Il cielo sopra la valle





Il cielo della Val di Sole non è diverso da quello di altre vallate, particolarmente delle vallate con lo stesso orientamento, est-ovest, dove il tempo dello spuntare e del calare del sole, alle due estremità della valle, si protrae a lungo ed è più suggestivo, più luminoso e vivace.





Passeggiando nei dintorni dei paesi o durante le mie escursioni sui monti della valle mi piace, di tanto in tanto, alzare lo sguardo al cielo e osservare il continuo formarsi, trasformarsi e rincorrersi delle nuvole, osservare le tinte indescrivibili dell’alba e del tramonto, le luci e le ombre delle prime e delle ultime ore del giorno. Bello anche il cielo stellato nelle notti di luna nuova, serene e buie, contemplato mentre in primavera, attendo nascosto tra la neve, il planare dei galli forcelli in amore, lontano dalle luci artificiali dei centri abitati. Ma belle pure le nubi che velano, coprono  e scoprono la luna piena; sono giochi curiosi e coinvolgenti che non smetterei mai di ammirare.







Guardare il cielo, le forme mutevoli delle nuvole con i loro colori variabili e indefinibili è un costante invito a puntare l’obiettivo della reflex verso l’alto per fissare e conservare almeno un attimo di quello spettacolo dinamico, in continua evoluzione che si svolge tutti i giorni sempre diverso, sopra la nostra valle.






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La casa natale di Bartolomeo Bezzi

La casa natale di Bartolomeo Bezzi è una delle ultime case del paese di Fucine che fiancheggiano la statale che  porte al Tonale. Sul massiccio muro perimetrale di quella casa è ben visibile la grande lapide in marmo bianco che ne ricorda la nascita.
Non è certo mia intenzione parlare qui del grande pittore solandro, non è questa la sede adatte e in ogni caso non ne avrei le competenze; chi fosse interessato a conoscere la sua produzione artistica e la sua biografia può trovare tutte le informazioni indispensabili in internet, in particolare in Wikipedia e nell' Enciclopedia Treccani.
Anche molte riproduzioni delle sue opere sono rintracciabili in internet; io ne ho postate alcune (di quadri e disegni) che hanno per soggetto paesaggi e scorci della Val di Sole. Li ho ripresi fotografandoli dai cataloghi delle mostre  “Bartolomeo Bezzi” (Palazzo assessorile di Cles – 1999) e  “Il fascino della natura – Bartolomeo Bezzi” (Palazzo Geremia in Trento – 2003).
Altro non aggiungo, mi limito solamente a presentare poche frasi ricopiate dal testo “Uomini illustri della Val di Sole” di Quirino Bezzi: “Bezzi Bartolomeo, il pittore che con Fr. Guardi tiene alto il nome solandro nel campo dell’arte, nacque a Fucine nel 1851 e si spense a Cles nel ’23…... Si adoperò per il monumento di Segantini in Arco e per quello di Dante  a Trento, optando per un progetto diverso da quello scelto dalla maggior parte della commissione. E’ sua l’idea di realizzare a Venezia una mostra internazionale d’arte, idea che raccolta dal podestà veneziano R. Salvatico diede origine alla ormai famosa “Biennale d’arte”…... Melanconico e geniale raffiguratore della natura, il suo è uno dei migliori geni ch’abbia dato la valle.”
Una bella tela di Bartolomeo Bezzi adorna lo studio, nella sede istituzionale, del Presidente della nostra Provincia.


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Crepuscolo sulle cime della Val di Peio



Di sera, dopo il tramonto, percorrendo le stradine fuori dal paese, di fronte alla Val di Peio, accade talvolta di osservare le alte nubi e le nebbie che si innalzano dal Vioz e dalla Punta Cadini,  illuminate a chiazze dagli ultimi raggi del sole ormai nascosto da parecchio tempo dietro il monte Boai. Le cime rocciose, i versanti boscosi, i prati di fondovalle, i villaggi sui pendii, appaiono scuri, confusi, opachi,  piatti e uniformi, ma non il cielo che l'ultimo sole ravviva modellando e dorando le nuvole più leggere e vaporose, su un fondale a tratti sereno e ancora luminoso e a tratti cupo di densi ammassi cumuliformi.  E’ il crepuscolo con i forti contrasti tra le ultime luci e le oscurità della notte che tra poco avrà il sopravvento.


Se abbiamo con noi la macchina fotografica possiamo tentare di immortalare questi momenti così particolari ma non sarà facile ottenere buoni risultati: queste sono riprese che andrebbero progettate predisposte per tempo, studiando le inquadrature migliori, utilizzando il treppiede, scegliendo accuratamente tempi, diaframmi e sensibilità adatti alla situazione, confidando naturalmente in un indimenticabile crepuscolo. Le immagini che ho postato sono state scattate velocemente a mano libera, in tutta fretta, cercando di cogliere una situazione favorevole e non frequentemente osservabile… non sono fotografie tecnicamente perfette ma le ho comunque postate a testimonianza di un crepuscolo intensamente contrastato e colorato sulle cime della Val di Peio, in una serata non comune contraddistinta da tinte intense, ramato-dorate che difficilmente si ripresenteranno.



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La casa avita di Giacomo Matteotti



Riprendo dall’interessantissimo sito www.comasine.it, curato da Romano Sonna, che consiglio vivamente di consultare per gli approfondimenti del caso:
“La figura di Giacomo Matteotti è stata universalmente riconosciuta come simbolo di giustizia e di libertà.
I nonni e bisnonni di Giacomo Matteotti sono di Comasine in Val di Peio. Anche suo padre, Girolamo Stefano, è nato a Comasine il 1° ottobre 1839, la madre Isabella Garzarolo invece è di Fratta Polesine, paese dove Giacomo nacque.”










Riporto inoltre da “Uomini illustri della Val di Sole” di Quirino Bezzi (1953): “Matteotti Giacomo, che, in qualsiasi campo militiamo, possiamo onorare come prototipo delle libertà democratiche, era nato a Fratta polesine nel 1885 da vecchia e benestante famiglia solandra colà trasferitasi da Comasine in via definitiva verso la metà del 1800. E delle genti montanare l’irriducibile deputato ebbe le virtù peculiari. Sete di giustizia, intelligenza vivace, coraggio indomito. Studiò legge, fu pubblicista di valore, ebbe……” 
Non mi dilungo oltre: chi fosse interessato trova tutte le informazioni per approfondire la conoscenza di questo grande personaggio di origini solandre anche su Wikipedia.
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Malga Saline





Qualche anno, io e il mio amico Urbano, salimmo nella zona di Malga Saline, a monte di Peio Paese, nel Parco Nazionale dello Stelvio, per fotografare i cervi nel periodo del bramito. Per il mio amico, grande rocciatore e appassionato fotografo, fu purtroppo una delle ultime escursioni.
La stagione degli amori  stava ormai volgendo al termine e conseguentemente l’escursione fu deludente: non vedemmo nessun maschio ma, ai primi chiarori del giorno, solo qualche femmina con i piccoli dell’anno che però non riuscimmo a fotografare.
All’alba, con il tramonto della luna e il sorgere del sole, riuscii comunque a fotografare alcuni scorci interessantei e qualche bel panorama. 


Giungemmo a malga Saline che era ancora buio e ci incamminammo in silenzio per vecchie piste e stretti sentieri: attraversammo la zona del Seroden e avanti e ancora avanti raggiungemmo il Rio Valenaia, poi discendemmo, con qualche mia difficoltà nella intricata vegetazione cespugliosa, fino alla stradina che conduce a Malgamare sulla quale facemmo tranquillamente ritorno a Peio Paese, dopo che il mio amico ebbe ispezionato la parete rocciosa (palestra di roccia) dei Crozi della Cisa, mentre io riposavo e tentavo di fotografare un’aquila che sorvolava la zona. Bei luoghi, bella gita, anche se infruttuosa rispetto alle attese. La ricorderò sempre perché fa la penultima escursione che portai a compimento con un compagno di tante giovanili avventure che, poco più di un mese dopo, lasciò per sempre le montagne che aveva tanto amato. Ricordo alcune escursioni, passeggiate per Urbano, vere e proprie imprese per me: Presanella, Tresero, traversata Vioz-Cevedale, creste del Giner, Bochet dell'Omet...


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Val Piana

Valpiana / isola di pace, / aperta all'uomo / che, stanco, / in te si ritrova. / oasi di serenità: / nelle tue acque / annego la tristezza / per camminare / nella tua luce  (R. Z.)



Nuovamente la Val Piana; è il terzo post che dedico a questo sito dopo “Val Piana come la vedo io” e “ValPiana in inverno” senza considerare “Sas pisador”, cascatella che si trova in questa località e “Sinter dela lec”, sentiero che ad esso conduce. Questo perché  sono amico di questa piccola valle che spesso visito ritrovandovi ancora i segni di un ambiente integro, l’impronta di un paesaggio antico nei suoi pascoli, nei suoi boschi e nelle acque libere e lipide che la percorrono.
Ho da mostrare moltissime immagini più o meno recenti e numerosi brevi filmati che ho ripreso con la mia vecchia macchina fotografica durante le mie passeggiate di qualche anno fa. Fotografie e video che ritraggono la Val Piana soprattutto durante le stagioni turisticamente morte, in autunno e primavera ma anche in inverno: un’isola di pace, un’oasi di serenità. Durante l’estate il sito è invaso da turisti e valligiani che numerosi salgono a piedi da Ossana per il suggestivo "senter dela lec”. Molti preferiscono però scarpinare sulla polverosa strada bianca, altri arrivano in automobile con tutti gli accessori per il picnic al seguito… In estate quindi la Val Piana è meno tranquilla ma sempre molto bella pur nella inevitabile confusione. Ma è giusto così: è un diritto di tutti ritemprare corpo e spirito godendo delle bellezze che la Val di Sole offre ed è un dovere dei valligiani conservarle intatte e di tutti usufruirne in modo consapevole comportandosi correttamente, da veri amanti della natura..








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In Youtube si trovano i brevi filmati che ho ripreso in vari momenti dell’anno.
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Dosson di Vagliana

Escursione questa, nella parte settentrionale delle Dolomiti di Brenta, nel Parco Adamello Brenta, sul confine tra la Val i Sole e la Val Rendena.

All’inizio del mese di luglio, dopo aver raggiunto, di buon mattino, Campo Carlo Magno, sono salito, con l’amico Germano, al Dosson di Vagliana, percorrendo inizialmente la comoda pista che attraversa la fitta boscaglia fino a Malga Vaglianella e a seguire sudando sull'erta mulattiera che conduce a Malga Vagliana. Da qui, seguendo vari sentierini e tracce lasciate dai bovini al pascolo, mi sono portato, sempre in compagnia del mio amico, a monte della malga, procedendo poi  in direzione del Passo Grostè.  Infine, per il ritorno, sono sceso alquanto e attraversati pascoli e radi lariceti ho raggiunto un piccolo laghetto nei pressi del Dosso. Un ripido sentiero in discesa mi ha guidato infine alla malga e ho così completato il mio lungo percorso ad anello nella zona del Dosson di Vagliana, stanco ma pronto a rientrare al Passo di Campo Carlo Magno.


Mi interessava osservare e magari fotografare la vegetazione erbacea ed arbustiva della zona così diversa da quella acidofila dei gruppi montuosi dell’ Adamello-Presanella e Ortles-Cevedale tra i quali si incunea gran parte della mia Val di Sole. Purtroppo il momento migliore della fioritura anche sui pascoli alti era ormai passato e sotto questo aspetto la gita non è stata soddisfacente. Ho comunque potuto ammirare il favoloso panorama che le dolomiti, ancora in parte ammantate di neve, offrono al sorgere del sole. Spettacolo emozionante, da non perdere, anche se in parte snaturato dalla presenza di edifici, strade, piste da sci e impianti di risalita che in questa zona si moltiplicano e sembrano “crescere come i funghi”.


Da qualche tempo non frequentavo la zona, la rammentavo più “pulita”: ora sono veramente troppe le “tagliate” brulle nel bosco e le strutture per la pratica dello sci da discesa che si espandono sulle pendici dei monti. Ci troviamo in un Parco Naturale e in un’area decretata Patrimonio Naturale dell’ Umanità dall’UNESCO o in un luna park? La situazione sta assumendo aspetti grotteschi, direi quasi tragicomici.
La zona oggetto della mia escursione si trovava comunque ai margini delle zone sciistiche ed escursionistiche più frequentate; è periferica e consente di camminare in tranquillità lontani dal caos, dall’insensato ammassamento di persone in lunghe code sui soliti e più pubblicizzati percorsi.




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In Val Baselga e sulle creste dei Crozi dei Meoti

"Gli alberi sono lo sforzo infinito della terra per parlare al cielo in ascolto "
R. Tagore





Un tempo, ormai molto lontano, salivo frequentemente, con i fratelli, sul crinale che divide la Val Piana dalla Val Baselga, sulle creste rocciose dei Crozi dei Meoti. L’escursione, in località sempre meno frequentate anche dai più temerari cacciatori, non era delle più semplici anche per noi allora giovani, forti e spericolati.

Arrivati da Ossana sul cocuzzolo del Selvat per la strada forestale o per le scorciatoie si proseguiva fino alla Piramide (Monte Scavezi) su un sentiero in alcuni tratti appena riconoscibile. Da qui in poi si seguivano ad occhio le piste dei cervi e dei camosci nei fitti cespuglietti di ontano verde, mugo e rododendro, fino a raggiungere la cresta brulla oltre il limite della vegetazione. Ci si portava così, seguendo il crinale, alla base dei pilastro granitico della cima Fazzon. Lo si aggirava e si risaliva attraversando morene e detriti rocciosi  al  Passo di Cagalatin nei pressi della cima Baselga, accanto all’altro passo, il  Cagalat, verso il lago di Nambrone.  Si discendeva a fatica  per una ripida traccia e si raggiungeva il bivacco di Caldura e a seguire la spianata di Bon e la Val Piana per rientrare in paese.



Percorso faticoso, a tratti difficoltoso, lunghissimo ma affascinante per l’ambiente incontaminato e selvaggio che lentamente si percorreva. Stupenda la visuale e frequenti gli incontri con la fauna selvatica: qualche capriolo, cervo, fagiano di monte, pernice bianca, ermellino, aquila… ma soprattutto numerosa la presenza del camoscio. Gita comunque caldamente sconsigliata a chi non conosce la zona… se non accompagnato da un esperto del posto.
Su questi monti si saliva anche  da Fazzon di Pellizzano, dal lago dei Caprioli,  per il sentiero che conduce  in Val Baselga.  Sentiero comodo ma lungo e monotono. Giunti sul pianoro della valle, nei pressi del baito, si apriva però uno scenario del tutto diverso e seducente: un invito a proseguire oltre. A volte si dormiva nel baito per riprendere l’ascesa il mattino seguente di buonora. Generalmente però si passava la notte nella tenda, che portavamo con noi e che collocavamo su qualche piazzola, poco sotto le cime. Ricordo, con grande emozione e un brivido di paura, la notte che trascorremmo accovacciati nella tenda allagata, sotto uno spaventoso temporale estivo, che non finiva mai, tra tuoni e saette che scendevano vicinissime. Il temporale si allontanava, la pioggia diminuiva d’intensità ma poco dopo riprendeva vigore e tutto ricominciava tra i tuoni e i bagliori dei fulmini. Un alternarsi continuo di speranza e timore: fu una nottata che mai dimenticherò.


L’obiettivo di noi fratelli era quello di osservare da vicino e fotografare i camosci che dai Crozi dei Meoti, giù verso la Val Piana, dove pernottavano tra i cespugli, risalivano al mattino presto sul crinale. Li attendevamo ben nascosti preparandoci a riprenderli con lo sfondo delle lontane cime del Vioz e del Cevedale. Io durante le prime uscite non avevo teleobiettivo ma mio fratello riuscì ad ottenere delle belle diapositive con suo Tamron 500 mm catadiottrico. Più avanti qualche fotografia discreta la feci anch’io ma le opportunità migliori non si ripeterono più.



In un’altra occasione, dopo aver trascorso un prima notte in tenda sulle pendici del monte Fazzon, decidemmo di individuare e quindi valicare il Passo di Lago Nero che mette in comunicazione la val Baselga con la zona dei laghi Gelato e di Serodoli. Non so se scegliemmo il passaggio corretto ma con grande difficoltà, soprattutto per l’enormità e il peso degli zaini, riuscimmo a oltrepassare la cresta e a scendere ai laghi, sulla cui riva ci accampammo dirimpetto al Brenta e pernottammo. Il giorno seguente rientrammo al paese percorrendo il sentiero della Val Gelada che conduce a Fazzon dove ci aspettava la macchina.
Sono ricordi, lontani ma ancora vivi, di avventure che sogno spesso di ripetere anche se alla mia età mi dovrò probabilmente accontentare di una semplice gita in Val Baselga, al baito ora rimesso a nuovo: ne parlerò eventualmente in un futuro post…

(Camoscietto predato dall'aquila e più sopra tracce d'amore del forcello)



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