza, rilievo o risalto che sia.


Ma ora una breve pausa prima della discesa... Seduto sulla terra umida riposo ed osservo l'incessante movimento delle marmotte che in questa zona sono sempre molto numerose. Oggi però, pur essendo ritornato il sole dopo molte giornate di pioggia e di neve, le marmotte che riesco a contare sono pochissime, poche come non mai... Perché? Non lo so, non trovo una spiegazione plausibile a questa insolita scarsità. Chissà... Forse durante questo freddissimo inverno molte di loro sono morte per ipotermia durante il letargo. Sono morte nelle profondità delle tane, nei loro rifugi troppo gelidi, non isolati da quel manto nevoso che un tempo non mancava mai ma che quest'anno si è fatto attendere per lunghi mesi, si è fatto attendere anche in alta quota fino a febbraio...


Dopo un'attenta “sbinocolata” sull'alta Valle ancora totalmente innevata, un'attenta osservazione dei dirupi che sovrastano la Città Morta, e i Laghetti di Strino, in cerca di stambecchi e di camosci (che non ci sono), saluto le marmotte e i bianchi anemoni e inizio una frettolosa discesa. Oltrepasso la malga (che chissà quando potrà essere monticata visto che i suoi pascoli sono ancora in buona parte coperti dalla neve) e imbocco la stradina sterrata che scende a valle. E' una discesa tranquilla, la mia, una camminata nel sole, allietata dalla vista di cime immacolate, prati trapuntati di bianchi crochi e larici in fiore...


Ma... sorpresa! Riecco i mufloni. Sono decisamente distanti, sono là in fondo, dove gli ultimi prati iniziano rapidamente a degradare e a cedere e il posto al bosco fitto di abete rosso. Si scorgono appena, i mufloni, piccoli puntini neri in controluce, minuscole sagome scure nella verde lucentezza dell'erba bagnata. Stanno brucando e non sarà facile avvicinarli così, allo scoperto. Abbandonata la stradina che scorre tra il pascolo pianeggiante e il bosco ripido, risalgo il pendio e, ben nascosto tra la vegetazione, imbocco uno stretto e sconnesso sentierino. Riesco così, a poco a poco, ad accostarmi ad un piccolo gruppo di maschi. Li osservo dall'alto, ben protetto dagli alberi. Con ogni probabilità sono gli stessi mufloni che ho incontrato in precedenza, durante la mia salita alla malga, mufloni che, disturbati dalla mia presenza, si sono spostati più in basso, raggiungendo questo nuovo sito, più tranquillo e più ricco d'erba. Ma questi sono pochi... però, abbandonato il mio nascondiglio, riesco ad intravederne molti altri: oltre ai maschi scorgo anche tante femmine con i piccoli, tutte in fuga zigzagante tra gli alberi del bosco.



I mufloni che popolano i monti dell'alta valle sono i discendenti di alcuni esemplari immessi alcuni decenni fa, nella zona di Vermiglio, per scopi venatori... immessi solo per la soddisfazione di una schioppettata da mandare a buon segno...
Una fauna alloctona, tipica di altri lontani territori... selvatici alieni, animali che mai in passato hanno popolato le nostre montagne. Ungulati che si sono inseriti fin troppo bene nel nostro ambiente, moltiplicandosi enormemente ed entrando vittoriosamente in competizione con i selvatici autoctoni, primi tra tutti i timidi e selettivi caprioli (ecco perché i caprioli si sono rarefatti in Val di Strino...). La “Caccia” li ha proditoriamente immessi e mi sembra giusto che la “Caccia” ora intervenga per bene, gestendo seriamente questa problematica situazione, eliminando o quantomeno limitando questa abnorme e dannosa proliferazione di selvatici estranei al nostro territorio. Del resto, a parer mio, una pratica cruenta come la caccia è comprensibile e quindi giustificabile e accettabile solo se è esclusivamente orientata a intervenire in situazioni di squilibrio ecologico, se è orientata (esclusivamente) a mantenere una corretta proporzione tra le diverse specie di selvatici presenti sul territorio. Non si tratta quindi, sempre a pare mio, di “cacciare” per soddisfare una cosiddetta passione, un “primitivo istinto, per collezionare trofei più o meno ramificati o per apparecchiare cene a basi di selvaggina o per “vivere” chissà quali avventure....o altro... bensì si tratta di “cacciare” per rendere un servizio, esclusivamente per rendere un servizio alla collettività, per mantenere quell'equilibrio naturale che da tempo si è rotto con la scomparsa dei grandi predatori...
“Il cacciatore come sostituto dell'animale predatore non più presente sui nostri monti”. Questo il ruolo del cacciatore nella mia “visione”.
E' certo che anche un bel branco di lupi potrebbe risolvere il problema (anche se inevitabilmente creerebbe problemi di altra natura); un branco di lupi potrebbe limitare l'abnorme presenza di mufloni, senza l'intervento umano... senza l'intervento dei cacciatori, di quei cacciatori che, oltretutto, non sembrano molto propensi a sostituirsi al lupo nell'abbattere i mufloni preferendo sparare ad altri ungulati, caprioli, camosci, cervi considerati, nella loro “visione” della caccia, molto più “pregiati” e quindi più degni di un bel colpo di fucile.


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“ Maledetta primavera ! ”



Fine maggio 2019


I media locali mi hanno ben informato: mi hanno fatto sapere che per trovare una primavera come quella che stiamo vivendo si deve risalire a 60 anni fa. Ora non dovrei avere più dubbi: un susseguirsi così continuo di giornate fredde e piovose come quelle di questo aprile e di questo maggio non è una allarmante novità, è un fatto già accaduto in passato e che può, seppure raramente, continuare a ripetersi. Così per le nevicate (talvolta vere e proprie tormente di neve) che più volte in quest'ultimo periodo hanno interessato non solo l'alta montagna ma anche il fondovalle.


Freddo persistente, vento, piogge continue e neve fuori stagione sono solo delle bizzarrie primaverili, delle bizzarrie meteorologiche che, secondo quando viene comunicato, si verificano di tanto in tanto. Accadimenti che rientrano in una normale sequenza climatica di lungo periodo. Eventi “da mettere in conto” (così almeno sembra venga sottinteso), casualmente ripetitivi e non particolarmente preoccupanti ma solo molto spiacevoli; eventi così “spiacevoli” da essere contrassegnati dalle maledizioni (“Maledetta primavera!”e ben altro...) della popolazione, degli operatori turistici e soprattutto degli agricoltori che vedono compromessi i loro raccolti di fieno, ortaggi e di frutta


Ma sarà proprio così? Il dubbio resta... e mi perseguita... perché, da qualche decennio, a ben guardare, le singolarità climatiche (anche questo lungo periodo freddo, ventoso, piovoso e nevoso potrebbe farne parte) non sono proprio una rarità... Gli eventi meteorologici estremi si sono fatti sempre più intensi e più frequenti interessando l'intero anno, tutte le stagioni, non solo la primavera.
Inutile elencare tutte le anomalie, più o meno pesanti, che da qualche tempo caratterizzano il clima della nostra valle... Sono sotto gli occhi di tutti. Ricordo solamente la tempesta di pioggia e di vento di fine ottobre 2018, l'ostinata mancanza di precipitazioni nevose invernali (accanto a qualche raro inverno nevoso oltre misura), i prolungati periodi secchi (o troppo bagnati), il vento e il freddo inconsueti, il caldo... Ma basta così. Aggiungo solo l'evidenza del ritiro dei ghiacciai ormai prossimi all'estinzione, scomparsa dovuta all'aumento sempre più accentuato della temperatura media annuale.


Il clima cambia, è innegabile, e io sono propenso a pensare che anche l'andamento meteorologico di questa strana primavera 2019 non sia solo un evento episodico ma che (pur non avendone le prove) possa rientrare nel quadro complessivo della mutazione climatica in atto. Lo credo e lo dico, anche se non posso avere certezze (nessuno le ha...). La mia è solo un'opinione... basata però sull'osservazione di quanto sta succedendo, una convinzione suffragata da molti indizi.
Meglio essere cauti, rifarsi al “principio di precauzione” e davanti a tanti anomali eventi (compresa questa brutta primavera), riflettere su quello che potrebbe accadere in un futuro non lontanissimo se non si interviene subito e drasticamente limitando l'immissione di gas serra nell'atmosfera.



Non serve a nulla maledire questa anomala primavera.
Maledetta primavera”: è un titolo del tutto sbagliato per questo mio scritto...
Non va maledetta la primavera bensì va maledetta l'insipienza umana, va maledetto l'Uomo, che con ogni probabilità ha colpevolmente contribuito a regalarci anche questo freddo, questa pioggia e questa neve fuori periodo. Deve essere maledetto l'Uomo che sta provocando cambiamenti climatici tali da portarci, se non si ravvederà in tempo, alla rovina, da portarci ad una situazione climaticamente talmente compromessa da non essere più rimediabile.



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Una primavera camuffata da inverno




Neve di maggio



Questa primavera 2019 più avanza più si traveste d'inverno. Finora sono state davvero poche le giornate serene, senza vento, soleggiate e tiepide. Piove e anche se non piove il cielo resta comunque grigio... e fa freddo, sempre, notte e giorno. Spesso arriva pure la neve che imbianca i monti, li imbianca sempre più, aumentando costantemente di spessore quando dovrebbe essere il contrario.

La neve... quella neve che è mancata per gran parte dell'inverno e che ora, è scesa per ben tre volte, dopo il venti di marzo, non solo sui pendii più elevati, cosa ormai abituale, ma anche al piano sull'intera “media e alta Valle”.  E' scesaa anche pochi giorni fa, ai primi di maggio... l'ho vista depositarsi copiosa sui susini, sui ciliegi, sui peri e sui meli in fiore del mio minuscolo frutteto. L'ho vista coprire rapidamente il verde ancora tenero del mio prato, le ultime primule infreddolite, le pratoline, le viole, i fiori appena nati del tarassaco e del nontiscordardime, i primi stentati ortaggi del mio orto, i tulipani e i narcisi gialli e bianchi del mio giardino.

Neve di maggio. Un evento meteorologico previsto, lungamente annunciato ma che, se pur atteso, ha sorpreso comunque e parecchio, al suo intenso manifestarsi... Uno spettacolo, per certi versi, inquietante, preoccupante, triste per non dire deprimente ma, allo stesso tempo, suggestivo nella sua particolarità, nella sua, si spera, definitiva unicità.

Uno spettacolo singolare che ho voluto immortalare fotograficamente... L'ho fotografato salendo, sotto la fitta nevicata, per la stradina delle Pendege, che unisce Fucine a Cortina di Vermiglio, scarpinando tra le folate di vento che a tratti cercavano di strapparmi il grande ombrello da pastore ben aperto sotto la neve.

Una inconsueta passeggiata in leggera salita su di un tracciato che taglia il ripido versante sinistro della valle tra boschi di conifere, fitti cespuglietti di latifoglie, prati erti e campi terrazzati che, abbandonati da decenni, si stanno inselvatichendo. Un “cammino” che, con il bel tempo, affronto spesso ma che ho voluto percorrere anche con condizioni meteorologiche ben diverse, direi in condizioni quasi “estreme”... immerso nella neve di questa stranissima primavera, una primavera che, pur essendo ormai avanzata, non si decide ancora a fare la primavera.

Ed è stato bello... E' stato bello avanzare nella nebbia, tra le nubi basse, tra i fiocchi di neve che scendevano fitti velando il paesaggio. E' stato affascinante avanzare sulla stradina, lentamente, nel candore che offuscava la vista, nel bianco su bianco che confondeva il percorso, che, a volte, quasi disorientava il procedere

Era incantevole camminare in un susseguirsi continuo di vicinissimi scuri tronchi spettrali immersi quasi nel nulla, persi in uno scenario di vaporose ombre lontane. Procedere tra gli abeti, tra i larici e le latifoglie da poco rinverditi e ora ben imbiancati. Piante che apparivano all'improvviso, come fantasmi, verdastre comparse candidamente incappucciate, sprofondate nella densa caligine su di uno sfondo velato, quasi assente in cui altrettanto all'improvviso scomparivano.


Alberi e i cespugli che sfumavano rapidamente nel cielo nebbioso e latteo di neve. Un cielo che scendeva accarezzando la stradina e, poco più in basso, sfiorando il fondovalle con il suo grigiastro mantello.

Procedevo piano cercando di respirare il profumo della primavera. Ma era un profumo davvero starno quello che mi giungeva, era il profumo di una natura risorta ma subito annullata, subito  ibernata. Era un profumo ingannevole, un profumo di primule immerse nella neve, di tenere foglie, foglie d'acero, di sorbo, di salicone, di pioppo tremulo, appena spuntate e già piegate dal gelo...

Guardando qua e là, ai bordi della stradina, cercavo insistentemente di individuare qualche orma scolpita nel candido manto, orma di capriolo, di cervo, di muflone, di lepre, di volpe... selvatici scesi a valle in cerca di cibo, fuggendo dal monte troppo carico di neve. Orme rarissime, presagio di possibili preziosi incontri…

Atmosfera misteriosa, magica, che stuzzicava la fantasia... che destava forti emozioni… e sensazioni, per certi versi, inquietanti, in un ambiente primaverile che annullava la primavera, annullava il suo colore, i suoi odori... il suo caratteristico e usuale sapore...

Sapevo benissimo, che le nevicate di primavera non erano mai stata una rarità, i ricordi ancora vivi nonostante i capelli grigi me lo confermavano, ma la loro intensità e la loro comparsa sempre più frequente, non solo sui monti ma anche sul fondovalle, mi facevano sospettare che il cambiamento climatico globale ci stesse mettendo del suo, ci stesse mettendo il suo zampino. Sì, probabilmente l'alta concentrazione di gas serra in atmosfera non doveva essere del tutto estranea allo scatenarsi di questi ripetuti e anomali accadimenti meteorologici.

Dico probabilmente perché non spettava certo a me valutare la condizione climatica terrestre e i suoi effetti all'interno della nostra piccola valle. Non avevo e non ho gli strumenti conoscitivi adeguati (ma chi li ha?) per sostenere con rigore scientifico affermazioni di tale portata,. Mi limitavo ad appoggiarmi a quello che è il pensiero (l'ipotesi) della stragrande maggioranza degli studiosi diventato ormai opinione comune e pure mia opinione.

Non ci sono più le mezze stagioni. Non c'è più la primavera.” Questo si sente ripetere ovunque, per le strade del paese, nei negozi e nelle osterie, questo si dice al cospetto dei repentini e drastici cambiamenti meteorologici ai quali si assiste durante l'intero anno.

Cambiamenti che, in primavera, appaiono ancora più violenti e impattanti per l'effetto, talora devastante, sulla vegetazione in piena ripresa vegetativa. Di anno in anno freddo e caldo intensi si susseguono a breve distanza. Alle giornate calme e soleggiate subito si alternano giornate bagnate o gelide o ventose e non non mancano di certo i prolungati periodi siccitosi e anche le precipitazioni nevose fuori tempo che, soprattutto in questa primavera, non stanno certo scarseggiando.

Considerato che, nonostante l'impegno, non è nelle possibilità di noi valligiani mutare da soli il divenire climatico terrestre contenendone il drammatico procedere e visto che di questo problema la governance mondiale poco si occupa concretamente facendo molte chiacchiere e pochi contraddittori fatti nel limitare l'immissione dei gas serra in atmosfera, non ci resta che attendere e subire cercando di adattarci alle trasformazioni, all'ambiente che sta mutando... e, perché no, qualche volta anche ammirando, seppure con una grande tristezza nel cuore, gli inusuali spettacoli che la natura con il clima in rapida evoluzione, ci somministra... volenti o nolenti.


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Il lavorio delle api


L'ape è diventata un soggetto politico, un simbolo di resistenza e di affrancamento dalle prevaricazioni. Rispettare le api vuol dire rispettare l'ambiente, quindi tutti gli insetti e le altre forme di vita animali e vegetali.

Fine aprile ed inizio maggio 2019.

In queste fredde e piovigginose settimane (che tra precipitazioni, freddo e vento, più che settimane primaverili sembrano settimane invernali mascherate da primavera) le api compaiono solo di tanto in tanto, nelle rare giornate serene o quando il sole riesce ad incunearsi tra le nuvole innalzando rapidamente la temperatura della valle.


Ma le api, quando compaiono, compaiono in massa quasi fossero un minuscolo sciame... Volteggiano sulle piante in fiore del mio giardino-frutteto, si librano nell'aria ancora fresca, si incrociano, virano improvvisamente di qua e di là alla ricerca del fiore più ricco di nettare sul quale si posano talvolta rapide e talaltra lente calando leggere quasi in verticale... Una danza continua, un ballo collettivo, leggero e imprevedibile, e soprattutto sorprendente vista la grande mole corporea rispetto alla minuscola apertura alare. Una vera peculiarità... Il segreto dell'incredibile volo delle api, volo unico ed irripetibile nell'intero mondo degli insetti, sta nell'alta frequenza del battito d'ali e nella loro rotazione in tondo che crea un piccolo vortice (un'area di bassa pressione sul bordo anteriore dell'ala) che consente loro di sollevarsi, e tenersi in aria a lungo percorrendo inimmaginabili distanze.



E, quelli delle api, non sono solo lunghi tragitti per la raccolta di nettare e polline... si sa che le api con un loro particolarissimo volo, riescono a comunicare con le compagne annunciando di aver trovato una nuova sorgente di cibo da sfruttare subito. Si parlano attraverso le cosiddette danze circolari e le danze scodinzolanti che con diverse modalità indicano al gruppo la posizione dei fiori appena individuati, la loro distanza e la direzione da seguire per raggiungerli.
Un fantastico, raffinato modo di esprimersi attraverso il volo che ancora una volta non può che sorprendere come del resto sorprendono tutti gli altri aspetti della perfetta organizzazione sociale del popolo delle api.


Ma torniamo a noi, a ciò che più ci interessa come esseri umani. Le api, oltre a donarci il miele, sono il principale responsabile dell'impollinazione delle piante di quella frutta e verdura di cui ci nutriamo. Senza di loro la riproduzione delle piante sarebbe molto più complicata. Qualcuno attribuisce, probabilmente in modo erroneo, ad Albert Eintein la frase: “Se le api scomparissero dalla terra, all'uomo non resterebbero che 4 anni di vita”.
Frase famosa, che segnala con enfasi il problema del declino delle api nel mondo. Se malauguratamente le api si estinguessero probabilmente molte delle piante che coltiviamo sopravviverebbero comunque ma in diversi casi avrebbero difficoltà a fornirci produzioni adeguate. Senza considerare le numerose specie vegetali che rischierebbero in ogni caso la totale scomparsa. 


A causa dell'attività umana gli alveari si stanno spopolando. L'uomo... sempre e solo l'uomo. L'uso dei pesticidi, ma anche l'inquinamento, la cementificazione del territorio, il disboscamento, e forse anche la diffusione abnorme di onde elettromagnetiche si aggiungono ai cambiamenti climatici (innescati dall'uomo. L'uomo... sempre e solo l'uomo), ai patogeni e ai parassiti naturali primo tra tutti l'acaro Varroa destructor come causa della moria sempre più accentuata delle api.
In diversi Paesi del mondo si stanno studiando dei rimedi e prendendo dei provvedimenti per limitare cause e concause del declino e moria delle popolazioni delle api.
Contrariamente a quanto accade con il riscaldamento globale, le soluzioni da adottare non richiedono necessariamente un coordinamento tra i vari Paesi, le soluzioni possono essere anche e semplicemente solo locali riguardando soprattutto il modo di gestire agricoltura e territorio. Si deve solo agire. Se ci fosse la percezione della portata del problema. e la volontà di intervenire qualcosa di positivo si potrebbe certamente fare anche da noi.


Fortunatamente le api non sono l'unico insetto impollinatore anche se sono di gran lunga il più importante.
Sui fiori delle mie piante ornamentali, principalmente peschi giapponesi e forsizie e sulle mie piante da frutto, ciliegi, susini, peri, meli, ribes … si osservano numerosi altri piccoli animali che si nutrono di nettare e di polline contribuendo all'impollinazione.
Tra questi si individuano immediatamente, per la loro dimensione e per l' aspetto tozzo, i bombi nelle loro numerose varietà (specie) presenti nella zona. Gli insetti che più incuriosiscono sono però delle “mosche” travestite da api o da vespe. Sono varie specie di innocui ditteri sirfidi, bellissimi per forma e colori, che si sono mimetizzati assumendo l'aspetto di animaletti pericolosi per allontanare i loro predatori. Veri acrobati possono rimanere fermi a mezz'aria e addirittura volare all'indietro.
E infine non scordiamoci che sui fiori si posano pure molti lepidotteri, farfalle di cui, però, nel mio giardino non ho finora visto traccia.

"L'ape non è un animale domestico e neppure selvatico, ma qualcosa di intermedio, una creatura capace di contrarre rapporti con l'uomo senza perdere la propria libertà; o comunque restando sempre in condizioni di riprendersela."    Così scrisse Plinio in Historia naturalis.



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Belle le api e tutti gli altri insetti impollinatori che frequentano il mio minuscolo frutteto, appena fuori l'uscio di casa. E' stato coinvolgente osservarne le acrobazie, il loro continuo, ostinato ronzare migrando di fiore in fiore alla ricerca di nettare... ma poi... Poi, ancora una volta, l'inverno ha travolto questa instabile primavera, una primavera che proprio non riesce ad affermarsi. E' ritornato il freddo, il vento e pure la neve (per la terza volta in poco più di un mese), molta neve e le api si sono rintanate nelle loro casette, nei loro alveari imbiancati costrette a rinunciare alla loro quotidiana attività. Meno nettare, meno miele... e fiori avvolti nel gelido candore della neve, piante da frutto al culmine della fioritura esposte al gelo notturno... L'enorme lavorio delle api e di tutti gli altri insetti pronubi reso, in buona parte, vano dalle conseguenze del cambiamento climatico provocato dall'insipienza umana. Raccolti compromessi? Inutile piangere sul latte versato...