Pasqua precoce tra cime candide e prati in fiore


Pasqua “bassa” quest'anno, tra discese su piste da sci affollate e passeggiate su di un fondovalle ormai primaverile.



Pasqua che coincide con l'ultima domenica di marzo. Venticello ancora gelido che cala dalle cime all'alba e al tramonto e sole alto e caldo a intiepidire il fondovalle sul mezzodì. Le recenti, e tanto attese nevicate hanno abbondantemente imbiancato la valle dopo un inverno particolarmente avaro di precipitazioni. Ma ormai, con il sopraggiungere della primavera, la neve è quasi completamente scomparsa alle quote più basse. Tarda a squagliarsi solo sui versanti esposti a settentrione e rimane abbondante sui monti permettendo qualche ultima, tardiva prodezza agi amanti dello sci da discesa. 

Sui pendii ben esposti fioriscono la Primula vulgaris e l'Anemone triloba. Con lo sciogliersi della neve i prati soleggiati si rivestono immediatamente di bianchi Crocus vernalis di cui i caprioli sono particolarmente ghiotti. Qua e là occhieggiano anche le prime pratoline (Bellis perennis). Il Salix caprea, al margine del bosco ben esposto, sta ormai sfiorendo mentre inizia a sbocciare solo ora lungo il gelido torrente e nel folto delle macchie in ombra e ancora ben coperte di neve. Anche il Larix si riveste pian piano di fiori maschili giallini e femminili intensamente rossi... stupendi.
Lassù in alto ancora si scia, il luna park dello sci da discesa “gira” a pieno regime. Le piste sono ben innevate... anche a quota 3000, a Pejo, in Val della Mite, dove, non essendoci l'innevamento artificiale, solo ora, in marzo, c'è neve in abbondanza. Forse, quando qualche anno fa, si è inaugurata la moderna funivia che porta ai piedi del Taviela, si riteneva che a quelle altitudini non sarebbe mai mancata una spessa copertura bianca e che la neve una volta depositatasi si sarebbe conservata fino al sopraggiungere dell'estate... ma probabilmente il cambiamento climatico, i riscaldamento globale, ci ha messo il suo malevolo zampino: ormai è quasi una consuetudine: un anno nevica fin troppo e il successivo la neve si fa desiderare comparendo come quest'anno solo a fine stagione. Sono probabilmente gli effetti di quello che volgarmente si racconta come “clima impazzito” che si manifesta con l'aumentata probabilità di eventi meteorologici estremi rispetto a quanto accadeva solo fino a pochi anni fa.
Ma niente paura... nessun problema... Sarà sufficiente investire ancora una “briciola” di denaro (magari in gran parte pubblico, cioè di tutti) per completare per benino l'opera, realizzando finalmente un bell'impianto di innevamento artificiale che pompando l'acqua dal basso, magari da un pittoresco laghetto all'uopo creato, la spari fin lassù a quota 3000 trasformandola in gelidi cristalli bianchi... solo così si avrà sicuramente neve in abbondanza fin dai primi freddi di novembre anche quando il buon Dio non intende regalarla... Questa la nuova realizzazione con i lavori che ben presto dovrebbero iniziare all'interno del Parco Nazionale dello Stelvio (o Parco Provinciale?), lassù a pochissime centinaia di metri dalle vette del Vioz e del Taviela. Così almeno secondo quanto mi racconta qualcuno che sembra essere ben informato.

Inevitabile. Il mercato del turismo invernale sci ai piedi su cui si regge una buona fetta dell'economia della valle  lo impone senza se e senza ma e... tutti sappiamo che la gente deve pur lavorare... Ma che mercato turistico è mai questo? Che logica è mai questa che impone interventi così poco sostenibili anche dentro i confini di un parco naturale? Mi chiedo se sia la domanda turistica a pretendere impianti e piste sempre più nuovi e numerosi costringendo a scelte costose e ambientalmente deleterie o se sia la stessa offerta che si ingegna a predisporre nuove opportunità (intaccando giorno dopo giorno il proprio capitale naturale) per alimentare una domanda incapace di resistere alle sempre più “moderne” e allettanti proposte.

In realtà domanda e offerta si intersecano sinergicamente generando però un precario equilibrio che va costantemente puntellato, nutrito di nuove iniziative, di nuovi interventi che purtroppo mordono l'ambiente degradandolo a poco a poco. Ma si sa, solo così si genera sviluppo e progresso... si sta a galla, si batte la concorrenza... 
Ma esiste un'altra realtà... una realtà che si preoccupa di una valle, di un territorio che subisce in alcune sue zone l'effetto di un turismo non rispettoso, dissipatore del suo patrimonio naturale (e non solo). Una realtà che si preoccupa di quei territori soggetti ai guasti di un'offerta turistica incapace di proposte alternative, meno invasive, efficaci ma nel rispetto dell'ambiente montano... che non puntino quasi esclusivamente sul luna park dello sci da discesa... 


Chissà... forse... ma forse sarà la natura stessa a ribellarsi e a imporre nei prossimi decenni dei cambiamenti radicali... probabilmente traumatici...  Auguriamoci pure che ciò non accada...
Personalmente non mi sento di escludere del tutto che con l'aumento della temperatura a livello globale le belle nevicate del passato non siano destinate a diventare solo un lontano ricordo trasformandosi sempre più frequentemente in un raro accidentale accadimento. Temo che anche sparare la benemerita neve artificiale possa trasformarsi, in un futuro non lontanissimo, in un'attività sempre più problematica magari per carenza d'acqua o per le temperature inadeguate per lunghe settimane...



Previsione catastrofica e molto improbabile... ma facciamo comunque i debiti scongiuri perchè, nel caso si dovesse verificare questa malaugurata situazione, qualcuno non abbia la paradossale pensata di rimediare alla rivolta della natura, alla totale carenza di neve, ricoprendo qualche pista da sci nel bel Parco con uno sdrucciolevole mantello di plastica (magari dello stesso colore rosso vivo delle attuali reti protettive) per consentire la salutare pratica dello “Sport” non solo d'inverno ma anche a ferragosto. Sarebbe questa una bella trovata tecnologicamente avanzata, un grande iniziativa per andare incontro al mercato, un esempio di sviluppo "quasi" sostenibile, una sensazionale attrazione per tutti i turisti sci ai piedi... non solo per i nuovi ricchi dell'est europeo...

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Fuochi d'estate








Rovistando nel mio archivio sono ricomparse le fotografie dei fuochi artificiali che un tempo ravvivavano una delle calme e silenziose serate di mezza estate in quel di Ossana, il borgo dell'antico Castello di San Michele e del Colle Tomino. Sono vecchi scatti analogici, diapositive da me in qualche modo digitalizzate ma anche immagini di migliore qualità, riprese con la mia prima macchina digitale la Nikon 8800. Sono dei tentativi di fotografia notturna, più o meno riusciti ma che rappresentano comunque i ricordi di un tempo passato, anche se non molto lontano, quando numerosi turisti e valligiani attendevano con trepidazione (bambini, ma non solo, con il naso all'insù) il botto iniziale dello spettacolino pirotecnico. Spettacolo emozionante ma di breve durata e di modesta intensità come si confaceva alle finanze di un piccolo comune di montagna... Spettacolo che però da alcuni anni non si ripete più...







Si è evidentemente e giustamente pensato di dover investire altrimenti le sempre più modeste disponibilità di denaro pubblico, impiegandole in modo meno futile o comunque in attività ritenute più adatte alla promozione turistica. Scelta corretta quasi inevitabile in tempi di crisi, sempre che i “denari” vengano ben spesi e che le scelte effettuate si dimostrino efficaci e fruttuose nel tempo ma anche, a mio parere, di buon senso, ambientalmente sostenibili e culturalmente accettabili.



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Il dosso di Santa Brigida e l'ospizio che non c'è


L'ospizio perduto, in Val Meledrio sul dosso di Santa Brigida.

L'ospizio scomparso ma che per secoli ospitò i viandanti che attraversavano la “selva” ai piedi del passo di Campo Carlo Magno passando dalla Val di Sole alla Val Rendena o viceversa.

L'ospizio e la chiesetta, probabilmente risalenti al XII secolo ma sicuramente presenti all'inizio del XV secolo, furono abbandonati verso la metà del '700 quando la comunità dei frati che da sempre accoglieva e rifocillava i pellegrini fu sciolta per sempre.


L'ospizio e la cappella di Santa Brigida sono stati stati totalmente cancellati dal tempo ma non dimenticati dagli abitanti del posto... Dopo i primi rinvenimenti risalenti agli anni '80, i recenti scavi archeologici (2010 - 2011) hanno portato alla luce le tracce delle fondazione del presbiterio dell'edificio di culto ma anche le povere ossa di sei salme inumate lungo una delle pareti perimetrali. Le strutture emergenti dal terreno oggi visibili non sono quelle originarie bensì il risultato dell'azione di restauro e valorizzazione dell'area con la ricostruzione appena accennata di basse murature nell'intento di preservare le poche tracce delle fondazioni sottostanti. E l'ospizio? Dove sorgeva l'ospizio? Sembra accertato che l'ospizio si trovasse dove ora si elevano i resti di una vecchia stalla sul retro della “Malga del Doss”, l'unico edificio attualmente agibile della zona.


L'ospizio e la cappella di Santa Brigida che fino a pochi anni fa vivevano nella tradizione popolare che li voleva proprio lassù quasi sulla cima al dosso in Val Meledrio oggi non si sono nuovamente materializzati, non sono certo ricomparsi ma almeno la loro presenza è stata sicuramente confermata e la loro corretta localizzazione definitivamente accertata.



Risalgo con il mio amico la Val Meledrio in un minacciosamente nuvoloso pomeriggio di settembre con l'intenzione di raggiungere la Malga di Presson. Abbiamo imboccato la “Via dell'imperatore” (la via che Francesco Giuseppe e la moglie Sissi percorrevano alla fine dell'800 per recarsi in vacanza a Campiglio) all'altezza del primo tornante della moderna statale che porta in Val Rendena poco oltre la ristrutturata Segheria Veneziana alla periferia di Dimaro. Siamo sul percorso dell'Ecomuseo della Val  Meledrio e raggiungiamo ben presto la Fosinace e la Calcara di cui ho già raccontato in un altro mio post.



Poco più avanti appare la nuova centrale idroelettrica. I lavori di costruzione dell'edificio sembrano quasi terminati mentre si deve ancora completare la condotta forzata che scende ripidissima dal colle di Santa Brigida. Che dire?Sicuramente positivo l'utilizzo dell'energia rinnovabile, non inquinante e non “effetto serra” delle acque dei nostri monti e anche apprezzabile lo sforzo di inserire questo nuovo edificio nel contesto ambientale cercando di limitarne l'impatto ma... ma siamo sulla “Via dell'Imperatore”.

La nuova centrale non potrà certamente essere una nuova tappa del percorso del tanto decantato “Ecomuseo della Val Meledrio”... ai miei lettori la valutazione dell'inserimento di questa opera nel paesaggio circostante. A mio avviso forse si potevano studiare altre soluzioni interrando l'impianto o localizzandolo diversamente, o altro... Così discutendo con il mio amico proseguo sulla strada che ora si è fatta più ripida e sale a tornanti mentre dal cielo iniziano a cadere le prime gocce di pioggia. Raggiungiamo in fretta la Malga del Doss ed esploriamo velocemente la zona: i muri in elevazione della chiesetta ricostruiti sui resti delle fondazioni originarie, i ruderi della vecchia stalla dove si suppone ci fosse l'ospizio dei monaci, la nuova piccola malga...

In realtà non c'è molto da vedere. Ci chiediamo a cosa servano, o siano serviti gli assurdi, alti pali piantati a contorno dei resti del presbiterio della cappella... e tutta la ghiaia grossolana riversata sulla pavimentazione della chiesa... Chissà... Il panorama poi non è entusiasmante, la zona è selvaggia, stretta tra gli scoscesi versanti dolomitici del Brenta settentrionale da un lato e le ripide foreste di conifere delle estreme propaggini nord orientali della Presanella dall'altro. La vista è limitata dal bosco che cresce bello e rigoglioso e che ha da tempo conquistato, probabilmente con l'aiuto dall'uomo, quella che un tempo doveva essere una collina interamente coperta dal pascolo.



Non ci resta che sognare immaginando di trovarci di fronte all'antico ospizio che non c'è, alla chiesetta di Santa Brigida che non c'è, accolti dai fraticelli pronti a rifocillarci e ad ospitarci nel loro eremo collocato fuori dal mondo, quassù quasi in cima al dosso di Santa Brigida... La poesia , il fascino del luogo sono tutti qui, nella nostra fantasiosa ricostruzione mentale del tempo che fu... Ma bando alle ricostruzioni fantasiose... un tuono ci richiama alla realtà... scende la pioggia e velocemente anche noi scendiamo sul fondovalle e via quasi correndo verso casa...




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Il fiore di Sant'Anna









Passeggiando in piena estate sulle sponde dei torrenti o scarpinando sui versanti della valle lungo le pietraie o accanto alle macerie di vecchi baiti, masi, malghe ma anche presso le rovine delle fortificazioni della grande guerra ci si imbatte frequentemente in estese macchie fiorite di epilobio.



Soprattutto di epilobium angustifolium che cresce numeroso, alto e vigoroso sui detriti, tra sabbie, pietre e ghiaioni.
E’ pianta frugale l'epilobio, colonizzatrice dei terreni minerali, dei terreni percorsi dall’incendio o soggetti a frane e smottamenti. E' anche pianta igrofila, amante delle sabbiose e umide sponde dei corsi d'acqua ma è pure pianta che non disdegna del tutto suoli fertili e profondi. Solitamente fiorisce durante gli ultimi giorni di luglio o all'inizio di agosto e per questo motivo è chiamato fiore di Sant'Anna, la santa che si festeggia per l'appunto in questo periodo.

Nel cuore dell'estate i prati e i boschi dell'alta valle hanno ormai assunto una uniforme, intensa tonalità verde e hanno smarrito del tutto le policrome, tenui tinte primaverili. In questo periodo le delicate colorazioni pastello del fogliame e dell'erba e le macchie di vivido colore dei fiori appena sbocciati sono solo un lontano ricordo. Con l'avanzare dell'estate quasi tutte le piante sono sfiorite ma non l'epilobio che nel frattempo è cresciuto alto e robusto e solo ora può aprire le sue infiorescenze coloratissime all'andirivieni delle api e degli altri numerosissimi insetti volanti. I suoi fiori ravvivano così, con ampie zone di colore fucsia, la verdastra monotonia del paesaggio di mezza estate ormai quasi del tutto privo di altri vivaci colori.



Il bel groviglio di forti steli di epilobio, spuntati nella boscaglia, nel pascolo, in riva al torrente si fa ammirare da lontano per l'intensa tonalità del colore e sembra quasi non gradire che le sue alte infiorescenze vengano osservate più da vicino, sembra quasi non avere altro da aggiungere al fascino dell'insieme... Ma così non è. I fiorellini dell'epilobio sull'infiorescenza piramidale all'apice del fusto coperto di foglie lanceolate, simili a quelle dell'oleandro, vanno osservati anche da vicino... solo così rivelano tutta la loro fragile bellezza...




Quattro petali ampi, leggeri, quasi trasparenti in controluce, solitamente di colore fucsia ma anche rosa, rosso porpora o viola, più o meno bilobati e quattro sepali dello stesso colore quasi fossero altri quattro petali ma meno fragili, più sottili e allungati... otto lunghi stami dal lungo filamento bianco e il pistillo con lo stimma simile a un minuscolo polpo biancastro... Belli... ma per coglierne a pieno la bellezza i fiori dell'epilobio vanno proprio guardati singolarmente e da breve distanza...



Pentax K5 con 100 mm f2.8 macro


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Il dosso di San Rocco a Pejo Paese









San Rocco si trova poco a monte di Pejo Paese che con i suoi 1584 m di quota è il più alto centro abitato del Trentino. Si sale al colle in pochi minuti partendo dalla piazza del paese, imboccando la ripida strada asfaltata nei pressi del campanile della chiesa (sul quale fa bella mostra un gigantesco e maestoso affresco di  S. Cristoforo) ma si può anche "conquistare" scegliendo i sentierini zigzaganti scolpiti sulle ripide pendici alberate del dosso. Dalla sommità del colle, a 1650 metri di altitudine, la vista, seppure in parte limitata dai tronchi di un secolare lariceto, può spaziare sull'intera Valle di Pejo (verso sud est) e sulla Valle del Monte tra Pejo Terme e le estreme propaggini montuose della Sforzellina (verso sud ovest).


Sul pianoro che si apre in cima al dosso fa bella mostra di sé la particolare e suggestiva cappella dedicata al santo patrono degli appestati risalente agli inizi del 1500. Il suo aspetto esterno è piuttosto singolare. E’ cinta da un muro merlato e l’ingresso è preceduto da una tettoia in legno. Il campanile è sostituito da una cella campanaria che si eleva dalla sommità della chiesetta. L’interno è ad una sola navata, con volte a crociera, cui si aggiunge il presbiterio quadrato, sempre con volta a crociera, nel quale è posto l’unico arredo della chiesa, ossia l’altare maggiore. Quest’ultimo è dedicato a San Rocco, la cui effige è posta nella specchiatura centrale.







Accanto alla chiesa si trova il monumento ai caduti a ricordo dei cento e più soldati di varie nazionalità che caddero combattendo o a causa delle valanghe sulle montagne della Val di Pejo e che qui furono provvisoriamente inumati.
Una grigia piramide di pietra, elevata nel 1916 porta sul suo apice l’aquila asburgica rivolta a monito verso i territori italiani, la terra di quello che allora fu il nemico dell'Impero Austroungarico... e oggi l'alta, slanciata piramide con l'aquila ammonitrice deve farci riflettere sulle tragiche conseguenze di una guerra che recò lutti e miseria immensi anche nella nostra valle e deve richiamarci all'impegno per la risoluzione pacifica di ogni conflitto...




Attualmente il cimitero ospita i tumuli dei soldati imperiali emersi dai ghiacci del Piz Giumella a partire dall’agosto del 2004 e deceduti nelle battaglie più alte della Grande Guerra, durante gli insensati scontri per la conquista italiana e riconquista austriaca della cima del San Matteo nell'ultimissimo periodo del conflitto, nell’agosto e nel settembre 1918, proprio alla vigilia della cessazione delle ostilità .

In tempi remoti su questo dosso era probabilmente localizzato un antico castelliere. Lo proverebbero i ritrovamenti archeologici, avvenuti in diverse circostanze (ma uno scavo sistematico non è mai stato effettuato), di suppellettili e armi risalenti alla cultura celtica.


Nei campi, poco a valle della strada che conduce al dosso, è possibile osservare un masso coppellato chiamato Sass de Sot Castel. La denominazione di Sot Castel attribuita alla campagna sottostante il colle, sembrerebbe quindi un’ulteriore conferma dell’antica presenza del castelliere. Inoltre nelle antiche leggende, nelle credenze popolari, vi è traccia della frequentazione del luogo da parte delle streghe ma soprattutto si parla dell’esistenza di un cunicolo sotterraneo che avrebbe collegato una fantomatica torre pagana all’antico castelliere…


I miei ricordi.
Così il dosso di San Rocco nei miei ricordi... i lontani ricordi del tempo andato quando in estate mi avviavo, di buon mattino, in numerosa e chiassosa compagnia, alla conquista della cima del Vioz per ammirare il tramonto del sole verso il S. Matteo e il suo sorgere, all’alba del giorno seguente, dopo una nottata insonne trascorsa tra le ruvide coperte del vecchio rifugio Mantova. Si partiva da Pejo Paese o addirittura da Pejo Terme (allora si diceva Peio Fonti e non esistevano gli impianti a fune - in pieno Parco dello Stelvio - che oggi abbreviano di molto il percorso) e la prima tappa coincideva con la visita al suggestivo dosso di San Rocco. Una breve sosta per riprendere fiato davanti alla cappella, una preghiera da parte di qualcuno, una veloce puntata all’ex cimitero di guerra… e si riprendeva il lungo e faticoso cammino verso Malga Saline… verso il Dente del Vioz e su, su... fino al rifugio a 3535 m... e nella brezza della sera tutti sulla cima a 3645 m di altitudine estasiati dallo spettacolo del calare del sole, meravigliati e infreddoliti dal rapido sopraggiungere di un gelido crepuscolo...



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