La Val Comasine è una piccola valle
sospesa, che, in alto, si
arrampica sul versante settentrionale del monte Boai e in basso si
allunga al di sopra del centro turistico di Pejo Terme. E’ un sito
paesaggisticamente attraente, importante dal punto di vista
naturalistico, geologico, geomorfologico e particolarmente
interessante dal punto di vista storico.
Dell’umana colonizzazione di questo
alpestre territorio quasi nulla si sa, ma si suppone che sia stata
molto remota, che si perda nella notte dei tempi. Della sua storia
relativamente più recente, del suo utilizzo più vicino a noi
(trattasi comunque di parecchi secoli), molto è stato invece
recentemente svelato. Lo ha svelato una perspicace e laboriosissima
ricercatrice, la professoressa Christa Backmeroff, che ne ha
ricostruito il passato attraverso le analisi dendrocronologiche da
lei effettuate sui larici e sulle antiche ceppaie del suo bosco
nonché sui resti di carbone di legna reperiti in alcune carbonaie
abbandonate da secoli.
Non è certamente questa la sede più
adatta per ripercorrere il lungo e approfondito percorso di ricerca
portato a termine dalla professoressa Backmeroff (si
possono trovare tutte le informazioni del caso navigando in
Internet). Mi limiterò quindi a riferire quanto è stato “scoperto”
e, in estrema sintesi, come lo si è “scoperto”.
Quanto si è scoperto, o meglio cosa si è scoperto?
Si è sostanzialmente “scoperto” che, in un lontano passato (ma ben
collocato nel tempo) tutta la vegetazione arborea che rivestiva la
Val Comasine… è stata totalmente eliminata in un relativamente breve lasso temporale. Questo l'accadimento che è stato
accertato con certezza. In Val Comasine vennero abbattuti tutti gli
alberi, tutte le conifere, tutti i larici, per ricavarne carbone di
legna. Carbone indispensabile per la fusione (nei forni di
fondovalle) del minerale ferroso allora estratto in grande quantità
dai versanti del monte Boai.
Come la Professoressa ci ha rivelato le
prove di quella devastazione,
sono tutt’ora presenti… Sono un’impronta del passato tutt’ora
presente che bisogna però saper vedere e soprattutto interpretare.
A prima vista sembra incredibile ma il “segno”
di quanto avvenuto alcuni secoli fa sta semplicemente
nella presenza di quel centinaio di mastodontici larici secolari che sovrastano nettamente tutte le altre
conifere nel bosco della valle.
Sembrava un enigma, una presenza
inspiegabile… “Dei larici secolari, sparsi qua là all’interno
di un bosco molto, ma molto più recente…”
Un giallo
che è stato brillantemente risolto. Risolto dalla “nostra”
dendrocronologa... Come? Inizialmente datando l’età dei 125 grandi
larici.
E i vecchi larici sono risultati tutti coetanei... avendo tutti un’età compresa tra i 600 e 650 anni (risalivano al
1400-1450) mentre gli altri larici del bosco erano molto più
giovani nati al massimo 150 anni fa.
Quindi... inevitabile chiedersi ora perché i
vecchi larici erano tutti coetanei (nati tutti assieme), perché non esistevano anche
larici più vecchi. La risposta è arrivata dall’analisi
dendrocronologica dei frammenti di carbone rinvenuti in antiche
carbonaie che ha permesso di accertare che la loro età era anteriore
all’inizio del Quattrocento spingendosi per alcuni fino all’anno
mille. Gli alberi nati prima dei nostri larici monumentali erano
stati tutti trasformati in carbone.
L’enigma era in gran parte
risolto: attorno al 1450 l’intero bosco era stato completamente tagliato per
ricavarne carbone di legna. Vennero risparmiati dall’abbattimento
solo alcuni giovanissimi alberelli, irrilevanti per la produzione del
carbone… Quei minuscoli larici coetanei di allora sono i patriarchi
di oggi, quei grandi larici che emergono dai boschi della Val
Comasine...
Rimaneva un ultimo interrogativo. Per
quale motivo non si trovavano alberi di età intermedia? Erano
presenti solo alberi antichi e alberi relativamente giovani.
Probabilmente la ragione stava nel fatto che l’area sottoposta a
taglio raso nel 1400 era stata successivamente sfruttata come pascolo
impedendo fino a 150 anni fa la ricrescita del bosco.
Il fatto che, nel 1400 (periodo di
maggiore sfruttamento delle miniere di ferro), per fare carbone ci si
sia spinti fio a 2200 metri di quota, a parecchi chilometri dal
fondovalle (dove si fondeva il ferro), conferma quanto altri
ricercatori avevano già ipotizzato, cioè che nell’intera valle i
boschi più comodi, più vicini ai centri abitati erano già stati
tutti totalmente abbattuti. Una totale devastazione della copertura
arborea dei versanti della valle con tutte le conseguenze del caso…
valanghe, dissesti idrogeologici, mancanza di legname de costruzione
e di legna da ardere... Un disastro ambientale che come purtroppo
quasi sempre accade è finito nel dimenticatoio ma che invece,
soprattutto ora che è stato storicamente riportato alla luce,
dovrebbe aiutarci a riflettere maggiormente sulle conseguenze
negative che ogni intervento non ben ponderato può avere
sull’ambiente e conseguentemente ripercuotersi pure su di noi umani…
basti pensare alla ormai accertata origine antropica del cambiamento
climatico (immissione di gas serra nell’atmosfera) e quindi
all’accentuarsi nel numero e nell’intensità dei disastrosi
eventi meteorologici estremi o, per rimanere nel nostro ambito,
all’attuale gestione del turismo invernale basato quasi
esclusivamente sul luna park dello sci con siti
eccessivamente urbanizzati o comunque oltremisura antropizzati con
inevitabili ripercussioni di compromissione ambientale… ...

Ma veniamo al resoconto della mia
escursione in Val Comasine.
Raggiunto (salendo per la strada
forestale dall’abitato di Comasine) ed esplorato per bene il “Camp”
mi appresto a discendere alla Malga di Comasine, posta più in basso
sul versante opposto.
Sono stato tentato d’imboccare il
sentiero denominato “sentiero dell’antico bosco di larice”, che
scende ripido fino ai ruderi della “Malga Vecia”, ma vi ho
rinunciato avendolo già percorso in passato. Proseguo quindi sulla
strada forestale.
Il
“sentiero dell’antico bosco di larice” è una stretta
pista realizzata a fini didattici, lunga più di 4 chilometri,
appositamente predisposta per una visita completa dell’antico
bosco, dei suoi 130 larici secolari, delle carbonaie e di ciò che di
interessante offre la zona. E’ costellato di pannelli che
forniscono dettagliate informazioni rispondendo agli interrogativi o
alle curiosità del visitatore, turista o valligiano che sia.
Il pannello più grande, un panello
d’introduzione che presenta la Val Comasine nei suoi vari aspetti,
storico, geologico, forestale, geomorfologico, ecc. è posto proprio
al bordo del “Camp”, all’inizio della discesa verso il
fondovalle, sia che si prosegua sul sentiero che sulla strada
forestale. Impossibile non vederlo e non attardarsi a consultarlo.
Lungo la discesa incontro i primi
imponenti larici secolari, alcuni posti sul bordo della strada altri
più distanti, cresciuti lungo il versante, un versante ripidissimo,
a volte roccioso e geologicamente parecchio interessante.
Raggiunto il fondovalle decido di
seguire verso il basso il corso del rio che discende serpeggiando sul
pascolo. Raggiungo così un recinto di grandi pietre che corona un
piccolo dosso… Un altro enigma della Val Comasine… della sua
funzione infatti nulla si sa: la sua origine potrebbe forse risalire
a tempi molto, ma molto lontani…
Poco sotto è visibile la Malga Vecia,
o meglio i suoi ruderi. Sono posti a lato del sentiero che
discendendo porta al Belvedere di Pejo Terme.
Risalgo e raggiungo la Malga di Val
Comasine. Recentemente ristrutturata, in estate viene monticata e vi
si possono acquistare i suoi buoni prodotti caseari.
Una breve sosta e proseguo in salita,
sempre su strada forestale, fino ad arrivare alla Malga Mason, una
vecchia struttura non più utilizzata. Lungo il percorso incontro
altri numerosi larici secolari e a lato della strada una antica
carbonaia la cui origine e funzione è ben illustrata in alcuni
pannelli a ciò predisposti.
Altra sosta e ritorno alla Malga di Val
Comasine e successivamente al Camp e poi giù e ancora giù fino
all’abitato di Comasine.