Un comportamento apparentemente curioso quello del camoscio che ebbi modo di osservare a lungo, con il mio amico, durante l'ultima escursione in Val de la Mare nel Parco dello
Stelvio alla fine dello scorso ottobre. Già ne ho scritto in un altro mio post ma vale la pena
riparlarne perché si trattò davvero di un incontro alquanto singolare .
Arrancavamo lentamente nella neve sul pendio che porta al Lago delle Marmotte. Eravamo partiti in mattinata da Malgamare diretti verso il Careser per effettuare il classico “giro dei laghi” in direzione contraria a quella usuale. Dopo una breve sosta sulle sponde del Lago della Lama, raggiunta la diga e il Lago Nero ci stavamo finalmente avvicinando, dopo tanta fatica nella neve fresca, alla discesa verso il Rifugio Larcher. Speravamo di scorgere i branchi di camosci che generalmente stazionano in questa zona durante l'autunno.
Vana speranza... tranne quattro cinque esemplari avvistati presso il lago della Lama, tra i rododendri al limite del bosco, nessun altro camoscio era apparso, nemmeno in lontananza... inutile lo “sbinocolare” continuo del mio amico sulle creste innevate sopra il Lago Lungo dove un anno fa ne osservammo e fotografammo a lungo un numerosissimo gruppo.
Ho ormai perso ogni speranza quando il mio amico, dalla vista acuta, individua in lontananza il tanto sospirato camoscio. Io non riesco a vederlo... Poi con il binocolo finalmente lo inquadro.
Disteso nei pressi del crinale che precipita sul sentiero che scende a valle dal rifugio Larcher, si confonde con le scure rocce che emergono dalla neve. Probabilmente un maschio solitario che riposa vigilando sulla stupenda corona di cime immerse nelle nebbie: Il Vioz, il Palon de La Mare, il Cevedale. Beato lui...
Ci avviciniamo avanzando sul sentiero innevato, lentamente, in silenzio, con circospezione. Il camoscio evidentemente ci ha avvistati da tempo e di tanto in tanto ancora ci fissa distogliendo lo sguardo dai monti, tranquillo, senza dare segni di irrequietezza. Scatto alcune fotografie... la luce del mezzodì non è delle migliori, il cielo, bianco di nubi e vapori sottili, diffonde una luce uniforme su di un paesaggio piatto, pure bianco ma di neve. O questo o nulla...
Il camoscio non si muove. Attendiamo a lungo, in piedi sul sentiero, sperando che il camoscio si rianimi, che si alzi per poterlo fotografare, magari in corsa lungo la cresta sullo sfondo delle cime. Niente. Il camoscio non si sposta e prosegue ben disteso e impassibile le sue meditazioni. Certo, siamo nel bel Parco e la fauna selvatica non teme più di tanto l'uomo, è abituata alla presenza degli escursionisti che, nella bella stagione, a frotte calcano ininterrottamente questi sentieri. Se ci fossimo trovati in un territorio di caccia il nostro camoscio sarebbe fuggito ancor prima di essere scorto.
Che fare? Avvicinarci ulteriormente lasciando il sentiero e avanzando tra massi e sfasciumi coperti di neve fresca e morbida che nasconde buche e cavità insidiose, ci sembra troppo pericoloso. Semplicemente decidiamo di non sussurrare più ma di parliare e gesticolare normalmente. Forse così riusciremo a scuotere il camoscio dal suo torpore. Infatti... finalmente il camoscio si alza...
...Lentamente si muove, due passi, si ferma, urina (è proprio un maschio...), ci osserva...
...osserva i dintorni, le cime, il cielo, ancora due passi, si ferma, prosegue lentamente...
...chissà, forse sta per iniziare la sua folle corsa lungo il crinale.
Sono pronto, pronto a riprendere i suoi fantastici balzi...
...ma no! Che fa? Lentamente discende dal crinale verso di noi.
Tre quattro passi, poi un salto...
Si ferma su di un minuscolo pianoro, lo esamina, si guarda attorno...
...lo riesamina e infine con gli zoccoli e con il muso lo libera dalla troppa neve...
...e vi si sdraia. Sì, si sdraia nuovamente, all'ombra, ben riparato dal vento e dal sole malato.
Riprende la sua tranquilla meditazione, ci guarda e pure noi lo osserviamo, perplessi, abituati a comportamenti ben diversi al di fuori del territorio del parco dove la distanza di fuga dei selvatici è ben altra.
Non ci resta che proseguire la nostra faticosa salita.
Ancora poche centinaia di metri e inizierà la sospirata discesa verso il rifugio.
Di tanto in tanto ci fermiamo, sostiamo qualche attimo e osserviamo il nostro bel maschio, laggiù in basso, sempre più lontano.
Osserviamo il nostro camoscio che imperturbabile prosegue il suo riposino nell'attesa del periodo degli amori, ormai prossimo, che lo costringerà sicuramente ad essere molto più attivo. Così almeno dovrebbe essere.
Mah... mi sorge un dubbio... non è che
magari quella che appare come una curiosa condotta non sia il
normalissimo comportamento di un tranquillo maschio di camoscio che
si fa i fatti suoi perché non teme l'uomo e si sente sicuro
all'interno di un territorio dove non si pratica la caccia? Non è
che invece siano anomali i comportamenti dei selvatici che stressati
dai continui agguati dei cacciatori al di fuori del Parco fuggono
appena percepiscono un minimo fruscio o semplicemente annusano un
odore estraneo? Non è che sia la caccia esasperata, la caccia
esercitata anche quando non è ambientalmente strettamente
necessaria, la caccia esercitata in un territorio che potrebbe
ospitare in equilibrio popolazioni ben più numerose di selvatici,
la caccia esercitata solo per hobby, che modifica i comportamenti dei
selvatici terrorizzandoli e rendendo loro la vita impossibile?
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1 commento:
Complimenti molto bello e grazie della visione
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