Brevi camminate nell'autunno che avanza



E' bello passeggiare nei dintorni del paese, vincere l'apatia e inoltrarsi sui soliti sentieri, sentieri conosciuti da tempo... ma che ora, in autunno, sono resi nuovi, sempre diversi con il mutare, di giorno in giorno, della luce, dei colori, degli odori ma soprattutto della situazioni meteorologica.

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Val Piana


Accolgo la nuova stagione, la stagione autunnale che è iniziata da pochi giorni, con una breve scarpinata, nell'aria fresca del mattino, ai piedi dei monti che sovrastano il paese di Ossana. Quale meta migliore della Val Piana per questa mia prima uscita autunnale?
Imboccate le scorciatoie raggiungo rapidamente il capitello di S. Antonio dove la valle inizia, dove si apre alla vista, mostrando il torrentello che l'attraversa, i suoi pascoli e i suoi boschetti pianeggianti e, sullo sfondo, le cime di Caldura e del Giner appena sfiorate dal sole.


Tutto è silenzio. Un silenzio irreale dopo l'andirivieni estivo di turisti appiedati o in automobile. Non più campanacci di mucche al pascolo... nè l'abbaiare dei cani da pastore, né il richiamo gracchiante dei malgari. Dal fitto del bosco mi giunge, ma solo di tanto in tanto, lo stridore di una motosega e il battere della scure: è il valligiano che, previdente, taglia e accumula legna per riscaldarsi durante i freddi mesi invernali.
Avanzo lentamente lungo la strada bianca che costeggia il rio e i primi prati ancora in ombra mentre il sole inizia ad accarezzare gli alberi sulla sommità della “Piramide” e sulle creste dei “Crozi dei Meoti”. Poi, quando, di lì a poco, il sole supera il crinale, i pascoli fradici di rugiada vengono inondati di luce, risorgendo a nuova vita. All'improvviso si animano, mutando radicalmente il loro uniforme, opaco e ombroso aspetto.
Quelli che si incontrano per primi sono prati paludosi, prati segnati da alte erbe morte e secche, intrise di guazza e ornate da corone di ragnatele luccicanti al sole. Ben presto però su questa zona umida inizia ad aleggiare una leggera nebbiolina, una inconsistente foschia in grado di offuscare la brillantezza del pianoro paludoso.



Più avanti i prati, ben concimati e ben pascolati durante la bella stagione, sono ancora verdissimi ma tra le basse erbe emergono, qua e là, gli alti scheletri rinsecchiti dei cardi infestanti e le chiazze di ortiche appassite e infreddolite. Gli ontani e le betulle che li delimitano conservano ancora le loro verdi chiome ma le foglie indurite dal fresco della notte iniziano ad accartocciarsi, a raggrinzirsi opacizzando la loro vivida colorazione estiva.
Lasciate le distese erbose penetro nel bosco, in fondo alla valle, seguendo il sentiero per Bon. In questa zona, sempre fredda, domina l'ombra e il sole, in questa stagione, si fa vedere solo di pomeriggio e solo per pochissimo tempo.
Lo stretto tracciato si snoda sinuoso tra muschi bagnati e verdi, felci brune e appassite, cespugli screziati, aceri già dorati, abeti sempreverdi e larici che accennano ad arrugginire. La luce diffusa tenue ed omogenea dona a questo umido ambiente una malinconica suggestione... il profumo di terra bagnata, di funghi e foglie marcescenti, di vegetazione fradicia, che quassù si respira ovunque conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che, almeno in fondo alla Val Piana, l'autunno è veramente arrivato.

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Fil – Poia di Cortina


Una decina di giorni dopo esploro i dintorni del “Fil” poco a monte di Fucine, lungo la sponda destra del torrente Vermigliana. La località viene anche denominata “Spiaz dei spini” per i cespugli spinosi di crespino (Berberis vulgaris) che un tempo vi vegetavano in grande numero. Quei caratteristici cespugli oggi sono del tutto scomparsi in seguito a dei lavori, non so quanto necessari o comunque utili, di disboscamento, allargamento e livellamento dello spiazzo.


Dal Fil, seguendo una strada forestale, che, più avanti, raggiunti dei pendii erbosi, si fa strada rurale, si può raggiungere la Poia di Cortina e quindi il paese di Vermigio. Ed è quello che ho fatto alla fine della prima decade di ottobre, durante un soleggiatissimo e tiepido pomeriggio.


Camminando lungo quella stradina, nel bosco e al margine dei prati, nel sole declinante ma ancora luminosissimo, mi sono sentito  partecipe della metamorfosi ambientale in atto. Aceri, betulle, salici, noccioli... avevano cominciato a mutare il loro usuale, piatto aspetto estivo, stavano cambiando il loro vestito... Nella quieta pace autunnale si stavano addobbando a festa, iniziavano ad indossare abiti luminosi e policromi. Un incantesimo, una coloratissima magia che coinvolgeva anche la vegetazione del versante opposto, il versante solatio della valle, dove tra il giallo ancora incerto dei pioppi tremuli spiccava il rosso già intenso dei ciliegi selvatici così numerosi su quei ripidi pendii... i pendii delle Pendege.

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Pendege

Ed eccomi appunto a calcare, verso la fine di ottobre, proprio la stradina delle Pendege che taglia il versante sinistro della valle tra Vermmiglio e Fucine, scorrendo quasi parallela alla strada statale del Tonale. Il tempo meteorologico non è dei migliori, nubi e nebbie basse e, di tanto in tanto, una sottile pioggerella.


Questo non mi impedisce, però, di ammirare lo spettacolo dell'esplosione dei colori, le fiammate giallo oro, aranciate e rossastre della vegetazione autunnale che si sono accese quasi in contrapposizione alle sempreverdi peccete del versante opposto che si dileguano, tra biancastri vapori, sfumando tra le cime di Barco e del Tonale.



Una tavolozza policroma che, però, in assenza di sole, manca della consueta vivacità. Un dipinto ad acquerello più che una brillante tela ad olio... una visione comunque vistosa, un incantesimo che si è acceso quasi all'improvviso nell'aria frizzante dei monti, nel silenzio ottobrino, quando la confusione estiva è solo un ricordo. Un'esplosione di splendore, un gran finale, che, seppur affievolito dalla mancanza del sole, sembra rievocare i fasti primaverili, quasi fosse una nuova coloratissima e vivacissima fioritura. “Fiori” non più bianchi ma rossi sui ciliegi selvatici, diversamente gialli sul pioppo tremulo, sul nocciolo, sull'acero, sulla betulla, bruno rossastri sui faggi e sui larici... bacche rosso lucente sul sorbo, sulla rosa canina, sul crespino, sul biancospino... Sì, l'autunno è veramente un artista, un paesaggista, alle prese con un'infinita gamma di colori, di tinte decise ma pure alle prese con tonalità lievi per creare sfumature e velature leggere nel rifinire delicatamente la sua opera.

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Derniga

All'inizio di novembre mi ritrovo a camminare lungo i sentieri che, tra Fucine e Ossana, dalla località “Sant” o “Bachea”, che dir si voglia, salgono al “Belvedere e da qui, immettendosi in una larga strada forestale, raggiungono l'Orto Botanico nel “Bosco Derniga”. Il tempo è decisamente brutto, il cielo è grigio, densamente coperto da nuvoloni compatti. Di tanto in tanto pioviggina pure... Il sole abbagliante che qualche settimana prima ravvivava i ricchi colori autunnali è solo un ricordo. Nel bosco di conifere, che copre l'intera zona, le tinte sono spente, opache, spesso attenuate dalla nebbia che si insinua tra gli alberi dopo essersi posata sui pendii, penetrata in ogni anfratto, in ogni sentierino, in ogni più stretta vallecola. Comunque, tra le sagome scure degli abeti rossi e bianchi, emerge ancora qualche macchia di colore più vivace. Sono i radi cespugli del sottobosco, i noccioli, gli aceri e i saliconi, che, ben riparati dalle folate di vento, ancora resistono mantenendo una buona parte delle loro foglie, non più verdi e brillanti ma giallastre e opache.


Tutto è silenzio nei boschi della Derniga. Non un cinguettio di uccelli, nessun vociare di turisti in visita al “Giardino botanico”... Nella nebbia, che vagabonda tra gli alberi, mi giunge ovattato il rintocco della campana della chiesa di Ossana. Undici tocchi. E' ora di rientrare, di scendere a valle. Ma quanta malinconia...


Quanta malinconia... Sì, tanta malinconia perché si avvicina anche l'ora di “migrare”, di lasciare la “mia” valle alpina, di scendere dove il clima è più mite. Che tristezza... Il distacco è ormai imminente... Il mio cupo rimuginare è enfatizzato dall'atmosfera tardo autunnale, fredda, umida e nebbiosa che mi avvolge. Ma poi... Poi, all'improvviso, un intenso gracchiamento mi distoglie dalle meste elucubrazioni. In alto, sopra di me, contro le nubi compatte volteggia uno grande stormo di gru cenerine. Provengono dall'Europa continentale e sono dirette chissà dove, verso terre più calde. Pure loro stanno migrando... Girano e rigirano a lungo, ispezionano dall'alto l'intera Alta Valle e in profondità pure l'intera Val di Peio. Sembrano incerte su come procedere, disorientate. Che abbiano smarrito la loro abituale rotta migratoria? Si allontanano e si avvicinano, appaiono e scompaiono a lungo fino a dileguarsi definitivamente. Lo stormo di gru ha finalmente scelto, ha individuato la strada corretta, la giusta via, e lascia i cieli della Val di Sole diretto dove l'inverno è meno rigido. Come le gru anch'io migrerò temporaneamente, come loro, durante i freddi mesi invernali, lascerò quella che considero la “mia” terra... La lascerò con nostalgia ma anche consapevole di doverlo fare e fortunato di poterlo fare...



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I colori dell'autunno nel rivo del "Fil"




Al limitare della stretta fascia di bosco che si estende sulla sponda destra del Vermigliana a monte del pianoro del “Fil” (altrimenti denominato “Spiaz dei spini”) tra Fucine e Vermiglio sgorga una piccola sorgente perenne. E' una vena d'acqua che affiora tra i noccioli ai piedi di un ripido prato e che, raccogliendosi in un piccolo rigagnolo, dopo un breve serpeggiante percorso tra alte erbe, cespugli ed abeti, si riversa nel torrente.


Lungo gli umidi e sabbiosi margini del suo percorso, all'inizio della primavera, sbocciano numerosi i primi fiori, sono gli stupendi fiori gialli del farfaro (Tussilago farfara). In estate poi, non è raro imbattersi in qualche biscia dal collare (Natrix natrix) ma pure in qualche bel porcino. Ora, in autunno, ci dobbiamo accontentare, si fa per dire, della sola vista dello scorrere delle sue limpide acque tra una bruna e bagnata lettiera di foglie di nocciolo distesa ovunque nei pressi del rivo. Distesa fino ad occuparne il letto, ostruendolo con delle barriere che ne ostacolano il normale deflusso.


Si vengono così a creare dei minuscoli bacini, degli slarghi dove l'acqua è costretta a rallentare, è costretta ad arrestarsi per alcuni istanti, ad allargarsi trasformandosi in una piatta superficie riflettente che rimanda le immagini del bosco, le immagini dei tronchi e dei grossi rami che la attorniano.


Sono immagini cupe, immagini di una selva fitta e ombrosa ma sono anche immagini ravvivate da inaspettati sfavillii, da bagliori argentati e dorati che le acque appena increspate riverberano soprattutto verso il tramonto quando i raggi radenti riescono a filtrare tra i cespugli impattando sulle acque appena increspate.


Ma non solo, il sole del pomeriggio impatta anche sulle fronde, sul fogliame degli abeti e dei noccioli, verde brillante il primo e giallo autunnale il secondo che assieme a qualche porzione di cielo si specchia nel rivo, nelle sue pozze, arricchendole di mille screziature variopinte, ornandole di mille grafismi che si decompongono e ricompongono in un gioco senza fine. Una visione dinamica impossibile da fissare in statiche immagini fotografiche.


E così lungo l'intero corso del rigagnolo. Lungo il suo intero percorso, peraltro molto breve perché le sue acque ben presto si riversano nel Vermigliana. Ma la magia dell'autunno non cessa qui, si ripete ancora, con diverse modalità, anche sulla superficie del torrente. Anche sulle acque ondulate del torrente si diffondono mille bagliori. Balenii che, in rapida successione, compongono e subito scompongono delle movimentate creazioni astratte.


I caldi colori autunnali del bosco che fiancheggia il torrente si specchiano sull'acqua. Sono le tinte ramate dei larici, delle roverelle, delle erbe rinsecchite, che, con il bruno degli ontani, il giallo dei noccioli e il verde degli abeti e dell'erba ancora vigorosa.... vibrano riflesse dalla superficie increspata del torrente...




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Panorami autunnali in Val di Peio



E' una limpida mattina di fine ottobre, una mattina perfetta per salire in Val di Pejo, per camminare nell'aria frizzante del suo fondovalle, per scarpinare nel silenzio, sui suoi pendii finalmente affrancati dalla babele estiva.
Pochi giorni fa, all'improvviso, le selve, i pascoli e i prati della “Valeta”, come dell'intera Val di Sole hanno mutato il loro aspetto. Si sono cambiati d'abito: il verde uniforme dell'estate è in gran parte scomparso cedendo il posto ad una grande varietà di tinte, alle innumerevoli, accese tinte dell'autunno che, ben si sa, sono quelle che io amo di più...
La valle in brevissimo tempo si è ridipinta, si è rivestita di nuovi colori caldi e decisi. Sono le foglie degli alberi e dei cespugli che si sono rapidamente colorate di rosso, di arancione, di giallo, di bruno. Quasi un gioioso commiato dalla loro valle, un multicolore addio... In ogni caso un ultimo vitale sussulto prima che il vento le strappi dai rami, le soffi via trascinandole in alto, per poi deporle sulla terra nuda dove la neve le coprirà per sempre...



Sì, è proprio così... questo è l'ultimo incantevole spettacolo che il bosco ci dona prima del riposo invernale. Le piante si preparano al freddo ma lo fanno in allegria, lo fanno addobbandosi a festa, indossando abiti policromi quasi cercassero di allontanare la tristezza dei tempi grigi che le attendono. Una vana speranza... Una pura illusione... Già incombono le prime avvisaglie di ciò che le attende. E che attende tutti noi. La nebbia, la brina e la neve bussano alla porta, anzi già iniziano ad entrare per  poi non abbandonarci fino a primavera inoltrata. La nebbia che, quando cala, tutto offusca, vela, sfuma, che dissolve nel nulla anche la colorata vivacità autunnale. La brina che per ora imbianca solamente i pendii più freddi e permanentemente ombrosi e la neve che finora ha coperto solo le vette più alte ma che domani è destinata scendere più in basso, a raggiungere anche il fondovalle..




Ma guardiamo all'oggi... Oggi brilla un bel sole. Evitiamo quindi di meditare e di rattristarci pensando all'ormai prossimo declino invernale. Godiamoci invece la vista del magnifico paesaggio che ci circonda. Godiamoci questi giorni autunnali coloratissimi, vivaci nelle tinte... vivaci solo nelle tinte perché, fortunatamente, del tutto privi di rumori molesti. Vivaci sì, ma silenziosi e tranquilli. Godiamoci i colori decisi delle latifoglie, il rosso dei ciliegi selvatici, il giallo chiaro del pioppo tremulo, il giallo più intenso del nocciolo e della betulla… le macchie di colore ambrato, l'oro rossastro, dei larici immerso nel verde vigoroso degli abeti. Godiamoci a fondo questa calma autunnale magia...



Non esistono vocaboli adatti a definire tutte le sfumature di colore che le piante del bosco assumono in questo periodo. Le tinte si sovrappongono, si mescolano e si fondono ai nostri occhi originando una infinità varietà di tonalità per ciascun colore conosciuto.
Il verde compatto dell'estate, uguale ovunque, è solo un ricordo. Ora ogni pianta ha una sua spiccata individualità, si distingue nettamente dalle altre, da tutte quelle a lei vicine. Ogni pianta ha un suo colore diverso dal colore delle piante circostanti. Ed è così che ogni pianta contribuisce, con il suo particolare apporto cromatico, ad arricchire l'ottobrina tavolozza della valle, quella variopinta tavolozza che tanto ci affascina.
E poi il panorama, il paesaggio visto nel suo insieme... Il sole basso del primo mattino lo scolpisce, con i suoi raggi radenti. Allunga le ombre, sottolinea le sagome dei monti e i profili dei versanti, evidenzia i villaggi, le chiese, i singoli alberi… E quando, più tardi, il sole si alza, tutto cambia, le ombre si accorciano, tutto si illumina, tutto brilla, in un'esplosione di colore vivido e vivace. Il cielo blu cobalto, i prati ancora verdi, le chiazze policrome degli alberi, la neve bianchissima sui monti, nel loro insieme, donano alla “Valeta” un’incomparabile bellezza. Un bellezza che scalda il cuore ma che, inevitabilmente, volenti o nolenti, è pure fonte di malinconia per l'avvicinarsi dell'inverno, ineluttabilmente annunciato dal rapido sopraggiungere del freddo e dell'oscurità, appena dopo il tramonto, quando il sole scompare dietro i monti della “Valeta”.


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Il tragitto:  raggiunto il Forno di Novale si sale a Comasine percorrendo una comoda strada sterrata. Attraversata la zona più bassa del paese si sale brevemente verso la chiesetta di Santa Lucia (strada asfaltata) e, seguendo le indicazioni, si imbocca un viottolo di campagna in direzione di Cogolo. Raggiunto il bosco il viottolo si fa stretto sentiero. Poco più avanti il sentiero sbocca su un'ampia strada forestale . Su questa (scende verso Cogolo) si procede a lungo fino ad incrociare, di fronte a Celledizzo, una seconda strada forestale sulla quale si discende fino alla pista ciclo-pedonale. Su questa, che inizialmente scorre tra i prati e quindi in riva al Noce, si fa ritorno al Forno di Novale. Infine, procedendo poco oltre, sempre sulla ciclabile, si raggiunge il punto di partenza, nei pressi di Fucine.