Il "Giof" dei miei ricordi


Molto tempo fa, nella ristretta cerchia dei parenti e dei conoscenti, con il termine “Giof” si disignava il boschetto di conifere che si estendeva (e che tuttora si estende) oltre il piccolo piazzale della chiesetta di Peio Fonti.
Non so se il toponimo “Giof” sia utilizzato da tutti, sia formalmente riconosciuto, resta il fatto che nei miei ricordi era proprio quello il nome con cui si indicava quel parco alla periferia di Peio, quel defilato dosso selvoso che fu l'arena prediletta dei miei giochi infantili e, più avanti, delle mie avventurose imprese di ragazzino.




Troia in fiamme. L'epilogo della guerra di Troia rievocato al margine del Giof, sul piccolo piazzale antistante la chiesetta di Peio Fonti. Il palazzo di Priamo e di Andromaca, rifatto con la sabbia, ricreato dalla fantasia e dalle mani di alcuni piccoli amici e da loro stessi (sgusciati nottetempo dallo storico cavallo) dato alle fiamme con gli zolfanelli sottratti dalle tasche di un vecchio nonno, gran fumatore di pipa. Bagliori nel buio e adulti affannati, di corsa a spegnere l'incendio. Appena in tempo, per evitare che le fiamme si propagassero ai cespugli e agli alberi del parco. Infine le dovute strigliate....


Ricordi. Ricordi di un periodo remoto, di un periodo che si fa sempre più lontano con l'avanzare dell'età, con lo scorrere sempre più rapido degli anni. Ricordi che si sono in gran parte smarriti nei meandri di una memoria che si fa sempre più labile.
Ricordi che risalgono a sei decenni fa, anno più anno meno, agli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso quando, in completa libertà, trascorrevo le mie vacanze a Peio Fonti, stazione turistica già allora molto nota, sia per le cure termali che per le ferie, allora solamente estive.
Ricordi ormai ristretti a qualche sporadica e nebbiosa immagine mentale, a dei flash o a delle brevissime sequenze più prossime al sogno che alla realtà.


Sempre attratto dal fuoco sfilavo di notte, con gli occasionali amici vacanzieri, lungo le stradine buie del parco alla luce delle torce che, con grande impegno e pazienza, avevamo assemblato di giorno. Impugnature di legno, rami di nocciolo, all'uopo lavorate a sostegno di bussolotti ricolmi di infiammabilissima resina d'abete. Gioco pericoloso il nostro, incoscienti parate spesso interrotte dal drastico intervento degli adulti.


Battaglie più o meno “cruente” da “ragazzi della Via Pal” tra opposti schieramenti, ognuno ben acquartierato alle due estremità del Giof nel proprio villaggio di verdi capanne, ognuno con i propri depositi di micidiali munizioni, pigne d'abete, strategicamente disposti in nascondigli ai piedi delle conifere del parco.


Giochi d'estate, giochi a perdifiato, giochi di bande incontrollate e incontrollabili di bambini e ragazzini scatenati ma pure lunghe e solitarie passeggiate nel bosco del Giof, tra i suoi abeti rossi e i suoi radi larici alla scoperta di ogni più minuscolo anfratto, di ogni più nascosto e periferico angolo.


Di quel parco conoscevo tutto: sapevo dove trovare le prime “brise” lungo i ripidi e selvaggi pendii che lo delimitavano e i “finferli”, rari ma pure presenti in alcuni segretissimi recessi. Conoscevo i pochissimi marginali e soleggiati siti dove crescevano le fragole o i mirtilli rossi, andavo a colpo sicuro nel raccogliere il mirtillo nero quand'era il suo tempo. Quando poi incontravo un nido di veste sapevo cosa “dovevo fare”, mi era stato ben insegnato. Usavo il fuoco, sì, usavo ancora il fuoco. Su di una una lunga pertica avvolgevo uno straccio imbevuto di nafta, lo accendevo e stando a debita distanza lo posavo sul nido dei temibili insetti. Poi fuggivo, mi allontanavo rapidamente... e così, con queste mie temerarie imprese, conquistai la nomea di “famoso cacciatore di vespe” presso la comunità di salesiani che villeggiava nei pressi, ai piedi del dosso del “Giof”..


Il “Giof “era il mio regno. Quel parco fu il mio mondo, fece costantemente parte della mia vita di bambino e di ragazzino durante le lunghe giornate estive... fino ai miei quattordici anni.
Ora, a settant'anni, trovandomi casualmente a Peio Fonti, ho voluto rivedere il “mio” “Giof”, rivederlo e ripercorrerlo dopo tanto tempo. L'ho voluto attraversare per intero in compagnia della figlia e del nipotino. Figlia e nipotino che, nonostante le mie sollecitazioni, non mi sono parsi per nulla interessati durante la breve passeggiata e ancor meno attenti nell'ascoltare il racconto dei miei lontani trascorsi. Per loro il “mio” “Giof “ era solo uno dei tanti ombrosi e banali boschetti che di tanto in tanto capita di percorrere in cerca di refrigerio durante le calde giornate estive.


Ma non per me. Non dico che rivedere la chiesetta e il parco del Giof dopo tanti anni mi abbia procurato una grande emozione, nessuna grande emozione, solo una vena di malinconia, una piccola dose di nostalgia con il riemergere di ricordi che credevo smarriti per sempre, con la reminiscenza, ad ogni passo, di tanti piccoli fatti, di episodi che avevo del tutto dimenticati. .


Ecco. <<Quell'incavo, sul bordo della stradina era uno dei migliori posti di “finferli”, e lì sotto, più in basso, lungo la scarpata spuntavano le prime “brise”... invece qui, in questa piazzola circolare, che ora si riconosce appena, c'erano alcune panchine, belle, colorate, robuste e ben sagomate... laggiù in fondo, dove ora ci sono quei grandi abeti e manca il sottobosco, ai miei tempi c'era un bosco ceduo fitto di latifoglie ed era lì che con gli amici costruivo le capanne di frasche...>>


La conformazione del terreno è ben poco mutata, è più o meno la stessa ma la vegetazione è cambiata. E' cambiato soprattutto il sottobosco che ora è in molte zone è quasi assente. Allora dominavano quasi ovunque dei vigorosi cespugli di mirtillo nero per la gioia di noi bambini. Ora il suolo è in gran parte nudo, coperto di aghi d'abete indecomposti e, solo in nelle aree più aperte, crescono erbe sottili ed equiseti. Sono sparite le panchine, al loro posto si trovano molti rustici tavoli con panca annessa, inoltre, tra gli abeti, è stato realizzato un percorso di training e il parco è attraversabile anche di notte, rischiarato com'è da piccoli lampioncini elettrici che oggi renderebbero del tutto inutili le “mie” resinose fiaccole del tempo che fu.



Un bel parco quello del Giof. Ai “miei tempi”, per Peio era una ricchezza, era una importante risorsa ambientale e una sicura attrattiva per il turista. Lo è anche oggi? Non credo. Al tempo degli impianti a fune che in pochi minuti portano chiunque ad alta quota, sulle cime dei monti e nei boschi al limite della vegetazione arborea, il “Giof” ha probabilmente perso gran parte della sua capacità di incuriosire se non di incantare, per non dire di affascinare, addirittura, come riusciva a fare un tempo con qualche turista.


Il parco boscoso del “Giof”oggi, probabilmente, affascina solo me, che proprio non riesco a vederlo con obiettività, per quello che è, sgombrando la mente dai ricordi che inevitabilmente filtrano la realtà rendendo molto più allettante ciò che è stato rispetto a ciò che è.



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