Il risveglio delle api.



Risveglio anticipato? Risveglio anticipato quello delle api durate questo anomalo (caldo e secco) inverno 2019-2020? Risveglio anticipato anche quello delle api nostrane? Delle api che “abitano” in quota, nella nostra montagnosa vallata ? Credo di sì ma non sono in grado di affermarlo con sicurezza...


Non sono un apicoltore. Le mie scarse conoscenze e la totale assenza d'esperienza in questo campo non mi consentono di valutare la situazione. Posso solo rifarmi a quanto ho letto ultimamente sia sfogliando alcuni giornali cartacei che, soprattutto, navigando nel web.


Questi alcuni brevissimi stralci di articoli ripresi da vari siti internet.
...le api stanno anticipando la data del risveglio dopo l'inverno a causa dell'aumento della temperatura dovuta all'effetto serra......”
Dopo un 2019 che verrà ricordato come l'anno buio dell'apicoltura l'inverno bollente di questi mesi sembra mettere a rischio anche la produzione del 2020. Le temperature sopra i 15 gradi hanno fatto sì che le api riprendessero in anticipo il lavoro di bottinatura ed impollinazione che ora – sottolinea Coldiretti – potrebbe essere messo a rischio da un ritorno del freddo, che farebbe gelare i fiori e morire parte delle api.”
Le temperature sopra i 15 gradi hanno fatto uscire le api dal milione e mezzo di alveari presenti in Italia, che hanno subito ricominciato il loro prezioso lavoro di bottinatura ed impollinazione ma ora il rischio è che ritorni di freddo possano far gelare i fiori e anche far morire parte delle api......”


......il monitoraggio di Coldiretti sugli effetti di un inverno bollente con la temperatura che, fino ad ora, è stata in Italia superiore di 1,65 gradi alla media storica, fatto che ha portato al risveglio di 50 miliardi di api presenti sul territorio nazionale......”
....Ma, dal momento che la temperatura non rimane costante nell'arco della giornata, le api devono fare uno sforzo maggiore per arrivare a nutrire le covate e sopravvivere. Alto inoltre rimane il rischio che il ritorno del freddo possa far gelare......”
...Le api escono dalle arnie richiamate dal risveglio della natura. In Veneto ci sono fioriture spontanee in anticipo come i tarassaco, o altre erbe di campo..... E' l'anticipo della primavera ormai segnalato in tutta la Penisola nelle sue tante manifestazioni negative come la siccità......”


Questa la situazione a febbraio sull'intero territorio nazionale. Ma cosa succede in Val di Sole? Anche quassù si assiste ad un risveglio anticipato delle api rispetto a quanto generalmente accadeva in passato?


La risposta spetta evidentemente solo agli apicoltori locali. Solo loro sono in grado di valutare l'attuale condizione delle numerose famiglie di api presenti sul nostro territorio confrontandola con quella degli ultimi anni e, soprattutto, con la condizione media di “altri tempi”, di due, tre decenni fa quando il cambiamento climatico e i suoi effetti negativi non erano così evidenti.


Io mi limito ad osservare, non posso fare altro... non posso che limitarmi ad osservare... Mi guardo attorno e, sul versante solatio che sovrasta il paese, a più di mille metri di altitudine, vedo api, poche in verità, già intente, nel sole del primo mattino, a volteggiare tra i polloni in fiore del nocciolo, tra i gialli e gonfi amenti ricchi di polline (Corylus avellana).


Poi ne vedo molte altre, impegnate ad uscire e rientrare lentamente nelle arnie. Le vedo muoversi al sole sui predellini delle loro casette, le vedo svolazzare nei dintorni...
Quindi anche le “nostre” api di montagna sono ormai in grado di abbandonare le arnie dove avevano trovato rifugio durante la brutta stagione, dove si erano ammassate in un “glomere”, in un gruppo stretto, in una palla compatta per non disperdere il loro calore, per difendersi dal freddo invernale.


Questo quello che osservo in una soleggiata mattinata di metà febbraio sui pendii delle Pendege sopra Fucine.
Ma precedentemente, all'inizio di febbraio e a gennaio, cosa accadeva? Le api stavano già uscendo dall'arnia? Si erano già risvegliate? Questo evidentemente non lo posso sapere... Quello che so, quello che è certo perché lo sto constatando. è che ora molte operaie alate lasciano l'arnia e se ne volano via. Quello che è certo è che api si sono risvegliate... I loro voli potrebbero essere solo voli di purificazione (per svuotare l'ampolla rettale) ma, non mi sento di escludere che i loro voli siano già finalizzati alla raccolta di polline e nettare dai noccioli in fiore.


Comunque a questo punto, davanti a questo risveglio, non ci resta che sperare che nell'attesa della ormai vicinissima maturazione dei gattici (le belle infiorescenze del salicone, il Salix caprea), e quindi, più avanti, della fioritura dei crochi, degli anemoni, delle primule, delle pratoline... dei fiori dei ciliegi, dei susini, dei peri e dei meli, del ribes, del mirtillo... dei fiori della robinia, le condizioni climatiche non cambino drasticamente portando freddo e neve (come accadde l'anno passato), portando quel gelo che finora è sostanzialmente mancato e che, così "fuori stagione", sicuramente causerebbe danni inimmaginabili..



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Lungo il fiume Noce all'imbrunire

Breve passeggiata serale sui prati di Novale


Fa freddo anche se non è il freddo che ci si potrebbe aspettare all'inizio di gennaio. Fa comunque freddo e il mio lento procedere lungo le sponde del Noce che corre placido lungo i prati di Novale all'imbocco della Val di Peio, è accompagnato, di tanto in tanto, dal lamento della neve gelata che si frantuma, al contatto con la dura suola degli scarponi. Fa freddo... ed è proprio il freddo che ha congelato la neve, quella neve che puntella il mio procedere. Quella neve che, scesa copiosissima da tempo, scesa inaspettatamente all'inizio di novembre, si è ammollata con la pioggia, per poi compattarsi e indurirsi con le basse temperature del periodo successivo.


Neve abbondante fuori stagione seguita dalla pioggia anche alle quote più alte e poi... più nulla: totale assenza di precipitazioni significative per un interminabile periodo. Un ulteriore sintomo del cambiamento climatico in atto? Una delle molteplici conseguenze del riscaldamento globale? Potrebbe esserlo, impossibile stabilirlo... ma non sottovalutiamo questa e tutte le altre anomalie meteorologiche che, di anno in anno, si stanno facendo sempre più frequenti ed intense...


Ma torniamo a noi o meglio al “racconto” della mia serale passeggiata lungo il torrente Noce (o fiume Noce?) nella luce diffusa da un cielo invernale, limpido e ancora luminoso.
Si dice che la sera nasconda le cose, che quando il sole è tramontato e pian piano si avvicina il buio della notte, il panorama si incupisce, i particolari si offuscano, i dettagli si perdono. Non è sempre così. Quando il crepuscolo si avvicina, può anche capitare che il paesaggio si ravvivi, che si tinga con i colori riflessi dal cielo policromo del dopo tramonto. Può capitare che delle ombre tenui e sfumate, figlie di una luce molto particolare, si allunghino sulla terra donando una plastica profondità all'insieme. Così, talvolta di sera, può succedere che si definisca al meglio l'essenza di un ambiente, che se ne percepisca interamente la sua bellezza, che si possano cogliere appieno le sensazioni che ci trasmette.


All'imbrunire il manto nevoso che ricopre i prati pianeggianti nei dintorni del torrente non è certamente quello che si vede quando vi picchia il sole del mezzodì: una distesa piatta, uniformemente luccicante, quasi abbagliante… La luce diffusa della sera si limita ad accarezzare il deserto di neve. Distendendosi sulle sue dune ne illumina dolcemente il colmo e i versanti bene esposti. I colori del cielo al tramonto riescono solo a velare con i loro riflessi aranciati la superficie della bianca distesa ondulata, mentre delle leggere ombre azzurrognole si nascondono nei suoi incavi più profondi.


Sul prato innevato, all'imbrunire, i contrasti tra le luci e le ombre si attenuano, tendono a sfumare ma questo non accade sulla superficie del torrente dove i contrasti si fanno invece più netti, più decisi. Dopo il tramonto l'acqua si fa più scura, perde la trasparenza che aveva al mattino o al primo pomeriggio quando, trafitta dai raggi diretti del sole, lasciava intravedere il fondo sassoso su cui scorreva. Ora, il fluire dell'acqua è impenetrabile ma sulla sua superficie balenano i luminosi riflessi del cielo e sulle acque più calme degli slarghi si riverberano le nubi colorate della sera. Qua e là, poi, dalla scura corrente emergono i fregi biancastri delle acque agitate, emergono i candidi schizzi delle acque che si incuneano tra i massi cadendo rapide in gorghi ribollenti, delle acque che balzano, saltano e precipitano in vivaci cascatelle.


L'ora che precede il crepuscolo è un'ora quieta. Mentre la luce va lentamente calando anche i rumori si attenuano, l'umana operosità va scemando e sulla valle, con il sopraggiungere della notte, scende pian piano il silenzio. Lungo il mio “cammino” che costeggia il torrente perdendosi nei prati di Novale ma anche lungo la vicina stradina (la pista ciclo-pedonale della Val di Peio) non si vede anima viva. Evidentemente, quando, dopo il tramonto, la temperatura si abbassa, anche i turisti più coraggiosi, anche i natalizi visitatori più curiosi e i ragazzini più avventurosi abbandonano i dintorni del paese, le zone aperte, e si ritirano al calduccio in ambienti chiusi e ben riscaldati.


Non così gli animali selvatici che popolano la zona... Nella pace della sera i caprioli e i cervi lasciano i loro rifugi nel folto del bosco e escono allo scoperto scendendo nel fondovalle. Si muovono guardinghi e approfittando dei sentieri battuti raggiungono le macchie di noccioli al confine con i prati. Ma è ancora presto. A quest'ora l'incontro con un selvatico è molto improbabile. Il sole illumina ancora la punta del Vioz e del Taviela. C'è troppa luce... Mi riesce di osservare solo un merlo acquaiolo. Lo vedo riprendere la pesca lungo il torrente prima del suo riposo notturno. Si tuffa e si rituffa nelle acque gelide... Lo vedo riemergere con delle piccole prede nel becco. Larve di tricotteri racchiuse nel loro guscio fatto di sabbia e, forse, un avannotto di trota.


Nella luce che si assottiglia c'è solo il merlo acquaiolo ad attestare la vitalità del torrente. Tutto è paralizzato, non spira un alito di vento, anche l'acqua che pur continua a scorrere gorgogliando sembra immobile. Nella luce sempre più incerta i contorni perdono di consistenza, gli schizzi d'acqua sfumano gli uni negli altri, si fondono alla vista e perdendo il loro dinamismo e la loro lucentezza.


Ma è l'intero ambiente che circonda il torrente che lentamente si offusca. I pur tenui colori della neve al tramonto svaniscono... il giallastro, l'azzurro e pure il bianco, si sciolgono fondendosi in un grigio uniforme privo di luci e di ombre. Il bosco si fa tenebroso. Le montagne sullo sfondo diventano sagome spente che si perdono in un cielo sempre più opaco. Meglio rientrare...

Foto sommariamente rielaborate con Luminance HDR
Foto “base” in Google Foto



Inverno lungo le sponde del torrente Vermigliana



All'inizio di gennaio (anno 2020) il paesaggio dell'Alta Valle non offre un granché. Al contrario di quanto è accaduto molte volte durante gli ultimissimi decenni, la neve c'è ed è pure abbondante ma, essendo caduta parecchio tempo fa, all'inizio di novembre, ormai copre esclusivamente il terreno nudo e non se ne vede traccia alcuna sugli alberi e sui cespugli del bosco. Bosco che, sui versanti della valle, appare uniformemente piatto e scuro. Il panorama, nel suo insieme, ne risente decisamente non assomigliando di certo a quello degli inverni di alcuni decenni fa e ancor meno a quello (convenzionale e, se vogliamo, stereotipato) delle cartoline d'auguri natalizi del passato, quelle dei miei lontani ricordi.


L'inefficace ricerca di un qualche pittoresco percorso che possa soddisfare la mia voglia di osservare e, perché no, di fotografare mi porta, per l'ennesima volta (con un briciolo di rassegnazione), a seguire a ritroso, il corso del Vermigliana, un torrente che, pur nella complessiva monotonia del paesaggio, riserva ancora la possibilità di scoprire qualche scorcio interessante.
La mia breve passeggiata ha inizio sulla strada provinciale tra Fucine e Ossana, in corrispondenza del ponte che attraversa il torrente poco a monte (300, 400 metri) della sua confluenza con il fiume Noce. Seguo quindi all'indietro il percorso delle acque, camminando prima lungo la sua spessa arginatura artificiale sulla sinistra orografica poi per un brevissimo tratto sulla statale del Tonale e infine, superato il ponte della Poia, per circa un chilometro sulla sponda destra, lungo la stradina che porta oltre il Fil (o Spiaz dei Spini) nel freddo e stretto vallone privo di sole che sale in direzione di Vermiglio.


L'aspetto del torrente, lungo questo suo tratto finale, prossimo alla confluenza, è multiforme, dipendente com'è dalla presenza di numerose opere di sistemazione idraulica (poste a difesa dell'abitato di Fucine) che ne modificano caratteristiche e naturalità. Si tratta di numerose piccole briglie accompagnate da poderosi muri di sponda nel tratto che costeggia il paese, seguite più a monte da due colossali briglie filtranti, di recente realizzazione, con relativo bacino di deposito e, più a monte ancora, da alcune alte e massicce traverse tradizionali risalenti agli anni sessanta del secolo scorso. I tratti del torrente che mantengono la loro originaria autenticità sono ben pochi, si può dire che sostanzialmente non esistano. Ciò nonostante il torrente mantiene una sua “selvatica” attrattiva che, il susseguirsi delle opere di sistemazione addirittura accentua modificando continuamente l'ampiezza e la pendenza dell'alveo e con essa la velocità delle acque e il modo del loro procedere.


Ingredienti uniformanti dell'ambiente che mi circonda, durante questa mia breve passeggiata invernale, sono il grande silenzio rotto solo da un appena percettibile sciacquio delle acque e, soprattutto, il panorama in chiaroscuro: l'accostamento del chiaro della neve e del ghiaccio con quello scuro dei massi che emergono dall'alveo, quello degli alberi e dei cespugli nudi che attorniano le sponde congelate del torrente oltre a quello, più lontano, del bosco che riveste i versanti della vallone. In questo contesto, paesaggisticamente uniforme, il fluire irregolare delle acque in un alveo che modifica continuamente il suo aspetto rappresenta una stimolante attrattiva, sicuramente una vista accattivante.


Risalendo il primo tratto del Vermigliana, poco a valle della due grandi opere filtranti di trattenuta, si incontra una vivacissima rapida dove le acque precipitano su di un letto di roccia viva, modellata e ben levigata dallo secolare strofinio di sabbia e limo trasportati dalla corrente. Qui le acque cadono, rimbalzano e schizzano... e le gocce degli schizzi si consolidano.... dove si posano, sulle sponde, sulle rocce e sui sassi affioranti. Gli spruzzi solidificano in placche di gelo traslucide o si condensano in luminose, o in astratte sculture di cristallo che riflettono, scompongono e amplificano la piatta luce invernale. Una vivacità ghiacciata fatta di spruzzi, di gorghi spumeggianti, di inaspettati chiarori, di tenui bagliori che regalano al torrente e all'ambiente circostante una nota di gelida vivacità.


A monte della rapida le acque procedono più tranquille. Scorrono sinuose tra rocce e grandi massi confluendo e allargandosi placide nei due bacini di deposito, uno di seguito all'altro, originati dagli sbarramenti filtranti per la trattenuta del materiale più grossolano portato a valle da una eventuale piena. In questi slarghi sabbiosi, quasi pianeggianti, le acque opache del Vermigliana si ravvivano... Si ravvivano quando, nella tarda mattinata, il versante della valle rivolto a mezzogiorno, illuminato dal sole, si specchia nel torrente. Allora mille bagliori colorati iniziano a diffondersi sulla sua superficie ondulata. Sono i colori ancora parzialmente ramati dei larici, delle roverelle, delle erbe rinsecchite che, accanto al candore della neve, vibrano sull'acqua... Vibrano... riflessi dall’acqua increspata creando screziature dorate, disegnando magici grafismi che si decompongono e si ricompongono in un gioco senza fine.


Il sole che illumina il versante più fortunato del vallone non raggiunge mai, durante i mesi freddi, l'altro versante e non raggiunge mai nemmeno la stradina che si snoda sul fondovalle. Non rischiara mai il torrente, non illumina e non riscalda le sue acque... Acque che si fanno sempre più gelide, acque che, a poco a poco, iniziano a congelarsi originando lastre di ghiaccio sempre più spesse e sempre più elaborate. Ghiaccio. Acqua prigioniera dell'inverno. Sempre più ghiaccio. Ghiaccio che, via via, ricopre e ingloba i sassi e i macigni sparsi nell'alveo ma non solo... incorpora pure i cespugli di salice cresciuti nelle minuscole golene a monte delle grandi briglie nei pressi dello “Spiaz dei spini” o Fil, che dir si voglia.


Sono soprattutto due le briglie che, inevitabilmente, attraggono l'attenzione di chi risale la stradina del Fil costeggiando il torrente. Due alte e massicce briglie in muratura che serrano l'alveo, trattenendo materiale e soprattutto rallentando il rapido fluire delle acque durante le piene che, durante l'anno, non mancano mai. Ora in inverno la portata è minima e le acque gorgheggiano sottovoce, staccandosi dal coronamento e precipitando calme nel profondo catino sottostante. Dopo il salto, si riposano distendendosi tranquille in uno slargo buio e profondo scosse solo dall'improvviso zigzagare di un pesce a caccia di una illusoria preda congelata. Poi riprendono svogliatamente il loro cammino, scendendo pacatamente a valle verso la briglia successiva.


A monte delle due briglie, per un lungo tratto, l'acqua scorre quieta in un alveo regolare e poco ripido ma più avanti, ben oltre il Fil, il torrente bruscamente si impenna, si fa più erto e stretto. Qui le acque, rimbalzando tra massi e pareti scoscese, acquistano velocità e un'energia che sorprende. Qui si levano nuovamente schizzi e spruzzi, si alzano nuvole d'acqua fatte di goccioline scintillanti che posandosi sulle sponde, sui sassi e sulle rocce si condensano in vetrose, iridescenti strutture ghiacciate, in astratte sculture di cristallo.


Nella zona del Fil il freddo è pungente. Lo spesso strato di neve, che tutto riveste fin dall'inizio di novembre, è ghiacciato, omogeneo e compatto... durissimo. Sulla sua superficie, però, il sottilissimo rivestimento di neve fresca, caduta da poco, sta subendo una lenta metamorfosi dettata dal gelo. Si sta ricoprendo di piccoli cristalli, di scaglie cristalline che brillano, che riverberano la luce del sole quando, in questa zona, e solo in questa zona, verso mezzogiorno, il sole le raggiunge e le irraggia per qualche istante.


La neve scesa copiosa all'inizio di novembre, seguita non solo dalla pioggia che infradiciandola l'ha appesantita ma pure dal freddo intenso che l'ha indurita (anomali eventi di un cambiamento climatico sempre più evidente...) ha catturato cespugli e giovani conifere piegandoli e inglobandoli nella sua massa gelata e compatta. Solo l'arrivo della primavera restituirà, a queste piante ferite e contorte, la libertà. Per ora, e per lungo tempo ancora, di quelle piante che furono piante libere, di quelli che furono flessibili rami di nocciolo, elastici polloni, giovani vigorosi larici, emergono solo alcuni brandelli, gementi, piegati al suolo dal peso della neve o solo alcune scheletriche estremità rigidamente allungate nel vuoto, quasi a implorare il ritorno della bella stagione.



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Il castello di San Michele all'imbrunire


Breve passeggiata sul far della sera


Quando scende la sera e il sole rischiara solo il culmine dei monti più alti, mi vien voglia di uscire, di mettermi in cammino su viottoli e stradine nei dintorni del paese. E' questa infatti l'ora che più mi incanta... l'ora in cui il giorno si spegne, l'ambiente si copre di ombre e pian piano il buio si avvicina. L'ora in cui si respira un'aria diversa, più fresca, un'aria mossa, più viva... l'aria che precede il crepuscolo e l'immobilità della notte. L'ora in cui le calde pennellata di colore che ancora ravvivano le pendici dei monti si smorzano a poco a poco fino ad estinguersi lasciando il posto ad un indistinto fondale in chiaroscuro.

Se il cielo è sereno la sua tinta muta di minuto in minuto, virando dall'azzurro al giallastro, all'aranciato, al rosato, al violetto per sfociare nel blu plumbeo dell'oscurità. Tinte generalmente tenui che sfumano lentamente l'una nell'altra. Se al contrario il cielo è parzialmente coperto e verso ovest si addensano dense velature ma soprattutto alte nubi lenticolari si può assistere ad un tramonto suggestivo, talvolta spettacolare dai colori vividi e nitidi.

All'imbrunire, quando il cielo muta, mi ritrovo quindi a camminare nei dintorni del paese di Fucine. Evitando, per quanto possibile le strade principali a quest'ora oltremodo trafficate (dalle auto degli amanti del luna park dello sci di ritorno dal loro quotidiano exploit), raggiungo i prati innevati a valle della “Strada della Fornas” verso la confluenza del torrente Vermigliana con il fiume Noce dove il paesaggio è dominato dal bel castello di San Michele.



Esploro l'ambiente che mi circonda camminando senza minimamente sprofondare nella neve che copre l'intera zona. Siamo alla fine di dicembre, in pieno inverno... e la neve, quest'anno, è abbondante, non manca sicuramente... al contrario di quanto è accaduto durante molti degli inverni passati. Quest'anno è scesa addirittura anzitempo e in quantità inusualmente copiosa (è fioccato all'inizio di novembre: evento anomalo? Altro indizio di un inarrestabile cambiamento climatico ?) accumulandosi sul terreno in uno strato spesso che le piogge e il freddo successivi hanno oltremodo compattato e indurito.


Mi attornia un paesaggio in chiaroscuro. L'atmosfera, dopo il tramonto, è spenta, sbiadita e l'imbrunire si avvicina a passi sempre più lunghi e più rapidi. Inaspettatamente però, e solo per pochi minuti, il cielo si rianima, riprende colore... Sopra le altissime cime del Taviela e del Vioz che chiudono la Val di Pejo si tinge di rosa, di un rosa tenue che, a poco a poco si fa più intenso, scuro e antico fino a dissolversi nel grigiore della sera. Altri più vividi colori si accendono sopra il Tonale, dove muore la valle e il sole declina durante l'inverno. Fulgide tonalità. Un mix di giallo, di arancione e di rosa pittura le nubi e le dense foschie che stazionano sopra i rocciosi Monticelli sovrastanti il Passo.




Ma le tinte vivaci e luminose che fanno da sfondo ad un paesaggio fatto di bruni e di grigi, scuri e smorti durano poco, si dissolvono rapidamente. Le nubi si oscurano, il buio avanza in fretta... la notte non sospende la sua avanzata. L'atmosfera si fa sempre più cupa: è il crepuscolo, un crepuscolo invernale sul Castello di San Michele, tra terra e cielo, tra boschi tenebrosi e nubi variopinte che ben presto si sono spente... L'oscurità ha avuto il sopravvento, il cielo ora mantiene un minimo di luminosità solo là dove il sole è tramontato, verso le cime del Tonale...

...Si accendono le luci. I paesi, vicini e lontani, a poco a poco si illuminano. Anche lungo le massicce murature merlate del castello di Ossana si accendono le luci, si accendono i riflettori... che, sempre lo rischiarano nell'oscurità della notte modellando le sue antiche e cadenti mura, i resti del palazzo e il suo possente mastio. In questo periodo poi, è importante illuminarlo per bene perché al suo interno, nelle sue corti, si accolgono i valligiani e i turistiche e che affollano Ossana, l'arcinoto “borgo che ha più presepi che abitanti”.
Si fa notte. Immerso nell'oscurità ormai incipiente mi avvio sulla strada del ritorno, avanzando prima sul solido manto di neve ghiacciata e poi sulle vie del paese asfaltate e ben pulite. Non c'è molto da camminare ma è tardi e sarò a casa solo quando si sarà fatto del tutto buio.


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