Le Caserme di Strino, Forte Mero e molto altro sulla antica via del Tonale

 

No, non l’ho percorso tutta l’antica strada che da Vermiglio sale all’Ospizio di San Bartolomeo, ne ho percorso solo l’ultimo tratto che ho intercettato salendo per la strada militare che staccandosi dalla statale porta nella Valle di Strino raggiungendo, più avanti, l’austroungarico Forte Zaccarana. All’ inizio della Valle di Strino la strada militare e la vecchia strada del Tonale si sovrappongono, sembrano proseguire accomunate (così almeno mi è parso) per un lungo tratto in direzione del Zaccarana. Solo all’altezza di un ampio tornante, nei pressi delle Caserme di Strino, i due tracciati si separano, si ridividono prendendo direzioni diverse: la via per il Tonale prosegue più pianeggiante sulla sinistra, raggiunge subito forte Mero e prosegue poi, tra boschi e pascoli, fino al suddetto Ospizio di San Bartolomeo poco a monte del Passo.

Le fotografie raccontano meglio delle parole la mia escursione, escursione relativamente breve (una mattinata intera) ma coinvolgente per i panorami sulla Val di Strino e sulle cime del gruppo Adamello-Presanella. Escursione soprattutto curiosa alla vista dei i ruderi (Caserme di Strino e Forte Mero) risalenti alla grande guerra ma anche meditabonda e preoccupata davanti alla natura “snaturata” da un turismo troppo invadente al Passo del Tonale e nei suoi dintorni.

Questo il racconto della la mia escursione… con le immancabili mie “riflessioni”.
Lasciati alle spalle i pascoli della Val di Strino, dopo una breve ma ripida salita raggiungo quello che dopo un secolo resta del “Villaggio militare delle Caserme di Strino”.
Ciò che resta è un insieme di ruderi, è solo il relitto di quella che, durante la grande guerra, fu una importante base di appoggio dei vicini forti Mero e Zaccarana e delle postazioni fortificate sulla linea del fuoco. Qui, al riparo dai tiri dell’artiglieria “regnicola”, erano acquartierati i reparti che si avvicendavano al fronte e qui venivano pure curati i feriti e i congelati. A guerra finita i “recuperanti” asportarono dal villaggio tutto ciò che poteva essere utile nella ricostruzione del paese di Vermiglio distrutto dai bombardamenti e dagli incendi decretando così l’inizio del disfacimento dei tre edifici militari. Poi, con il trascorrere dei decenni, le intemperie e l’avanzare del bosco completarono l’opera di distruzione delle caserme… infine subentrò l’ oblio, i larici e gli abeti recuperarono il terreno perduto colonizzando e nascondendo le macerie. Solo recentemente (trascorsi 100 anni dalla terribile guerra) le rovine delle caserme sono state recuperate. Il degrado è stato arrestato, i ruderi consolidati e il sito, nel suo insieme, reso nuovamente leggibile, nonostante tutto… e lo si può constatare visionando le numerose fotografie che ho postato in Google Foto.
Sulla vecchia strada del Tonale, poco oltre le Caserme di Strino, si trova Forte Mero. Con il suo intonaco mimeticamente pitturato fa bella mostra di sé al margine di una verdissima radura erbosa. Fino a pochi anni fa la forma del forte era solo parzialmente riconoscibile compressa e mascherata com’era da un informe cumulo di grossi blocchi di calcestruzzo staccati dall’edificio dall'opera di demolizione dei “recuperanti”. Oggi, dopo i recenti lavori di recupero, la conformazione del forte è più riconoscibile, ben individuabile nella sua modesta sembianza di fortezza minore (niente a che vedere con il soprastante Forte Zaccarana), strategicamente impiegata solo per sbarrare l’accesso alla valle lungo l’antica strada del Tonale. Con la sua struttura tozza e la forma sommariamente quadrangolare il Forte ricorda i Blockhaus ottocenteschi: difesa ravvicinata e osservazione delle linee nemiche sul Presena, i compiti assegnati al Forte Mero.
Vicinissima al forte (troppo vicina… ad una edificio di importanza storica) è stata realizzata una piazzola attrezzata come area di sosta e picnic. Comodamente seduto su di una panca di quest’area osservo una marmotta che si crogiola al sole. E’ distesa su un grosso masso di conglomerato cementizio, uno tra i tanti che si trovano sparsi sopra la fortezza La osservo e la fotografo a lungo, fino a quando l’irrompere sul prato antistante il forte di un folto gruppo di giovani maschi in sella alle loro mountain bike non la spaventano costringendola a rintanarsi. Peccato.
Chi percorre in bike queste strade di montagna dovrebbe avere l’accortezza di non abbandonarle e, nel caso, di avvicinarsi ai “monumenti” storici (ammesso che possano interessare) con cautela e con il dovuto rispetto. Chi percorre il bellissimo anello per bike, che dalla conca di Ossana sale al Tonale sulla destra orografica della valle per ridiscendere lungo il versante opposto (costeggiando il Forte Mero dove mi trovo) dovrebbe avere il buon senso di non lasciare il tracciato canonico abbandonandosi a scorribande sugli stretti sentieri di montagna o ad acrobatiche esibizioni da riprendere, “da dietro e da davanti”, con più droni… Sì, perché, il gruppo di giovani maschi in moutain bike calato su Forte Mero a questo si è dedicato… dopo avermi chiesto, in verità molto gentilmente, di sgomberare il campo…
Abbandonati (senza alcun rimpianto) gli “sportivi” intenti alle riprese video delle loro acrobatiche “entrate” sulla radura del Forte Mero riprendo il mio cammino sull’antica via del Tonale. La strada attraversa un bosco di conifere e poi, subito dopo, si immerge in estese praterie di alta montagna. Sono pascoli, pascoli estesi che salgono su in alto, fino a raggiungere il Forte Zaccarana, pascoli che si arrampicano fino ai piedi delle rocce, fino sotto la cima del Monte Tonale Orientale. Un tempo, non lontanissimo, molti di questi pascoli venivano sistematicamente falciati, ora vi brucano, numerosissime, le mucche.
La vista, dalla antica strada, è aperta, il bosco non la ostacola. Il panorama sul gruppo montuoso della Presanella è vasto e bellissimo. Per ammirarlo mi fermo spesso, riposo, respiro a fondo, e rinfrancato, riprendo più speditamente il mio cammino verso l’Ospizio di San Bartolomeo. Ma l’Ospizio (ora elegante hotel) non lo raggiungo. Mi fermo poco prima, dove si stacca la strada che sale alla Malga Valbiolo (ora ristrutturata a ristorante). Una panchina, posta al margine dell’antica via, mi consente di rilassarmi, di osservare e di meditare…
Davanti allo spettacolo della montagna piegata ad un’attività turistica troppo invadente non resta che fermarsi, non vale la pena procedere oltre, meglio sedersi e riflettere. Verso il Passo si scorge ben poco che valga la pena d’essere ammirato e in qualche modo apprezzato. Ciò che attrae l’attenzione, sconcertando, sono le mastodontiche torri ai piedi dei bei Monticelli... ciò che impressiona, sconfortando, è l’agglomerato di architetture, le più svariate, che “adornano” il Passo, congruo preambolo all’intreccio di funi e tralicci che lo sovrastano avvolgendo i pendii della Cima Cadì.
E nella vicina Valbiolo? Non la scorgo. Potrei avvicinarmi ma già so cosa vi troverò… Il ricordo della bellezza di questa valle alpestre, della sua natura intatta, e la vista di come ora è ridotta potrebbe essere troppo avvilente…
Mi chiedo fino a che punto sia corretto promuovere con ben orchestrate campagne pubblicitarie all’insegna dell’immersione in una natura incontaminata, un territorio come questo dove la natura viene sistematicamente “snaturata”. Quanto sia giusto presentare come “ambientalmente sostenibili” interventi che sfregiano la montagna riempiendola oltre misura di impianti di risalita, di piste da sci ben livellate e artificialmente rinverdite, di bacini di deposito d’acqua per l’innevamento artificiale, di stradine serpentinose scolpite sui pendii per le acrobazie dei bikers (sostenendo magari che tutto ciò contribuisce alla difesa del territorio dal dissesto idrogeologico - a questo proposito si pensi ai dissesti a valle di Marilleva e di Folgarida, all’impermeabilizzazione del terreno, ai tempi di corrivazione abbreviati…). Questo purtroppo accade e il Tonale con la sua Valbiolo e tutto il resto ne è un esempio eclatante… Si sostiene (per convinzione o per interesse di varia natura) che nel settore turistico il cambiamento continuo, l’innovazione, l’adeguamento alle mode del momento e soprattutto la loro incentivazione sono necessari e positivi per lo sviluppo di una stazione turistica moderna e ben radicata sul territorio. Si tratta di incentivare il cosiddetto “Progresso” fonte di benefici per tutti, di benessere, di lavoro generalizzato e duraturo. Mi chiedo se nelle attuali modalità di approccio al turismo si possa veramente intravedere un vero progresso, un progresso che duri nel tempo o se si stiano invece gettando le basi per un non lontanissimo “Regresso”.
Progresso? Sì, anche progresso, perché no, ma solo se gli interventi sul territorio (piste da sci e bike, impianti di risalita, bacini per innevamento, mastodontici condomini o alberghi…) risultano realmente sostenibili, se sono contenuti in ambiti accettabili, realmente compatibili con la fragilità dell’ambiente montano, se il territorio viene utilizzato con attenzione, responsabilità e misura, viene “piegato” alle esigenze umane con lungimiranza, considerando non solo il tornaconto dell’oggi ma anche a quello del domani… in caso contrario in un futuro non lontanissimo, visto anche il cambiamento climatico in atto, avremo solo regresso, ci troveremo davanti ad un ambiente compromesso, abbandonato, poco attraente e quindi poco attrattivo, povero e improduttivo. La mia sensazione è che quassù, al Passo del Tonale, e in particolare in Valbiolo e perché no, anche sul ghiacciaio Presena coperto “per disperazione” con teli riflettenti, si sia andati oltre la soglia della sostenibilità per non dire del buon senso... Non è questo il turismo lungimirante che mi piacerebbe vedere, il turismo in grado di “ripensare la montagna”, di valorizzarla rispettandola, di porsi obiettivi a lungo termine uscendo dagli schemi consolidati, schemi in buona parte destinati a soccombere con il riscaldamento globale. Questo è un turismo troppo legato alle mode, alla stagionalità, un turismo senza “visione” che investe molto ma vive alla giornata , che pensa solo all’oggi, solo alle entrate immediate… Davanti al, per molti aspetti, desolante spettacolo di questo turismo (oggi ricco ma domani chissà) il mio pensiero va al sempre maggior numero di visitatori, escursionisti e villeggianti che la Val di Rabbi riesce a conquistare. La sua attività turistica si amplia sempre di più. Eppure in Val di Rabbi si opera senza clamore, senza tralicci e funi, senza acrobatiche piste per bike incise sui versanti Ci si limita quasi esclusivamente a conservare accuratamente il territorio, si coniuga il rustico aspetto dell'ambiente con la valorizzazione delle attività agricole, forestali e artigianali. Ciò dimostra che la bellezza di un territorio ancora ampiamente integro, curato e protetto uniti alla riscoperta della cultura locale, delle tradizioni, della gastronomia delle attività agrosilvopastorali sono attrattive per molte persone che in futuro, con l'irreversibile innalzamento della temperatura, potrebbero diventare anche molte di più distribuendosi in ogni periodo dell'anno anche durante le stagioni "morte". Ma tutto questo, al Passo del Tonale (ma non solo lì) viene probabilmente considerato un insieme di banalità, una modalità turistica tipica di località meno fortunate, meno moderne, meno evolute ed attrezzate, una "cosa" poco seria, ingenua, povera che non si confà a quella imprenditorialità ricca che orienta l'attività turistica in quella zona.






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