Nel silenzio di una Val Piana deserta

 

Camminare in autunno sulle stradine che diramandosi dal paese attraversano prati, pascoli e boschi ora totalmente liberi dalla confusione estiva, riempie l’animo di tranquillità permettendo di accogliere con serenità, appena appena velata di malinconia, la stagione fredda che è ormai alle porte.


Ma quale la camminata e la meta più adatta, la migliore, tra le molte possibili? Sicuramente la salita in Val Piana e la successiva perlustrazione in una Val Piana che ora dovrebbe essere del tutto deserta, silenziosa... perfetta per accostarsi in santa pace alla stagione autunnale appena iniziata.


Infatti, raggiunta la Val Piana salendo da Ossana per il “sinter dela lec”, la scopro davvero vuota e muta. Non si scorge e non si sente anima viva... Non si odono più nemmeno i campanacci delle mucche al pascolo, né l’abbaiare dei cani da pastore, né il richiamo gracchiante dei pastori. Il viavai di turisti appiedati o in automobile sembra un lontano ricordo… e sono trascorse solo poche settimane da ferragosto. Di tanto in tanto mi raggiunge solo lo stridere di una motosega: è il previdente valligiano che, nel fitto di un bosco remoto, taglia e accumula legna da bruciare nella stufa a olle durante i prossimi mesi.


La pace autunnale invita a guardare con più attenzione ciò che ci circonda, invita ad osservare senza essere distratti da altre presenze umane per non dire dalla baraonda festaiola di certe giornate estive. Ma invita anche a riflettere, magari esaminando le trasformazioni che l’uomo ha compiuto in passato e che tuttora compie sull’ambiente montano per adattarlo alle proprie esigenze, per piegarlo ai propri interessi.


Osservare… Al termine della confusione estiva si possono cogliere con più chiarezza, anche quassù, in una Val Piana spopolata, i “segni” di un paesaggio antico, le impronte ancora ben individuabile di un ambiente forgiato dall’uomo nel corso di tempi lunghissimi. Impronte frutto delle fatiche di un’economia agro-silvo-pastorale povera, di sola sussistenza, che per secoli ha comunque consentito la sopravvivenza anche in queste terre alte.


Osservare e riflettere… Bella la Val Piana... Una piccola valle, ma bella, amena, anche se ben diversa da come doveva essere prima che l’uomo vi mettesse piede. Un paesaggio antropizzato, alterato nei secoli, modificato per adattarlo alle necessità umane... ma lentamente, con oculatezza (oggi si direbbe in modo sostenibile) per non comprometterne le risorse. Quindi non più le impenetrabili distese boscose, i terreni paludosi, le aree alluvionali… che probabilmente lo caratterizzavano in origine, ma prati e pascoli produttivi... ricoveri per il bestiame, muri a secco e canalette di irrigazione, sentieri e mulattiere…e selve naturali a poco a poco trasformate nella loro struttura e composizione…


Ma, accanto alle lente trasformazioni di quello che fu un ambiente naturale, mutamenti avvenuti nel corso dei secoli, si possono cogliere anche i “segni” di ciò che è accaduto recentemente, negli ultimi decenni (e che ancora sta accadendo). Una metamorfosi rapida, non più correlata ad un’economia di puro sostentamento, un’economia costretta ad utilizzare ogni lembo della montagna per le sue attività agro-pastorali ma frutto di un’economia dinamica, più ricca, diversa, tutta nuova, intenta, quassù, a soddisfare la domanda di riposo e di evasione di una popolazione alloctona, non residente...


Segni” di un cambiamento che girovagando in questa spopolata Val Piana sono evidenti: non più strette e sconnesse mulattiera ma una viabilità decisamente “migliorata” con pavimentazioni in cemento e asfalto, nuovi e ampi parcheggi (ben dissimulati all’inizio della valle), accogliente malga-agriturismo, panche e panchine sparse un po’ ovunque, servizi igienici, fontanelle, belle piazzole recintate attrezzate per picnic, barbecue... ecc.


Cambiamenti nell’utilizzo del territorio che comunque non mi sembra abbiano gravato più di tanto sia sul tradizionale paesaggio che sull’ambiente in senso lato della Val Piana. Interventi che potremmo definire “sostenibili” se con tale abusato aggettivo non si tendesse a giustificare qualsiasi operazione di “sviluppo e valorizzazione”. Di interventi di sviluppo e valorizzazione a parer mio ben poco sostenibili, se ne sono visti e se ne vedono tuttora fin troppi. Disseminati durante l’ultimo mezzo secolo in po' in tutta la Val di Sole, hanno alterato e continuano ad alterare le peculiarità del territorio montano, degradando l’ambiente alpestre perfino entro i confini del Parco Nazionale dello Stelvio. Non serve fare un elenco di tali invadenze, basta guardarsi attorno e volerle vedere: di certo non mancano gli scempi paesaggistici, urbanistici, ambientali di varia natura...


Sono siti smodatamente antropizzati, talvolta urbanizzati in modo speculativo, che in nome di un momentaneo vantaggio economico, di una confusa visione del progresso sono destinati a produrre nel medio e lungo periodo (anche alla luce de cambiamento climatico) più svantaggi che vantaggi, creando problemi di risanamento ambientale con costi pubblici esorbitanti: icone più di regresso che di progresso stabile e duraturo.



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