Come sta ormai diventando
consuetudine, l'ultima escursione della stagione, io e il mio amico
di avventure la programmiamo nel Parco Nazionale dello Stelvio,
generalmente alla testata della Val de la Mare nei dintorni del
Rifugio Larcher al Cevedale e del bacino artificiale del Careser.
Così è stato anche quest'anno verso la fine di ottobre. Meteotrentino prevedeva tempo stabile, sereno, con transito di
qualche innocua nube nel pomeriggio. Era probabile del vento in quota
ma apparentemente nulla di preoccupante. Così non è stato. Il vento
ai piedi del Cevedale, dove ci siamo recati, si è rivelato un vento
di bufera, di tempesta, di incredibile energia, come pochissime altre
volte ho incontrato nei miei ormai moltissimi anni di escursioni sui
monti della valle.
Il vento ci accompagna fin dall'inizio del nostro cammino, quando partendo dal parcheggio di Malgamare saliamo lungo i primi tornanti del sentiero per il rifugio Larcher. E' un vento gelido ma ancora debole che, però, salendo prende sempre più forza diventando via via più intenso e ai Piani di Venezia, quando la valle si apre alla vista con il suo ampio fondale di ghiacciai e alte vette innevate, raggiungendo una forza davvero preoccupante. Folate di vento freddo calano all'improvviso dalle cime costringendoci a cercare riparo dietro il minuscolo capanno di avvistamento dei guardaparco. Che fare? Rinunciare? No, non è proprio il caso... Il panorama è suggestivo, di una bellezza rara, particolare. Scuri nuvoloni si addensano e si dissolvono di fronte a noi sul Cevedale e sui monti circostanti mentre alle nostre spalle, verso sud, il sole gioca a rimpiattino con formazioni nuvolose allungate e compatte, grigiastre ma qua e là copiosamente strisciate dalla calda luce del mattino. Non siamo di sicuro davanti al classico scenario montano da cartolina illustrata, cielo tutto blu e vette bianche e brillanti. Oggi il sole va e viene creando mutevoli giochi di luce e ombre profonde sui lontani versanti boscosi delle valli sottostanti... No, troppo bello... nonostante tutto, nonostante il vento forte e gelido vale la pena di insistere e decidiamo di proseguire...
Scegliamo il sentierino, poco frequentato anche in estate, che si dirama sulla destra dai Piani di Venezia e si dirige al Lago Lungo e quindi al Lago delle Marmotte. Lo scegliamo perché taglia un versante ben riparato dal vento. Ma finita la salita, sbuchiamo nuovamente in zone aperte dove le folate trovano nuovamente campo libero e ci investono con tutta la loro forza. Proseguiamo comunque distratti, per un attimo, dalla presenza di una coppia di camosci, una femmina con il cucciolo, che pascolano nei pressi del sentiero indifferenti alla burrasca che si sta decisamente annunciando.
Avanziamo con il vento contrario che si fa sempre più freddo e intenso e lentamente raggiungiamo le sponde del Lago Lungo. Alte onde si levano sulle acque scure del piccolo lago mentre il cielo si fa sempre più cupo. Si procede a fatica vincendo la forza delle folate che ci respingono e a tratti sembrano travolgerci. Sotto di noi un piccolo branco di camosci attraversa di corsa il pianoro e si rifugia sul versante roccioso in cerca di un luogo più riparato, di massi dietro cui nascondersi. Il sole fa ancora capolino tra i nuvoloni ma è un sole malato che crea solo piccole isole di luce, isole evanescenti, disperse in un ambiente tardo autunnale, monotono e uniforme, un ambiente quasi lunare. Il cielo si fa lattiginoso, una cortina sottile e biancastra vela il paesaggio. E' la neve che cade, la neve portata dal vento che annebbia il panorama, offusca il fondovalle e i monti, le cime lontane ma pure le cime più prossime, il Cevedale, in Vioz, il Palon de la Mare...
Ci stiamo lentamente avvicinando al Lago delle Marmotte. La salita si fa più ripida ma anche più riparata dal vento. In una conca ben protetta scorgiamo due camosci, il più vicino sta tranquillamente pascolando sotto di noi, sulle rive di un ruscello, l'altro, più giovane, sta ruminando disteso su di una cengia della parete a picco sulla valle. Inevitabile una sosta che ci permette sia di osservare i due tranquilli selvatici nei loro comportamenti (siamo nel bel Parco e le distanze di fuga degli animali sono molto ridotte) sia di riposare in un luogo relativamente protetto dai venti di bufera che ormai imperversano senza speranza.
Riprendiamo il cammino nella tempesta che nel frattempo ha rinnovato la sua intensità. Le folate sono velocissime e spesso dobbiamo affrontarle fermandoci e accucciandoci per non essere trascinati in basso, oltre il bordo dello stretto sentiero. Il vento trasporta chicchi di neve ghiacciata che rimbalzano sui sassi e sulle rocce, che ci colpiscono in viso come proiettili impedendoci di tenere gli occhi ben aperti. Superato il Lago delle Marmotte, iniziamo la discesa verso il Rifugio Larcher. Il rifugio è chiuso ma pensiamo comunque di ripararci nel locale “sempre aperto” per riposare, bere e mangiare qualcosa. Poi ci ripensiamo, il tempo sta ulteriormente peggiorando ed è più sicuro calare a valle il prima possibile. Così affrontiamo la discesa, una discesa monotona e che non termina mai... Il vento accelera il nostro cammino, ci coglie alle spalle, ci spinge e, sembra impossibile, proprio nei tratti più esposti aumenta d'intensità facendoci temere di volare lungo le ripidissime scarpate. Spesso ci dobbiamo fermare ed abbassare. Il mio amico, sempre pronto alla battuta, pensa addirittura di riempire lo zaino di grossi e pesanti sassi... Una sosta al riparo della casetta dei guardaparco ai Piani di Venezia per rifocillarci e poi giù, rapidamente fino a Malgamare. Solo ora il sole sembra riconquistare a poco a poco il suo dominio sulla valle mentre gli ultimi fiocchi di neve, meno duri e ghiacciati, sfrecciano tra i larici e i pini cembri trasportati dalle ultime folate di vento.
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1 commento:
Splendido racconto di posti incantevoli, un piacere leggere questi "reportage" ottimo lavoro continua cosi!
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