Girovagando nei prati in fiore

 


Quattro passi, di qua e di là, sulle strade e sulle stradine che delimitano e dividono i prati di fondovalle, sulle mulattiere e sugli stretti sentieri che si inerpicano sui versanti tra i terreni erbosi e i terreni boscati. Quattro passi tra l’erba ormai alta prima che il contadino la tosi per bene percorrendo rapidamente le praterie pianeggianti con i suoi moderni congegni falcianti o, sui fianchi più ripidi, la rasi lentamente con antichi e affilati strumenti manuali. Brevi sgambate mattutine sulle piste che delimitano i lotti erbosi come su quelle che li tagliano e li penetrano a fondo… giretti ad anello nel verde dei prati, un verde quasi estivo, uniforme, se non fosse per la policroma molteplicità dei fiori tardo primaverili che lo punteggiano, fiori con le corolle ben dispiegate ad asciugarsi al sole dopo gli insistenti acquazzoni di questo periodo. Giri senza meta, brevi camminate nei dintorni del paese, percorsi minimi, tracciati sinuosi che spesso si intersecano… il tutto per ammirare e talvolta fotografare un panorama variopinto, un ambiente che, purtroppo, a breve è destinato a scomparire portando con sé tutta la sua colorata ricchezza…




Ancora pochi giorni e poi l’erba verrà tagliata per essere usata come foraggio. Al sole di giugno si seccherà trasformandosi in profumatissimo fieno da impiegare per l’allevamento invernale dei bovini. E’ giusto, necessario e quindi inevitabile che sia così... anche se un po’ dispiace. Non pensiamoci e, finché possiamo, godiamoci questo variopinto panorama, godiamoci la bellezza dei prati in fiore, una bellezza che ritornerà solo tra un anno, che rivedremo solo la prossima primavera.




I fiori che rompono la verde monotonia dell’erba sono moltissimi, sono moltissimi in una grande varietà di colori e di forme. Colori e forme che caratterizzano ognuna delle numerose specie che popolano i diversi ambienti che si incontrano sia sul piano che sui primi pendii dei versanti della valle. Sono un inno alla biodiversità di cui tanto si parla. Essenze amanti del sole o dell'ombra, dei suoli asciutti o intrisi d'acqua, fertili o sterili, argillosi o sabbiosi, ricchi o poveri di humus, acidi o basici… fiori in campo aperto e fiori nascosti tra le fronde dei cespugli e i bassi rami delle giovani conifere ai bordi dei prati, dove inizia il bosco. Sono margherite e margheritine, campanule, ranuncoli tra cui il ranuncolo botton d'oro, trifogli, garofani, gerani, erba del cucco, non-ti-scordar-di-me, dente di leone, ombrellifere varie, violette, primule, acetoselle... 




Questi i fiori più comuni che ben conosco ma ci sono altre specie di cui non so il nome, né volgare né scientifico e che non ho alcuna intenzione di cercare sfogliando manuali e libri su libri. Anche perché il mio approccio, il mio girovagare nei prati in fiore è raramente curioso dal punto di vista botanico mentre invece, sempre lo è dal punto di vista paesaggistico... estetico se vogliamo. La conoscenza è importante ma ciò che più mi impressiona è la bellezza di ciò che osservo: composizioni, forme, colori dei fiori nel sole che va e che viene, nella luce e nell'ombra, nel folto dell'erba bagnata brulicante di mille insetti diversi.

Nel momento in cui finalmente diamo attenzione a ogni cosa, anche un filo d’erba può diventare un misterioso, fantastico, indescrivibile magnifico mondo a sé.
(Henry Miller)

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Una piacevole sorpresa tra i meli in fiore

 

La vista di un uccellino nato da poco, che, a occhi chiusi, stazionava tranquillo su di un rametto del mio pesco giapponese in fiore, non mi stupì più di tanto. In primavera, nel mio giardino, accade spesso di imbattersi in qualche piccolo di uccello che, lasciato il nido, svolazza faticosamente tra i rami dei meli o si mimetizza a terra, tra le erbe del prato, tentando di sottrarsi, istintivamente, alla vista dei gatti dei vicini, gatti che non mancano quasi mai. Per questo la vista di quell’uccellino, fatta, casualmente verso il tramonto, dalla panchina addossata al solatio muro perimetrale della mia casa dove stavo sonnecchiando, non mi colpì particolarmente, pur inducendomi, dopo parecchie esitazioni, ad abbandonare la mia siesta pomeridiana, a rientrare in casa per uscirne, subito dopo, provvisto di teleobiettivo e del monopiede per stabilizzarlo. 



Del tutto desto e nuovamente seduto sulla panchina, a pochi metri dal cespuglione di pesco giapponese, scatto alcune foto riprendendo quel giovanissimo uccellino di cui, nonostante i miei sforzi, non mi riusciva di individuare la specie di appartenenza: i nidiacei, alla vista di un occhio inesperto come il mio, appaiono infatti tutti più o meno uguali... Ma poi comparve la madre… e fu una piacevole sorpresa. Quella “madre”, arrivata carica di insettini per il suo piccolo, io la conoscevo da tempo, era una mia vecchia conoscenza… Era il fringuello, la femmina di fringuello, che ogni giorno, sistematicamente, si presentava più e più volte appena fuori l’uscio di casa. Scendeva a becchettare le briciole di pane, di biscotti, di merendine… di panettone, sparse durante i miei, ma non solo miei, frequenti spuntini fuori casa e fuori orario. Sì, era proprio lei, ne ero certo, perché, da tempo, era rimasto l’unico fringuello stanziale del mio giardino. Era lei... che era inaspettatamente diventata madre. Madre di un solo piccolo o più probabilmente dell’unico piccolo non ancora autonomo della sua nidiata. Forse gli altri nidiacei erano già volati via o più probabilmente non erano sopravvissuti agli stratempi di questa pazza primavera o, come ulteriore ipotesi, erano finiti tra le fauci di qualche famelico felino.



Tento più volte di fotografare madre e figlio persi tra la fitta ramaglia del pesco giapponese, ma i risultati appaiono veramente modesti. Poi, quando sto ormai rassegnandomi a desistere, il piccolo uccellino, abbandonato il cespuglio, con un breve ed incerto svolazzo si dirige verso il mio orto dove atterra posandosi su di una delle grosse pietre che lo contornano. Una situazione fotograficamente favorevole, da non perdere. Ne approfitto facendo però attenzione a non disturbare. Il sole è tramontato da tempo ma la luce si rivela ancora bastante per portare a termine qualche scatto che si rivelerà poi, ameno a parer mio, oltre che interessante, anche sufficientemente nitido e ben leggibile nonostante l'oscurità e lo sfondo compromesso dalla sgradevole intrusione biancastra del tessuto non tessuto disteso sulle aiuole dell’orto



Due giorni dopo, di buon mattino, rivedo il fringuellino 
posato sui grossi rami di un vecchio melo, di un melo cresciuto con me, un melo che da quand’ero bambino mi fa compagnia sul bordo del cortile dell’abitazione. Lo fotografo ripetutamente sia da solo che con la “fringuella”, con la mamma che lo imbecca con enormi quantità di insetti e di vermetti raccolti qua e là nel prato sottostante.
Gli scatti si susseguono a lungo, fino a quando l’uccellino se ne va, scompare sul retro della casa, perdendosi tra i fruttiferi e le piante selvatiche del mio giardino. Da allora non l’ho più visto.
Qualche giorno dopo la madre, la femmina adulta di fringuello, riprende le sua vecchia abitudine, ricomincia a raccogliere da terra le briciole dei mie panini arrivando senza timore fino a pochi centimetri dalle mie scarpe. Evidentemente, visto che il suo piccolo ha ormai raggiunto l’indipendenza, visto che è ormai in grado di cavarsela da solo, non serve più darsi tanto da fare, non occorre più raccogliere insetti e vermi, da mane a sera, per appagare una insaziabile ingordigia. Molto meglio sfamare sé stessi con le minuzie di pane o di dolci offerte dal padrone di casa.


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“Nar per spargi e per spongiöle” ovvero... andare per asparagi e per spugnole

 


Da sempre in primavera raccolgo le selvatiche primizie che spuntano nei prati e nei boschi della valle nell’attesa che nel mio orto crescano quelle coltivate, i radicchi, le lattughe, la rucola, i ravanelli, gli spinaci e le biete... Tutte le “erbe” spontanee che via via vado trovando si prestano a delle più o meno saporite preparazioni culinarie. Il tarassaco si impiega sia crudo, variamente condito in insalata, sia bollito e ripassato in padella, con le ortiche, la silene e gli spinaci di monte si preparano strangolapreti, gnocchi e risotti, con i bruscandoli risotti e frittate, il crescione va aggiunto in piccole quantità alle insalate, il radicchio dell’orso va conservato sott’olio per delle stuzzicanti merende invernali, con l’asperula si aromatizza la grappa… e chi più ne ha più ne metta. Un insieme di vegetali selvatici, quelli elencati e altri ancora, che raccolgo ogni primavera perché, oltre a possedere delle salutari proprietà nutrizionali e a soddisfare il piacere della gola la loro ricerca nell’alta valle richiede salubri camminate all’aria aperta e questa è, in ogni caso, una gran cosa. 

Ultimamente, siamo ormai prossimi alla metà maggio, due delle mie abituali “uscite” alla ricerca delle “buone erbe, l’ho riservata agli asparagi di bosco e alle spugnole. Posso dire, nel dialetto locale, che “son nà per spargi e per spongiöle”, ho raccolto cioè asparagi e spugnole, due ghiottonerie che non si rintracciano comodamente quasi ovunque, come accade per altre vegetali mangerecci, ma che richiedono la conoscenza dei rari “posti” di crescita, luoghi non sempre vicini e facilmente accessibili, oltre ad una certa perizia nell’ipotizzare il giusto momento della comparsa, solitamente simultanea, delle due rarità.
Quest’anno la primavera si è fatta attendere a causa della lenta scomparsa di una copertura nevosa particolarmente abbondante e così anche gli asparagi e le spugnole sono spuntati in ritardo, un ritardo di una decina di giorni rispetto alle annate normali. Il mio “nar per asparagi e per spugnole”, la loro raccolta e conseguentemente il loro impiego in cucina, per preparare risotti e condire fettuccine per le spugnole e per accompagnare uova al tegamino o altro per gli asparagi di bosco si è fatto attendere, si è fatto molto desiderare… 




Va comunque detto che l’
Aruncus dioicus, asparago di monte o di bosco (in altre zone chiamato barba di capra, barba di Giove, coda di volpe, erba canona, bambe rose, rosa di san Giovanni… così mi dice Internet) botanicamente non ha nulla a che vedere con l’asparago coltivato (Asparagus officinalis) e nemmeno con l’asparago selvatico (Asparagus acutifolius) tipico, quest’ultimo, della macchia mediterranea e quindi introvabile da noi. Così come la “spongiöla” la “nostra” spugnola, la spugnola dei pioppi (Ptychoverba bohemica) nulla ha a che vedere, se non per una “certa parentela” con le “vere” spugnole, (non fa parte del genere Morchella ma del genere Verpa), le morchelle da noi estremamente rare. 
La possiamo considerare una “spugnola di serie B”, un fungo commestibile, dal buon sapore, da usare comunque con prudenza, in dosi non eccessive e solo dopo prolungata cottura. Comunque posso assicurare che, anche se, tra i micologi, alcuni ne sconsigliano l’uso considerandolo sospetto o ancora tossico anche dopo una lunga cottura, io, come del resto tutti i valligiani, l’ho sempre usato con grande soddisfazione (del palato)... ma, voi fate comunque attenzione, non è detto che dobbiate necessariamente imitarmi…



In alternativa potete sempre limitarvi a raccogliere qualche bella piantina di tarassaco”, come del resto ho fatto pure io sulla via del ritorno da una delle mie uscite “per spargi e spongiole”. Il tarassaco, da mangiare crudo in insalata o da lessare e ripassare in padella, non è certamente tossico, nessuna preoccupazione quindi… Come, anziché dedicarvi alla raccolta delle “buone erbe”, potete sempre limitarvi a delle belle passeggiate tra prato e bosco nella primavera che avanza, godendo alla vista del verde tenero delle prime foglie sui cespugli, del candore dei ciliegi selvatici in fiore, del grigiastro dei gattici che, nelle zone più ombrose, solo ora sta virando al giallo intenso… 


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Anemone epatica

 


Anche durante questa stentata primavera 2021 ho fotografato il fiore che spunta per primo appena la neve se ne va. L'ho fotografato per l'ennesima volta. Non sono riuscito a farne a meno affascinato, come sempre, dalla bellezza delle chiazze vivacemente colorate di quel fiore, l'anemone epatica, apparse improvvisamente sugli opachi tappeti di foglie secche ai piedi di cespugli e di alberi ancora totalmente spogli. L’ho fatto durante i miei abituali giretti al margine del bosco, verso la fine di aprile, in ritardo rispetto agli altri anni, a causa di una copertura nevosa compatta e alta che è rimasta sul suolo a lungo, talmente a lungo da sembrare incancellabile.

Questo ho fatto e ora mi ritrovo con parecchie nuove immagini dell'anemone di primavera, dell’anemone triloba o anemone epatica che dir si voglia (erba trinità Hepatica nobilis), di questo bel fiore che, ripetiamolo pure, annuncia la fine dell’inverno… Che farne? Che farne visto che chi mi segue e “sfoglia” costantemente il mio blog ha già avuto modo di conoscere questa pianta (anche) attraverso i miei scritti?

Ho deciso. Pubblico comunque le foto dell'anemone limitandomi però a mostrarle senza aggiungere ulteriori nuove parole... le accompagnerò con quanto scrissi qualche anno fa, in uno dei miei vecchi post.


A volte si rimane senza fiato... quasi increduli di fronte ai sorprendenti spettacoli che la natura ci offre. Gratuitamente. Ma cosa ci sorprende? Cosa e ci affascina, cosa ci incanta? Senza dubbio la bellezza, lo splendore di ciò che ci appare ma anche il senso del mistero... Del mistero che pervade la natura, il mistero degli avvenimenti che via via si susseguono nel tempo manifestandosi in ogni cosa che ci circonda. Basta guardarsi attorno...


Così, girovagando in marzo, lungo le stradine che costeggiano il bosco o che vi penetrano lasciando filtrare tra gli alberi la luce e il calore di un sole ormai alto, si può assistere ad una magica esibizione ben orchestrata da madre natura. Ad un vero prodigio.


Sul terreno bruno, spoglio, ricoperto solo di foglie morte, secche o ancora umide di neve sciolta, compaiono, quasi all'improvviso, mille stelline, mille puntini vivacemente colorati di azzurro, di blu e di viola. Sono i piccoli fiori che annunciano la fine dell'inverno, l'arrivo della primavera. Sparsi in grandi chiazze dove la vegetazione arborea si fa più rada, ben protetti dai cespugli di nocciolo, animano il sottobosco con il loro sorprendente vivace colore. Rallegrano un bosco opaco, scuro, smorto, quasi volessero invitarlo a risvegliarsi dal letargo invernale, a rivestirsi di verde, del verde tenero della primavera.


Ogni fiore uno stelo e una corolla... mancano le foglie... foglie che compariranno tra qualche giorno. Foglie coriacee, trilobate. Ed è' da questa originalissima forma delle foglie che questa piantina prende il nome: “Anemone triloba” o “Anemone hepatica” (forma ma anche colore delle foglie), pianta volgarmente soprannominata “erba trinità”.


La fioritura è breve, dura una sola settimana o poco più. Di sera e al mattino di buonora o quando piove i fiori sono sempre chiusi. Gli insetti che li visitano prelevano solo polline perché sono del tutto privo di nettare. I frutti sono noccioline villose che le formiche raccolgono e diffondono nei dintorni.


Il fiore dell' “Anemone triloba” osservato da vicino è proprio bello, grazioso nelle sue forme semplici, nelle linee elementari della sua corolla... ma soprattutto ciò che più colpisce è la sua capacità di apparire all'improvviso sul terreno nudo, freddo, ancora in abito invernale, di risvegliare il sottobosco rallegrandolo con la sua estesa colorata fioritura.


Un vero miracolo della natura. Un prodigio che per certi aspetti ti può anche mandare in crisi... Viene infatti da chiedersi chi ha inventato e chi gestisce ogni anno questa affascinante magia.... Naturalmente è impossibile trovare una risposta razionale... Resta comunque la domanda e resta l'incanto, lo stupore, la meraviglia... e la gratitudine per questo spettacolo...


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Neve d'aprile

 


In Val di Sole la neve d'aprile non è mai stata un'anomalia ma, a parer mio, durante gli ultimi anni, la sua comparsa si è fatta più frequente e più abbondante non solo sugli alti versanti, anche sul fondovalle. La causa va probabilmente ricercata nel cambiamento climatico in atto. Cambiamento che, in primavera rispetto alle altre stagioni, appare più evidente, e impattante a causa dell’effetto, talora devastante, sulle coltivazioni in piena ripresa vegetativa o in fioritura. Periodi eccessivamente freddi o eccessivamente caldi tendono ormai a susseguirsi a breve distanza. Periodi siccitosi si alternano rapidamente a quelli bagnati e durante questi ultimi le precipitazioni nevose stanno diventando fin troppo abituali.



Durante le primavere degli ultimi anni la neve l'ho sempre vista... L’ho vista depositarsi ripetutamente e spesso anche in notevole quantità.
Ho visto la neve di fine marzo, quella che Rigoni Stern nei suoi scritti chiama la neve della rondine, la Swalbalasneea della tradizione cimbra, come ho sempre visto la neve del cuculo, la Kuksneea, che ultimamente si è presentata anche più volte sia durante l’intero mese di aprile che all’inizio di maggio. Talvolta, seppur raramente, è arrivata pure la Kuasneea, la neve delle vacche, che imbianca i prati verdi pascolati dai bovini e che, se ben ricordo, Rigoni dice di non aver mai osservato sul “suo” altipiano di Asiago.


L’ormai consolidata consuetudine della neve d’aprile non si è interrotta nemmeno quest’anno. La Kuksneea è scesa in abbondanza anche se il cuculo ancora non era arrivato, o almeno ancora non aveva cantato
La neve del cuculo è scesa una sola volta, durante un’intera nottata di metà di aprile. E’ arrivata improvvisamente alla fine di un lungo periodo di bel tempo, dopo parecchie giornate soleggiate e tiepide che avevano fatto rinverdire il mio giardino dopo averlo liberato, quasi per intero, dalla grande massa di neve depositatasi nel corso dell’inverno (altra anomalia climatica al pari dei molti inverni precedenti, sempre poveri di precipitazioni). Alla primaverile nevicata sono seguite delle giornate parecchio fredde, è seguito un notevole e prolungato abbassamento delle temperature perfettamente in linea con l’alternarsi di eventi meteorologici opposti, molto accentuati, caratteristici di questo clima in trasformazione.



Ma torniamo alla nostra neve del cucolo… La neve caduta a metà aprile si è accumulata sul verde ancora incerto del mio prato nascondendo la colorata vivacità primaverile delle primule, degli anemoni, dei crochi e delle pratoline… che però ha ben compensato regalando una vista spettacolare sui versanti selvosi, sui monti e sulle cime della valle.
Suggestivi i panorami osservati e fotografati appena oltre l’uscio di casa!
Di buon mattino i raggi del sole sorto da poco, bucando le ultime nubi e le nebbie sui pendii, rischiaravano gli abeti e i larici nei boschi circostanti rendendo bianchissima e luminosissima la morbida neve che li incappucciava. Uno splendore che solo il candore della neve ravvivato dalla intensa luce primaverile poteva offrire…
Eccezionali chiarori, ma anche atmosfere misteriose, quasi magiche… alberi e cespugli imbiancati che sfumavano rapidamente nella foschia, che sprofondavano in una densa grigiastra caligine.
Profumi ingannevoli, profumi di una natura risorta ma subito ibernata.
Sensazioni contrastanti, gioiose ma anche inquietanti... Ambiente primaverile anomalo, ambiente innevato che annullava la primavera, che annullava il suo colore, i suoi odori, il suo caratteristico e usuale sapore.

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