100 e più mufloni in Val di Strino


Approfittando di una delle rarissime giornate di bel tempo di questo freddo e insistentemente piovoso maggio 2019, salgo in Val di Strino sicuro di poter osservare, oltre alle immancabili marmotte, anche qualche capriolo intento a brucare i primi crochi sulle praterie che suppongo ormai prive di neve.


Supero rapidamente il tratto di strada iniziale nel bosco fitto (strada militare risalente alla Grande Guerra che, partendo dalla statale del Tonale, porta a Forte Zaccarana), i suoi primi quattro tornanti e mi ritrovo all'imbocco della valle, in vista dei pianeggianti pascoli più bassi. Ora la strada prosegue alla base del versante ombroso ed è ancora piena di neve. Decido quindi di abbandonarla e di raggiungere, attraversando il pascolo, un'altra stradina, la stradina che scorre lungo il lato opposto della valle, al sole, al confine tra il lariceto e il prato. Su quest'ultima stradina proseguo più lentamente, con circospezione, senza far rumore perché, in cuor mio, confido di sorprendere, al margine del bosco, uno o più caprioli o forse un possente cervo assorti a cibarsi d'erba novella. Questo accadeva sempre, un tempo, durante le mie escursioni primaverili in questa zona ma oggi evidentemente “non è giornata”. Nulla, nessun selvatico. Oggi mi devo accontentare, si fa per dire, dello stupendo panorama sui monti ancora abbondantemente innevati che mi circondano.


Lasciati alle spalle i primi pascoli, i pascoli più bassi e pianeggianti, riprendo la salita imboccando il viottolo sterrato che porta alla malga e, di lì a poco, alzando lo sguardo, mi sembra di scorgere, in lontananza, dei selvatici che si inerpicano in fila indiana sui pendii di un grande conoide erboso che degrada verso il fondovalle nei pressi della malga. Il binocolo mi dice che non ho torto, che non ho visto male... sono mufloni e sono moltissimi. Un gregge enorme. Non finiscono più di sfilare... in fila indiana... un muflone dopo l'altro, maschi, femmine e agnellini. Il primo sole li illumina, di tanto in tanto, rischiarandoli sul tetro sfondo di un lariceto ancora in ombra. Devono avermi individuato già da qualche minuto e, impauriti, si stanno allontanando. Procedono con calma, lentamente... l'intruso è ancora molto distante, ma la prudenza non è mai troppa, ed è bene ritirarsi nel bosco, nascondersi alla vista...
Li osservo mentre si allontanano. Sono tantissimi, sicuramente più di 100, probabilmente molti di più... Sono troppi. Sono decisamente troppi...
Cerco di avvicinarmi, a grandi passi e, quando la maggior parte dei selvatici si è dileguata, riesco a cogliere alcuni immagini dei ritardatari, pur rimanendo molto distante. Immagini degli ultimi mufloni, i più tranquilli, i meno timorosi, la coda del gregge. Fuggono solamente quando, abbandonando la strada e risalendo il pendio, tento un ulteriore avvicinamento.


I mufloni sono scomparsi, hanno risalito il versante boscoso che un tempo era regno esclusivo dei caprioli e si sono nascosti nel folto del lariceto. Non mi resta che riprendere il cammino...
Raggiungo la malga e la supero imboccando sentiero che porta sia alla Città Morta che ai Laghetti di Strino, alla Bocchetta di Strino e, per chi se la sente, alla Cima Redival. Avanzo ma ben presto sono costretto a fermarmi. Negli avvallamenti che via via si susseguono lungo il sentiero il vento ha accumulato molta neve e il candido manto in cui si sprofondo inaspettatamente mi impedisce di proseguire in sicurezza. Ritorno sui miei passi e mi limito a risalire le piccole balze ben soleggiate che sovrastano la malga dove so che solitamente, allo squagliarsi della neve, sbocciano i primi fiori dell'anno, gli anemoni primaverili.


Ed eccoli infatti gli anemoni primaverili (Anemone vernalis)... i fiori più belli, i miei fiori preferiti, i fiori che quassù annunciano l'arrivo della primavera...
Però sono pochissimi e sono comparsi molto in ritardo. Di solito, su questi pendii assolati, l'anemone fiorisce ad aprile, tutt'al più all'inizio di maggio, quando la neve si ritira lasciando ampie aree di pascolo scoperte. Ora, alla fine maggio, le praterie a monte della malga sono ancora bianche a causa delle persistente nevicate tardive e i “miei” anemoni sono cresciuti radi, solo qua e là, sulle poche isole prive di neve.


Dai bianchi fiori alle bianche cime... ora il mio sguardo è attratto dalle cime che si stagliano nel cielo sereno sull'altro versante della valle, il versante del gruppo montuoso dell'Adamemllo-Presanella... e sono vette cariche di neve come non mai, sono creste e picchi scolpiti dai raggi del sole, candidi pendii mozzafiato disegnati da luci e da ombre in ogni loro minima irregolarità, in ogni protuberanza, rilievo o risalto che sia.


Ma ora una breve pausa prima della discesa... Seduto sulla terra umida riposo ed osservo l'incessante movimento delle marmotte che in questa zona sono sempre molto numerose. Oggi però, pur essendo ritornato il sole dopo molte giornate di pioggia e di neve, le marmotte che riesco a contare sono pochissime, poche come non mai... Perché? Non lo so, non trovo una spiegazione plausibile a questa insolita scarsità. Chissà... Forse durante questo freddissimo inverno molte di loro sono morte per ipotermia durante il letargo. Sono morte nelle profondità delle tane, nei loro rifugi troppo gelidi, non isolati da quel manto nevoso che un tempo non mancava mai ma che quest'anno si è fatto attendere per lunghi mesi, si è fatto attendere anche in alta quota fino a febbraio...


Dopo un'attenta “sbinocolata” sull'alta Valle ancora totalmente innevata, un'attenta osservazione dei dirupi che sovrastano la Città Morta, e i Laghetti di Strino, in cerca di stambecchi e di camosci (che non ci sono), saluto le marmotte e i bianchi anemoni e inizio una frettolosa discesa. Oltrepasso la malga (che chissà quando potrà essere monticata visto che i suoi pascoli sono ancora in buona parte coperti dalla neve) e imbocco la stradina sterrata che scende a valle. E' una discesa tranquilla, la mia, una camminata nel sole, allietata dalla vista di cime immacolate, prati trapuntati di bianchi crochi e larici in fiore...


Ma... sorpresa! Riecco i mufloni. Sono decisamente distanti, sono là in fondo, dove gli ultimi prati iniziano rapidamente a degradare e a cedere e il posto al bosco fitto di abete rosso. Si scorgono appena, i mufloni, piccoli puntini neri in controluce, minuscole sagome scure nella verde lucentezza dell'erba bagnata. Stanno brucando e non sarà facile avvicinarli così, allo scoperto. Abbandonata la stradina che scorre tra il pascolo pianeggiante e il bosco ripido, risalgo il pendio e, ben nascosto tra la vegetazione, imbocco uno stretto e sconnesso sentierino. Riesco così, a poco a poco, ad accostarmi ad un piccolo gruppo di maschi. Li osservo dall'alto, ben protetto dagli alberi. Con ogni probabilità sono gli stessi mufloni che ho incontrato in precedenza, durante la mia salita alla malga, mufloni che, disturbati dalla mia presenza, si sono spostati più in basso, raggiungendo questo nuovo sito, più tranquillo e più ricco d'erba. Ma questi sono pochi... però, abbandonato il mio nascondiglio, riesco ad intravederne molti altri: oltre ai maschi scorgo anche tante femmine con i piccoli, tutte in fuga zigzagante tra gli alberi del bosco.



I mufloni che popolano i monti dell'alta valle sono i discendenti di alcuni esemplari immessi alcuni decenni fa, nella zona di Vermiglio, per scopi venatori... immessi solo per la soddisfazione di una schioppettata da mandare a buon segno...
Una fauna alloctona, tipica di altri lontani territori... selvatici alieni, animali che mai in passato hanno popolato le nostre montagne. Ungulati che si sono inseriti fin troppo bene nel nostro ambiente, moltiplicandosi enormemente ed entrando vittoriosamente in competizione con i selvatici autoctoni, primi tra tutti i timidi e selettivi caprioli (ecco perché i caprioli si sono rarefatti in Val di Strino...). La “Caccia” li ha proditoriamente immessi e mi sembra giusto che la “Caccia” ora intervenga per bene, gestendo seriamente questa problematica situazione, eliminando o quantomeno limitando questa abnorme e dannosa proliferazione di selvatici estranei al nostro territorio. Del resto, a parer mio, una pratica cruenta come la caccia è comprensibile e quindi giustificabile e accettabile solo se è esclusivamente orientata a intervenire in situazioni di squilibrio ecologico, se è orientata (esclusivamente) a mantenere una corretta proporzione tra le diverse specie di selvatici presenti sul territorio. Non si tratta quindi, sempre a pare mio, di “cacciare” per soddisfare una cosiddetta passione, un “primitivo istinto, per collezionare trofei più o meno ramificati o per apparecchiare cene a basi di selvaggina o per “vivere” chissà quali avventure....o altro... bensì si tratta di “cacciare” per rendere un servizio, esclusivamente per rendere un servizio alla collettività, per mantenere quell'equilibrio naturale che da tempo si è rotto con la scomparsa dei grandi predatori...
“Il cacciatore come sostituto dell'animale predatore non più presente sui nostri monti”. Questo il ruolo del cacciatore nella mia “visione”.
E' certo che anche un bel branco di lupi potrebbe risolvere il problema (anche se inevitabilmente creerebbe problemi di altra natura); un branco di lupi potrebbe limitare l'abnorme presenza di mufloni, senza l'intervento umano... senza l'intervento dei cacciatori, di quei cacciatori che, oltretutto, non sembrano molto propensi a sostituirsi al lupo nell'abbattere i mufloni preferendo sparare ad altri ungulati, caprioli, camosci, cervi considerati, nella loro “visione” della caccia, molto più “pregiati” e quindi più degni di un bel colpo di fucile.


Tutte le foto dell'escursione in “Google Foto


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