…sulla stradina delle Pendege, a
metà febbraio, prima della clausura.
In clausura, distante dalla “mia”
terra, chiuso tra quattro mura in una città a sua volta chiusa,
assisto immalinconito allo scorrere, sul monitor del computer, delle
fotografie delle “uscite” ante covid 19 (delle immagini della mia
libertà perduta), ricordi di escursioni più o meno lontane nel
tempo e di passeggiate nei dintorni del paese dove, finora, ho
trascorso una buona parte del mio tempo. Sono immagini datate ma non
mancano quelle più recenti e tra queste anche quelle della mia
ultima sgambata, della mia camminata di metà febbraio sulla
stradina delle Pendege (tra Fucine e Vermiglio) e sui sentieri che
da essa si staccano per risalire campi terrazzati abbandonati e
ripide macchie di bosco.
Immagini che, per alcuni minuti, mi fanno rivivere la bellezza di quel pomeriggio: la luminosità del cielo, la brezza leggera, il profumo di bosco e di terra bagnata... Ma non solo: l'inaspettato incontro e le chiacchiere con un vicino di casa e, soprattutto, la percezione dello scorrere del tempo contrassegnato dal mutare del paesaggi al calare della luce e all'estendersi delle ombre.
Rivivo... e mi rivedo sulla ripida
salita iniziale nel sole del primo pomeriggio. Sole di febbraio,
forte ma basso che proietta ombre decise sulla terra intrisa di neve
sciolta. Sono le ombre scure dei ciliegi selvatici, dei vecchi
saliconi, delle robinie e delle betulle che delimitano il tratto
iniziale della stradina. Poi, mi rivedo poco più avanti,
immerso nel bosco dove il luccichio dei gattici e degli amenti di
nocciolo sembra festeggiare l'approssimarsi della primavera.
Aghi secchi e bruni strobili di conifera ricoprono il piano calpestabile. E' un tappeto costellato di verdi e ispidi getti che gli scoiattoli hanno staccato dagli abeti durante i mesi freddi.
Dove il bosco è più fitto e la neve
non è riuscita a raggiungere il suolo, occhieggiano degli steli
d'erba rinsecchita, intatti, rigidi e vigorosi. Si sporgono, qua e
là, sulla stradina fieri d'essere sopravvissuti alle avversità
dell'inverno.
Le foto scorrono sul monitor e mi rivedo fermo lungo il margine della stradina, dove il sole, bucando le chiome delle piante sempreverdi, penetra di sbieco tra i cespugli di nocciolo e di salicone e ne illumina le infiorescenze. Subito dopo mi rivedo riprendere il cammino, attraverso il bosco fitto tra sciabolate di luce e ombre profonde.
Più avanti, dove la selva si dirada, intravedo le cime che sovrastano la valle. Le intravedo tra le fronde in boccio. Osservo le scarpate e i dirupi candidi, e più in basso i pendii boscosi, scuri di conifere ma, qua e là, ancora chiazzati dal biancore azzurrognolo della neve.
Ora il bosco fitto rinserra nuovamente la stradina che taglia il versante. Mi sto avvicinando sempre più ai pendii terrazzati, ai campi un tempo ben coltivati e ora lasciati a se' stessi, alle terre abbandonate, destinate ad un rapido inselvatichimento.
Dove la macchia selvosa si apre si
riesce a vedere una piccola porzione di
fondovalle, bianca di neve. Segnata da lunghe ombre emerge della
macchia luccicante dei cespugli in fiore resi vividi dai raggi
radenti del sole declinante.
Procedo, sempre nel mio ricordo... Ancora qualche possente conifera, qualche larice antico da lasciare alle spalle, ancora un sottile rigagnolo da oltrepassare, un'ultima salitella e... finalmente la vista si apre, può spaziare liberamente sull'Alta Valle fino al Tonale.
Ora la boscaglia copre solo i pendii rocciosi e gli erti fianchi delle vallecole. La
gran parte del versante in passato era intensamente coltivata. Oggi sono declivi non più sfruttati. Sono campi terrazzati rigati da muretti a
secco spesso in rovina. Sono scampoli di terra che furono rubati alla
montagna con immense fatiche... Sono terreni dimenticati, assegnati
alla sporadica pastura di un gregge di pecore o definitivamente
abbandonati al lavorio della natura.
Sono terreni coperti da erbacce, da rovi, da cespugli spinosi di rosa canina, biancospino, prugnolo. Sono superfici estese che, a poco a poco si stanno spontaneamente rimboschendo. Appezzamenti resi, qua e là, quasi impenetrabili dalle giovani macchie in espansione di latifoglie, noccioli, betulle, saliconi, pioppi tremuli, ciliegi selvatici...
Altre immagini e altri ricordi. Eccomi seguire un' antica mulattiera che si stacca dalla stradina principale, Mi porto più in alto dove la vista può spaziare dalle cime fino al fondovalle più profondo e distante.
Una sosta sulla panchina al “Croz de
Ciciane”, un meritato riposo, uno sguardo attento al panorama ma...
il tempo vola. Rientro. Ripercorro in discesa la pista della salita
e, quando il sole sta tramontando, mi ritrovo nuovamente sulla
stradina nei pressi di Vermiglio.
Sempre chiuso tra le quattro mura della
mia clausura cittadina, guardo le ultime foto e rivivo i momenti finali della mia passeggiata. Nell'osservare le immagini del
calare e dello scomparire del sole dietro i monti del Tonale mi sento
ancora lì, sul ripido versante della valle tra Fucine e Vermiglio.
Ma il ricordo, il bel sogno, si dissolve... Ritorno
alla dura realtà.
Ben due mesi sono passati da quella mia
passeggiata sulle Pendege. Molto nel frattempo è accaduto. Tutto è
cambiato. Guardo nuovamente l'immagine del tramonto sui monti
del Tonale, la luce del sole che si spegne sulla valle e mentalmente la collego con quanto è capitato alcuni giorni
dopo la mia passeggiata, la luce della vita che ha iniziato a spegnersi su quel Passo e nei paesi circostanti.
Ripenso ad una fotografia pubblicata
sulla stampa locale. Immortalava la ressa di “sportivi” sulle
piste della ski area trentina del Tonale mentre quella adiacente, quella
lombarda, era "chiusa" e deserta. Ricordando quella foto viene da chiedersi in
quale misura, la massiccia presenza di turisti, possa aver contribuito ad
accentuare il contagio da coronavirus nella nostra valle. A
detta di tutti, esperti e non, il "contributo" c'è stato e, se così è, si può ritenere che la “luce” della vita di qualche valligiano si
sia spenta a causa di quella ressa... Sì, qualche
“luce” potrebbe proprio essersi spenta a causa del "tramonto" della
ragione, del buon senso... tramonto nella mente di chi gioiosamente usufruiva di quel luna park e, soprattutto, di chi quel luna
park, al pari di tutti gli altri luna park sulla neve, ha incentivato e non ha fermato.
Tramonto della ragione, del buon senso
sui monti del Tonale? Se così è, viene da chiedersi: “Come mai?” Cecità? “Occhi foderati di prosciutto?” Per quanto riguarda gli "impiantisti" mi sentire di dire più che altro “occhi velati
dall'interesse”... (il che non mi stupisce e mi sembra comprovato
anche dalla loro assoluta mancanza di rispetto per l'ambiente nel
quale spadroneggiano). Invece per chi ha responsabilità di governo,
responsabilità decisionali, l'ipotesi della cecità, della sprovvedutezza, dell'inaguatezza, del
“prosciutto sugli occhi”, del non aver “capito”, del non aver
visto quello che per tutti era evidente (sindaci della valle
compresi) potrebbe anche essere un'ipotesi plausibile. Altrettanto lo
potrebbe essere una seconda ipotesi, quella dell'aver evitato di "vedere", e in questo ipotizzabile altro caso... perché? per quale motivo evitare di vedere? Chi lo sa... Per pedissequa osservanza di
dettami altrui? Per asservimento economico? Per mancanza di autonomia deliberativa? Per ….....? Per .…....? Chi lo
sa... Resta il fatto che qualcosa a livello decisionale non ha
funzionato e che di questa mancata tempestiva chiusura di impianti e
piste oggi se ne subiscono le conseguenze... (e a Vermiglio, ma non
solo, ne sanno sicuramente qualcosa). E non arrischiamoci a giustificarci scaricando le responsabilità o con il classico: “Del senno
dipoi n'è ripien le fosse” perché questo non è proprio il caso di
sostenerlo. Le fosse purtroppo si sono riempite di ben altro...
Guarda tutte le foto in “Google Foto”
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