Novembre al Lago dei Caprioli

 

Lunga scarpinata autunnale, su sentieri, mulattiere, strade bianche e forestali. Salita da Ossana al Lago dei Caprioli a Fazzon di Pellizzano e, dopo il “giro” del lago, discesa sullo stesso tracciato, evitando ogni via asfaltata se non per un brevissimo tratto in prossimità dello specchio d’acqua..


La salita.

Parto di buonora, nell’atmosfera piacevolmente fresca d’inizio novembre, imboccando il sentierino che, dalla periferia di Ossana, verso Fucine, sale al Belvedere. Da qui, dopo una foto alla Val di Peio illuminata dal primo sole, proseguo sulla vicina strada forestale raggiungendo il Bosco Derniga e il suo Giardino Forestale, muto e vuoto vista la stagione. Successivamente mi immetto, dopo aver percorso il largo e pianeggiante sentiero che taglia il ripido versante sopra Ossana, sulla strada bianca che porta in Val Piana dove arrivo quando la luce del sole sfiora appena le cime che le fanno da sfondo. Attraversato il ponticello sul Rio Foce, proprio all’inizio della valle, prima del capitello di S. Antonio, imbocco la vecchia mulattiera del Selvat che seguo, tra noccioli, abeti e larici, fino a raggiungere la larga strada forestale che collega Val Piana a Fazzon. La percorro per un lungo tratto, il suo tratto finale, fino agli amplissimi e, in questo periodo del tutto deserti, parcheggi in prossimità del Lago dei Caprioli, dove arrivo sulla strada asfaltata che proviene da Pellizzano, strada ora deserta, ma che in estate è costantemente percorsa da frotte di turisti.

Il lago.

Silenzio assoluto sulle sponde del lago e calma piatta sulle sue acque… I primi raggi del sole, ancora basso, iniziano a rischiarare parte delle acque del lago e a illuminare, ravvivandole, le chiome degli abeti sempreverdi e dei larici ormai ambrati che impreziosiscono le rive dello specchio d’acqua. Paesaggio senz'altro suggestivo nella quiete di novembre, reso tale dalla vivace e calda policromia autunnale delle zone illuminate in contrapposizione alla piatta, oscura e gelida uniformità degli spazi ombrosi. Contasti decisi di luce e di colore che animano un paesaggio particolarmente accattivante in questo periodo e in quest'ora del giorno.




Mi affretto. Percorro il sentiero che abbraccia le acque catturando molte immagini: soprattutto riflessi, piante che si specchiano nelle acque, dettagli di erbe palustri coperte di brina... e, naturalmente, panoramiche del laghetto. Panoramiche che però mancano di uno sfondo adeguato, mancano delle belle cime innevate che contornano altri simili specchi d’acqua. Ma è meglio così. Il luogo è vario e interessante e dà modo di concentrarsi sui particolari, sulle sue peculiarità, evitando le classiche “foto cartolina”.




Del resto questo non è un laghetto naturale, è un bacino artificiale, creato dall’uomo per attrarvi valligiani e soprattutto turisti. E’ il frutto di una “impresa” risalente agli anni del boom economico. Se ricordo bene la sua realizzazione risale alla fine degli anni ‘50 o ai primi anni ‘60, e fu portata a termine erigendo un argine in terra battuta lungo un lato del futuro laghetto e sbarrando con una briglia il corso del Rio Fazzon (briglia, se non erro, ben presto asportata da un evento alluvionale con conseguente esondazione di Pellizzano, il paese sottostante… Briglia, o meglio piccola diga, poi ricostruita più solida di prima…).




Tutto bene... il laghetto, dal nome così attrattivo, è cosa fatta da decenni e non si può certo affermare che non sia veramente un bel laghetto ma, soprattutto, ed è questo quello che probabilmente a molti più interessa, un laghetto che, durante la stagione estiva, richiama le folle, richiama centinaia di persone che, distese sui prati in riva alle acque, possono rilassarsi e “cuocersi” al sole. Ma c’è un però. Un’area piccola, ma probabilmente particolarmente preziosa dal punto di vista naturalistico, un biotopo umido verosimilmente di un certo pregio, è stato sacrificato, sommerso per sempre, scomparso… e questo, forse, ma solo forse, senza preventivi approfonditi accertamenti sulla valenza naturalistica del luogo. Tutto sommato più che comprensibile: in quei lontani tempi si parlava ben poco di salvaguardia dell’ambiente naturale, i problemi erano ben altri...


Oggi, trascorsi molti anni, la sensibilità delle singole persone e l’attenzione delle istituzioni nei confronti della conservazione degli ambienti naturali di qualità è sicuramente cresciuta. I parchi, le riserve, le oasi, i biotopi protetti, i territori in qualche misura tutelati sono sempre più numerosi… ma purtroppo in molte situazioni prevale ancora l’interesse economico immediato, solitamente l'interesse di pochi, sulla salvaguardia del patrimonio comune e troppo spesso accade che il “naturale” diventi solo un ipocrita aggettivo, un’attrattiva etichetta, per “piazzare” turisticamente un territorio, una località, un ambiente, che di ”naturale” ha ben poco, ha, per l’appunto, solo l’etichetta


Il ritorno.

Discendo a valle in compagnia delle mie amare considerazioni ma anche soddisfatto per il silenzioso e avvincente spettacolo del Lago dei Caprioli in abito autunnale. Seguo lo stesso percorso dell’andata aggiungendovi però una breve deviazione sui “prati alti” di Val Piana (più in basso l’accesso è interdetto a causa dei danni alluvionali dello scorso mese) da dove posso ammirare lo stupefacente fondale dei monti innevati, primo tra tutti il Corno di Bon “inondato” dal sole del primo pomeriggio.

Tutte le foto in “Google Foto


Nessun commento: