Di primo acchito pensai ad una provocazione... Osservando lo sconnesso letto del torrente Vermigliana costellato da decine di “ometti” di pietra (dalla stradina che lo costeggia in località “Fil” o “Spiaz dei Spini” che dir si voglia, a monte di Fucine) pensai ad una protesta inscenata da qualcuno per richiamare l’attenzione sulla assenza di interventi, da parte di chi dovere, nel governo e nella cura del torrente, di quella costante manutenzione idraulica che a mio parere era davvero necessaria.
La mia iniziale supposizione sulla motivazione che aveva spinto alla laboriosa realizzazione si basava su di un mio personalissimo giudizio (alla luce dei miei ormai lontanissimi studi ed interessi nel campo delle sistemazioni idraulico-forestali), un giudizio molto critico, che da tempo rimuginavo dentro di me, sullo stato in cui versa il bacino idrografico del Vermigliana in questa zona.
Ecco quindi spiegato il motivo per cui, inconsciamente, mi sentivo indotto a percepire come una provocatoria azione di protesta la costruzione di tanti “ometti” di pietra sparpagliati su di un tratto di 200 metri del greto del dissestato torrente. Un modo per attirare l’interesse del passante sulle condizioni in cui ancora si trova il Vermigliana (e i suoi piccoli ma pericolosi affluenti in sponda destra) dopo ben due anni dall’ultima calamitosa piena...
Valutando però con maggiore ponderazione la mia iniziale impressione, durante le mie altre visite al sito degli “ometti” (“ometti”che nel frattempo erano cresciuti nel numero e nella superficie occupata), mi convinsi che sì, in quell’opera, in tutto quel lavoro, poteva anche esserci della provocazione, della protesta, per lo “stato” del corso d’acqua e ancor più per come si stava intervenendo nell’ambiente circostante (eccessivo abbattimento del bosco per ricavare attrezzate piazzole di sosta per i passanti, nuove, oltremisura larghe strade ciclabili e costosi prati, ripidi e ghiaiosi, a prima vista ben poco produttivamente coltivabili…), ma soprattutto mi persuasi che ben altro doveva aver spinto qualcuno a dedicare tanto tempo ad “ornare” il sassoso e quasi asciutto letto del torrente.
Ma che altro poteva esserci? Difficile stabilirlo... Supposi che potesse trattarsi di un'estemporanea opera d’arte in perenne crescita, un’opera d’arte che uno sconosciuto autore stava innestando a poco a poco nell’ambiente “naturale” al punto da diventarne parte integrante. Un’opera realizzata utilizzando esclusivamente materiale reperito sul posto, i ciottoli, i sassi ben levigati del torrente, da sovrapporre in precario equilibrio, sfidando la forza di gravità. In definitiva poteva trattarsi, anzi era probabile che si trattasse, di una realizzazione da ricondurre alla “land art” (come, seppure diverse nella finalità, concezione e molto altro, le opere di Arte Sella in Valsugana o quelle del friulano ”Humus Park”) una forma d’arte che sostanzialmente si basa sull’intervento dell’artista direttamente nell’ambiente e sull’ambiente, ambiente che diventa, esso stesso, parte essenziale dell’opera.
Questo, pur non essendo minimamente un esperto d’arte, mi sembrava di percepire, osservando più volte, settimana dopo settimana, il continuo estendersi dell’opera.
Però… Però inevitabilmente, qualche dubbio, di tanto in tanto, mi sorgeva. E se si trattasse semplicemente di un salutare passatempo? Di un modo per trascorrere serenamente qualche ora condensando tutta l’attenzione su ciò che si sta facendo, astraendosi dall’assillo dei pensieri che la vita quotidiana di ognuno di noi sempre comporta? O un modo per promuovere la propria attitudine alla meditazione, al raccoglimento, alla concentrazione? Chissà...
Ognuna delle mie interpretazioni non annullava le altre che in definitiva avrebbero anche tranquillamente potute convivere. Protesta, arte, passatempo, esercizio mentale... unite in un unico disegno, in una unica interessante e molto particolare esperienza operativa. In una realizzazione destinata comunque a non durare, probabilmente volutamente “a non durare”, a dissolversi nel tempo (come in parte ho già potuto osservare durante la mia ultima visita dopo una piccola piena del torrente), quasi una metafora, a ricordarci la caducità di ogni umana costruzione, di ogni umana modificazione dell’ambiente naturale, quell’ambiente, quella natura, che prima o poi, inevitabilmente, è destinata a riprendere il sopravvento sull'intera presuntuosa opera dell'umanità.
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