Si sa che ad una certa età si dorme
poco, sempre meno e che una volta svegli si fatica a riaddormentarsi
anche perché si viene sopraffatti da “pensieri” non sempre
piacevoli che talvolta riescono pure a condizionare la eventuale
ripresa del sonno inquinandola di sogni ripetitivi e martellanti per
non dire ossessivi. Sono i guai che caratterizzano la terza età
almeno la mia terza età. Così, per quanto mi riguarda, conviene
abbandonare coperte e lenzuola, conviene rimettersi in piedi e
dedicarsi a qualcosa di bello come la lettura, l'attività al
computer o, se il tempo meteorologico lo consente, i lavori nell'orto
o nel giardino... ma vale pure la pena di mettersi in cammino sulle
stradine e sui sentierini che si diramano dal paese.
Ed è quello che ho fatto, più volte
anche ultimamente, tra agosto e settembre, camminando a lungo, di
buon mattino, nei pressi del paese .
Ed è così che un bel giorno, appena
superato l'uscio di casa, rimango sorpreso dalla totale inattività
del borgo. Dopo il caos di ferragosto, questa improvvisa immobilità, questo
silenzio sono sconcertanti. Non si incontra anima viva... e questa novità, questa
inaspettata solitudine mi turba per cui subito abbandono le vie
deserte del villaggio e, nella tenue luce del primo mattino, mi
avvio, senza una meta precisa, sulle stradine e sui sentieri (questi
sì sempre deserti durante l'intero anno) che, nei pressi del paese,
tagliano prati e boschi ancora insonnoliti, ancora scoloriti e spenti
nell'ombra del primissimo mattino. Vago a lungo... pian, piano,
nell'attesa che il sole inizi a rischiarare il paesaggio
ravvivandolo, riportandolo in vita.
Percorrendo la
stradina del Sant ( loc. Bacheta), assisto al levar del sole. Ho con
me la macchina fotografica (perché non si sa mai e non è da
escludere l'incontro con qualche selvatico da immortalare) e tento
alcuni scatti al castello di San Michele di Ossana con, alle sue
spalle, il sole che nasce. Scatti difficili se non impossibili che
richiedono un lungo lavoro di post-produzione per recuperare ciò che
nascondono. Poi, quando il sole si innalza luminosissimo e
distaccandosi definitivamente dai profili dolomitici che delimitano
la bassa valle rende impraticabile ogni ulteriore tentativo di
immortalarlo fotograficamente, bene, solo allora, cerco altri
soggetti degni d'essere ripresi. Esploro ogni angolo dei dintorni
muovendomi avanti e indietro sul viottolo del Sant, un viottolo
delimitato da un bel muro a secco in gran parte coperto da un vivido
tappeto di muschio. Avanti e indietro, alla ricercare della inquadratura
migliore, a caccia di quei dettagli, di quelle forme, di quei colori che arricchiti dalla pioggia della notte risplendono alla luce
radente del primo mattino. Ai piedi del muretto riprendo felci e
ortiche nel sole sempre più alto e potente. E' un sole che impatta
sfavillante anche sulle erbe del prato, sul trifoglio, sulle achilee,
sulle infiorescenze delle ombrellifere, sulle ultime campanule... e
sui rari ranuncoli che, mossi dal vento, sembrano attendere
paurosi e tremanti il vicino e definitivo sfalcio. Fotografo così,
in tutta tranquillità ma con un pizzico di malinconia nel cuore, le
ultimissime e ormai sporadiche note variopinte di un'estate che sta
morendo...
Altre foto in “Google Foto”
Due, tre anni fa, lungo la stradina
del Sant in località Bacheta, nei pressi del Castello di San Michele
di Ossana, si è ripristinato il “paesaggio rurale”. Si è fatta
pulizia. Tecnici e operai del Servio Forestale della Provincia, ben
forniti di motoseghe, trattori, autocarri e macchine operatrici hanno
lavorato lungamente ed alacremente, per ripulire da alberi e cespugli
quelli che un tempo erano prati e campi coltivati e che,
abbandonati, si erano rinselvatichiti. Un lungo e costoso lavoro...
di eliminazione del bosco, di ripristino di sentieri e di muretti a
secco nonché di sistemazione, livellamento e semina del terreno. Ne
è valsa la pena? Non è detto... per più motivi.
Se è vero che il taglio del bosco
ha dischiuso il panorama sulla valle (aprendo la vista anche sul bel
Castello prima celato dalla fitta vegetazione), è pure vero che
percorrere la stradina del Sant, prima dell'eliminazione della
vegetazione arborea ed arbustiva, era un piacevole, salutare e
interessante diversivo, una bella passeggiata per turisti e residenti
che ora non è più fattibile perlomeno alle stesse condizioni
essendo del tutto cambiata la fisionomia del percorso. Prima si
procedeva al fresco, nell'ombra scura di giganteschi abeti o, in
altri tratti, immersi in un tunnel di fronde, luccicanti nella luce
radente del tramonto. Si camminava tra pioppi tremuli, betulle e
noccioli dove, a fine estate, scoiattoli e ghiandaie erano di casa...
Ora invece, dalla primavera all'autunno, si avanza tra terre inerbite
ma prive d'alberi e sempre sotto un sole cocente. E poi per quale
ragione abbattere un bosco? Un bosco distante dalle case e che,
quindi, non dava alcun fastidio? Per recuperare alla coltivazione
delle superfici produttive abbandonate da decenni? Ma quali superfici
produttive.... solo dei magri prati e dei pascoli in buona parte
ripidi e di limitata estensione. Solo per questo si è distrutto un
bosco in formazione, un seppure minuscolo “polmone verde”? Per
questo si è eliminato un bosco in grado di incamerare CO2, di
catturare una, se pur limitatissima, quota di gas serra?
Non c'è dubbio che l'apporto alla
mitigazione del cambiamento climatico di quel minuscolo bosco, ora
scomparso, era sostanzialmente nullo ma se, sul piano della
qualità e della quantità, questo suo apporto era obiettivamente
insignificante non lo era altrettanto sul piano simbolico (o, se
vogliamo, educativo). Non è infatti da sottovalutare il discutibile
esempio che, sopprimendo un bosco, si è dato nel contesto della
lotta al riscaldamento globale. A distruggere i nostri boschi già ci
pensano le tempeste di vento come la tempesta Vaia (figlie del clima
che muta per cause antropiche?) e non è il caso di aggiungervi anche
distruzione operata direttamente dall'uomo..
Di fronte a questo intervento di
ripristino del paesaggio rurale (che effettuato in altri ambiti e in
altre situazioni potrebbe anche rivelarsi positivo) non si può che
restare perplessi, disorientati come lo è stata una buona parte
della popolazione (locale e non) che non ha compreso le ragioni di un
“operazione” costosa e per certi versi paesaggisticamente e
ambientalmente contraddittoria.
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