Nel candido incanto della neve appena caduta









Sembrava che non dovesse più nevicare, che la neve stesse per diventare solo un ricordo... Da alcuni anni il bel manto candido del tempo passato non ricopriva più i prati e i boschi del fondovalle e anche sui pendii più alti i bei fiocchi immacolati si adagiavano in ritardo, creando un tappeto sottile, misero, e discontinuo.




La neve non era più il dono che già in novembre, immancabilmente, il cielo elargiva a piene mani su tutta la valle... La neve che scendeva era ormai diventata selettiva, sceglieva solo le stazioni sciistiche invernali, era una neve “firmata”, fabbricata ad hoc da artificiosi congegni, era una neve che si addensava in spazi ristretti distendendosi solo in fasce sottili che tracciavano, sui versanti dei monti, innaturali serpentine bianche nel giallo autunnale dei pascoli alti e nel verde intenso delle fitte peccete.



Tutto ciò che un tempo era familiare, il bel paesaggio totalmente innevato, sembrava definitivamente scomparso. “Colpa del cambiamento climatico” si sosteneva nelle osterie della valle, “colpa dell'innalzamento della temperatura che sta divorando anche i nostri ghiacciai”... ma l'abitudine “consumistica”, troppo ingorda di energia e prodiga di gas serra, stentava a cambiare e la corsa al completamento degli impianti di “innevamento programmato” accoppiata allo scavo di nuovi bacini per l'acqua di scorta procedeva sempre più celermente.




La carenza di precipitazioni nevose, la neve che sempre più frequentemente mutava in pioggia sul fondovalle e non solo, erano tra i sintomi più evidenti delle trasformazioni climatiche in atto, confermando quanto i climatologi “predicavano” da tempo. Ma era soprattutto l'accentuarsi delle condizioni meteorologico estreme che ormai caratterizzavano tutte le quattro stagioni, il “tempo matto”, a non lasciare più alcun dubbio. Tutti lo sapevano e spesso lo vivevano sulla loro pelle.



In inverno ma non solo accadeva che ad un periodo anomalamente mite ne seguisse immediatamente uno freddissimo o che ad una stagione siccitosa, priva di precipitazioni ne seguisse una particolarmente umida. Tutti rammentavano le interminabili, abbondanti nevicate della stagione invernale 2008-2009 che avevano portato tanti problemi e grande preoccupazione. Eventi così particolari non si erano fortunatamente più ripetuti alle nostre latitudini e all'opposto durante gli ultimi inverni si era verificata una costante tendenza alla siccità, alla scarsità di precipitazioni nevose, il che era altrettanto inquietante...





E ora? Fortunatamente dopo gli inverni asciutti degli ultimi anni ora è finalmente ricomparsa la neve.... è “fioccato” anche alle quote medio basse e la neve si è accumulata in discreta anche se non eccezionale quantità... in quantità comunque tale da richiamare alla memoria gli inverni del “tempo che fu” quando la neve non mancava mai.


Al contrario di oggi, però, nel “tempo che fu” i candidi fiocchi non portavano allegria, non destavano meraviglia e men che meno soddisfazione negli operatori turistici che allora non esistevano proprio... rappresentavano solo un problema per la gente di montagna che doveva liberare strade e piazze armata di antiquate attrezzature. Di nevicate se ne vedevano fin troppe, così si diceva, e l'inverno non terminava mai... anche se qualche saggio pontificava: “anno nevoso, anno fruttuoso...”e non aveva tutti i torti. Solitamente però al volteggiare dei primi fiocchi gioivano solo i bambini che già si vedevano in pista, a cavallo di una slitta non solo lungo i ripidi viottoli del paese ma anche sulle strade principali allora quasi prive di traffico...



Oggi, anche se i disagi che la neve inevitabilmente porta con sé non mancano di certo, la si attende comunque con trepidazione temendo che non si faccia proprio vedere costringendo all'impiego di quei costosi e ambientalmente poco sostenibili congegni che nei luna park dello sci la fabbricano artificialmente... e quando, quasi inaspettatamente il cielo decide di regalarla, tutti la osservano cadere con benevolenza e gratitudine, trovando pure il tempo per emozionarsi davanti al paesaggio imbiancato, un paesaggio che un tempo era fin troppo consueto ma che ormai sta diventando decisamente insolito.



Io pure trovo il tempo per emozionarmi immergendomi nel candido incanto della coltre bianca caduta nella notte. Così, di buon mattino, mi dirigo al Fil, poco fuori del paese e attorniato da una natura totalmente congelata cammino sulla stradina grossolanamente sgomberata dalla neve. Tutto ciò che mi era familiare è scomparso sommerso da un soffice mantello immacolato. La totale metamorfosi del luogo è avvenuta rapidamente e in silenzio, lo stesso silenzio ovattato che accompagna il mio lento procedere.



Anche il brontolio del torrente scomposto in piccoli rivoli che si intrecciano accanto alla stradina mi giunge smorzato, appena percettibile. E' un mormorio leggero che si leva dalle acque che serpeggiano tra i massi ben camuffati nel tappeto bianco. Sul fondo dei piccoli canyon dalle pareti immacolate svolazza, nuota e si immerge, celato alla vista, il merlo acquaiolo apparentemente indifferente ai cambiamenti meteorologici e intento, come al solito, a cacciare larve sul fondo sabbioso.



L'atmosfera che si respira infonde una grande tranquillità. I rumori limati, l'uniformità del paesaggio in chiaroscuro, l'assenza di colori forti e vivaci, l'ambiente levigato, totalmente ripulito, la soffice delicatezza del manto nevoso infondono tranquillità... serenità ma donano anche l'emozione della ricerca, l'interesse per i particolari, l'attenzione per i dettagli, la soddisfazione della scoperta di qualche prezioso piccolo gioiello ben nascosto, creato dal leggero posarsi dei fiocchi sul terreno e sulla vegetazione.



La nevicata ha nel suo codice genetico la poesia, una poesia che un tempo non riuscivo a leggere ma che oggi so individuare con più sicurezza.... Vedo la poesia nelle piccole “cose”, nella foglia rinsecchita ancora appesa al ramo e baciata dai fiocchi di neve, la vedo nel piccolo abete che occhieggia sommerso nella neve alta, nelle infiorescenze del nocciolo rivestite di candidi cristalli, nei traslucidi candelotti di ghiaccio appena velati di bianco, nello scricciolo che ispeziona la minuscola cavità aperta come una ferita nella morbida trapunta immacolata...



...nel pettirosso che si muove incerto, confuso, sulle rive del torrente volando infine sugli scheletrici polloni del salice che emergono dalla neve quasi dovesse meglio studiare, osservandola dall'alto, la trasformazione del suo habitat... la leggo nei neri arabeschi disegnati sulla neve dai rametti dormienti di betulla, estremità contorte, gementi, piegate al suolo dal fardello bianco o appena affioranti ma ben distesi a festeggiare la riconquistata libertà di movimento.



Così, procedendo di buon mattino nella neve che nessun altro ha finora calpestato, avanzando nell'incanto di un paesaggio irripetibile, un paesaggio unico che nessuno ha finora ancora osservato, camminando in un silenzio ovattato che nessuno finora ha “udito”, immerso nel profumo dell'aria pungente che nessuno ha finora avvertito... mi sento speciale, unico, anche se non lo sono e per qualche minuto rivivo la gioia infantile della prima uscita sulla neve fresca, sulla neve appena caduta...




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Pegaia e il villaggio che non c'è... tra storia e leggenda

"Pegaia": questo il nome di una località della Val di Pejo, alla periferia di Cogolo, nei pressi della centrale idroelettrica di Pont, sulla strada che sale in Val de La Mare. E' un sito oggetto di interrogativi mai risolti. Sembra (anzi è quasi certo) che fino al 1300 vi sorgesse un piccolo nucleo di abitazioni di cui però in seguito non si ebbero più notizie. Una inquietante sparizione. Un mistero. Un villaggio perso nel nulla. Ma quali le eventuali tragiche cause della scomparsa? Una frana, una valanga, un'alluvione, un incendio? Sarà realtà o sarà solo leggenda?
Ciò che di Pegaia si è sicuramente conservato nei secoli è la riminiscenza  popolare, il ricordo, vero o presunto, dei suoi morti che ha trasformato Pegaia in un luogo pieno di suggestione, di enigmi e... di devozione... infatti nei suoi prati pianeggianti si trova una chiesetta dedicata ai Santi Bartolomeo, Paolo e Tommaso con un gigantesco San Cristoforo affrescato sulla facciata prospiciente la strada quasi a proteggere il viaggio dei pellegrini e, ai tempi nostri, gli escursionisti diretti sui monti di Malgamare.

La chiesa venne consacrata il 22 agosto 1522 a seguito dei lavori di ricostruzione e ampliamento che la tradizione locale attribuisce ai minatori colà rifugiatisi per sfuggire al contagio di una epidemia di peste. Ma la sua origine è molto più antica, si perde neli secoli... forse un tempo fu solo un capitello, chi lo sa... poi più avanti fu una minuscola cappella, l'unico edificio che sopravisse all'evento catastrofico che distrusse l'antico nucleo abitato che la ospitava.

.Ancora più avanti la costruzione subì altri interventi... si ricordano i restauri nel 1850 e gli altri, relativamente recenti, lavori di consolidamento del 1967: lavori sui muri perimetrali e sul piccolo campanile che riebbe anche la sua minuscola campana (venne prelevata dalla chiesa di Pejo Terme). Sicuramente furono moltissime le vicende che nel tempo in qualche modo coinvolsero Pegaia e la sua chiesa. A me piace ricordare che durante la prima guerra mondiale la chiesa, adibita ad “ufficio di magazzino”, ospitò per più di un mese, era il giugno del 1918, mio nonno (così il nonno racconta nelle sue“Memorie”) che aggregato agli Standschützen lì lavorò come contabile “alloggiato nel solaio” della chiesetta.



Pegaia, agosto 2017. Nel giorno in cui ricorreva l'anniversario della consacrazione della chiesetta  ho potuto assistere, sui prati di Pegaia, allo spettacolo teatrale “Il mistero di Pegaia” messo in scena su iniziativa dell'Ecomuseo della Val di Pejo, . 
Bel lavoro, coinvolgete...
Nel buio della notte senza luna gli attori e le comparse si muovevano nel tempo, tra i luoghi della valle, raccontando ciò che si sa e ciò che si suppone, ciò che è storia e ciò che è memoria popolare.
Suggestione e senso del mistero non sono mancati in quella serata... serata che si è poi ripetuta al chiuso, durante il periodo natalizio, nel teatro di Pejo Terme.
Bello sarebbe se venisse nuovamente replicata, la prossima estate, davanti alla chiesetta di Pegaia, nel suo palcoscenico naturale. Sarebbe un'ottima cosa...  





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Capodanno con la luna piena...

...sul castello di San Michele e sui presepi di Ossana             





La luna era già alta nel cielo al mio rientro da un infruttuoso tentativo di fotografare qualche capriolo al margine del bosco. Navigando nella neve ero riuscito ad avvicinarmi ad un esemplare intento a brucare le infiorescenze dei noccioli selvatici ma all'ultimo momento il cervide mi aveva individuato e, scrocchiando, si era dileguato nel cespuglieto. Non avevo isistito per non spaventarlo ulteriormente e, vista l'ora ormai tarda, mi ero incamminato verso casa. Mentre, deluso, attraversavo il ponte che scavalca il torrente Vermigliana poco a monte di Fucine, mi colpì la vista del castello di San Michele debolmente rischiarato dalle luci appena accese... Mi chiesi: “Perché non tentare qualche scatto all'antico maniero accarezzato dalla luna piena di capodanno?”

Si stava facendo buio e per fotografare sarebbero occorsi dei tempi di esposizione molto lunghi nonostante la presenza del candido manto riflettente. Per stabilizzare la reflex avevo con me solo un leggerissimo cavalletto. Non potevo comunque perdere questa favorevole occasione... E' un'opportunità rara quella di immortalare il bel castello immerso in un ambiente innevato illuminato della luna. Provai a piantare il cavalletto, ben chiuso, nello spesso manto immacolato. L'insieme sostegno e fotocamera era sufficientemente stabile. Sì. Si poteva fare... certo con qualche difficoltà, con attenzione e delicatezza...
Iniziai così il mio percorso fotografico... Alcuni scatti nei dintorni del ponte e poi imboccai la stradina del Sant che conduce ai piedi del San Michele seguendo il corso del torrente ma molto, molto più in alto.


Fortunatamente qualcuno era già transitato, con gli sci e con le “ciaspole”, tracciando un sentierino ben pressato, percorribile senza problemi nel mare di neve fresca e inconsistente. Così, foto dopo foto mi avvicinai a Ossana mentre si faceva sempre più scuro.
Il panorama era coinvolgente. Il cielo era sereno e la notte rischiarata da una luna particolarmente brillante. Il castello era pieno di luce, i paesi ai sui piedi sfavillanti di festosi bagliori natalizi e il bianco tappeto che mi assediava rifletteva con i suoi minuscoli cristalli ghiacciati il pallido chiarore lunare... “Molto bello” mi dissi... e prosegui fiducioso il mio percorso, scatto dopo scatto...

Poi, però, il via vai incessante di pedoni e automezzi sulla ormai vicinissima strada provinciale che da Fucine sale a Ossana, strada ingombra di automobili allineate in lunghissima fila sul marciapiede, mi distolsero per qualche minuto dal mio impegno di fotografo dilettante... “Malefatte” della “Mostra dei presepi” pensai e i dubbi e le perplessità su questa iniziativa, in verità già da tempo ben presenti nella mia mente, riaffiorarono all'improvviso. Così, riprendendo meccanicamente a fotografare, pensai e ripensai a questa manifestazione che da molti anni si tiene ai piedi del castello, negli avvolti e negli angoli più pittoreschi del centro storico di Ossana. Un'esposizione che richiama una grande moltitudine di visitatori vivacizzando la sonnacchiosa vita del paese ma creando anche non indifferenti disagi...



E così, tra uno scatto e l'altro, mi tornò alla mente, sicuramente a sproposito, la celebre frase erroneamente attribuita al Machiavelli, frase che nel tempo è diventata sinonimo di utilitarismo e opportunismo: “il fine giustifica i mezzi”. Frase che però mi sembrò più consono declinare in forma interrogativa: “il fine giustifica i mezzi?”. “Le finalità di questa manifestazione giustificano l'impegno profuso per la sua preparazione e conduzione? Vale veramente la pena spendere tante energie?” Questo mi chiesi mentre avanzavo sempre più nella neve...


Organizzare e portare a termine una rassegna di grande richiamo non è cosa da poco. Richiede entusiasmo, capacità, impegno, buona volontà... ma anche investimenti in lavoro più o meno qualificato (non solo lavoro di volontariato), in attrezzature, in materiali, ecc. ecc... Si deve pubblicizzare l'avvenimento sui media, allestire il percorso di visita con i presepi sulle proprietà private, programmare e predisporre le manifestazioni collaterali, organizzare il mercatino di Natale, aprire alle visite (e purtroppo anche al mercatino) il bel castello in pieno inverno, predisporre e curare i servizi indispensabili (sicurezza, servizi igienici, circolazione e parcheggi...) e chissà quanto altro va ancora fatto...




”Certo... ma tutto questo a che pro? Con quale obiettivo?” Erano proprio le aleatorie finalità di cotanta impresa che mi rendevano perplesso su di una manifestazione che di anno in anno si stava facendo sempre più elefantiaca.
Ricordai (e perché no... con una certa nostalgia, un certo rimpianto...) le prime edizioni della rassegna, ricordai i bei presepi negli antichi scantinati del paese, le lanterne che segnavano il percorso, la musica natalizia che aleggiava leggera sulle vie semibuie... gli ospiti e i valligiani che si spostavano da presepe a presepe, di avvolto in avvolto, sotto la neve, tranquilli e in numero non spropositato... Era una manifestazione bella, semplice, commisurata alle caratteristiche e potenzialità del paese, che coinvolgeva le persone e le associazioni e istituzioni locali nell'allestimento dei presepi e che richiamava pure molti visitatori, ma in numero adeguato, non eccessivo...

Poi, con gli anni, lentamente ma inesorabilmente la “cosa” prese campo, iniziò ad ingigantirsi, probabilmente gonfiata a dismisura anche dall'interesse economico e quindi dalla promozione di chi si trovava ben al di là dei confini comunali. I presepi vennero ben numerati e aumentarono a vista d'occhio... quasi fosse predominante la quantità sulla qualità, quasi si trattasse di una competizione "all'ingrasso", con un inesistente avversario...
Arrivò pure, sull'onda delle mode, il mercatino di Natale... il commercio accanto al “bambinello” e quando il castello di San Michele, dopo i lavori di consolidamento condotti dalla Provincia, venne consegnato al Comune, si pensò subito di sfruttarlo come sede scenograficamentecoinvolgente per le casette del mercato... 



E così le cose iniziarono a cambiare... Tantissima gente, troppa a mio avviso...disagi, confusione, ospiti in fila per adocchiare, intralciandosi, i bei presepi e... automobili in ogni dove. E iniziò la conta dei “grandi numeri”, quasi fosse l'unico metro di valutazione del successo dell'iniziativa... Di anno in anno bisognava superarsi stabilendo un nuovo record di presenze... ospiti come numeri. E anche presepi come numeri: era assolutamente indispensabile aumentarne il numero fino a ridurre Ossana, durante quest'ultima edizione, ad un abitato "presepioso", il paese più “presepioso” d'Italia.

Ma, foto dopo foto, scatto dopo scatto al bel castello, continuai, perso nella neve, il mio cammino e la mia riflessione e mi chiesi se Ossana dovesse necessariamente essere il paese che vanta più presepi che abitanti, in tutta Italia per non dire nel mondo intero.... Mi domandai che senso avesse tutto questo clamore. E mi inalberai pure... ma con chi? Con me stesso... ero solo.
“A questo ci siamo ridotti?” mi chiesi. Bisogna assolutamente acquisire visibilità nazionale ed internazionale con simili trucchetti? E' proprio indispensabile comparire in tutti i telegiornali e figurare in un popolare gioco a premi su Raiuno.? Ma soprattutto a che scopo tutta questa notorietà, qual'è il suo fine ultimo? 



Ma siamo seri... qual è l'obiettivo che si vuole raggiungere? E' un obiettivo di sola immagine? No, non è possibile. Nella mente degli organizzatori ci devono essere di sicuro ben altre finalità, ben più qualificanti e sostanziose che vanno sicuramente al di là della notorietà, al di là dell'immagine... L'immagine non può essere certamente considerata il fine ultimo di questa impresa ma solo un "mezzo", uno studiato e indispensabile passaggio intermedio per il conseguimento di obiettivi più avanzati e ben più concreti.

Non mi sembra però che al grande battage pubblicitario che ha trascinato un imponente numero di visitatori a Ossana sia finora seguito qualcosa di consistente sul piano dello sviluppo turistico al quale probabilmente mirano gli organizzatori. I risultati “veri” mancano, e quindi inevitabilmente, volenti o nolenti, resta solo l'immagine di un piccolo paese “presepioso” creata da una ben orchestrata promozione pubblicitaria, un'immagine che resta fine a se stessa... Non si assiste infatti alla nascita di nuove imprese turistiche, nemmeno minuscole... non si crea lavoro produttivo... si può dire che finora nulla si è visto, tutto è fermo, immobile o quasi... solo i pochissimi che nel paese e nei dintorni già operano nel settore probabilmente riescono a trarre qualche modesto vantaggio dall'esposizione dei ben 890 presepi....
“Il fine giustifica i mezzi?” (e le conseguenze?). Finora no. Non mi sembra. Mezzi importanti, per ottenere risultati di sola "immagine" senza riuscire a modificare la "sostanza"... se non, forse, in qualche misura, a livello dell'intera valle ma certamente non per il paese che organizza la rassegna. Solo immagine, circo mediatico (ma "chi si accontenta gode" così si dice...) confusione e disagi, non proprio trascurabili...
Su questo riflettevo riprendendo, foto dopo foto, scatto dopo scatto, la luna piena di capodanno che si levava sempre più alta sul bel castello... meditavo senza però perdere di vista l'incessante andirivieni degli ospiti.
Si era fatto tardi, stavo ritornando sui miei passi, era ora di cena... Pensai a tutta la gente che a quest'ora si aggirava in paese cercando affannosamente un inesistente locale dove riposare, riscaldarsi e “farsi” una birra e una bella pizza capricciosa... ricerca inutile (alla faccia degli 890 presepi...).



E mi dissi che forse questa rassegna doveva essere ripensata, che il buon senso doveva suggerire una retromarcia, un misurato ritorno alle origini... Un ridimensionamento commisurato all'abitato e alle sue risorse, senza velleità... un ritorno alle origini per donare la giusta soddisfazione a chi espone il proprio presepe e... per permettere a chi si reca a Ossana di poter ammirare e apprezzare le opere esposte con la necessaria tranquillità. Una bella rassegna in un contesto quieto, senza il supplemento commerciale del mercatino artigianale (comunque bello e che potrebbe trovare la sua giusta collocazione in altri siti della valle).




Un'esposizione semplice, umile come lo è il presepe, accompagnata da poche, coerenti e ben studiate manifestazioni collaterali, in un'atmosfera distesa, di serenità e di pace, nel clima tranquillo che dovrebbe accompagnare ospiti e valligiani durante le feste di fine anno. Un'esposizione senza secondi scopi, un avvenimento all'insegna di un autentico spirito natalizio, una manifestazione priva di numeri, senza pretese,... fine a se stessa...




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Il "Percorso Bresadolano"


Pochi sanno che il “prete dei funghi” il micologo Giacomo Bresadola, uno dei personaggi più illustr1 della Val di Sole”, ha un “percorso” a lui dedicato che tocca alcune delle località "segnate", in modi diversi, del suo passaggio. Il percorso, denominato appunto “Percorso Bresadolano”, realizzato su iniziativa del “Centro Studi della Val di Sole”, consta di cinque tappe che si snodano lungo la valle. In ognuna delle cinque località è stato posto un pannello illustrativo che oltre a descrivere la stazione stessa, rimanda alle diverse fasi della vita del genio solandro, al suo lavoro e ai suoi studi.
Il percorso inizia nella media-bassa valle e la risale toccando via via gli altri siti. Forse, nel numerare e illustrare le tappe, sarebbe stato più opportuno seguire una successione temporale iniziando dal piccolo paese di alta montagna che gli diede i natali.
Dopo aver girovagato in lungo e in largo per la valle alla ricerca dei cinque siti che compongono il "Percorso" sarà bene visitare anche il Museo della Civiltà Solandra a Malè, capoluogo nella Val di Sole. Vi si trova infatti un intero settore dedicato a Giacomo Bresadola con una raccolta di preziosi cimeli, oggetti personali, tavole acquerellate... (tutto quanto non è andato disperso nei musei di tutto il mondo ma è rimasto in valle) assieme ad un'edizione originale del suo capolavoro “Iconographia Mycologica” e ad un allestimento multimediale a lui dedicato.



Busto bronzeo posto a ridosso della 
chiesetta di Ortisè, paese natale dell'illustre
“curato di montagna”


Giacomo Bresadola nacque ad Ortisè, minuscolo paese posto ad alta quota sul versante solatio della valle, il 14 febbraio 1847, primo di dodici fratelli. A Ortisè frequentò i primi tre anni della scuola popolare e continuò poi i suoi studi a Cloz, in Val di Non, presso uno zio, parroco in quel paese. A causa della difficile convivenza con lo zio venne ben presto mandato a Montichiari, nel bresciano, dove il padre lavorava come ramaio e qui completò le scuole elementari. Proseguì gli studi a Rovereto ma l'indirizzo tecnico-commerciale scelto dal padre non gli si confaceva e, pur avendo conseguito ottimi risultati, passò al ginnasio a Trento. Fu in questo periodo che nacque in lui la vocazione sacerdotale e a diciannove anni intraprese gli studi teologici. Nel 1870 venne consacrato sacerdote. Come cooperatore operò a Baselga di Pinè, Roncegno e Malè e nel 1877 fu nominato curato di Magras ed Arnago. Qui trovò il tempo di dedicarsi alla botanica interessandosi soprattutto di micologia. I suoi studi e le sue prime pubblicazioni attirarono ben presto l'attenzione dei micologi di tutto il mondo. Iniziò a classificare funghi che nessuno fino ad allora aveva descritto e denominato. Apprezzamenti e... i funghi essiccati da studiare arrivarono da paesi sempre più lontani e numerosi. Nel frattempo il vescovo lo aveva nominato amministratore della mensa vescovile e aveva quindi lasciato la sua parrocchia trasferendosi a Trento in un minuscolo appartamento dove abitò fino alla morte



Riproduzione di un disegno
acquarellato autografo
dell'illustre micologo  


La piccola città divenne ben presto uno dei centri mondiali di studi micologici. Musei e istituti universitari inviarono intere raccolte di funghi perché Giacomo Bresadola li classificasse e se ancora sconosciuti li denominasse. Qui il sacerdote allestì preziose e ricche collezioni micologiche non solo per città italiane come Trento, Padova e Torino ma anche straniere, Stoccolma. Leida, Parigi, New York, Whashington, Cincinnati, Berlino,Leningrado, Uppsala... Senza mai allontanarsi dalla regione, in un viaggio ideale attraversò tutto il mondo, classificando funghi provenienti da tutti i paesi. Fondò la più importante scuola micologica mai esistita con oltre 400 allievi, la maggior parte di fama mondiale, disseminati ai quattro angoli della terra. Nel 1927 venne dato alle stampe il primo volume della sua opera principale. L “Iconographia Mycologica”. Molti dei ventisei volumi di cui si compone l'opera purtroppo uscirono postumi... Morì il 9 giugno 1929.


Sintesi della presentazione di Federica Costanzi
nel “Cofanetto” di riproduzioni dei disegni di Giacomo Bresadola
realizzato a cura del Centro Studi per la Val di Sole