Val Baselga e il suo bivacco

Erano sicuramente più di trent'anni che non salivo in Val Baselga. e mi è sembrato bello ritornarvi dopo tanto tempo, ritornare lassù, ai piedi delle cime dove ho vissuto tante avventure...
Avventure di cui ho già lungamente detto nel post, “In Val Basega esulle creste dei Crozi dei Meoti
La piccola valle di Baselga con il suo minuscolo pianoro verde, lievemente solcato dal serpeggiante limpidissimo rio, mi è apparsa ancora più suggestiva, mi ha incantato più di quanto mi incantava già allora, in quegli anni lontani.
Fin troppo affascinante la valletta di Baselga, con il suo fondale di rocce, di lastroni e di punte granitiche a orlare la conica, massiccia Cima Baselga...
...selvaggio l'insieme, così fuori dal mondo, così poco calpestato, lontano dai circuiti trafficati delle grandi masse, dai desideri e dai percorsi dei vacanzieri, che si accontentano di accalcarsi più in basso, sulle rive del Laghetto dei Caprioli, artificialmente creato proprio per loro, per soddisfare la voglia di mare, di riviera romagnola anche in montagna.





Ed è proprio in prossimità del lago che inizia il percorso per la val Baselga.
Con l'amico di sempre parto all'alba quando sulla sponda del lago si trovano solo alcuni pescatori e tutto è silenzio nella piatta luce del primo mattino. Il luogo si animerà solo molto più tardi, con il sole ormai alto e sarà così fino al tramonto...






Saliamo per una comoda strada forestale ma solo per una ventina di minuti poi... poi inizia un vero “calvario”... per più di un'ora e mezza...





Si imbocca infatti un sentiero che salendo si fa sempre più sconnesso, spesso erto, e per lunghi tratti infossato nel terreno, con il fondale a gradoni sassosi quasi fosse il greto di un ripido e angusto torrente.





Procediamo lentamente, faticando, protestando e lamentandoci di tanto in tanto, tant'è che il mio amico, in "omaggio" anche alla nostra non più tenera età, lo classifica come “sentiero per soli adulti, adulti con le gambe lunghe e soprattutto non nostalgici”.






Nei miei ricordi il sentiero era sì eterno e noioso con tutti quei tornanti ma non lo rammentavo così “pesante”... ma allora... allora avevo qualche anno in meno e tutto era più facile.






L'ambiente, ricco e vario, che si attraversa tra i raggi radenti del primo mattino mitiga in parte la “sofferenza” della salita.





Il bosco, lasciate le iniziali pulite fustaie coetanee di abete rosso, si fa più intricato e selvaggio per trasformarsi infine in un lariceto sempre più rado con sottobosco di rododendro, di ontano verde e con sparse piante di cembro alle quote più elevate.




Ci troviamo ormai in alto, più o meno a 2000 metri, e il panorama, alquanto limitato, ora si apre sulle cime del Taviela, Vioz e Cevedale, laggiù in fondo alla val di Pejo. La vista si estende anche sui pascoli delle Pozze con le numerose malghe, con la Cima Vegaia e con i paesi di montagna sottostanti, Ortisè, Menas, Castello e Termenago.






Poi, quasi all'improvviso e “finalmente...”, la verde val Baselga orlata dalle sue grige ma luminosissime cime.




Solo pochi passi e raggiungiamo il bivacco. In un piccolo avvallamento ecco infatti il “mio” bivacco dove un tempo trascorrevo la notte con i fratelli per avventurarmi all'alba sulle rocce della cima Baselga o sulla cresta dei Crozi dei Meoti alla ricerca di camosci da fotografare sullo sfondo dei lontani monti dell'Ortles Cevedale.





Il bivacco non è certamente più quello di un tempo, che arrangiato sui ruderi di una vecchia malga, offriva agli escursionisti temerari solo un riparo, un po' di calore e dei giacili di grezzo legno per non dormire all'addiaccio.


Oggi è stato ristrutturato, direi ricostruito e appare ben diverso... Appare... perché, ahimè, è “vietato” entrare, non si può visitare... la porta è chiusa a chiave. Ma a chi può mai servire un bivacco sprangato? Solo a chi ne ha le chiavi? Soltanto ai cacciatori?
Però un ricovero d'emergenza che funge anche da magazzino è accessibile a tutti da un una porticina facilmente apribile... è questa una possibile sistemazione per il "viandante", sistemazione assimilabile a quella dell'antico bivacco dei miei ricordi...




Ma sopraggiungono dei ragazzi del posto che ci illuminano, chiarendoci la situazione: il bivacco dopo la ristrutturazione era sempre aperto, aperto a tutti ma in seguito a dei danneggiamenti (non mi è chiaro se dovuti ad atti vandalici o alla devastazione causata dalle mucche entrate dalla porta dimenticata aperta) si è deciso di tenerne le chiavi in municipio a Pellizzano e di consegnarle di vota in volta a chi le richiede... Giusto? Sbagliato? Così è.




Sarebbe tanta la voglia di proseguire, di procedere, di arrampicare oltre i sentieri battuti, lassù in alto, ai piedi della cima Baselga per osservare camosci, aquile e marmotte, di raggiungere il passo di Cagalatin per calare poi in Val Piana, di individuare e magari salire al Passo del lago Nero che si apre sul lago Gelato.
Impensabile...assurdo... i tempi in cui potevano permetterci queste imprese sono davvero lontani.





Nel sole ormai alto ci accontentiamo di seguire per alcune centinaia di metri il sentiero che percorre la piccola valle costeggiando il rio dal fondo sabbioso e dalle acque limpidissime, godendoci lo stupendo panorama e sollazzandoci con i nostri sogni impossibili.





Ma è giunta l'ora del rientro. Una breve sosta al bivacco, due chiacchiere con una coppia di cinquantenni molto più coraggiosi e in forma di noi decisi a salire ancora un poco, un ultimo sguardo alle cime e alla valle e iniziamo la discesa con un ceto timore e molta prudenza.





Poniamo molta attenzione a non scivolare sul bagnato e a non inciampare sui sassi piccoli e grossi che costituiscono il letto pietroso del nostro "amato" sentiero che a tratti scorre anche lungo profondi dirupi.




Ma la discesa si svolge tranquillamente, senza alcun problema a dimostrazione del fatto che spesso ci si preoccupa inutilmente. Ci sentiamo così sicuri e ancora in forze che, raggiunta la comoda strada forestale la abbandoniamo optando per la ripida scorciatoia che fiancheggiando una cascata ci permette di arrivare subito al Lago dei Caprioli.






Qui ci attendono centinaia di persone distese sui prati in riva alle acque, intente a “cuocersi” all'ultimo sole... di colpo siamo rientrati nella società civile... e la selvaggia Val Baselga è ormai decisamente alle nostre spalle... è solo un ricordo, una cartolina d'altri tempi, è solo la perduta immagine di un mondo che qui sembra ormai molto, molto lontano...











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La “Via delle Malghe” in Val di Rabbi

Sugli alpeggi della Val Cercen nel Parco Nazionale dello Stelvio......

......tra le foreste e i pascoli del versante sinistro della Val Cercen dominati dalle rocce scure e scoscese dei monti sul versante opposto, le cime Polinar, Tremenesca, Bassetta, Pozze, Vegaia, Cadinel e Grande, e dai i passi Cadinel e Cercen verso la Val di Pejo.
Lunga scarpinata alla scoperta della tradizionale agricoltura di alta montagna oggi ben integrata con l'attività di accoglienza di turisti ed escursionisti.
Partiamo, io e il mio amico, da Bagni di Rabbi diretti alla prima malga, la Malga Fratte Bassa, infiliando subito la pista forestale che si stacca sulla sinistra dalla provinciale poco oltre il parcheggio del centro termale. Dopo aver oltrepassato il Torrente Ragaiolo, che precipitando impetuoso dalle forre della Val Cercen forma una spettacolare cascata, proseguiamo nel bosco di conifere fino a raggiungere il pianoro dove sorge la malga, prima malga di una lunga serie. Malga con la stalla dalla caratteristica, tradizionale struttura totalmente in legno e con l'edificio dei gestori in muratura e legno, dall'architettura apparentemente più moderna, destinato  ad accogliere passanti e vacanzieri.
A monte della malga imbocchiamo uno stretto viottolo che sale tra una fitta vegetazione di conifere tagliando l'erto versante che a tratti si fa roccioso e ripidissimo. La mulattiera raggiunge come d'incanto i bei prati aperti di Malga Fratte Alta circondati da un rado e luminoso lariceto, quasi un pascolo alberato. Pascoli vasti e ricchi quelli di Fratta Alta ma abbandonati come del resto la vecchia malga ridotta ormai ad un cadente rudere. Sito panoramico che prima di riprendere il cammino, dopo esserci dissetati con la fredda acqua che sprizza verso l'abbeveratoio, ci invita a godere a lungo della vista della valle sottostante e delle cime innevate di Sternai.

Prendiamo ora un sentiero ben marcato che si inoltra in piano per un lungo tratto, tra rododendri e formazioni coetanee, più o meno fitte, di vecchi larici. Raggiunta la carrozzabile procediamo in salita e ci troviamo in breve sopra il limite della vegetazione arborea, in vista della Malga Sole Alta. Edificio unico, di dimensioni ragguardevoli in legno e pietra locale destinato anche all'ospitalità di turisti ed escursionisti. Avanzando ancora per un breve tratto sulla ormai pianeggiante strada forestale arriviamo alla piccola Malga Fassa e godendo della vista sulle cime del versante nord della valle ci avviamo verso la malga successiva.

Avanti ancora... per il bel sentiero che, attraversata una piccola frana, rimonta leggermente e raggiunge Malga Villar Alta. Siamo ben al di sopra del limite del bosco, tra immense praterie dove fa bella mostra di se l'edificio di questa malga, ristrutturato secondo la tradizionale architettura delle nostre vallate. Qui, come nelle altre malghe, si lavora il latte, si producono burro, formaggio, ricotta che però qui gli escursionisti non possono acquistare né assaggiare. I prodotti caseari sono di esclusiva proprietà dei soci della malga, almeno così ci dicono i gestori.

Avanziamo ora verso Malga Cercen Alta sul sentiero che inaspettatamente sale ancora, leggermente ma costantemente. Strano perché la nostra meta si trova più in basso, a quota inferiore. Siamo sconcertati, non avremmo per caso sbagliato percorso? Ma poi finalmente inizia la discesa in una successione ininterrotta di tornanti, tra rododendri e negritelle, al cospetto della parte terminale della valle e dei passi Cadinel e Cercen. ma eccoci alla Malga che sembra però dismessa nonostante sia evidente che nei dintorni le mucche abbiano stabulato e pascolato.


Caliamo subito per la strada sterrata che scende a valle e dopo alcuni tornanti, lasciati i pascoli, ci addentriamo nel lariceto e raggiungiamo rapidamente Malga Sole Bassa. Il casaro ha da poco terminato il suo lavoro quotidiano e il "ragazzo" sta ripulendo la casera... A Malga Sole Bassa si possono acquistare i prodotti della lavorazione del latte, si può sostare per riposare, ci si può rifocillare con i formaggi, i salumi e le grappe della tradizione. E' quello che anche noi ben volentieri facciamo...

E' ora di rientrare.. Seguendo la carrozzabile in leggera ma costante discesa costeggiamo il torrente Ragaiolo che segna il confine meridionale del settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio. Sostiamo brevemente nell'area attrezzata del parcheggio del Fontanon. Poi ancora giù. La strada cala lungo la valle fino alla forra del torrente acquistando una pendenza sempre maggiore... e ancora giù, sempre immersi nel bosco di conifere, fino a raggiungere la provinciale nei pressi del parcheggio di Bagni di Rabbi, nostro punto di partenza e di arrivo.
Ma quante malghe abbiamo visto?... Molte... abbiamo percorso veramente un lungo tratto della “Via delle Malghe”... e pensare che sempre sul  versante da noi esplorato, poco sotto il nostro sentiero, erano attive altre due malghe, la Malga Sole Bassa e la Malga Villar Bassa, senza considerare tutte quelle di fronte a noi, quelle che costellavano il versante opposto, e poi ancora quelle che apparivano in lontananza sui lontani pendii della Val di Rabbi. e ancora di più... mi è stato detto che un tempo nell'intera valle erano attive ben settanta malghe...una quantità incredibile.


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Il percorso è descritto, con piccole varianti, anche nel testo "Escursioni - Parco dello Stelvio - Trentino e Alto Adige" di Paolo Turretti e Tiziano Mochen


Una voce fuori dal coro... una provocazione... ma piccola, piccola...

Scrivevo la primavera dello scorso anno nel mio post “Il percorso della fauna in Val di Rabbi
Bella la Val di Rabbi. Incomparabilmente bella…
Bella e unica...
Unica perché ancora integra, non omologata alle sirene dello sfruttamento turistico intensivo che caratterizza più zone della val di Sole dove si è snaturata la natura del territorio, degradando l’antico ambiente alpino perfino entro i confini del Parco Nazionale dello Stelvio.
Qui, in Val di Rabbi, l’antico, consapevole, rispettoso connubio tra ambiente e insediamento umano e la valorizzazione delle tradizionali attività agricole e artigianali, sono il vero motore dell’attrazione turistica. Qui, la lungimirante integrazione tra  l’antica economia agro-silvo-pastorale ed una economia turistica responsabile punta ad uno sviluppo sostenibile, non invadente, duraturo e non legato alle mode del momento.
Uno sviluppo accorto, durevole nel tempo, che cerca di coinvolgere l’intera popolazione nell’ospitalità turistica fonte di arricchimento non solo economico ma anche sociale e culturale...
Alla luce della mia escursione nella stupenda Val Cercen posso complessivamente confermare quanto scrissi lo scorso anno ma... c'è un ma, un qualche cosa che mi suscita delle perplessità, alcuni dubbi...
E' la vista di alcune malghe che giustamente ospitano turisti ed escursionisti ma che ormai richiamano nella loro veste architettonica e nel loro aspetto e addobbo complessivo più le sembianze di una pensioncina “similrustica” che quelle di una autentica malga della val di Rabbi...
Ma è soprattutto l'inserimento in pieno Parco di una struttura totalmente estranea al nostro ambiente montano che mi sconcerta. Mi riferisco al ponte tecnologico, detto tibetano, da poco inaugurato e sospeso sopra le cascate del Rio Ragaiolo. Curioso, anzi sorprendente, che, per quanto ho potuto leggere, alla sua realizzazione abbia concorso anche  l'Ente Parco.
Volevo scattare qualche foto alla cascata del torrente Ragaiolo dal ponte della carrozzabile forestale che conduce a Malga Fratte Bassa, ma quella avulsa struttura era lì, proprio lì sopra e incombeva invadente sulle acque tumultuose guastando una visione unica.
Certo una grande novità questo ponte (che non porta da nessuna parte...), anche parecchio costosa, una grande attrazione turistica... e in realtà è proprio questa la sua unica finalità: l'attrazione turistica... Finalità ben diversa da quella dei  ponti originai nelle lontane montagne himalaiane. Osservandolo da sotto, dalla strada per Malga Fatte, non ho potuto non pensare ad un'altra grande “opera” di cui molto si è discusso in quest'ultimo periodo. Ho pensato alla passerella sul lago d'Iseo realizzata (fortunatamente a sue spese, così sembra) dal grande artista Christo. Realizzazione questa, più o meno “stroncata”, con argomentazioni varie e differenti, da alcuni noti critici d'arte ma che ha comunque avuto un grande successo di pubblico, direi oltre ogni aspettativa... A questo ho pensato, ad una “improbabile” simmetria tra l'opera dell'artista Christo e il ponte tibetano della Val di Rabbi... E' questa una evidente forzatura, una mia piccola provocazione, ma che "calcando un po' la mano" ci potrebbe anche stare... se consideriamo che queste opere, fatte le dovute proporzioni, sono ambedue destinate (o finalizzate più o meno dichiaratamente) al grande pubblico che ne subisce l'evidente richiamo emotivo. In definitiva con “l'emozionante, adrenalinica” avventura dell'attraversamento del ponte tibetano sospeso nel vuoto si vuole convogliare un numero sempre maggiore di turisti in valle... con i connessi benefici economici... Ma un simile intervento serve veramente ad un ulteriore e soprattutto duraturo sviluppo turistico? Serve veramente questo espediente costoso e paesaggisticamente invadete alla Val di Rabbi? Questo ed alti eventuali futuri simili espedienti potrebbero, a poco a poco, uniformare il richiamo turistico di Rabbi a quello di moltissime altre località di montagna appiattendolo sulle modalità (talvolta effimere e distruttive) con cui in altre zone anche della Val di Sole si è fatto e si fa turismo. E' questo che si vuole? Espedienti che soddisfano curiosità momentanee e lasciano poi “il tempo che trovano”? Si vuole un turismo qualsiasi, magari livellato verso il basso?
La Val di Rabbi, come scrissi nel post dello scorso anno, non abbisogna di simili artifici perché è bella, unica, integra e ha in sé tutte le qualità per uno sviluppo ulteriore. Ha in sé le ormai rare potenzialità ambientali (e non solo) per far crescere un turismo di qualità, un turismo che non bada alle mode del momento, un turismo non distruttivo ed invadente, un turismo responsabile destinato a durare nel tempo.

Sulle Pendege: c'era una volta il “posto delle farfalle”...


Quanti fiori, quante farfalle lungo la stradina delle Pendege sopra Fucine. Ora non più... Dove volavano le farfalle si è fatta “pulizia”... senza mezze misure, pulizia per bene come deve essere fatta... come da sempre si usa fare...



Si è iniziato lo scorso autunno tagliando alberi e cespugli ai lati della strada, abbattendo di gran lunga oltre l'occorrente e si è completata l'opera in questi giorni ripulendo dalle “erbacce” non solo la stretta carreggiata, che ne abbisognava davvero, ma anche ripulendone (cioè tosandone) largamente i fianchi. Pulizia totale per una ampiezza insensata, oltre il necessario...
E così pulizia è stata fatta. E addio alla stupenda varietà di fiori variopinti che ornavano i bordi della stradina delle Pendege, addio ai voli zigzaganti delle farfalle multicolori...



Ma a chi possono interessare i fiori spontanei e le quattro misere farfalle in quel selvatico e incolto habitat? Soltanto a qualche naturalista snob o radicale ambientalista? Forse... ma non è detto...


In ogni caso si era già provveduto, in altro boscoso loco, a compensare e per bene la sottrazione dei fiori “veri” dalla stradina delle Pendege,  con alcune costose e “appropriate” aiuole di fioreria... Bei fiori “spontanei”... da balcone e da giardino, gerani, petunie, tagete, alisso, ecc. ecc. strategicamente disposti lungo la strada che porta all'orto botanico forestale e "certamente ben integrati” tra larici, abeti e mirtilli nei selvaggi e fitti boschi della Derniga... Se va bene così...



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Scarpinata d'inizio estate sui monti della "Val de la Mare"

Escursione ai piedi del Vioz e del Cevedale ma senza una meta precisa, una destinazione prestabilita. Una salutare lunga camminata in compagnia, in una splendida giornata di sole per ammirare lo scenario delle alte cime ancora immacolate, i primi fiori allo squagliarsi della neve, le primule, le soldanelle, gli anemoni e, con un briciolo di fortuna, anche qualche esemplare della fauna selvatica del Parco Nazionale dello Stelvio.


A Cogolo di Pejo imbocchiamo la strada che sale lungo la Val de la Mare, strada asfaltata ma lunga e stretta che percorriamo fino a alla fine, al parcheggio di Malgamare. Potevamo fermarci più in basso, nei pressi di Malga Pontevecchio per salire verso il Cavaion o raggiungere Malga Verdiniana, Malga Levi e magari il Passo Cercen ma abbiamo pensato di esplorare questa zona più avanti, in settembre-ottobre quando nel bosco dorato risuoneràil bramito del cervo in amore.




Ma arrivati a Malgamare si deve pure scegliere dove andare... Attraversare il torrente e salire verso la Cisa sul versante destro della valle? Non conviene, oggi non è proprio il caso... escursione troppo breve e a quote troppo basse. Riserviamo questo itinerario per i mesi autunnali. E Allora? A destra o a sinistra? Verso il Rifugio Larcher o verso la Diga del Careser? Meglio dirigerci verso il rifugio. Il sentiero che porta con un'infinità di tornanti al Careser è troppo noioso ed eventualmente lo percorreremo al ritorno.







Si inizia a salire immersi nel fresco e nell'ombra del mattino I raggi del sole ci raggiungono solo a Pian Venezia, già in vista del Larcher.







Giornata limpida, panorama mozzafiato ma siamo nuovamente ad un bivio, si deve scegliere come proseguire.







Sentiero lungo e monotono quello che porta al rifugio, meglio proseguire sulla destra e salire verso il Lago Lungo.






Percorso meno battuto, più vario e panoramico e che spesso, nella giusta stagione, offre l'opportunità di incontri con la fauna del Parco, con camosci, marmotte e con un po' di fortuna anche con il raro ermellino.




E infatti... lassù dove il sentiero sta per lasciare il versante scosceso per piegare sul dosso pianeggiante un camoscio ci osserva da vicino, dall'alto delle rocce sovrastanti. Alcuni istanti per innestare il teleobiettivo sulla reflex e... il camoscio purtroppo è ormai lontano... solo due scatti, niente di più e il selvatico scompare del tutto.






Ma ecco... sulle rocce al posto del camoscio appare la volpe... che ci osserva per qualche istante, lassù, contro il cielo lattiginoso. Una presenza inaspettata, veramente inconsueta in questa zona...






Proseguiamo raggiungendo in breve un piccolissimo specchio d'acqua che riflette stupendamente nelle sue acque scure la bianca, tozza piramide del Vioz. Un minuscolo gioiello questo laghetto...







Ma si riprende la salita sul sentiero in parte ancora innevato, tra grandi massi, primule e soldanelle.






Fino al Lago Lungo, specchio profondo, di forma stranamente assimilabile ad un piccolo Garda, ricco di trote che nuotano a pelo d'acqua pronte a catturare qualche imprudente moscerino.






Sulle balze rocciose che sovrastano il lago, balze che precipitano ripidissime sulla Val Venezia, nel tardo autunno dello scorso anno, osservai e fotografai i neri camosciall'inizio del periodo degli amori.






Oggi del camoscio non trovo nemmeno le tracce... tutto è tranquillo, immobile e il silenzio è rotto solo dai fischi improvvisi di due grosse marmotte che cercano riparo tra gli sfasciumi.




Proseguire... ma verso dove? Verso il prossimo laghetto, il Lago delle Marmotte per poi scendere al rifugio? No, meglio salire più in alto, sulle creste rocciose versola Forcella la Verdetta Alta e la Cima Nera dove il panorama si apre non solo sulle cime del Gruppo Ortles Cevedale ma anche sul Brenta e sull'Adamello-Presanella.







Lassù abbiamo appena osservato, con il binocolo, alcuni camosci al pascolo con i piccoli... e chissà che forse non sia possibile avvicinarli.




Lasciato il sentiero ci dirigiamo attraverso sfasciumi e minuscole praterie umide verso la stardina pianeggiante che conduce alla diga e, dopo una breve pausa per osservare un simpatico marmottino, ci inerpichiamo sul versante seguendo la primissima parte della vecchia traccia che porta su fino al ghiacciaio del Careser e quindi al Rifugio Dorigoni in Val di Rabbi.






Salita lenta e faticosissima per un sentierino ripidissimo che sembra abbandonato da tempo ma soprattutto salita infruttuosa... i camosci non aspettano...






...si sono allontanati e non ci sembra il caso di proseguire per avvicinarli su di un terreno reso insidioso dalla presenza di neve inconsistente nel sole di mezzogiorno.






Ci possiamo comunque godere l'ampio panorama e naturalmente un giusto riposo.






Discesa per la stessa via. Discesa altrettanto faticosa della salita ma anche di più...





Unica consolazione la vista delle cime innevate, Vioz, Palon de la Mare, Rosole, Cevedale, Zufal e in lontananza Adamello e Presanella... Tra poche settimane la neve non ci sarà più, solo roccia viva e rimansugli di quelli che furono, fino ad alcuni decenni fa, degli estesi ghiacciai.







Poi la tranquilla prosecuzione non verso il rifugio Larcher al Cevedale ma verso il Lago Nero.






Fiori stupendi lungo il sentiero. Sono i primi fiori sbocciati in questa zona, sono ranuncoli dei ghiacciai, primule, genziane, anemoni, soldanelle...




Sostiamo sulle sponde dello stupendo lago Nero mentre nei pressi, sul sentiero, iniziano a scorrere le comitive, più o meno numerose, dei gitanti estivi. Siamo a luglio e quassù pace e silenzio ritorneranno solo con l'arrivo dell'autunno inoltrato. Solo allora i selvatici scenderanno di quota per rioccupare queste località ora troppo disturbate.





Ma è giunta l'ora di calare a valle. Attraversiamo rapidamente la diga del Careser sul suo largo coronamento...






…e imbocchiamo il lunghissimo tortuoso sentiero che scende a Malgamare con una interminabile sequenza di tornanti.





Deviare a metà percorso verso il Cavaion e poi giù fino a Malga Pontevecchio? Sarebbe bello ma siamo davvero troppo stanchi e il percorso si allungherebbe oltre misura.




Scendere al Laghetto della Lama? E' sicuramente un posto bellissimo, spesso vi si incontrano i camosci, e poi non è molto distante ma... sarà per un'altra volta. Per oggi siamo più che saturi e... un alibi per non allungare il percorso lo si trova sempre...





Caliamo silenziosi verso Malgamare, affaticati, piano, piano... nel bel bosco di cembri con il sole ormai prossimo al tramonto. Giù fino al parcheggio, molto stanchi ma giustamente appagati da questa ulteriore scarpinata che siamo riusciti a portare a termine nonostante gli acciacchi e la nostra certamente non più verde età...






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